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La caduta del Leviatano: Collasso del capitalismo e destino dell'umanità
La caduta del Leviatano: Collasso del capitalismo e destino dell'umanità
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E-book475 pagine6 ore

La caduta del Leviatano: Collasso del capitalismo e destino dell'umanità

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Info su questo ebook

Il Leviatano hobbesiano è lo spunto da cui si parte per questo volume accattivante e di facile comprensione anche per chi non conosce in modo approfondito l'argomento, perché è qualcosa che riguarda tutti, l'intero pianeta. Pagina dopo pagina ci vengono mostrate la gestazione, la nascita e la crescita di questo meta-sistema del capitalismo che si è propagato a livello globale, seppur in ogni paese calato in situazioni e ideologie differenti. Vengono inoltre analizzate con attenzione tutte le caratteristiche che ne permettono la sua sussistenza. Sarà difficile sentirsi estranei di fronte a un racconto che riguarda l'intera umanità e il suo futuro...
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830676121
La caduta del Leviatano: Collasso del capitalismo e destino dell'umanità

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    Anteprima del libro

    La caduta del Leviatano - Igor Giussani

    PREAMBOLO

    C’era bisogno di un altro libro sulla crisi ecologica planetaria? Magari no.

    Ogni anno, per non dire ogni giorno, si accumulano dati man mano più accurati, si elaborano modelli sempre più realistici e si precisano proiezioni ogni volta più fosche circa un futuro che, in effetti, è già cominciato. Intanto si moltiplicano appelli ed allarmi che, di norma, raggiungono solo chi era già consapevole del problema.

    Ma, al di là del crescente perfezionamento delle analisi, è da almeno 50 anni che conosciamo i principali fenomeni in atto e le loro cause. Sappiamo quindi approssimativamente verso quale inferno stiamo marciando e che cosa si sarebbe dovuto fare per evitarlo. Sappiamo che oramai non è più possibile evitare grandi tragedie, ma che potremmo ancora limitare i danni e lasciare qualcosa a chi abiterà il pianeta quando la fase acuta della crisi sarà un vago ricordo, narrato dagli anziani. Alla consapevolezza dovrebbe corrispondere una volontà di agire che, purtroppo, sembra del tutto assente, soprattutto ai livelli che contano.

    In questi 50 anni, infatti, intere generazioni non si sono limitate a studiare e spiegare la problematica ecologica, l’hanno letteralmente urlata a squarciagola nel tentativo di ottenere visibilità e ascolto. Alcune persone sono state comprate dal sistema che denunciavano, mentre molte altre sono state marginalizzate, licenziate o picchiate. In diversi paesi, non pochi attivisti sono stati imprigionati e persino ammazzati. Ma nulla è valso a spostarci dal binario su cui corriamo da almeno un paio di secoli: non la scienza, l’arte o la filosofia; né la speranza e tanto meno la paura. Tutti gli sforzi sono andati immancabilmente a sbattere contro un muro, quali che fossero regimi politici, strutture sociali o congiunture economiche. A parte qualche fuoco fatuo qua e là, non si è mai intravisto alcun reale segno di cambiamento.

    Chi ha dedicato anche solo parte della sua esistenza alla militanza ambientalista sa bene la frustrazione e la noia di ripetere sempre le medesime cose alle stesse (poche) persone che già, più o meno, le conoscono oppure trattano la questione ambientale come terreno per operazioni di facciata e strumento di propaganda commerciale.

    Ha dunque senso insistere ancora? Forse sì, a condizione però di offrire un punto di vista inconsueto, utile a mettere in luce relazioni e retroazioni che finora hanno definito ineluttabilmente il nostro Fato.

    Pertanto, in queste pagine non ci concentreremo su aspetti già ampiamente divulgati, bensì tenteremo di spiegare come la natura stessa dell’uomo si sia evoluta, creando un’entità unica nella storia della Terra: il Leviatano (di cui l’attuale capitalismo globale rappresenta l’apoteosi storica), che di per sé ha poco da spartire con l’uomo, ma molto con l’umanità, poiché dal suo destino dipende il nostro. Proveremo pertanto a inserire dati già noti all’interno di una cornice concettuale diversa da quelle normalmente adottate.

    Tale sforzo forse gioverà ad altri, magari capaci di sviluppare ulteriormente le nostre intuizioni, e tanto ci basta. Il futuro, dicevano gli antichi, giace in grembo a Zeus, quindi tentar non nuoce (del resto, solo chi non fa nulla non sbaglia mai).

    Pertanto, non troverete l’ennesimo appello ad agire prima che sia troppo tardi e neppure la consueta carrellata di provvedimenti da prendere qui ed ora. Di ricette salvifiche ne esistono in abbondanza e per tutti i gusti sia nella variegata galassia ambientalista che nel cuore del sistema industriale e finanziario. Non avrebbe molto senso aggregarci alle esortazioni ad agire ora, tentando di rimediare a decenni di immobilismo e a campagne di sensibilizzazione che, nel migliore dei casi, hanno temporaneamente catalizzato l’attenzione dei media per poi sprofondare nuovamente nell’indifferenza generale.

    Intendiamoci: in linea di principio, non c’è nulla di sbagliato nelle strategie attiviste, se non fosse che l’enfasi posta sulle presunte soluzioni rischia di oscurare la radice profonda dei fenomeni, finendo così per concentrarsi su aspetti superficiali. Una tendenza esacerbata dal fatto che svariati movimenti dichiaratamente antisistema e/o antiglobalisti stanno cooptando molte istanze ecologiste per corroborare le proprie ideologie, vagheggiando una Terra Promessa in cui 8 o 10 miliardi di persone vivono in pace e benessere. Utopia realizzabile, a seconda delle visioni, mediante un mix di sovranità monetaria, economia neokeynesiana, nazionalizzazione dell’industria e dei servizi pubblici, elettrificazione totale, energia verde, ecc.

    Tutte cose che possono davvero rivelarsi utili, ma l’enfasi sugli aspetti di carattere tecnico appare più un modo per salvare il capitalismo anziché il pianeta. All’estremo opposto, l’odio verso il capitalismo, ancorché ben comprensibile, rischia di generare solo una livorosa resa dei conti fra Noi (chiunque noi siamo) e Loro (variamente identificati a seconda dei casi).

    Esiste anche una variante, radicata solo in USA ed Europa occidentale, che si pretende colpevole di tutto ciò che sta accadendo ed anela ad espiare le proprie colpe, ma ciò non cambia la sostanza del messaggio: esistono le soluzioni tecnologiche e organizzative per assicurare una buona vita ad un numero indefinito di persone, a patto di sconfiggere i poteri forti che si oppongono.

    Un approccio che, a nostro avviso, pur contenendo elementi di verità, elude alcune questioni fondamentali, come:

    – Il capitalismo può essere reso compatibile con la tanto agognata transizione?

    ma soprattutto:

    – Per quale ragione, in ultima analisi, il capitalismo è risultato invincibile a ogni opposizione?

    – Come mai, ciò malgrado, sta morendo, portandosi dietro quasi tutti noi, capitalisti compresi?

    Nelle prossime pagine cercheremo di comprendere le radici evolutive che hanno trasformato la comunità degli Homo sapiens sapiens in qualcosa che somiglia sempre di più ad un super-organismo e ragioneremo su quali sarebbero (o saranno?) le conseguenze di un ritorno ad un minore livello di integrazione fra i membri della nostra specie.

    In altri termini, proveremo a rispondere agli interrogativi: chi è il Leviatano? Perché è nato? Perché morirà? Con quali presumibili conseguenze?

    Prima di procedere, risponderemo preventivamente ad alcune critiche che facilmente ci saranno mosse.

    È un libro imbevuto di eurocentrismo

    Fatto inevitabile a causa dell’argomento trattato: il Leviatano è nato in Europa occidentale, anche se oggi sono altri i paesi capofila.

    È un libro che applica ragionamenti deterministici

    In parte. Se da un lato riteniamo il Leviatano un prodotto esclusivo dell’umanità (nel senso di fondarsi su alcune peculiarità della nostra specie non rintracciabili – o non altrettanto sviluppate – nel resto degli esseri viventi), dall’altra lo consideriamo una contingenza storica, non un destino ineluttabile scritto nel genoma umano.

    È un libro antimodernista

    È sicuramente un libro antiprogressista, nel senso che rifiuta la mistica del Progresso, su cui effettivamente si fonda la modernità. Ma non è certamente reazionario, nel significato comunemente attribuito al termine. Anzi, per molti versi si ispira alla modernità riflessiva teorizzata da Ulrich Beck; ossia una modernità matura e in grado di analizzare criticamente i suoi trascorsi, in particolare per quanto attiene alle illusioni giovanili. Altresì capace di rivalutare alcuni aspetti della pre-modernità frettolosamente archiviati come retaggio di un passato da cui prendere le distanze.

    È un libro spudoratamente di sinistra

    Semmai, è dichiaratamente anticapitalista, al punto da mettere in discussione persino il radicalismo di sinistra (vedi il marxismo) per tutti quegli aspetti che, in qualche modo, strizzano l’occhio all’ideologia che sostiene il Leviatano, nonostante l’enfasi critica.

    È un libro inutile per la causa dell’ecologia politica

    Probabile, in quel caso ci consoleremo pensando che condividerà il medesimo destino di opere molto più celebri e blasonate!

    1.

    Chi è il Leviatano?

    La scienza è la conoscenza delle conseguenze,

    e della dipendenza di un fatto da un altro.

    T. Hobbes

    Figura 1- Frontespizio del Leviatano di Hobbes, pubblicato nel 1651 (fonte Wikipedia).

    Il Leviatano è il più grande mostro mai esistito. Al suo cospetto, sono insignificanti non solo i più giganteschi organismi mai vissuti, ma persino quelli partoriti dalla fantasia.

    Per i Fenici era una sorta di Drago Primordiale. Passato nella Bibbia, ha assunto il significato di creatura colossale e spaventosa, simbolo delle forze del male nemiche di Dio. Successivamente, il termine è stato spesso usato come metafora di qualcosa di smisurato, orrendo e pericoloso.

    Nel 1651 il filosofo Thomas Hobbes, uno dei padri del pensiero moderno, lo impiegò invece in un senso del tutto diverso, decisamente più interessante.

    Leviatano, ovvero la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile è il titolo del più importante dei suoi libri, in cui l’antico nome viene adoperato per indicare quella che, secondo il filosofo inglese, avrebbe dovuto essere una società ideale. Cioè un’associazione perfettamente integrata di tutti i cittadini che agiscono come un unico meta-individuo, sotto la guida illuminata di un re-sacerdote che accomuna il sommo potere temporale e spirituale. Nulla spiega questo concetto meglio del frontespizio della prima edizione (fig.1): un gigante composto da una miriade di individui che domina su tutta la Terra.

    Hobbes, non dimentichiamolo, fu uno dei principali anticipatori del pensiero illuminista e dunque della civiltà attuale, tanto che sotto traccia le sue idee continuano a influenzare il nostro modo di pensare.

    Quasi quattro secoli più tardi, un altro grande pensatore, Ilya Prigogine¹, ci ha insegnato che, dal punto di vista termodinamico, tanto i singoli individui quanto le società nel loro complesso sono delle strutture dissipative. Ossia aggregati di materia auto-organizzata che si mantiene in un delicato ed improbabile stato lontano dall’equilibrio termodinamico, grazie alla capacità di assorbire e dissipare energia. La maggior quantità possibile di energia, come ha puntualizzato nel 2012 François Roddier (un altro fisico) in Thermodynamique de l’évolution: Un essai de thermo-bio-sociologie.

    Ci torneremo nei prossimi paragrafi; per ora preme anticipare che la differenza principale fra l’individuo e la società è il grado di complessità, il quale aumenta più che linearmente con l’accrescimento della struttura stessa, mentre l’incremento della complessità comporta, a sua volta, l’apparire delle cosiddette proprietà emergenti. Ossia caratteristiche che derivano dalle interrelazioni fra le diverse parti di un sistema e che si ritrovano conseguentemente nel tutto, ma non nelle singole parti.

    Una cellula è qualcosa di molto più complesso di un ammasso di molecole, quindi presenta proprietà assenti in quest’ultimo. Parimenti, un organismo possiede caratteristiche e capacità che non consistono nella semplice sommatoria di quelle delle cellule che lo compongono; così gli ecosistemi e via di seguito.

    Le società sono formate da aggregati umani che sviluppano caratteristiche loro proprie non riscontrabili nei singoli individui e la principale proprietà emergente delle società umane è ciò che chiamiamo civiltà. Certo, ogni singolo individuo gode di un’esistenza autonoma, ma la civiltà è prodotta da un’interazione simbiotica fra i membri della società che, a tutti gli effetti, costituisce quindi una meta-struttura dotata di una propria individualità, capace di reagire agli stimoli in modo da perseguire scopi che le sono propri, al di là delle scelte individuali.

    Il Leviatano non è dunque una semplice metafora, bensì una realtà fisica di cui ciascuno di noi fa parte e, come tutte le strutture viventi, nel corso dei secoli si è evoluto.

    Vivendo nell’epoca in cui le monarchie assolute facevano la loro fugace comparsa nella storia europea, Hobbes aveva immaginato il suo meta-individuo dotato di una testa pensante individuale: quella di un sovrano-pontefice detentore di ogni potere temporale e spirituale.

    La realtà attuale è molto diversa² e, al posto di una singola testa coronata, si trova un gruppo di oligarchi controllante la parte più consistente del flusso di energia e informazione che attraversa il corpo sociale. Una struttura tipicamente modulare e coloniale³ che si ripete su scala diversa (ma in modo sorprendentemente simile) dal livello globale fino alle singole municipalità.

    Per essere chiari: i rapporti che intercorrono fra i maggiori gruppi industriali e finanziari mondiali con i governi del G20 generano delle dinamiche riscontrabili su scala minore, ma strutturalmente analoga, a livello di singoli stati, regioni ecc. Fino al più piccolo comune il cui sindaco ha cura di mantenere rapporti costanti e privilegiati con i notabili del paese.

    Probabilmente, a causa della sua struttura modulare, il Leviatano sembra capace soltanto di seguire un istinto tanto antico quanto la materia stessa di cui è composto: assorbire e dissipare quanta più energia gli è possibile. Deve farlo subito, tassativamente e senza riguardo per alcuno, nemmeno per il suo stesso avvenire.

    Una totale miopia che contrasta in modo stridente con l’efficienza, la creatività e l’astuzia con cui persegue questo scopo. Uno dei paradossi del Leviatano è infatti che, pur essendo formato dall’insieme degli animali più intelligenti mai esistiti, mostra un comportamento strettamente analogo a quello di una banalissima muffa: cresce sfruttando tutte le risorse disponibili a partire dalle migliori finché, esaurite le fonti di sostentamento ed avvelenato il suo ambiente, digerisce se stesso e muore.

    Sono passati quasi 400 anni dalla prima edizione del libro di Hobbes, ma la sua visione della società come un essere collettivo (un superorganismo, si direbbe nel linguaggio scientifico odierno), si è dimostrata addirittura profetica, malgrado il Leviatano reale sia molto diverso da quello immaginato allora. Una rivisitazione in chiave contemporanea dell’opera dovrebbe raffigurare in copertina una sorta di cyborg con tre braccia, ciascuna delle quali formata da molteplici individui.

    Su tutto ciò torneremo nei prossimi capitoli, per ora concentriamoci su alcuni dei concetti indispensabili per seguirci nel nostro ragionamento.

    1.1. La fabbrica del Fato

    Non puoi vincere, non puoi pareggiare, non puoi uscire dal gioco.

    Allen Ginsberg

    Alcune delle leggi universali della Natura, ad esempio la gravità, sono comunemente accettate e, nei loro effetti, abbastanza ben comprese. Tutti sanno che un sasso scagliato in aria ricade e che un aereo per volare deve bruciare qualcosa nei motori⁴.

    Molto più problematico è il rapporto con altre, non meno importanti, leggi naturali: in primis quelle della Termodinamica. Esse sono infatti altrettanto vincolanti della gravità, ma assai meno intuitive, al punto che personaggi certamente colti ed intelligenti, persino premi Nobel per l’economia (anzi, soprattutto alcuni fra loro), se ne escono talvolta con affermazioni del tutto insensate.

    Con sottile humor anglosassone, il poeta statunitense Allen Ginsberg ha riassunto tali leggi nell’aforisma sopra citato e divenuto celebre come teorema di Ginsberg. Noi aggiungeremmo un corollario: Non puoi barare; il solo provarci può costare molto caro.

    Dal momento che tutti i processi economici, compresi quelli virtuali, comportano ineluttabilmente l’uso di energia e materia, la nozione di entropia rappresenta la chiave di volta per capirne il funzionamento.

    Si tratta di uno dei concetti più versatili per comprendere il mondo, ma anche uno dei più complessi, tanto che persino John von Neumann⁵ ebbe a dire: nessuno sa con certezza cosa sia l’entropia.

    Per i nostri limitati fini, qui ci accontenteremo di ricordare che, riferendosi all’energia, l’entropia è una misura della sua capacità di fare qualcosa (sollevare, spostare, scaldare, plasmare, ecc.): misura inversa perché, tanto minore è l’entropia, tanto maggiore risulta la sua capacità operativa. L’impiego di energia comporta però un suo inevitabile degrado, quindi un aumento della sua entropia: un processo irreversibile che impedisce il riciclo dell’energia.

    Per limitarci a un solo esempio, con del vapore a 300 gradi posso far girare una turbina e, una volta sceso a 100 gradi, torna utile per cuocere delle patate; una volta raggiunti i 20 gradi non è più di alcun beneficio, tranne in presenza di temperature molte basse. Infatti, la capacità operativa dell’energia dipende dal gradiente, ossia dalla differenza di temperatura e pressione fra l’ingresso e l’uscita dalla macchina.

    Dal punto di vista dell’economia, l’entropia può essere dunque intesa come una misura inversa dell’utilità dell’energia:

    Minore è l’entropia di una fonte energetica, maggiore è la sua utilità potenziale; maggiore è la sua entropia, minore è la sua utilità e, una volta degradata, l’energia non può più essere usata. Qualunque trasformazione da una forma di energia all’altra e qualsiasi operazione compiuta grazie ad essa comporta un aumento di entropia, trattasi di un fenomeno irreversibile.

    Per questo il Tempo ha una direzione; esistono cioè un passato ed un futuro. Ed esiste un Fato.

    Detta in termini molto semplici: facendo bollire un acquario si può cucinare una zuppa di pesce, ma raffreddando la zuppa non si può allestire nuovamente l’acquario.

    Riferendosi alla materia, l’entropia può invece essere considerata una misura inversa del grado di ordine della medesima. Più è ordinata la materia, minore è la sua entropia; meno ordinata è la materia, maggiore è la sua entropia.

    Il ghiaccio ha un’entropia minore dell’acqua che a sua volta l’ha minore del vapore, perché nel ghiaccio la posizione delle molecole è precisamente determinata, nel liquido le posizioni non sono stabili, ma le distanze sì; mentre nel vapore le molecole vagano del tutto a caso. Detto altrimenti, il ghiaccio contiene più informazione dell’acqua e questa del vapore.

    L’informazione non è soltanto tutto quello che sappiamo e rileviamo, ma anche ciò che distingue un oggetto da un ammasso casuale di atomi; rappresenta quindi il contrario speculare dell’entropia. Tutto quanto non sia perfettamente casuale contiene informazione: oggetti, idee, flussi, ecc.

    Per fare un altro esempio, un bicchiere ha un’entropia minore (dunque un’informazione maggiore) delle schegge che si formano se cade frantumandosi sul pavimento, ma anche della sabbia silicea da cui è stato prodotto.

    È possibile ridurre l’entropia e far crescere simultaneamente l’informazione? Sì, degradando una quantità sufficiente di energia nel modo corretto. Nel nostro esempio, usando calore ad alta temperatura per fondere la sabbia e stampare il bicchiere. Un processo che, però, aumenta l’entropia nel resto del mondo (nel caso in questione, sotto forma di scarti di lavorazione, nonché di calore residuo e gas di combustione di ciò che ho bruciato per fondere la sabbia).

    L’entropia può quindi essere ridotta, ma solo degradando una certa quantità di energia per modificare lo stato chimico-fisico della materia; che si tratti di estrarre pirite dalle rocce per farne lingotti di ferro e poi macchine, di sintetizzare molecole di glutammato nel nostro cervello o di aumentare la temperatura del vapore.

    Fondamentalmente, per ridurre l’entropia da una parte, dobbiamo necessariamente aumentarla in maggiore misura da un’altra.

    Fatto ineluttabile e di vitale importanza, perché tutti noi viviamo di energia ed oggetti (anche i servizi vengono forniti mediante l’impiego di oggetti e la dissipazione di energia), per realizzare i quali si comincia applicando un’energia (E) ad una certa quantità di materiale (ad esempio una roccia) per estrarne una parte che diventa qualcosa di più concentrato e formato (X) (come un lingotto di metallo). Contemporaneamente, un’altra parte di materiale (di solito molto maggiore) diventa invece qualcosa di più disperso e disordinato (Y) (come un cumulo di scorie). Parte dell’energia applicata viene incorporata nel prodotto X, sotto forma di informazione generata nel processo, altra invece nel rifiuto Y. Un’ulteriore parte dell’energia viene invece dispersa sotto forma di calore, rumore, ecc. (Z).

    Figura 2 – Ciclo della produzione: ad ogni lavorazione successiva avviene una dissipazione di energia ed una produzione di rifiuti; anche se l’entropia del prodotto commerciale diminuisce, quella complessiva aumenta.

    Quindi, abbiamo due elementi in entrata (energia e materie prime) e tre in uscita: un prodotto X con un’entropia inferiore al materiale di partenza; un rifiuto Y e un’energia Z che, viceversa, presentano complessivamente un’entropia superiore⁶.

    L’entropia di Y+Z è sempre e comunque maggiore dell’entropia di E+X: è il secondo ed inviolabile principio della termodinamica. Tutto ciò che si muove, cresce o, in qualunque modo, si trasforma è soggetto a questa legge che non conosce eccezioni.

    Altrimenti detto: degradando energia, possiamo ridurre l’entropia localmente, pagando però il prezzo di aumentarla globalmente.

    Dunque, accrescendo l’ordine in una parte del mondo, si sta contemporaneamente aumentando il disordine in un’altra. Un po’ come quando rassettiamo il salotto ammucchiando roba in cantina, per poi ripulirla trasferendo il ciarpame in discarica. Molto acutamente, il saggista James Howard Kunstler definisce l’entropia come il sottoprodotto negativo, che si esprime in varie forme, dell’utilizzo di energia.

    Non può esserci, neppure a livello teorico, una scappatoia tecnologica a questa legge, ma ne esiste una biologica perché la Biosfera (l’insieme auto-organizzato di tutto ciò che vive) è in grado di ridurre l’entropia del pianeta, accumulandovi informazione sotto forma di organismi, ecosistemi, correnti, suoli, ecc., anche se a costo di incrementare l’entropia del cosmo.

    La Biosfera non contravviene infatti alle leggi della Termodinamica (non sarebbe possibile), bensì degrada l’energia dei fotoni solari (energia a bassa entropia), scaricando calore a bassa temperatura (energia ad alta entropia) nello spazio. La differenza di potenziale rimane sulla Terra sotto varie forme, principalmente la Biosfera stessa e suoi derivati (compresi i giacimenti di petrolio, gas e carbone).

    In buona sostanza, la Biosfera stessa consiste in una riserva di informazione creatasi nel corso di miliardi di anni e mantenuta da un flusso costante di energia solare. Noi stessi siamo informazione e dipendiamo quindi da essa per esistere, dovremmo ricordarcelo ogni volta che intraprendiamo azioni come abbattere un albero.

    Anche i combustibili fossili sono riserve di bassa entropia accumulate in milioni di anni, perciò la loro combustione aumenta inevitabilmente l’entropia del pianeta. Il riscaldamento del clima e l’estinzione di massa sono due fenomeni strettamente connessi fra loro e con tale processo.

    Non aveva dunque torto chi venerava i grandi alberi alla stregua di divinità: la vita, nostra e di tutti gli altri animali, dipende totalmente dalle piante. La fotosintesi è infatti l’unico processo conosciuto che riduce l’entropia sulla Terra.

    Viceversa, come abbiamo già accennato, tutto ciò che facciamo noi animali aumenta necessariamente l’entropia del pianeta, minando tendenzialmente le basi della nostra stessa esistenza. Se sparissero le piante, degli animali resterebbero solo carcasse; senza animali, invece, gli ecosistemi cambierebbero ed alcune specie vegetali si estinguerebbero, ma la Terra resterebbe ben viva.

    Se abbiamo sufficientemente interiorizzato le nozioni di entropia, informazione e dissipazione di energia, siamo pronti per riflettere su uno dei concetti più utili per capire il mondo: quello, già menzionato, di struttura dissipativa.

    Sono strutture dissipative tutti quei sistemi che si mantengono lontani dall’equilibrio termodinamico⁸, assorbendo energia dall’esterno e dissipandola, come appunto fa la Biosfera.

    Banalmente, si comporta così l’acqua che, riscaldata su di un fornello, assorbe calore dal fuoco e lo scarica, a più bassa temperatura, alla sua superficie. Finché dura il fuoco, le molecole d’acqua nella pentola non si muovono più a caso, ma si spostano in modo relativamente ordinato, secondo correnti ascendenti e discendenti. Quando la temperatura raggiunge i 100 gradi, questo delicato equilibrio dinamico si disintegra nel moto nuovamente caotico dell’ebollizione. I flussi di energia generano ordine ed informazione, ma se sono troppo intensi diventano invece distruttivi.

    In questa sede ci interessano le strutture dissipative complesse, costituite cioè da un grande numero di elementi in rapporto fra loro mediante reti di retroazioni di diverso segno (positive e negative, v. par. 1.3). Ne sono un esempio gli organismi che assorbono e dissipano energia per formare e mantenere i propri corpi; oppure gli ecosistemi, che dissipano energia creando biodiversità. La nostra attenzione si concentra sulle società umane, le quali usano flussi di energia per generare e mantenere oggetti, costruzioni, organizzazioni, culture: dalle guglie gotiche agli iPhone, dalle favole della nonna al CERN, passando per le persone artefici di tutto ciò.

    Dunque, tornando a quanto già spiegato in termini fisici, le strutture dissipative in generale, e le società umane in particolare, utilizzano l’energia per creare e mantenere al loro interno Informazione sotto forma di tecnosfera⁹ (o antroposfera), che costituisce il corpo fisico del Leviatano (v. cap. 3).

    Se è abbastanza intuitivo che, per fare qualsiasi cosa, occorrano energia e materie prime, si tende invece a trascurare che qualunque attività scarica nell’ambiente dei sottoprodotti ad alta entropia come rifiuti, gas serra, calore, ecc.

    Sono tutti aspetti su cui torneremo ampiamente nei prossimi capitoli, per adesso concentriamoci sui seguenti punti:

    1. La materia che compone le strutture dissipative, dalle più semplici alle più complesse, si auto-organizza per assorbire e dissipare la massima quantità possibile di energia, compatibilmente con le fonti disponibili e con la propria struttura. Non c’è un deus ex machina, lo fa autonomamente e comunque.

    2. Per creare e mantenere informazione, così come per modificare lo stato chimico e/o fisico di qualunque oggetto, occorre degradare energia, un processo irreversibile che inevitabilmente danneggia l’ambiente circostante.

    3. Se il flusso di energia è insufficiente, il sistema si ferma, se viceversa risulta eccessivo si rompe. Quindi non è importante solo la quantità di energia teoricamente disponibile, ma anche la sua qualità, cioè la forma in cui si presenta e può essere sfruttata al meglio.

    1.2. Organismi e superorganismi

    In estrema sintesi, possiamo pensare allo sviluppo della civiltà come ad un processo che, degradando energia, modifica la materia, accumulando informazione all’interno della società ed aumentando conseguentemente l’entropia intorno ad essa.

    Figura 3 – Rapporto tra informazione ed entropia: per accumulare informazione in una parte del sistema è necessario dissipare energia ed incrementare l’entropia in altre parti. Il saldo dell’operazione è sempre e comunque negativo.

    Lo schema nella figura 3 si applica a qualunque civiltà della storia, ma quella industriale presenta due peculiarità tali da renderla unica: la disponibilità pressoché illimitata di combustibili fossili per circa due secoli (cap. 2) e il sistema capitalista nelle sue numerose varianti. Un binomio sinergico che ha trasformato l’Uomo da animale sociale a qualcosa di molto simile ad un superorganismo, pur senza esserlo ancora a pieno titolo.

    Un superorganismo è un’entità intermedia fra un organismo individuale (ad esempio una scimmia) e una colonia (come i coralli). Negli organismi individuali, i singoli soggetti sono in grado di provvedere autonomamente alle proprie necessità vitali, anche se spesso collaborano con altri individui, non necessariamente della propria specie, per ottenere risultati migliori con minore sforzo.

    Nelle colonie, i corpi dei singoli individui sono invece fusi formando un tutt’uno, non importa se i componenti sono tutti uguali o specializzati per svolgere funzioni diverse, caso in cui la differenza fra colonia e organismo sfuma. Gli alberi sono tipicamente una forma di vita intermedia fra una colonia ed un individuo.

    Un superorganismo somiglia molto ad una colonia, ma i singoli elementi non sono fusi fisicamente, bensì funzionalmente. Il caso più noto è quello delle formiche. La singola formica sembra un individuo, eppure non lo è perché da sola non potrebbe svolgere tutte le funzioni necessarie alla propria sopravvivenza e morirebbe presto senza lasciare traccia. Il vero individuo è il formicaio, la cui popolazione si articola in numerose caste e sottocaste, ognuna delle quali specializzata in un compito di cui le altre usufruiscono e solo tutte le caste insieme sono in grado di sopravvivere e riprodursi.

    Ancora più interessanti per noi sono le termiti. Anche loro sono differenziate in caste specializzate e totalmente interdipendenti, in più costruiscono dei termitai che presentano importanti analogie con le nostre città. Pure le formiche costruiscono formicai, ma non tutte le specie e molti di questi sono piuttosto semplici. Inoltre, le formiche di alcune caste passano molto tempo fuori dal formicaio, diversamente dalle termiti che non possono vivere al di fuori del nido e della rete di gallerie che da esso si dirama. Inoltre, i termitai presentano generalmente un’architettura più sofisticata (talvolta molto di più) di quella dei formicai, e i suoi abitanti controllano con invidiabile precisione tutti i parametri ambientali interni: temperatura, umidità, ecc. In pratica, termiti e termitaio costituiscono un’unità indivisibile in cui ogni parte è funzionale alle altre e, se ne viene separata, muore.

    La società umana non ha sviluppato un grado di integrazione così alto, tuttavia è caratterizzata da un’infinità di compiti specializzati (professioni e classi sociali funzionali le une alle altre); inoltre, si è dotata di una tecnosfera da cui dipende la nostra sopravvivenza e che, dopo essere stata progettata e costruita, necessita di un’opportuna e costante opera di manutenzione. Del resto, un individuo isolato non sopravvive a lungo neppure fra le popolazioni di raccoglitori-cacciatori, figuriamoci in una civiltà complessa come quella attuale.

    Solo per citare alcuni esempi tra gli innumerevoli possibili, abbiamo infatti sperimentato come un’alluvione in Thailandia possa compromettere il funzionamento dei computer in tutto il mondo. Oppure come un’epidemia in Cina possa creare penuria di chiodi in un villaggio calabrese e come il fallimento di una ditta olandese possa lasciare sul lastrico migliaia di persone in India. La modesta perturbazione dei flussi mondiali di materia, energia e informazione indotta dalla pandemia di Covid-19 ha devastato l’intera economia mondiale, a cominciare dalle vite di milioni di persone che hanno perso il lavoro. Non lo sapremo mai con certezza, ma è molto probabile che, alla fine, il Covid avrà mietuto più vittime per fame e miseria che per febbre e polmonite.

    Tutto ciò dovrebbe convincerci che solo l’astronomico livello di integrazione raggiunto dall’economia globalizzata può estrarre così tanto dal poco che resta della Biosfera da permettere l’esistenza di 8 miliardi di persone, sia pure in modo alquanto precario per molti ed oscenamente opulento per pochi. Per questo riteniamo oramai legittimo parlare apertamente di Leviatano, malgrado alcune funzioni (come quella riproduttiva) siano diffuse fra tutti i soggetti.

    In estrema sintesi, esiste una correlazione molto forte fra flusso di energia, dimensioni delle società e complessità delle civiltà che queste producono. Fattori culturali e spirituali plasmano civiltà diversissime, ma il grado di complessità raggiunto rimane comunque correlato alla quantità di energia che sono in grado di estrarre e dissipare. Un elemento fondamentale da non scordarsi mai quando si riflette sulla crisi attuale e su cosa si potrebbe fare per lenirla.

    1.3. Tra libertà e fatalità

    La dolorosa meraviglia che ci procura ogni rilettura dei grandi tragici è che i loro eroi, che avrebbero potuto sfuggire a un fato atroce, per debolezza o cecità non capiscono a cosa vanno incontro, e precipitano nell’abisso che si sono scavati con le proprie mani.

    Umberto Eco

    L’organizzazione interna contribuisce non solo a determinare il Fato di qualunque struttura dissipativa, ne influenza in larga misura anche il comportamento.

    Le economie sono strutture dissipative complesse, ossia sistemi altamente integrati il cui funzionamento dipende in primis da come sono strutturate e da come le differenti parti interagiscono tra loro. Ogniqualvolta si verifichi un cambiamento in una parte del sistema, infatti, altre parti reagiscono e le due risposte più comuni sono semplicemente di più oppure di meno. Può sembrare banale, ma la logica binaria dei computer insegna che la combinazione di moltissime risposte semplici può generare comportamenti estremamente sofisticati.

    Molti sistemi presentano inoltre una tendenza intrinseca, sono cioè essi stessi dei sistemi a retroazione. Per capirsi, il fuoco arde tanto meglio quanto maggiore è la temperatura e, bruciando meglio, scalda di più. Tali retroazioni sono auto-rinforzanti, ovverosia retroazioni positive in gergo tecnico. Un altro esempio classico sono le popolazioni di animali che, potendo, crescono tanto più rapidamente quanto più sono numerose. In un sistema economico capitalista, il denaro mostra la stessa dinamica tendenziale: più sei ricco, più guadagni.

    Troviamo retroazioni positive ogni volta che un sistema, o una sua parte, è in grado di riprodurre se stesso, oppure reagisce ad ogni incremento mediante un ulteriore incremento e ad ogni diminuzione mediante un’ulteriore diminuzione. Di conseguenza, questo tipo di retroazioni è sempre e comunque destabilizzante. Pensiamo alle bolle speculative, che risultano tanto più fragili quanto più rapidamente crescono. Ma lo stesso schema si ritrova nei sistemi naturali, come nelle popolazioni di molti insetti che aumentano esponenzialmente per alcuni anni e poi quasi scompaiono nel giro di una stagione, per pullulare nuovamente anni dopo.

    Il concetto fondamentale è che le stesse identiche retroazioni alimentanti la crescita esponenziale favoriscono anche il collasso.

    Dunque, le retroazioni positive sono funzionali solo se agiscono per brevi lassi di tempo perché, se non vengono fermate da qualcosa, conducono fatalmente all’esplosione o all’implosione. Stabilizzare la crescita, mantra ripetuto ossessivamente da

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