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L'alchimia delle stelle: Ai confini della creazione
L'alchimia delle stelle: Ai confini della creazione
L'alchimia delle stelle: Ai confini della creazione
E-book569 pagine8 ore

L'alchimia delle stelle: Ai confini della creazione

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Info su questo ebook

Nella città di Fabriano prosegue la battaglia tra le crudeli sanguinarie e i guerrieri della luce. La nascita di tre coppie di gemelli renderà ancora più misteriosa la situazione. Sono tutti figli di Satana, ma uno solo potrà essere l’Anticristo. Come in ognuno di noi si intrecciano passato, presente e futuro, così nella storia dell’intero cosmo non è possibile raggiungere il futuro senza risolvere il passato, nel tempo presente. Il premio per i vincitori è la Creazione, che conduce al potere divino, di cui siamo responsabili, non come qualcosa da possedere, ma come un impegno da portare a termine. L’uomo riuscirà a brillare di luce divina tirando finalmente fuori tutto il potenziale che ha dentro di sé, o lascerà ancora una volta che le Tenebre oscurino la sua bellezza?
LinguaItaliano
EditoreBookRoad
Data di uscita12 nov 2020
ISBN9788833220932
L'alchimia delle stelle: Ai confini della creazione

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    Anteprima del libro

    L'alchimia delle stelle - Umberto Rotili

    frontespizio

    Umberto Rotili

    L’Alchimia delle Stelle – Ai confini della creazione

    ISBN 978-88-3322-093-2

    © 2020 BookRoad, Milano

    BookRoad è un marchio di proprietà di Leone Editore

    www.bookroad.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    A chi mi ha insegnato

    ad amare gratuitamente.

    Questo libro è di nuovo eretico!

    Si sconsiglia di nuovo la lettura di questo romanzo

    a coloro che hanno una fede debole,

    incapace di sopportare la minima scossa

    o non disposta a porsi domande.

    Teologia, filosofia, storia, fisica e magia

    si intrecciano in questo fantasy adrenalinico,

    che ha come scopo

    quello di trasportare il lettore a spasso nel tempo

    e interrogare chi legge su un modo nuovo

    di vedere la realtà, il mondo e l’uomo,

    con tutto il potenziale che risiede dentro di lui.

    E tu... accetterai la sfida?

    Tutto è già cominciato.

    La prima riga della prima pagina

    di ogni racconto si riferisce

    a qualcosa che già è accaduto

    fuori dal libro.

    Italo Calvino

    LIBRO PRIMO

    COSMOGONIA

    CAOS E COSMO

    «Sia la luce!»

    La voce rimbombò come un tuono, provocando un’eco che risuonò tutto attorno. Il nulla sembrò vibrare al suono terribile e maestoso, scosso da quella voce prorompente. Il tuono parve riecheggiare in ogni direzione, fino a diventare una musica celestiale, e più le vibrazioni si espandevano in ogni dove, più la materia iniziava a esistere. Brillava sempre di più, divenendo splendente a mano a mano che con essa il tempo nasceva e cominciava a scorrere. Infine, esplose per la grande concentrazione di calore che si era creata all’interno.

    Tutto cambiò in un istante. Dove prima troneggiava il nulla, adesso la materia si stava espandendo in ogni direzione e, più si allontanava dal suo centro, più assumeva forme e colori mai visti. Come piccole schegge impazzite, i fotoni si muovevano nel cosmo, facendo sì che la materia si scontrasse, si dividesse, si unisse e poi si allontanasse di nuovo.

    Luce ovunque… Musica e luce…

    Ogni cosa venne all’esistenza. Tutto ebbe inizio dalla voce e tutto cominciò a scorrere nel tempo.

    «Siano gli astri nel cielo e la terra si separi, le acque si dividano tra sopra e sotto il cielo.»

    Nel momento in cui Yahweh pervase la creazione, la forza che muove ogni cosa, entrando nella sua opera, si rese visibile esprimendo se stessa.

    Yahweh divenne trinità comunicando se stesso al creato e in questa sua trasmissione si determinò: Yahweh, Yeshua e Ruah. Il Creatore, il disegno della creazione e l’energia divina di vita.

    Yahweh guardò negli occhi Yeshua e sorrise nel vedere che il suo amore era corrisposto. Fu uno scambio di sguardi così intenso, che i due interagivano senza parlarsi: amante e amato erano come uno, pur rimanendo distinti. L’amore tra i due li avvolgeva come una spirale di luce cui Yahweh si rivolse chiamandola «Ruah»: soffio di vita.

    Uno e tre, ognuno diverso, ma uguali nella forza di amare, di essere amati e di essere l’amore. Yahweh, Yeshua e Ruah. Nessuna divisione, solo forza di vita che li univa e li alimentava, e tale forza faceva scaturire luce, tempo e materia.

    Il grande calore dell’iniziò si attenuò a mano a mano che la materia conquistava il suo spazio, ma la musica celestiale, che aveva dato il via a tutto, continuava a risuonare tra le particelle del cosmo, che si unirono a formare atomi più grandi, poi elementi che divennero basi su cui costruire ogni cosa creata e infine forme più mature che diedero inizio alla vita.

    Per ogni particella che si veniva a creare dalla luce, una sua immagine speculare diveniva oscura, cosicché tutto fosse in equilibrio perfetto: luce e tenebre, materia e antimateria. La mente di Yahweh creava nell’attimo stesso in cui immaginava e ogni cosa iniziava a esistere. Il disordine venne ordinato: il caos divenne cosmo. Yahweh vide che tutto ciò che aveva creato era molto bello e amò quella sua creazione più di ogni altra cosa.

    Tutto ciò che la sua mente immaginava sarebbe esistito, e quello che non gli era permesso pensare non avrebbe mai visto la luce. Decise che in ogni cosa da lui creata vigesse la stessa legge: ognuno avrebbe potuto realizzare tutto ciò che avesse immaginato.

    La sua prima creatura fu un essere spirituale, bellissimo, perfetto e immortale: Yahweh lo chiamò Ofiuco. Lo amava e cantava per lui in ogni momento, mentre tutto prendeva forma e continuava a crearsi e perfezionarsi.

    Accanto a lui diede forma ad altri quindici esseri spirituali e per ognuno di loro creò una costellazione nel firmamento, che ne ricordasse la bellezza in eterno. Tra tutte le cose immaginate, Yahweh amò Gea, la sua creatura più bella, in cui Ruah fuse materia e amore e Yahweh stesso non poteva non specchiarsi in essa.

    Yahweh diede un nome anche ai quindici esseri spirituali e alle costellazioni a loro legate, che ruotavano nello zodiaco, e li chiamò con nomi che evocavano i poteri a loro affidati: Ofiuco, Ariete, Gemelli, Andromeda, Toro, Orione, Bilancia, Cancro, Sagittario, Acquario, Pesci, Sirio, Vergine, Capricorno, Leone e Scorpione.

    Yahweh era innamorato degli esseri spirituali e sia lui che Yeshua erano una sola cosa con loro. Ma tutto l’amore che aveva dentro non poteva fermarsi, così Yahweh immaginò ancora: Ruah vibrò e la melodia che pervase tutto il cosmo riempì ogni cosa di energia e vita; poi Yahweh creò i viventi, esseri immortali che abitavano i pianeti del cosmo, al contrario degli esseri spirituali che vivevano nello stesso spazio abitato da Yahweh.

    Creò gli esseri angelici e infine creò gli esseri mortali, con lo scopo di far progredire la creazione con il loro aiuto, la loro intelligenza e il loro lavoro. Gli esseri mortali furono dotati di una mente sopraffina, capace di tirare fuori dal cosmo i segreti che il creatore aveva impresso nella materia; in loro brillava una scintilla divina, cosicché fossero immagine della mente suprema, pur essendo creature effimere. Yeshua si specchiò in loro e Ruah impresse in loro la capacità di conoscere l’amore con cui erano stati pensati e creati, pur rimanendo liberi di compiere scelte contrarie all’amore stesso. I mortali furono sparsi nei pianeti dell’intero cosmo, ma Yahweh amava particolarmente Gea, il suo pianeta più bello, e lo rese la chiave dell’universo, luogo scelto per manifestare la potenza dei tre che erano uno: Yahweh, Yeshua e Ruah.

    Il Sole che Yahweh aveva posto al centro dei pianeti avrebbe attraversato le costellazioni dello zodiaco e tutto ciò avrebbe influito sulla vita delle creature, donando loro capacità e caratteri differenti, cosicché la ricchezza della diversità potesse servire ad amare sempre più colui dal quale ogni cosa proveniva. Quattro forze primordiali, nate dalla melodia con cui Yahweh aveva creato tutto, equilibrarono l’universo e fecero sì che ogni cosa rispettasse le regole per garantirne la sussistenza e lo sviluppo: la forza di gravità, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e quella debole. Ognuna di esse fu incanalata in un essere angelico, che Yahweh aveva immaginato nella sua mente eccelsa.

    Gli esseri angelici si distinguevano dagli esseri spirituali per la luce divina che riflettevano. A questi esseri Yahweh diede nomi evocativi che li avrebbero resi cardini di tutto il cosmo: Mikha-El, colui che governa la forza nucleare forte, il cui nome vuole dire «chi è forte come Yahweh?»; Taki-El, colui che presiede quella debole, il cui nome vuol dire «Yahweh è giusto»; Gavri-El («forza che genera vita»), colui che domina la forza di gravità; infine, Rapha-El («guarigione»), colui che detiene il potere sulla forza elettromagnetica. Erano quattro esseri splendenti e bellissimi, circonfusi di un chiarore diverso da quello del sole delle stelle. Essendo pura luce munita di una coscienza, potevano trasformarsi e diventare qualunque elemento materiale uscito dalla mente di Yahweh.

    Accanto a loro, Yahweh creò altri sei esseri angelici che governassero gli elementi creati: Uri-El, custode della luce divina, il cui nome vuole dire «luce di Yahweh»; Barach-El, padrone della terra, il cui nome vuole dire «Yahweh benedice»; Ari-El, signore del fuoco, il cui nome vuole dire «pentimento»; Azrael («colui che Yahweh aiuta»), chiamato anche Malak-al-Mawt, dominatore dell’acqua; Metatron («Yahweh siede in trono»), al quale fu dato il potere sull’aria; e Sandalphon («tu sei mio fratello») che controllava ogni forma di vegetazione. Pure a loro fu comunicato il potere degli altri esseri angelici, essendo anch’essi luce dotata di coscienza.

    Infine, fu creato Razi-El, il custode dei segreti della triade divina. Essi furono raccolti in un libro chiuso con sette sigilli, uno per ciascun essere angelico custode di un elemento, più il sigillo di Razi-El come garanzia del fatto che nessuno avrebbe potuto aprire il libro senza il permesso diretto dall’angelo. Ancora una volta Yahweh pervase la creazione con il suo canto meraviglioso e creò tanti altri esseri di luce per riempire ogni cosa.

    Ofiuco si rese conto che tutto quello che prima era solo suo, adesso era di tutti e divenne invidioso. Questo sentimento lo separava sempre più da tutto il cosmo, perché lo illudeva che, più erano le creature da amare, più l’amore di Yahweh, diviso tra tutte, diminuisse. Ofiuco non capiva che l’Amore, l’Amato e l’Amante erano come tre cerchi senza inizio né fine e che ognuno di loro ardeva in eterno, come un fuoco divampante, di quell’amore da cui tutto era derivato e cui tutto tendeva.

    Iniziò a contrastare Yahweh e a causare danni, soprattutto gettando scompiglio nell’armonia del cosmo, cercando di far tacere per sempre la melodia divina che continuava a creare ogni cosa. Ofiuco si era ripromesso di diventare signore della creazione, così da togliere a Yahweh l’oggetto del suo compiacimento: la gelosia lo aveva così accecato da pensare di poter sconfiggere il suo stesso creatore. Con la seduzione e l’inganno propri del serpente, circuì il cuore di Andromeda, di Sirio e di Orione, i tre esseri spirituali suoi compagni, finché Yahweh, esasperato dalla loro presenza, non chiese a Ruah di confinarli su Plutone, il gigante invisibile, e Ruah li avvolse con la sua spirale di amore, così che non creassero scompiglio né facessero del male a nessuna creatura. Yahweh non poteva distruggerli, perché avrebbe contraddetto la sua essenza di creatore: ogni cosa plasmata poteva perfezionarsi, magari evolvere, ma mai venire distrutta da colui che l’aveva immaginata e creata.

    Le costellazioni che portavano i loro nomi furono spente e dimenticate; la decisione di punire le sue prime creature aveva rattristato così tanto Yahweh, che egli si rese conto del grande potere messo nelle loro mani, e così decise di far evolvere la sua creazione: imbrigliò l’energia della luce solare, posta al centro dello zodiaco, in dodici manufatti, che avrebbero permesso agli esseri spirituali di vivere, ma di essere controllati. Le dodici pietre dello zodiaco, se unite, avrebbero formato la Pietra Nera, cioè la porta di accesso al potere divino che Yahweh condivideva con gli esseri spirituali.

    Yahweh decise che ogni creatura avrebbe avuto accesso al mistero dell’amore che legava i Tre in uno, e che non sarebbe mai intervenuto per distruggere nulla di quanto creato, benché il pensiero di Ofiuco e degli altri tre esseri spirituali gli causasse dolore: l’amore non poteva sopportare l’invidia. Immaginò ancora e la creazione progredì verso un nuovo compimento: anche gli esseri mortali avrebbero condiviso il potere degli esseri spirituali e di quelli angelici, ma solo sperimentando la morte. In questo modo l’amore della creatura mortale avrebbe impregnato la materia, ed essa sarebbe giunta a una perfezione sempre maggiore, per poi disgregarsi e quindi, purificata, ricongiungersi al suo creatore. Così ogni essere mortale che passava per la morte diveniva luce e avrebbe brillato per sempre nel cosmo, insieme ai pianeti, le costellazioni e gli esseri immortali, contribuendo ad arricchirlo di stelle, cui sarebbe tornata la materia di cui erano fatti i loro corpi.

    Materia e antimateria furono riunite sotto il controllo degli esseri angelici per creare cinque luoghi su Gea, che avrebbero rappresentato le porte di accesso al potere divino di Yahweh: Tungurahua, il vulcano del fuoco sacro, la cui cura fu affidata all’angelo Ari-El; il monte Tabor, luogo di terra intrisa di sangue, custodito dall’angelo Barach-El; Varanasi, luogo sacro dell’acqua, sorvegliato dall’angelo Azrael; Shambhala, porta del cielo e dell’aria, il cui angelo Metatron aveva il compito di supervisionare che l’armonia del cosmo rimanesse intatta; e infine Stonehenge, cerchio di luce affidato alla custodia di Uri-El.

    Yahweh immaginò che l’energia di ognuno dei cinque elementi materiali, unita al potere dell’essere angelico custode del luogo, generasse un manufatto capace di aprire la porta di accesso al potere divino, che gli esseri mortali avrebbero usato per accedere alla conoscenza del cosmo. Poi creò una sesta porta, chiamata Eden, il giardino dell’amore divino, dove tutti gli elementi coesistevano in armonia perfetta, affidato alla custodia della creatura angelica Sandalphon. Qui nascose la Pietra Nera, che conteneva la presenza dei dodici esseri spirituali, custodita da due creature immortali primordiali che abitavano i pianeti del cosmo e che avrebbero conosciuto solo l’amore.

    Yahweh si ritirò dall’universo creato, avvolgendolo completamente, ma nascondendosi dalle creature, alle quali aveva dato un compito ben preciso da portare avanti affinché la creazione giungesse a compimento. Yahweh guardò la sua opera un’ultima volta. Il canto si affievolì e tutto tacque, ma Yahweh, guardando tutto il cosmo, non poté fare a meno di un ultimo atto di amore e insieme a Yeshua e Ruah, cantò una melodia così dolce, che dotò ogni creatura del frutto primo dell’amore: la libertà. Adesso ogni cosa sarebbe progredita verso il suo fine ultimo, per il quale e dal quale era stata creata: l’amore. Bene e Male si sarebbero affrontati per l’eternità, continuamente in conflitto nella libertà di tutte le creature, perché Yahweh, nella sua infinita bontà, aveva lasciato a ogni cosa creata la possibilità di scegliere da sola da che parte stare, aveva donato loro il bene più prezioso di tutti: il libero arbitrio.

    LA NEGROMANTE

    Monte Tabor, terra di Canaan

    1324 a.C.

    La vecchia Raguel teneva la bambina tra le braccia, avvolta alla meno peggio in una coperta lisa, di un color amaranto sbiadito, macchiata da grosse chiazze di sangue. Erano della madre della bambina, che la vecchia aveva ucciso per prendersi quella creatura.

    Per un attimo, tra un respiro affannoso e l’altro, la sua mente tornò al momento in cui aveva guardato la donna dritta negli occhi, mentre la colpiva una prima volta con un pugnale al ventre, poi un’altra e un’altra ancora, fino a che non era caduta esangue a terra con gli occhi spalancati dalla paura. Aveva cercato di proteggere la sua bambina fino all’ultimo istante, abbracciandola forte mentre crollava sul pavimento di terra battuta della capanna dove vivevano. Raguel scacciò l’immagine dalla mente. Gli occhi neri di quella giovanissima madre che la fissavano anche dopo morta le erano rimasti impressi.

    Saliva per un sentiero tortuoso che portava in cima al colle chiamato Tabor, che nella lingua del posto significava «monte della luce». Era il luogo dei sacrifici a Orione, principe della luce, appunto, che fin dall’inizio dei tempi venivano praticati in un tempio a cielo aperto a lui dedicato; lo stesso Orione aveva suggellato un patto di fedeltà con una piccola comunità di locali, consacrandoli sacerdoti di sangue.

    Il Tabor sorgeva in mezzo alla piana di Esdrelon, circondato da un’immensa distesa di terra incolta, intrisa del sangue di tanti uomini, che nei secoli precedenti avevano perso la vita su quel campo di battaglia. Era chiamata anche la «pianura delle guerre», perché tutte le battaglie per la conquista della Terra di Canaan erano state combattute proprio lì. Il sangue dei morti, impastato con la polvere del suolo, gridava al cielo e i sacerdoti rossi di Orione ne ascoltavano i lamenti e offrivano sacrifici di sangue per pacificare terra e cielo. Vivevano sul Tabor da generazioni e si passavano il sacerdozio di padre in figlio, assumendo il compito di mediatori tra la divinità e l’uomo. Il culto veniva praticato incidendosi la carne e offrendo il proprio sangue sull’altare, versandolo sul Go-El, una forma umana fatta di fango. La leggenda del loro culto diceva che, così, sangue e terra impastati insieme pacificavano l’umano col divino.

    La vecchia camminava a piedi nudi sulle pietre che costellavano il sentiero; la tunica grigia, strappata in diversi punti, logora e sporcata dal tempo, lasciava intendere una vita da nomade che passava di città in villaggio senza trovare mai dimora. Aveva il viso coperto di rughe, che non nascondevano il tempo già trascorso sulla Terra. Gli occhi piccoli e marroni erano incavati dentro le pieghe della pelle e i lunghi capelli bianchi erano raccolti in una crocchia dietro alla nuca.

    Non appena giunse sulla sommità del monte, la vecchia trovò ad attenderla quattro donne vestite con una tunica scarlatta che toccava il terreno, sormontata da un ampio mantello nero che girava due volte attorno alle spalle. L’aria del mattino era pungente e la nebbia copriva ancora buona parte della valle sottostante il colle. Anche attorno a loro era fitta e densa; non si udiva alcun rumore, tutto era immobile. I contorni delle cose erano sbiaditi.

    Improvvisamente la bambina scoppiò a piangere. La vecchia le tolse la coperta dal viso e la osservò per un istante con uno sguardo amorevole, ma che tornò subito duro e serio. Raguel non immaginava cosa sarebbe capitato alla creatura, però sapeva che non avrebbe visto il domani. Non avrebbe voluto strapparla alla madre, ma ormai era vecchia per continuare a girare di città in villaggio come aveva sempre fatto: le serviva un posto dove stare e un modo per guadagnarsi da vivere. Era la prima volta, però, che le veniva chiesto di rapire una bambina. Aveva poco meno di due giorni di vita e, mentre saliva l’ultima parte del sentiero che la portava alla cima del colle, le era tornato in mente il grido della donna cui l’aveva strappata e che era stata costretta a uccidere. Si disse che ucciderla era stato un atto di clemenza: nessuna madre sarebbe sopravvissuta al rapimento di una figlia che non avrebbe più rivisto.

    La neonata pianse più forte, forse per la fame che iniziava a farsi sentire, e le quattro donne fecero cenno alla vecchia di poggiarla sopra il grande altare, situato all’interno di un cerchio fatto da imponenti stele di pietra di misure diverse innalzate verso il cielo.

    «Falla tacere, vecchia!»

    «Chi siete voi?» chiese Raguel, agitata. Tentò di cullarla tenendola in braccio ancora un poco, ma la bambina non smetteva di piangere. Allora le tappò la bocca con una mano, quasi a volerla soffocare, poi la guardò fissa negli occhi e balbettando le sussurrò a un orecchio: «Devi tacere, piccola mia, hai capito?».

    La bambina sembrò capire la gravità delle parole della vecchia, perché improvvisamente tacque, chiudendo gli occhi.

    «Noi siamo le nuove sacerdotesse rosse» disse una delle quattro indicando un albero lì vicino.

    Raguel strinse gli occhi come per vedere meglio a distanza, poi si avvicinò barcollando e vide quattro corpi appesi con una corda al collo a un ramo dell’albero: i sacerdoti rossi che da generazioni offrivano il culto sul monte Tabor erano stati impiccati. Ma poi guardò meglio: non erano stati soltanto impiccati, avevano il torace sfondato e parte delle interiora penzolava ancora dai corpi morti. I cuori non erano più al loro posto.

    «Dove l’hai presa?» domandò una delle sacerdotesse alla vecchia.

    «A Nain, il villaggio qui vicino. La madre l’ha partorita due giorni fa.»

    «È nata nella notte della luna piena, quando Orione entrava nella costellazione di Tuamu, come dice la profezia: Quando Orione regna, luce e tenebre si avvolgono e davanti a lui cammina il fuoco che brucia tutto attorno i suoi nemici» disse una delle quattro.

    «La bambina mi appartiene!» esclamò una voce secca che proveniva da dietro alle donne rosse. Tutte si voltarono verso la figura che, con passo cadenzato, si avvicinava all’altare tra la nebbia sempre più fitta e le fecero un inchino con la testa; aveva un portamento elegante e un mantello rosso sangue le avvolgeva le spalle e la testa.

    Si avvicinò togliendosi il cappuccio; i lunghi capelli rossi le ricadevano sulle spalle. «Portami la bambina, vecchia!»

    Raguel poggiò la piccola creatura sull’altare di pietra fredda e la bambina ebbe un sussulto. Aprì gli occhi e si guardò attorno smarrita. Fissò per un istante la donna in piedi accanto a lei, accennò un sorrisetto che subito si tramutò in pianto non appena la donna le tolse la coperta lasciandola nuda sulla pietra sacrificale.

    «Piano, mia signora» sussurrò la vecchia quasi con timore che le sue parole offendessero la sacerdotessa. La donna la guardò con un’espressione cattiva e la vecchia distolse subito lo sguardo.

    «Sai chi sono?» le domandò.

    «No, mia signora.»

    «Mi sembra ovvio, altrimenti non ti saresti rivolta a me, vecchia!»

    Raguel abbassò gli occhi e rimase immobile.

    «Io sono Eva, colei che dominerà su tutti i popoli, poiché sono la madre di ogni vivente. Voglio creare un esercito e questa bambina sarà la mia negromante, capace di richiamare i morti dallo Sheol per farli combattere contro i vivi e sterminarli.»

    Come può creare una negromante, se è umana!, pensò la vecchia spalancando gli occhi.

    Le quattro donne iniziarono a recitare una cantilena in una strana lingua antica: la nebbia attorno a loro sembrò diradarsi e un raggio di sole colpì l’altare, facendo brillare la pietra.

    «Scendi, Orione! Ti dono questa creatura: possa diventare canale di comunicazione tra luce e tenebre, tra morte e vita, tra gioia e sofferenza. In lei gli opposti si uniscano, la sua vita sia marchiata da te, Orione, divinità della luce, che su questo monte sacro hai posto la tua dimora!»

    A un tratto la terra tremò e la vecchia cadde a terra. Eva si aggrappò all’altare di pietra, mentre le quattro sanguinarie gridarono. Dalla terra davanti a loro emerse un essere di luce, bellissimo e terribile, che spiegò le ali dorate e allargò le braccia come a voler contenere la forza prorompente della sua energia. La terra continuò a tremare; Eva lo guardò con aria di sfida e digrignò i denti con un rantolo animalesco. Estrasse la pietra dello zodiaco da sotto la veste e scagliò il suo potere sulla figura angelica davanti a lei: un potente raggio luminoso colpì l’essere di luce al petto e lo attraversò senza colpo ferire.

    «Io sono Barach-El, angelo protettore della terra e del sangue! Non hai potere su di me e su questo luogo che io proteggo! Vattene, Ofiuco!»

    «Nessuno mi ha più chiamato con quel nome da quando ho deciso di chiamarmi Satana! Togliti di mezzo. La bambina è mia! Ti ucciderò!» ribatté Eva gridando forte; scagliò di nuovo il potere della pietra contro l’angelo che, muovendo la mano, la bloccò, rispedendola al mittente. Eva fu travolta dal fascio di energia e cadde all’indietro. Si rialzò subito con un balzo felino, pronta all’attacco.

    «Tabor è una delle porte di accesso alla potenza di Yahweh e non ti permetterò di chiuderla come ha fatto con Eden.»

    Mentre Barach-El stava ancora parlando, nel cielo apparve Orione e l’essere spirituale si materializzò davanti a lui , frapponendosi tra l’angelo ed Eva.

    «Che ci fai tu qui, Orione? Vattene!»

    «Sono venuto a difendere Ofiuco, con cui abbiamo stabilito un patto di fratellanza!»

    «Allora, d’ora in avanti, anche tu sarai mio nemico!» Barach-El estrasse da sotto la veste di luce una rosa d’oro dall’aspetto meraviglioso, che brillava rischiarando quello spazio tetro; la scagliò violentemente contro l’essere spirituale. «Che la benedizione di Yahweh ti riporti alla luce!»

    Eva scagliò la potenza di Tuamu ancora una volta. Il potente fascio di luce attraversò Orione caricandosi ancora di più di energia e investì la rosa d’oro, distruggendola; Barach-El venne avvolto da quella potenza e rimase come imbrigliato in una rete quantica che lo avvolse completamente. Orione si avvicinò alla creatura angelica e gli strappò da sotto la veste un’altra rosa d’oro, che conficcò con potenza nella terra ai suoi piedi. Fu come una bomba: la terra si spaccò e dal suo interno venne fuori una luce folgorante, che si innalzò verso il cielo. Tutto tremò e dalle viscere del monte Tabor emerse uno scrigno di metallo cesellato con sopra impresso il simbolo di una rosa.

    «No!» gridò Barach-El.

    Eva corse verso Orione e afferrò l’oggetto tra le mani e i suoi occhi si riempirono di gioia. «Orione, questo è ciò che penso che sia?»

    «Sì, Eva. È l’Orydyn, il manufatto intriso del potere della terra e della luce, che apre l’accesso della porta di Tabor al potere divino.»

    Eva lo aprì e al suo interno vide un piccolo libro nero con accanto uno stilo di legno per scrivere. Corse verso l’altare e tirò fuori un vasetto di alabastro da sotto il mantello, lo poggiò sull’ara e ne trasse fuori una foglia di un intenso rosso brillante, che sembrava luccicare sotto i raggi del sole. La poggiò sulla pietra e con un sasso appuntito la sminuzzò riducendola in poltiglia, poi prese lo stilo di legno dall’Orydyn e con un gesto secco praticò una ferita sul braccio della bambina, ancora distesa sull’altare. Eva prese il sangue e lo mescolò con la poltiglia ricavata dalla foglia dell’Albero della Vita. Raccolse il libro nero dall’Orydyn e lo aprì, intingendo lo stilo nella mistura di sangue e foglia; poi prese a scrivere sulla pagina del libretto una parola in una lingua sconosciuta e gridò: «Morte!».

    Guardò la bambina dritta negli occhi e le fece gocciolare in bocca parte della mistura sanguinolenta; la neonata prese a divincolarsi, quasi soffocando. Eva le teneva il petto premuto con la mano sull’altare. «Stai ferma, piccola strega! L’inchiostro realizzato con la foglia dell’Albero della Vita e il tuo sangue ti farà diventare un ponte tra il regno dei morti e quello dei vivi. Questo è il Libro delle Anime, conosciuto anche come Libro della Vita e della Morte, potente manufatto che nasce dalla terra intrisa di sangue del monte Tabor!»

    La luce che investiva l’altare di pietra si fece più intensa e rischiarò la brulla e tetra natura circostante. Con la mano libera, la donna estrasse da sotto la tunica una pietra esagonale di colore nero, con sopra impresso il simbolo astrale di Tuamu, e la poggiò sulla fronte della bambina, che iniziò a urlare e dimenarsi come in preda a una crisi epilettica.

    «Tuamu, essere spirituale dalla doppia faccia, che guardi al passato e al futuro, che in te attrai gli opposti rendendoli uno: fa’ di questa creatura la tua profetessa, capace di far comunicare i mondi come serve a noi, e rendila in grado di guidare l’esercito di coloro che vagano senza meta nell’oltre della morte!»

    Il simbolo sulla pietra divenne di fuoco e si impresse sulla fronte della bambina, marchiandola: due colonne identiche, l’una di fronte all’altra.

    La vecchia si coprì gli occhi con le mani e si rannicchiò vicino al tronco di un albero tremando tutta. «Cosa ho fatto a quella povera bambina!»

    Le quattro sacerdotesse gridarono ancora più forte verso il cielo, osannando il nome di Orione, e si tagliarono i polsi e le guance con una lametta. Il sangue iniziò a defluire copioso dalle incisioni.

    La donna le fece avvicinare all’altare e le gocce del loro sangue bagnarono il corpo della bambina e l’ara sacrificale. Poi poggiò le labbra su quelle della neonata, rendendola immortale. «Il tuo destino non sarà quello di una sanguinaria, ma il potere della foglia dell’Albero della Vita te ne darà uno nuovo: dal sangue trarrai la tua forza e aprirai le porte all’esercito della morte!»

    Di colpo la bambina smise di piangere. Il simbolo di Tuamu sulla fronte emise una gran luce e tutto il suo corpo divenne sfolgorante, per poi tornare al consueto colore. Il chiarore del cielo scomparve, la natura tornò brulla e immersa nella nebbia.

    La vecchia aprì gli occhi piangendo e corse verso l’altare: la neonata era lì, distesa in una pozza di sangue, muoveva i piedini e le manine scuotendoli verso il cielo, sembrava felice. Sulla fronte il simbolo cosmico di Tuamu brillò un’ultima volta, per poi scomparire.

    Le quattro donne caddero in ginocchio a terra, sfinite. Si fasciarono a vicenda le ferite sui polsi e si spalmarono un unguento sulle guance tagliate, fino a che l’emorragia non si fermò.

    «Che ne sarà di lei, mia signora?» chiese la vecchia Raguel ancora singhiozzando.

    «Sarà la mia schiava. Mi apparterrà per l’eternità.»

    Barach-El riuscì a liberarsi dalla rete quantica e a una velocità inaudita scagliò due rose d’oro contro Orione, che venne avvolto da una potente esplosione di luce. L’angelo volò verso l’altare, lanciando un’altra rosa d’oro contro Eva, che venne scaraventata all’indietro, cadendo a terra sulla schiena.

    Barach-El porse la bambina a Raguel. «Fuggi, vecchia, portala lontano e salvala! Nessuno avrà più vostre notizie. Accudiscila come una figlia, per riscattare la tua vita dal crimine che hai commesso!» Afferrò anche il Libro delle Anime, lo stilo e il vasetto di alabastro con dentro le foglie dell’Albero della Vita e chiuse tutto dentro l’Orydyn, che consegnò alla vecchia.

    Lei prese lo scrigno e coprì la bambina con il suo mantello: tremava per il freddo ed era ancora coperta del sangue delle sacerdotesse. Poi iniziò a correre verso il sentiero che scendeva dal monte.

    «Prendetela!» gridò Eva alle quattro sanguinarie ancora a terra.

    Barach-El dischiuse le ali e una potente onda di energia si riversò sulle quattro donne, che vennero scaraventate a terra. Con un rapidissimo movimento della mano scagliò quattro rose d’oro sulle sacerdotesse, che presero fuoco e bruciarono davanti agli occhi di Eva.

    «La benedizione di Yahweh possa distruggere il potere di Satana e riportare luce nell’oscurità!»

    Non appena Barach-El pronunciò quelle parole, la nebbia si diradò e la luce del sole rischiarò tutto il monte Tabor. Anche la natura circostante rifiorì: ogni fiore sbocciò e ogni albero germogliò.

    Orione provò a contrastare la luce dell’angelo, ma Barach-El evocò dalla terra un potere nascosto e, mentre il suolo si spaccava, fuoriuscì una luce potente che investì tutto.

    «Scappa, Satana, non puoi contrastare il potere delle creature angeliche rimanendo in un corpo umano! Fuggi!» Barach-El estrasse un’altra rosa d’oro da sotto la tunica e la scagliò sull’ara, che esplose bruciando in una fiamma d’oro.

    Per un momento Eva rimase di sasso, poi si riebbe, si voltò e corse veloce come un fulmine verso gli alberi, sparendo alla vista. Aveva perso tutto: l’Orydyn, il vasetto con le foglie dell’Albero della Vita e la sua unica negromante, perché senza quelle foglie non avrebbe potuto crearne altre.

    Orione si trovò faccia a faccia con Barach-El e strinse i pugni. Divenendo una fiamma ardente e muovendo le braccia verso il nemico, gli scagliò contro una sfera infuocata, che l’angelo respinse con uno scudo di luce che pose innanzi a sé.

    «Perché hai abbracciato l’oscurità, Orione? Eri stato creato come essere spirituale di luce, come una delle stelle più brillanti del firmamento, colui che avrebbe guidato l’uomo alla conoscenza delle realtà celesti attraverso gli astri!»

    «Perché tutto ciò che prima era di pochi, poi è divenuto di tutti!»

    «Hai mai pensato che l’amore non si divide né diminuisce?»

    Orione rimase impassibile. Fissò l’angelo con odio. Senza dire una parola, spiccò il volo con un balzo e scomparve nel cielo.

    RESURREXIT

    Gerusalemme,

    33 d.C. circa.

    Il primo giorno della settimana, al mattino presto mentre era ancora buio, Maddalena correva verso la tomba.

    Non appena arrivò nel giardino, vide che la pietra era stata tolta dall’ingresso, ma non come per aprire la tomba. Era stata addirittura divelta dal suo posto. Fu presa dal panico.

    Tornò di corsa verso la grotta del Gethsemani, dove tutti erano nascosti, e trovò Simone e gli altri. «Lo hanno rubato! Non c’è più! La pietra è stata scaraventata fuori del canaletto!»

    Corsero tutti verso il sepolcro.

    Simone entrò nella tomba. Le bende che avvolgevano il corpo di Yeshua erano afflosciate; il sudario, che gli era stato posto sul capo, era ancora arrotolato nella posizione originale. Si guardarono tra di loro cercando una risposta, però non compresero. Giacomo, che aveva sostituito Giuda, arrivò per ultimo e disse di tornarsene verso casa; avrebbero capito a tempo debito. Ma nessuno prestò attenzione a quelle parole, quasi che lui ne sapesse più degli altri.

    Maddalena rimase sola a piangere vicino alla tomba. A un tratto, chinandosi verso il sepolcro, vide due creature angeliche di pura luce.

    Erano sedute sulla pietra accanto alle bende ammucchiate, dove prima c’era il corpo di Yeshua, uno dalla parte della testa e uno dalla parte dei piedi. «Donna, perché piangi?»

    Maddalena si meravigliò che la chiamassero così. Yeshua aveva spiegato più volte a tutte loro l’importanza di quella parola. «Lo avete portato via?» domandò a sua volta singhiozzando. «Ditemi dove e andrò a prenderlo!»

    Mentre parlava, sentì un rumore dietro di lei. Si voltò di scatto. Vide una figura in piedi sulla porta del sepolcro, ma la luce proveniente da dietro non le fece capire chi fosse.

    Una voce carica di amore le domandò: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».

    Quella voce… quella parola risuonava nelle orecchie di Maddalena e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Sei il custode di questo luogo? Se sai dov’è, dimmelo! Che fine ha fatto il corpo?»

    «Maddalena…»

    A quella voce i suoi occhi si spalancarono e per la prima volta vide davvero. «Maestro! Sei proprio tu?»

    Gli corse incontro per abbracciarlo, ma Yeshua la fermò.

    «Lasciami andare, l’Amato e l’Amante devono riunirsi all’Amore. Torna dagli altri, mi vedrete tutti insieme!»

    «Dove?»

    «Ogni volta che sarete riuniti nel mio nome, io sarò con voi!»

    Maddalena corse dagli altri e raccontò di averlo visto ma, mentre ancora parlava, arrivò Yeshua, si fermò in piedi in mezzo a loro e li salutò: «Shalom a voi tutti!». Poi mostrò le mani e il fianco, ed essi si guardarono rallegrandosi. «Siate colmi di Ruah!» disse Yeshua, e soffiò su di loro. Li guardò a uno a uno, amandoli tutti, mentre un vento dolce e leggero li avvolgeva; poi il suo sguardo si posò su Tommaso e disse: «Tu dubiti di me, amico. Metti il dito qui e guarda le mani; accosta la mano e tocca il mio fianco. Credimi».

    «Mio Signore e mio Dio!»

    «Il mio tempo con voi, nella carne, è finito, ma vi ho preparati a tutto questo. Siate forti. Ne verranno tanti nel mio nome, però non credete loro. Quando il tempo sarà maturo, saprete cosa fare. Esco dal mondo e non potrò più interferire sulla libertà di ognuno di voi, però avete la forza di scegliere da soli il bene. Siate forti, ve lo ripeto! Verrà lo scontro finale e le regole sono state già scritte. Nessuno può trasgredirle, sono impresse nella creazione. Tuttavia, la guerra non si può impedire, è il prezzo della vera libertà: essa non esiste, senza battaglia. Ma potrete evitarla, se portate la creazione al suo fine ultimo, al suo compimento. Io sarò con voi tutti i giorni, fino ad allora.»

    TUNGURAHUA

    Territorio quechua, dall’altra parte del mondo conosciuto

    1000 a.C.

    La colonna umana procedeva lentamente sul costone della montagna che sovrastava la foresta. Una stradina si snodava tra la parete rocciosa a sinistra e lo strapiombo a destra. Erano in marcia da più di venti giorni, partiti da chissà dove.

    In testa alla colonna una donna dai lunghi capelli neri, con un grosso bastone nella mano destra, camminava senza paura, guardando dritta davanti a sé. Indossava una tunica dorata che le arrivava ai piedi: sembrava tessuta di un materiale etereo, splendente e cangiante, tanto che alla luce del sole brillava di riflessi a volte violacei, a volte smeraldini. Sopra, portava una pelle di animale drappeggiata sulle spalle. I capelli si agitavano liberi mossi dal vento, tenuti fermi solo da un diadema dorato, con al centro incastonata una pietra verde.

    Dietro di lei due uomini con un arco in mano e una grossa faretra sulle spalle la seguivano a debita distanza; avevano una specie di pettorale di cuoio incrociato sul davanti, che fungeva da armatura, e indossavano un perizoma fatto di foglie intrecciate.

    La colonna proseguiva con un gruppo di tre persone vestite in maniera semplice, senza gioielli né armi. Indossavano solo una tunica di pelle animale lunga fino alle ginocchia, legata in vita da una cintura di cuoio intrecciato. Portavano delle grosse ceste poggiate sulla testa contenenti rifornimenti alimentari e qualche altro ammennicolo utile per un viaggio così lungo.

    Un uomo e una donna chiudevano la colonna con la loro andatura insicura data dal percorso impervio. La donna si fermò esausta; respirava affannosamente.

    L’uomo la guardò e la prese per mano. «Non mollare proprio adesso! La parte più dura del viaggio è stata intrapresa. Manca poco alla meta.»

    «Sono più di venti giorni che camminiamo attraverso la foresta, sei davvero sicuro che lei conosca la strada, Adam?»

    «Sì, Eva, sono sicuro. Ora che abbiamo stabilito una tregua tra noi, non ricominciare; non voglio litigare.»

    «Hai promesso che alla fine di questo viaggio mi avresti detto dove nascondi le pietre dello zodiaco» disse con voce secca Eva.

    «E sai benissimo che mantengo sempre le promesse. Dopotutto, mi conosci come me stesso» ribatté accennando un sorriso compiaciuto.

    «Proprio per questo non mi fido.»

    «Tradirei mai me stesso? Pensaci bene, Eva.»

    La donna rimase in silenzio. Continuarono a camminare fino a raggiungere un piccolo slargo, da cui si intravedeva l’orizzonte sopra la foresta sconfinata e bellissima, maestosa e pericolosa.

    Eva fece un sospiro profondo e si sedette sul bordo del precipizio; Adam si avvicinò alla donna che li guidava. Era di una bellezza straordinaria: austera e sensuale, con due occhi profondi, neri e lucenti come i capelli. Lo fissò negli occhi e per un istante Adam si sentì vulnerabile.

    «Nessun uomo ha mai avuto su di me un potere come quello che esercita la tua aura!»

    «Io non sono un uomo, ricordalo» replicò Kimalmat continuando a fissarlo. «E nemmeno un essere umano!»

    Adam cercò di rimanere impassibile, ma quelle parole lo avevano turbato.

    «Ero come te, Kukulkàn! Eppure mi hai dimenticato.»

    «Quando hai capito chi sono in realtà?»

    Kimalmat rimase imperturbabile, senza muovere nemmeno un muscolo del viso; fece due passi verso di lui e gli carezzò i capelli. «Da sempre. Ti ho visto nel fuoco sacro. Tu sei Kukulkàn, il serpente piumato. Il tuo culto è forte presso i nostri sacerdoti consacrati a te. Un tempo ti chiamavi Ofiuco.»

    Adam guardò la donna con occhi severi. «Quindi sai chi sono. Se vuoi vivere, ti consiglio di non usare più quel nome. L’ho rinnegato.»

    «Sei colui che si oppone a Itzamnà, il sole, la luce che ha creato il mondo. Vuoi che le tenebre coprano la terra e il potere di Itzamnà.»

    «E tu cosa vuoi?»

    «Essere la tua unica sacerdotessa in Terra! Non potrei vincere da sola, tu hai il potere della Pietra Nera.»

    «Perché vuoi servirmi?»

    «Perché bramo il potere sopra ogni cosa.»

    «Allora sai perché ho voluto che mi portassi qui.»

    «Sì, lo so. Sono la sacerdotessa del fuoco sacro, il fuoco di ogni luogo della terra mi appartiene! Io sono Kimalmat!» disse alzando le braccia al cielo. «Ho imprigionato Ari-El nel suo stesso fuoco sacro, diventandone la padrona.»

    «Sei sicura che puoi darmi ciò che cerco?»

    «Adesso il potere di Ari-El scorre in me. Sono sicura.»

    Le due guardie e i servi si voltarono a guardarla e si inginocchiarono al suo cospetto.

    Eva si avvicinò di corsa verso i due e prese Adam per un braccio. «Cosa vi siete detti?»

    Adam sorrise. «Nulla che debba interessarti, le ho solo rammentato chi siamo e a cosa andrà incontro, se non ci mostra dove trovare ciò che cerchiamo.»

    Eva sembrò tranquillizzarsi.

    Kimalmat la fissò con sguardo neutro: era impossibile capire cosa stesse pensando. Poi si mosse verso di lei. La sua tunica dorata fluttuava attorno al corpo, muovendosi delicatamente a destra e a sinistra. Eva sembrò impaurita nel vederla arrivare. Kimalmat le si avvicinò al volto e le sussurrò in un orecchio: «Kukulkàn, il serpente piumato, fu cacciato dal cielo per aver messo incinta la sorella. Il figlio nato dalla loro unione aveva il potere di distruggere ogni cosa creata».

    «Io non sono sua sorella!» rispose decisa.

    «Infatti sei molto di più, sei parte di lui!»

    Eva sgranò gli occhi. Come poteva quella donna sapere la verità che avevano tenuto nascosto a tutti? Eva strinse tra le mani Tuamu, la pietra che rende due e che aveva causato lo sdoppiamento di Satana. La teneva al sicuro sotto il vestito; era l’unica arma che aveva contro Adam, di cui continuava a non fidarsi.

    «Sacerdotessa Kimalmat, dobbiamo proseguire prima che faccia buio. Per arrivare oltre il monte servirà ancora tempo» disse una delle due guardie con l’arco in mano.

    «Proseguiamo!» ordinò lei con voce autoritaria.

    La colonna si rimise in marcia. Il sole aveva iniziato il suo declino verso il tramonto.

    «Quanto dista il

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