Alcibiade. Il romanzo del potere
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La morte del grande stratego diventa così lo spunto per confrontarsi sulle varie forme di governo e su un tema ancora più alto: quello del rapporto tra politica e popolo.
Democrazia, demagogia, vanità del potere, volubilità del consenso popolare: Marta Elisa Bevilacqua, come in un dialogo di Platone, affronta questi temi dando voce ai diversi punti di vista. Leggendo l’ipotetico dialogo tra Alcibiade, ormai negli anni della sua decadenza, e Oloro, immaginario figlio di Tucidide, con la stessa passione del padre per i discorsi e le imprese militari degli uomini illustri, il pensiero del lettore non può non andare all’attualità e chiedersi che cosa sia la democrazia e come si possa correggerne le storture e le contraddizioni. Ma, oggi come all’epoca di Alcibiade, questa domanda probabilmente non troverà una risposta.
Marta Elisa Bevilacqua, classe 1980, dopo aver conseguito una Laurea in Filosofia politica e una in Storia greca, insegna Filosofia e Storia nei Licei.
Ha iniziato a dedicarsi all’attivismo politico fin dai tempi del Liceo, animando campagne e battaglie per la qualità della vita delle persone e in difesa dell’ambiente.
Oltre ad aver fondato e diretto il Centro studi Hermeneia, grazie al quale ha promosso la diffusione delle lingue classiche e dell’approccio ermeneutico ai testi, prosegue il suo incessante impegno di intellettuale organica, dedita alla valorizzazione di un’impostazione ecologica della vita associata.
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Anteprima del libro
Alcibiade. Il romanzo del potere - Marta Elisa Bevilacqua
Marta Elisa Bevilacqua
Alcibiade.
Il romanzo del potere
© 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-3509-2
I edizione febbraio 2023
In copertina un’illustrazione del Maestro Infioratore Giuseppe Mancini
Finito di stampare nel mese di febbraio 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Alcibiade.
Il romanzo del potere
Un doveroso e sentito ringraziamento va all’amico caro e artista Giuseppe Mancini il quale non soltanto ha realizzato l’immagine di copertina, ma mi è stato accanto, con sincera amicizia e vicinanza emotiva, nella scrittura di questo libro.
Voglio, inoltre, ringraziare il personale tutto della Casa Editrice Europa Edizioni
e, in particolare, Giusy Cavallo, per la professionalità e l’accortezza dimostrate nel trasformare questo progetto in una pubblicazione.
A mio padre, il porto sicuro dal quale sono partita e presso il quale, sempre, trovo approdo
A mia madre, saldo e costante sostegno silenzioso
Le democrazie a menti superficiali possono apparire disordinate; le dittature invece appaiono ordinate; nessuna protesta, nessun clamore da esse si leva: ma è l’ordine delle galere, il silenzio dei cimiteri. No, alla più perfetta delle dittature io preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie.
Sandro Pertini
Introduzione
Alcibiade. Il romanzo del potere è la biografia romanzata di Alcibiade, lo stratego ateniese protagonista della seconda parte della Guerra del Peloponneso.
La sua è una biografia dai tratti ambigui: siamo di fronte al nipote di Pericle e all’ultimo rappresentante dei democratici del Secolo d’oro o a un figlio dell’aristocrazia capace di trattare con gli oligarchici e di usare tutti gli strumenti della demagogia?
Questo testo è anche il romanzo di formazione di un giovane fermamente convinto che la democrazia e il confronto franco e aperto siano valori da difendere a qualsiasi costo.
Ci sono due personaggi frutto della fantasia dell’autrice: Oloro, immaginario figlio di Tucidide, il grande storico greco, e Menesseno, immaginario figlio di Cherefonte, democratico e amico di Socrate, da non confondersi con il Menesseno personaggio dei dialoghi platonici.
Gli altri personaggi del romanzo sono realmente esistiti.
Partendo dalle notizie ricavate da Tucidide e Senofonte, l’autrice immagina un Alcibiade, ormai lontano dalla vita politica e da Atene, che racconta la propria versione dei fatti, incurante di quanto le proprie scelte personali abbiano influito sulla storia e sulla disfatta della città.
Ad ascoltare la versione di Alcibiade è Oloro, l’immaginario figlio di Tucidide, che da quel racconto ricava la distinzione tra democrazia e demagogia.
Oloro, tornato ad Atene, cerca di condividere i propri ideali con la propria cerchia di conoscenti e amici, tra cui spiccano un giovane Platone, ancora indeciso sul proprio futuro, ma già acuto pensatore e Menesseno, personaggio di fantasia, ambizioso e vendicativo.
Oloro cercherà un confronto franco e aperto, un dialogo, alla maniera socratica, ma proprio questo sarà il suo errore: aver sottovalutato i moventi, tutti antropologici, che condizionano gli ideali politici.
I
Era un’assolata mattina d’autunno. Ad Atene era finita la guerra contro Sparta, ma non erano ancora sopiti i contrasti interni. Gli uomini, timidamente, avevano ripreso a frequentare le vie e le piazze della città, anzi Atene era più gremita di un tempo, ma le persone erano più povere: erano tornati in patria i cleruchi, gli abitanti più poveri delle colonie.
La Guerra del Peloponneso era durata quasi trent’anni. Quando era scoppiata quella sciagurata guerra, nessuno avrebbe immaginato che si sarebbe protratta così a lungo. Sparta e Atene erano le due città più importanti della Grecia, due poleis, due Città-Stato, assai diverse tra loro, ma entrambe, per motivi differenti, ambivano all’egemonia sul resto della Grecia.
Atene, dopo aver resistito all’invasione persiana, era diventata la città più importante dell’Attica e aveva costruito un Impero. Gli Ateniesi, avendo difeso la libertà dei Greci dall’invasione dei barbari – così definivano i Persiani, ma anche chiunque non parlasse il greco – avevano costruito la Lega Delio-Attica, un sistema di difesa, grazie al quale controllavano la politica estera delle altre città greche. Difendendo l’indipendenza delle altre città dai Persiani, pian piano, la paladina della democrazia aveva creato una rete, una ragnatela: tutte le città aderenti alla Lega dovevano inviare navi – se avevano una flotta – o denaro che sarebbero stati usati per la difesa comune. Presto, tutte le città, anziché le navi, inviarono il foros, il denaro e, più passava il tempo, più era evidente che quel denaro non serviva affatto a difendere la Grecia da un’invasione persiana, ipotesi sempre meno probabile. Il denaro della Lega, in un primo tempo, veniva conservato nel santuario di Delo, l’isola cara ad Apollo. Pericle, lo stratego ateniese, però, decise di portare il tesoro ad Atene, rendendo così ancora più evidente che, di fatto, quella che era nata come una Lega di città libere era diventata una federazione che aveva delegato, interamente, la gestione della politica estera ad Atene, che amministrava, quindi, i fondi e decideva come investirli.
A parole era una Lega, un’anfizionia, di fatto era l’Impero ateniese, un Impero che non ammetteva defezioni.
Nel corso dei cinquant’anni che separano le Guerre Persiane dalla Guerra del Peloponneso, Atene aveva costruito la propria fortuna, mentre tutte le altre città, ad eccezione di quelle che potevano restare nell’orbita di Sparta, avevano perso la propria autonomia. La potenza di Atene, fondata sull’idea della difesa dagli invasori persiani, poggiava su due pilastri: il sistema politico democratico e il controllo dei mari, che permetteva anche un’egemonia commerciale e politica.
Sparta aveva un’impostazione diversa: era la città più importante del Peloponneso e non era versata nei commerci. Aveva una società più rigida, oligarchica, conservatrice. La sua ambizione non andava al di là della penisola. Di fronte alla politica ateniese, necessariamente, aveva risposto, ma non aveva nemmeno rafforzato i propri strumenti. Sparta aveva un proprio sistema di alleanze, la Lega peloponnesiaca, nata molto prima della Lega di Delo. La città lacedemone, con la Lega peloponnesiaca, combatteva una lotta contro le tirannidi e imponeva la propria idea oligarchica, piramidale, del potere ma non pretendeva nessun tributo dalle altre città, né iniziò a farlo quando nacque la Lega attica. Mantenne sempre, però, la guida della propria Lega.
Atene, tramite la Lega Delio-Attica, cercava di imporre la propria politica estera a tutto il resto della Grecia ed esigeva l’ordinamento democratico dalle città che entravano nella sua orbita di influenza. Sparta, che fino alle Guerre Persiane era stata la città più importante della Grecia, resisteva: manteneva il controllo sul Peloponneso, sebbene anche nella propria penisola avesse visto nascere una democrazia, che era una spina nel fianco: Argo; controllava, poi, la Lega peloponnesiaca al cui interno trovavano riparo, sotto la comune bandiera dell’oligarchia, altre città come Corinto che aveva una fitta rete di colonie sparse ben al di fuori del Peloponneso.
Nella guerra del Peloponneso si erano confrontate due concezioni della Città-Stato, due modelli di economia e di società: da una parte l’oligarchia, la lotta alla tirannide e la conservazione, dall’altra la democrazia e l’Impero. La guerra sarebbe finita solamente quando uno dei due sistemi fosse stato annientato.
La guerra era scoppiata quando Atene