Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La pietra nera: Ai confini della creazione
La pietra nera: Ai confini della creazione
La pietra nera: Ai confini della creazione
E-book311 pagine4 ore

La pietra nera: Ai confini della creazione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nella città di Fabriano avvengono misteriosi omicidi a opera di sanguinarie che strappano il cuore degli uomini per cibarsene. La causa di tutto è la famosa Pietra Nera, strumento magico che contiene in sé il potere divino. Da un lato i guerrieri della luce capitanati da don Samuele, e dall'altro Ester alla guida delle crudeli sanguinarie, si sfideranno per entrare in possesso della Pietra Nera. In uno scenario apocalittico, i due avversari arriveranno a scoprire un segreto sconvolgente che li riporterà alle origini rivelandogli che hanno in comune molto più di quanto si sarebbero mai aspettati.
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2020
ISBN9788863939897
La pietra nera: Ai confini della creazione

Leggi altro di Umberto Rotili

Autori correlati

Correlato a La pietra nera

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La pietra nera

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La pietra nera - Umberto Rotili

    Uno

    Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…

    Manzoni non aveva mai riscosso successo in quella classe e tanto meno adesso, in vista dell’imminente verifica sui Promessi Sposi.

    Miriam frequentava il quarto anno del liceo linguistico della piccola città di Fabriano e si chiedeva continuamente perché avesse deciso di iscriversi alla scuola superiore. Avrebbe potuto frequentare qualsiasi università, iniziare qualsiasi lavoro con tutto il bagaglio di esperienza accumulato nei secoli, invece la testa le aveva detto di frequentare quella scuola – anzi, più che la testa era stato il cuore a suggerirglielo, dal momento che anche Christian Signorelli frequentava ormai da quattro anni quello stesso liceo. 

    Christian era un tipo molto affascinante, non di quelli che ti gireresti a guardare mentre ti passa davanti, ma di quelli con un non so che che faceva impazzire le ragazze. Amava le arti marziali ed era entrato a far parte della squadra locale di judo. Miriam lo fissava con occhi sognanti sperando che prima o poi si accorgesse di lei, ma invece niente! Christian aveva occhi solo per Chiara Spilli, una ragazza di un anno più giovane che frequentava la stessa scuola. Chiara aveva la testa tra le nuvole: questo contribuiva ad attirarle le prese in giro di tutti i compagni di classe ma a lei, dopotutto, sembrava non dispiacere: era una di quelle persone che aborrono l’idea di essere ignorate e messe da parte ed era evidente che quella situazione le dava una certa sicurezza. Girava sempre con le sue inseparabili amiche del cuore: l’atletica Elisabetta –per gli amici Betta – dai lunghi capelli mossi e castani e Beatrice, con un carattere pungente e arrogante, sempre pronta a puntare il dito sugli errori degli altri e mai parca di commenti su ogni singolo avvenimento. Era ossessionata dalla moda e non smetteva mai di dare consigli alle amiche, probabilmente sperando che prima o poi anche loro avrebbero cominciato ad apprezzare quel mondo di apparenze che rendeva la sua vita tanto affascinante. Con Chiara – era evidente – la sua strategia non aveva attecchito, dal momento che la ragazza si presentava sempre a scuola con non meno di sette colori addosso, almeno tre dei quali mai abbinati tra loro. Ogni mattina Beatrice la incrociava nel corridoio della scuola, storceva il naso e, come per schernirla, Chiara la stuzzicava, chiedendole se le piacessero i vestiti che indossava.

    La campanella era suonata. Miriam tirò un profondo sospiro e sbuffò appannando il vetro della finestra contro cui era appoggiata, persa nei suoi pensieri, a contemplare il sole di giugno che filtrava tra le fronde dell’albero lì davanti. Controvoglia, rientrò in classe. 

    Poco secondi dopo, la professoressa Corvo fece il suo ingresso, solare come al solito, e dopo aver salutato tutti i suoi «passerotti» come amava chiamarli, prese posto in cattedra e aprì il registro.

    «Ragazzi, lo so che è l’ultima ora, ma non sono io che faccio gli orari. E poi sapete quanto tenga a fare lezione con voi, non ci rinuncerei per nulla al mondo!»

    La professoressa Corvo era l’insegnante di religione e aveva dei modi molto affabili – anche se qualcuno a volte sosteneva che stesse prendendo in giro tutti con quella sua aria da brava professoressa amica degli studenti. In realtà, amava ricoprirsi di questo ruolo perché sapeva che le avrebbe aperto le porte del cuore dei suoi alunni, permettendole di fare ciò che più di ogni altra cosa le piaceva: insegnare. Era una professoressa fuori dalle righe e spesso il preside la minacciava di fare rapporto al vescovo a causa del suo metodo di insegnamento così al margine della fede cattolica, ma lei riusciva puntualmente a comprarlo con un grosso sorriso e due moine ben studiate.

    Miriam amava molto la professoressa Corvo anche se ciò che questa insegnava era, dal suo punto di vista, molto discutibile: Miriam conosceva la verità, una verità che lei stessa aveva contribuito a costruire insieme a Ruahsha e agli altri, ma non poteva dirlo né alla professoressa né a nessun altro, nonostante fosse stata tentata più volte di farlo. Ruahsha le ripeteva sempre che la verità non era per tutti e la stragrande maggioranza delle persone non avrebbe sopportato che tutto ciò che la Chiesa Cattolica aveva tramandato fino a quel momento su Dio, su Gesù Cristo e sull’inizio dell’Universo venisse messa in discussione. Perciò, ogni volta che le saltava alla mente di coinvolgere la professoressa Corvo in questa storia, ripeteva tra sé e sé le parole di Ruahsha e lasciava cadere l’idea. 

    Ma quella mattina si sentiva ispirata, e decise di provare a buttare un sasso nello stagno per vedere la reazione della professoressa.

    «Prof, sono convinta che se guardassimo alla storia della Genesi così come sta scritta nella Bibbia – anche se lei più volte ha detto che si tratta di un genere letterario – emerge chiaramente che fu Eva, a rovinare tutto!»

    «Prego?» sibilò la professoressa Corvo, che odiava essere interrotta in maniera così brusca.

    Miriam si guardò intorno diventando tutta rossa. L’intera classe la stava guardando: alcuni ridevano dietro le spalle dei compagni di banco, mentre Christian la fissava con aria interrogativa.

    «Mi scusi professoressa, non volevo…»

    «In realtà sono convinta di sì. Racconta alla classe cosa intendevi dire con la tua affermazione, Miriam.»

    La ragazza non sapeva cosa rispondere. Deglutì a fatica e sorrise.

    «Intendevo dire… che fu Eva la causa del peccato…» balbettò a mezza bocca.

    La professoressa Corvo chiuse il libro che teneva fra le mani: «Ti pregherei di prestare più attenzione, per favore». Sottolineò quell’ultima richiesta così tanto che più che una richiesta sembrava un ordine non sindacabile. Miriam annuì e si ricompose nel banco.

    Christian sorrise, le tirò i capelli − era seduto proprio dietro di lei − e con un filo di voce le sussurrò: «Che ti prende, scema? A chi pensi?».

    A Miriam non sembrava vero che le avesse fatto quella domanda; aveva sempre aspettato che le alzasse la palla giusta per potergliela schiacciare in faccia, così esordì dicendo a bassa voce: «Penso a te! Sono cinque anni che non faccio altro. Ma tu sei cieco e ancora non te ne sei accorto! Tutti mi prendono in giro, ma io ti amo!».

    Christian si ritrasse velocemente nel banco e avvampò, tanto che la professoressa si interruppe nuovamente.

    «Che succede adesso?»

    La campanella suonò all’improvviso; tutti gli studenti salutarono la professoressa, si misero lo zaino in spalla e uscirono dalla classe. Anche Christian uscì di corsa, senza salutare né Miriam né la professoressa, tanto che quest’ultima rimase a guardarlo finché non sparì dietro l’angolo della porta. Poi si girò verso la ragazza che era rimasta seduta al suo posto.

    «Mi dici oggi cosa ti è preso? Sei strana…»

    «Ho appena detto a Christian che mi piace da un sacco di tempo.»

    La professoressa Corvo rimase tra l’imbarazzato e il sorpreso e poi, con uno dei suoi classici sorrisoni, si tolse da quell’attimo d’impaccio e sdrammatizzò: «Che bello sarebbe poter tornare a vivere quest’età… Nel mondo adulto è tutto così complicato!».

    «Non creda, prof. Io non appartengo più al mondo dell’adolescenza da tanto, tanto tempo: mi fingo sempre una di loro perché crescere mi fa paura, ma a volte credo proprio di aver sbagliato tutto!»

    La professoressa rimase interdetta; non capiva il senso di quelle parole. Diede la colpa all’ora tarda, alla fame che incombeva e alla dichiarazione d’amore: «Dai, andiamo, vedrai che ti sta aspettando fuori dalla scuola!».

    Miriam raccolse le sue cose e uscì dalla classe. La professoressa la salutò e sparì nella sala insegnanti, lei scese lo scalone che portava all’ingresso e uscì dalla scuola. Quasi non credeva ai suoi occhi quando vide proprio lui, Christian, che la guardava immobile, appoggiato al cancello di ingresso. Gli occhi le si illuminarono e velocemente lo raggiunse. 

    «Scusa, non volevo…»

    «Però lo hai fatto.»

    Miriam rimase gelata. Abbassò lo sguardo e aspettò che fosse lui a parlare nuovamente.

    «Vedi, non è che non voglia stare con te, ma proprio stamattina io, io… Insomma, ho chiesto a Chiara di mettersi con me e lei mi ha risposto di sì!»

    Per Miriam fu come sprofondare in una fossa, non sapeva cosa dire. Lo guardò per un momento negli occhi e poi scappò via, urlando: «Siate felici!».

    Christian rimase impalato accanto al cancello della scuola, con le mani aperte davanti a sé.

    Il sole alto nel cielo si rifletteva sulle lacrime che scendevano copiose sulle guance di Miriam mentre lei correva via, lontano dalla scuola.

    Che palle – pensò. Possibile che vada sempre a finire così? Dall’inizio della mia vita a oggi sono più le volte che ho ricevuto bidoni, che quelle in cui ho potuto vivere una storia d’amore seria. Il brutto è che me li scelgo sempre così piccoli…

    Piangendo e correndo, Miriam giunse a casa di Giacomo, un suo amico che in realtà condivideva con lei lo stesso segreto ormai da duemila anni. L’età di entrambi non era mai mutata almeno all’apparenza, perché così aveva voluto Yeshua a suo tempo, ma questo non le dispiaceva particolarmente; ciò che la infastidiva era il fatto che agli occhi degli altri fosse una ragazzina, quando in realtà era una donna e il suo cuore, il suo corpo e persino la sua mente ragionavano da donna. 

    Suonò il campanello e chiese a Giacomo di scendere; lui la vide sconvolta e in lacrime e, senza aggiungere alcuna parola, la strinse fra le sue braccia e la fece sedere sul muretto di fianco al portone dell’abitazione. La ragazza percepì come un forte calore avvolgerla, e una sensazione di amore e protezione la pervase nel profondo.

    «Come sei caldo…»

    «Siamo figli della luce, mia cara: non dimenticarlo! Piuttosto… Ancora questioni amorose?»

    Miriam fece di sì con il capo e Giacomo sorrise.

    «Quando imparerai a non lasciarti coinvolgere così tanto? L’eternità è lunga e noi non possiamo lasciarci irretire da storie d’amore con gli uomini!»

    Giacomo aveva due grosse spalle che davano sicurezza, un viso angelico e uno sguardo profondo e intenso.

    Miriam raccontò all’amico ciò che era successo a scuola e lui la consolò, usando le parole giuste come soltanto Giacomo sapeva fare.

    Il pomeriggio di quel torrido giugno faceva presagire un’estate bollente, che sicuramente stimolava tanti pensieri tranne quello di mettersi a studiare in vista della fine del quadrimestre. Christian passeggiava mano nella mano con Chiara lungo il marciapiede che conduceva in centro.

    Fabriano era una cittadina molto caratteristica, ben tenuta, con una grande piazza centrale circondata da edifici medievali che si stagliavano alti e imponenti attorno alla grande fontana a tre piani, simbolo della città. La caratteristica più interessante di Fabriano era la sua storia: il suo nucleo originario era già presente in epoca romana e nel corso del tempo era stata obbligatorio crocevia di passaggio sulla via che collegava Roma alla costa orientale dell’Italia. Nel Medioevo, poi, la paura di guerre e saccheggi aveva spinto la popolazione a costruire un intricato labirinto di cunicoli sotterranei soprattutto all’interno delle vecchie mura cittadine, di cui erano rimaste tracce qua e là. Nessuno sapeva quale fosse la vera funzione dei cunicoli, anche se le malelingue di ogni epoca sostenevano si trattasse di corridoi scavati dai monaci per incontrare di nascosto le monache di altri monasteri.

    Chiara camminava con l’aria un po’ svampita, e di tanto in tanto rischiava di cadere inciampando da qualche parte. Christian la sosteneva amorevolmente e sorrideva ogni volta che lei perdeva l’equilibrio. Lei gli raccontò di quella volta in cui rischiò di rompersi un braccio cadendo dalla sedia mentre cercava di appendere una gigantografia di Beatrice, vestita di tutto punto e con il dito puntato, che l’amica l’aveva obbligata a mettere davanti al letto, in modo che ogni mattina pensasse al suo indice prima di uscire di casa: se non ci fossero state Betta e Beatrice forse sarebbe morta!

    Pensando alle sue amiche provò un moto di tenerezza; in fin dei conti, il suo affetto per loro era profondo. Quel pomeriggio erano andate a casa di Alice, un’altra loro compagna di classe, a studiare.

    Le tre ragazze erano effettivamente a casa di Alice, ma lo studio non era certamente il loro primo interesse; con loro c’era anche Giulia, che si era precipitata lì quando Alice, al telefono, le aveva detto di avere grosse novità: le news del giorno riguardavano la novella coppia di sposini – come li aveva già ribattezzati – che quella mattina si erano messi insieme e che ora stavano passeggiando romanticamente per il centro di Fabriano.

    Alice servì alle amiche una limonata ghiacciata e subito ripresero a commentare i nuovi svolgimenti amorosi di quell’estate, che si preannunciava bollente. 

    Beatrice indossava una maglietta tempestata di perline luccicanti, ma ciò che la distingueva dalle altre erano i dettagli: sapeva sempre dare un tocco di creatività al suo abbigliamento, fosse esso un foulard del colore giusto al posto giusto, degli orecchini, dei braccialetti o delle collane, sempre intonati ai colori predominati della maglia; scarpe e cinture abbinate e, naturalmente, profumi sofisticati che inebriavano chiunque le passasse accanto. Alice non la smetteva di farle complimenti per gli accessori che indossava, mentre Betta e Giulia avevano da tempo capito quali argomenti evitare con Beatrice per non aspettare poi due ore prima che smettesse di parlare.

    Giulia si trattenne poco perché aveva appuntamento con la sua amica Sandra, una ragazza molto diversa da loro: timida, semplice e appassionata allo studio. Giulia sperava che anche nella sua vita qualcuno di sua conoscenza prendesse l’iniziativa che attendeva ormai da diversi mesi, ma lui sembrava non rendersene conto…

    Due

    La sera scese rapida sbiadendo i contorni delle case mentre le luci dei lampioni cominciavano ad accendersi per illuminare le vie della città, molto trafficate in quel momento della giornata. Era quasi l’ora di cena e Anna camminava spedita, percorrendo il sottopasso ferroviario che separava il suo ufficio dall’abitazione.

    Aveva in spalla una grossa borsa di documenti e canticchiava tra sé e sé una canzoncina, mentre con la testa vagava nei suoi eterni pensieri senza mai venirne a capo: ormai era abituata a convivere con quella costante insicurezza che spesso era la causa della sua infelicità. Si ripeteva sovente che avrebbe voluto dare una svolta alla sua vita, ma poi si ritrovava sempre al medesimo punto. Erano mesi che le ronzava in testa l’idea di diventare mamma, ma avrebbe prima dovuto trovare la «materia prima» e le sue ultime storie sentimentali non avevano avuto una fine gloriosa… In più non aveva voglia di ricominciare una nuova avventura – o aveva forse paura? Nemmeno lei sapeva spiegarselo.

    Attraversò la strada e si trovò all’imbocco del piccolo vicolo che conduceva a casa sua; i lampioni erano saltati a causa di un guasto e già da due giorni regnava l’oscurità. Anna fece un respiro profondo e si tuffò nel buio di quel minuscolo tratto di strada che, pur volendo, non poteva evitare. Vide un gatto schizzare via da sotto una macchina posteggiata lì a fianco ed ebbe un sussulto: non la si poteva certo definire una donna coraggiosa. Si sistemò sulla spalla la cinghia della borsa e proseguì. Sentiva il rimbombo sordo dei suoi passi, ma cercava di pensare ad altro per distrarre la mente da quel momento. Vide davanti a sé una figura nell’ombra che la osservava, ma non riusciva a distinguere di chi si trattasse. Si innervosì. Abbassò lo sguardo a terra e accelerò il passo; stava quasi per sorpassare quella figura, ma una voce la sorprese risuonando nel buio: «Ti faccio questo effetto?».

    Anna cercò di riprendersi dallo spavento e di respirare, ma solo quando si voltò e riconobbe Diego si tranquillizzò – o così sembrava, perché prese in mano la borsa che portava a tracolla e la scaraventò addosso allo sfortunato ragazzo, che si riparò il volto con le mani per non rimediare una borsata in faccia.

    «Sei matta?!»

    «Tu sei matto! Mi hai fatto prendere un colpo! Vuoi farmi morire di infarto?» 

    Diego era un caro amico di Anna, anche se ultimamente avevano poche occasioni di vedersi: lui studiava filosofia a Perugia e tornava soltanto nei fine settimana. Adesso che le lezioni erano finite a volte veniva a trovarla, e Anna aveva cominciato a sospettare un certo interesse del ragazzo nei suoi confronti. D’altro canto, in quel momento della sua vita, la ragazza desiderava tutto fuorché una storia d’amore: non voleva trovare il tempo, e dopo l’ultima scottatura di quell’intreccio amoroso a tre – a sua insaputa – sperava proprio che Diego non avrebbe preso iniziative al riguardo. Lui, per la verità, aveva tutt’altro per la testa: amava la filosofia più di ogni altra cosa e di certo non si rovinava la vita con gli «stupidi pensieri del mondo», come li definiva, tra i quali al primo posto c’era l’amore. L’amore muove il mondo, diceva sempre, ma rovina totalmente il cuore di chi si lascia dominare da esso.

    «Che vuoi?» chiese bruscamente Anna.

    «Hai sentito che Lorenzo è stato inseguito, ieri notte, da un uomo mascherato al giardino pubblico? A momenti ci rimaneva secco!»

    «Che stai dicendo? Non posso crederci!»

    Lorenzo era un amico di entrambi: un altro cuore solitario, amante della vita da single. Spesso si ritrovavano in un bar vicino casa di Anna, a bere qualcosa e a parlare degli argomenti più disparati.

    «Mi ha detto che se non fosse stato per quel giovane sacerdote che sta nella parrocchia accanto al parco non sa cosa sarebbe successo!»

    «Don Cristalli?»

    «Sì, proprio lui. Lorenzo ricorda solo di aver visto una luce accecante, poi si è risvegliato in ospedale.»

    «E perché non mi hai avvertito prima? Adesso come sta?»

    «Sta bene, credo. È un po’ sotto shock, ma l’ospedale l’ha dimesso stamattina. L’hanno voluto tenere in osservazione solo una notte. Stasera ti va di andare a trovarlo?» 

    Anna fece segno di sì con la testa e i due si salutarono, dopo essersi dati appuntamento per quella sera stessa a casa dell’amico.

    Erano da poco passate le nove quando Anna uscì di casa. Una volta arrivata a destinazione trovò sia Diego che Lorenzo seduti sul divano a guardare la televisione.

    «Sei uno sciagurato! Perché non mi hai avvertito?»

    «Devo ancora capire cosa mi è accaduto…»

    Lorenzo, all’apparenza sereno, nascondeva una forte agitazione interiore dovuta allo shock e alla paura: aveva rischiato la morte e tutto questo lo aveva portato a mettere in discussione la sua vita. Non voleva darlo a vedere, ma la sua faccia tradiva uno smarrimento e un dolore che non gli appartenevano. Era sempre stato sicuro di sé; con Diego litigava spesso proprio perché entrambi, uno dal punto di vista scientifico e l’altro da quello filosofico, non volevano cedere la ragione. Lorenzo studiava ingegneria presso l’università di Ancona e il suo desiderio era quello di laurearsi entro la fine dell’inverno successivo – più per soddisfazione personale che per reale necessità.

    «Sei ancora sotto shock? Mi racconti come è andata?»

    «Lascialo stare, Anna! Non vedi che non ha voglia di parlare?»

    «Lascia, Diego, tanto non mi darà pace finché non l’avrò accontentata. Ieri notte, mentre stavo tornando a casa da quell’incontro che c’è stato nella biblioteca comunale, sono passato per il parco per risparmiare strada, ma mentre lo attraversavo sono stato assalito alle spalle da qualcuno che mi ha preso, mi ha buttato per terra e mi ha strappato la maglietta. Nel momento in cui ha alzato il braccio per colpirmi, ho visto una luce fortissima che l’ha fatto scappare e sono svenuto.»

    «Ma questo tizio, l’hai visto in faccia?»

    «Credo fosse un uomo, ma ero così spaventato che non ricordo nulla! Ha urlato nel momento in cui la luce ci ha investito, un urlo agghiacciante… non saprei descriverlo diversamente. Faceva paura!»

    «Incredibile… Sembra un film!» 

    «Spero che lo prendano. Stamattina, in ospedale, prima che mi dimettessero, sono venuti due poliziotti per interrogarmi, ma non credo abbiano niente su cui lavorare.»

    «E il prete che ci faceva lì?»

    «Non saprei… Ho sentito la sua voce, l’ho visto con la coda dell’occhio correre verso di me, poi la luce. Non ricordo altro!»

    Anna tacque, si sedette sul divano e mise una mano sulla spalla di Lorenzo, poi ripresero a parlare e a guardare la televisione sorseggiando una tisana e mangiando qualche biscotto. Diego tirò fuori uno dei suoi libri dalla sacca e lo sfogliò, perdendosi nella lettura.

    Lorenzo guardò Anna sgranando gli occhi e i due scoppiarono a ridere. Diego li guardò, poi tornò a leggere, incurante delle prese in giro degli amici.

    Tre

    Il cielo era coperto di nubi. Nessuna stella a rischiarare la notte: il buio aveva coperto ogni cosa. L’aria era calda e afosa – forse sarebbe piovuto. Fabriano era deserta: dopo la mezzanotte circolavano pochissime persone, molte delle quali erano giovani che si davano appuntamento allo chalet del giardino pubblico, ma l’aggressione di qualche sera prima aveva suscitato parecchie inquietudini e serpeggiava tra i giovani una sorta di paura a starsene in giro da soli.

    Una motocicletta sfrecciò a tutta velocità lungo la strada principale che separava i due grandi parchi della città. Luccicava sotto le luci dei lampioni; accelerò e impennò, facendo circa dieci metri su una ruota sola. Frenò bruscamente, lasciando sull’asfalto i segni degli pneumatici, e all’incrocio girò verso la parrocchia di San Giuseppe Lavoratore; la oltrepassò e parcheggiò dietro un gruppo di tre abitazioni. Dalla moto scese una donna dai lunghi capelli ricci rimasti fino a quel momento nascosti sotto al casco, che lasciò sul sellino della moto. Indossava una stretta tuta di pelle, con una lampo che la chiudeva sul davanti e una cintura attorno alla vita. Si legò i capelli, si aggiustò la tuta e si mise una maschera sul viso, lasciando liberi soltanto gli occhi, poi si incamminò nell’ombra fino alle finestre della casa canonica della parrocchia. Strisciò, spalle al muro, intorno alla casa, che si sviluppava su un unico piano. Era bassa e aveva il tetto piatto, con un piccolo cortiletto interno su cui si affacciavano le finestre dell’ingresso, della camera e del bagno. La ragazza si posizionò un auricolare sull’orecchio destro e accese una minuscola ricetrasmittente all’interno di una tasca posta sotto la cintura.

    «Sono in posizione.»

    «Entra nella casa e scopri dove lo tiene nascosto. Deve essere mio, non ammetto errori» disse una voce dall’altra parte.

    La ragazza si arrampicò sul tetto con una fune, facendo attenzione alle finestre dei palazzi circostanti la canonica. Scese all’interno del piccolo cortiletto, certa ormai che da lì più nessuno l’avrebbe potuta notare. Tirò fuori dalla tuta un arnese e forzò la porta finestra del corridoio dell’ingresso. Entrare nella canonica fu facile. Sembrava deserta, ma immaginò che il

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1