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Cosa resta di un sogno
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E-book758 pagine12 ore

Cosa resta di un sogno

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Info su questo ebook

E’ la storia di un uomo, Enrico, innamorato della sua città Trieste, ma anche innamorato di due diverse donne, amori che si intrecciano con gli avvenimenti storici ed umani.

Un uomo vissuto sotto cinque diverse bandiere: Austro-ungarica con al centro l’aquila a due teste, il tricolore con in mezzo lo stemma sabaudo, la croce uncinata simbolo dell’occupazione nazista, il tricolore con in mezzo la stella rossa simbolo della occupazione jugoslava, il tricolore italiano definivo simbolo dalla italianità della città.

La sua vita attraversa cinquanta anni di storia italiana e triestina in particolare, dall’irredentismo all’annessione all’Italia, dall’avvento del fascismo con i suoi sogni e le sue illusioni alla conquista dell’Impero, parteciperà alla seconda guerra mondiale con la sua scia di morte e distruzione, vivrà la tragedia degli ebrei, l’occupazione nazista e quella jugoslava di Trieste, infine assisterà al ritorno ancora una volta della sua città alla Madre Italia. Vivrà anche l’amore di una famiglia vera dove la realtà veniva affrontata con decisione e coraggio.Le sofferenze nei campi di battaglia, le illusioni e le atroci delusioni si sommano in un continuo susseguirsi di tempi.

Solo l’amore o meglio gli amori gli daranno tranquillità e serenità saprà amare due donne ma saprà anche scegliere senza far male ne a una ne all’altra.

Vive anni difficili ma li vive con onore e onestà ed anche se dovrà fare i conti con la sua coscienza per aver accettato, anzi creduto in quella idea rivoluzionaria, non rinnegherà il passato.

L’autore vive la storia di Enrico da spettatore anche se alcuni avvenimenti si avvicinano o addirittura sono simili a quelli da lui vissuti , non può definirsi un romanzo in qualche modo autobiografico ma i sentimenti che esprimono il suo scritto sono anche i suoi.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788831611381
Cosa resta di un sogno

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    Anteprima del libro

    Cosa resta di un sogno - Giacomini Claudio

    RINNEGHERA’

    C A P I T O L O 1

    Questa storia è ambientata a Trieste una splendida città che si specchia in un altrettanto splendido golfo, una città piena di storia, una città che a dispetto dei cambiamenti, talvolta anche traumatici, subiti durante la sua storia conserva i segni di ogni epoca e ne va fiera, una città unica, diversa dalle altre.

    Una città criticata ma nello stesso tempo apprezzata. Una città descritta da numerosi scrittori e giornalisti italiani e stranieri.

    Fra i diversi articoli che la riguardano ho scelto per dare una precisa connotazione della città un articolo apparso sul New York Daily Tribune alla fine del 1800 dal titolo: < Commercio marittimo dell’Austria > dal quale di Trieste ne esce una immagine complessa ma affascinante.

    < Come mai proprio Trieste e non Venezia diventò la culla delle rifiorite marinerie dell’Adriatico?>

    E’ la domanda che si pone il giornalista e la risposta che si dà è: < perché Venezia era una città di ricordi mentre Trieste possedeva al pari degli Stati Uniti d’America il vantaggio di non avere un passato tale da essere ricordato.

    Costruita da una variopinta folla di commercianti e speculatori italiani, austriaci, tedeschi, inglesi, francesi greci ed ebrei Trieste non era gravata da tradizioni storiche culturali come la città lagunare, pertanto il suo prosperare non conosce limiti. >

    Accettando quanto afferma il giornalista americano nell’articolo sia vero, quella comunità così diversa per lingue, religioni e tradizioni crebbe nel segno della città e ne divenne figlia e con il trascorrere degli anni ne divenne quasi gelosa verso altre presenze e la insofferenza per la continua invasione di migliaia di lavoratori slavi, boemi, ungheresi, croati iniziò a creare qualche problema.

    Ben indicativo è come lo scrittore Guido Piovene la descrive:

    < Mediterranea e insieme Nordica, i colori smorzati come sul Baltico ma d’improvviso sfavillanti più che nel Sud, scogliosa, ventosa, selvatica >

    Oppure come la definisce un anonimo scrivendo in dialetto:

    < In alto quatro nuvoli, de soto un fià de mar, xè el quadro più magnifico che mai se pol sognar>

    Una città gelosa dei suoi figli, una gelosia che farà sempre parte della sua storia.

    Una città che è stata il porto sull’Adriatico dell’Impero Austroungarico, una città che conquistata dal Regno d’Italia dopo una lunga e tragica guerra dette una spinta importante al nuovo movimento fascista che diverrà per oltre venti anni padrone della nazione italiana.

    Una città che nell’ultimo anno del secondo conflitto mondiale è stata occupata dai tedeschi che ne fecero una provincia del terzo Reich.

    Una città che ha ospitato l’unico forno crematorio gestito dai nazisti in Italia, un orribile primato.

    Una città che è stata per terribili quaranta giorni occupata dalle truppe jugoslave del Maresciallo Tito.

    Una città che è stata Stato Libero.

    Una città che con il ritorno sofferto e voluto alla Madre Patria italiana ha trovato o almeno pensava di aver trovato la pace.

    Una storia quella della città giuliana travagliata e complessa ma nello stesso tempo affascinante.

    Una città che si offre agli occhi del visitatore all’improvviso lungo la strada costiera in tutta la sua bellezza quasi come una donna in attesa del suo uomo o come un uomo in attesa della sua donna.

    Una città che vedendola per la prima volta sorride al nuovo venuto e lo invita ad amarla.

    Trieste è una città da amare!

    Di questo centro urbano che assunse il nome di Tergeste se ne hanno notizie sin dal secondo millennio a.C. Dopo diverse occupazioni e contatti non sempre amichevoli con i vicini popoli orientali fu conquistata dai romani nel 220 a.C. Dopo la caduta dell’Impero Romano di Occidente fece parte dell’Impero Bizantino fino al 790 quando venne occupata dai Franchi, in seguito dopo secoli di battaglie fu occupata dalla Repubblica Serenissima di Venezia nel 1283 e dopo quasi un secolo nel 1382 passò sotto il protettorato del Duca d’Austria. Nel 1470 riuscì quasi miracolosamente a non essere invasa dai Turchi che giunsero sino a pochi chilometri dalla città ma furono respinti. Nel 1719 diviene porto franco ed unico sbocco sul mare dell’Impero Austroungarico. Da quel momento la storia di Trieste si confonde con quella dell’irredentismo e del desiderio di Italia dei suoi abitanti. Una storia affascinante di cui i triestini vanno fieri, una storia che li ha forgiati a superare le diverse situazioni senza perdersi d’animo, ogni volta che venivano sottomessi ritrovavano la forza di riscattarsi. Una città senza dubbio particolare dove tanto per citare un esempio esiste ancora oggi l’unico stabilimento balneare dove le donne sono separate dagli uomini da un muro alto tre metri, una caratteristica unica mai cambiata dal 1903 anno della sua inaugurazione.

    Dalla inaugurazione si sono susseguite amministrazioni di diversi orientamenti politici ma il muro è rimasto intatto. Tutti i personaggi famosi transitati per la città lo hanno visitato almeno una volta e lo scrittore irlandese James Joyce lo ha frequentato per quanto si racconta più degli altri. Tutti o quasi i triestini hanno frequentato quel stabilimento almeno una volta nella loro vita.

    E’ un segno anche questo che Trieste è una città diversa.

    Sarà questa città lo sfondo di questa storia, la storia di un uomo, Enrico, con le sue virtù e le sue debolezze, un uomo che ha vissuto intensamente la sua vita e non ne rinnegherà mai nessun momento, un uomo vero.

    Enrico che nel 1954 ha 49 anni vive quegli intensi momenti politici di Trieste con estrema emozione.

    Ripensa al passato, alle gioie, alle illusioni ma anche ai dolori, alle delusioni vissute e rivede la vita scorrergli davanti, non ha rimpianti, forse in qualche momento avrebbe potuto comportarsi o agire diversamente ma in definitiva se dovesse farne un bilancio lo giudicherebbe sicuramente positivo.

    Ha combattuto e sofferto, è stato sfiorato dalla morte tante volte che neanche le ricordava, in alcuni momenti ha pensato che non sarebbe più tornato e non avrebbe mai più rivisto la sua Isabella ed il figlio Aldo. Partito per quella terribile e disastrosa guerra quando ancora l’entusiasmo sosteneva quel nuovo corso politico, quando torna di quell’entusiasmo non ne trova quasi più traccia, trova delusione e disperazione. Quel nuovo corso in cui aveva creduto fermamente come la maggioranza degli italiani è crollato travolto da scelte tragicamente sbagliate.

    E ora anche lui come il paese si trova davanti al difficile compito di ricominciare.

    Di una cosa però è più che convinto non avrebbe mai rinnegato il passato.

    Come detto prima ha 49 anni e si chiede cosa gli riserverà il futuro, riuscirà a essere in qualche modo ancora sereno? sarà in grado di superare le difficoltà per inserirsi in un nuovo contesto sociale, politico ed economico? ne avrà la forza necessaria? Queste sono le domande che affollano la sua mente e cercando le risposte la sua mente va al passato e al suo dolce segreto.

    Nato nel 1905 a Trieste da Giovanni Candotti ed Emma Rosai, Enrico muove i suoi primi passi in una città economicamente solida ed in continuo sviluppo commerciale ed industriale favorito principalmente dalla presenza di un porto attrezzato ed organizzato.

    Trieste in quel momento è il porto principale sul mare Adriatico dell’Impero Austroungarico di cui fa parte, le merci che l’Impero importa da vari paesi del mondo arrivano nel porto giuliano per prendere poi la via dell’interno e raggiungere le destinazioni fissate.

    La storia moderna del porto triestino inizia nel secolo XVIII secolo quando l’Imperatore asburgico emette il decreto che dichiara il porto franco. A seguito dell’apertura del canale di Suez, per far fronte all’aumento della attività marittima dell’Impero, il porto viene notevolmente ampliato e ristrutturato.

    Con la ristrutturazione ed ampliamento del porto che l’Impero austroungarico progetta e costruisce fra il 1868 ed il 1887 su una area di oltre 700 000 metri quadrati, Trieste esprime totalmente la sua natura marittima che manterrà intatta durante gli eventi che la coinvolgeranno direttamente ed indirettamente.

    La città ed il porto sono legati insieme in un unico processo di sviluppo urbano e storico che diverrà sempre più importante. L’architettura degli edifici adibiti a magazzini è caratterizzata da linee verticali ed orizzontali lungo le facciate, le linee orizzontali danno agli edifici un aspetto longitudinale, mentre le linee verticali creano interruzioni. Attraverso l’armonizzazione delle linee, gli elementi strutturali acquisiscono quel valore architettonico destinato a durare nel tempo.

    A dimostrazione della sua natura economico - marittima a Trieste nasce e si sviluppa una delle maggiori compagnie di navigazioni di Europa se non del mondo il Loyd Triestino che alla città resterà legata per sempre e che porterà in tutto il mondo il nome della città giuliana.

    Se a Trieste nei primi anni del novecento esiste un problema non è sicuramente di carattere economico ma di carattere politico, molti triestini cominciano a mal sopportare l’arroganza della amministrazione austroungarica.

    L’irredentismo comincia a muovere i primi passi negli ultimi decenni del 1800 quando vengono indette le prime timide manifestazioni a favore del passaggio della città al Regno d’Italia, le autorità di polizia inizialmente per non esasperare la situazione lasciano fare ma poi con il trascorrere del tempo quando le manifestazioni diventano più frequenti ed i partecipanti più numerosi e la richiesta di essere annessi all’Italia più incisiva e insistente vengono duramente represse dalla polizia, in alcuni casi anche con l’aiuto dell’esercito. Dal governo imperiale asburgico vengono promulgate una serie di misure repressive e discriminatorie a danno di Trieste, ma non avranno l’effetto sperato anzi contribuiranno ancor di più alla diffusione delle idee irredentistiche.

    La comunità triestina di sentimenti italiani si sentiva sempre più minacciata dall’azione congiunta del governo asburgico e dai nazionalisti slavi fra loro alleati in funzione anti italiana. I nazionalisti slavi non si fanno scrupoli e si alleano con gli austroungarici considerati, sino a quel momento, naturali nemici, pur di cercare di ottenere sempre più potere nell’amministrazione della città.

    Per gli slavi appropriarsi di Trieste è un sogno che durerà oltre un secolo ma che resterà un sogno.

    L’irredentismo lentamente ma inesorabilmente si fa strada, l’azione politica di coloro che vogliono unire all’Italia le terre ancora soggette allo straniero si fa più costante ed insistente, per i triestini è l’inizio di quella lunga azione mirata alla liberazione delle terre giuliane e dalmate soggette all’Impero Asburgico.

    Intanto Enrico nel 1911 inizia la sua avventura scolastica frequentando le scuole infantili meglio conosciute come elementari, è un bambino intelligente e volonteroso a scuola ha un comportamento corretto e la maestra spesso lo premia.

    Come d’obbligo a scuola Enrico deve studiare la lingua tedesca, ma a casa il padre non vuole che si parli, Giovanni si sente italiano e l’italiano almeno in casa deve essere la loro lingua, questo problema crea qualche leggero dissidio con la moglie Emma che più tollerante cerca di fargli capire che la realtà per il momento è quella, ma inutilmente, Giovanni ha le sue convinzioni e in quelle rimane fermo e lo rimarrà per sempre.

    Hai ragione Emma, ma il tedesco non si parlerà mai in casa nostra

    Ma nonostante tutto i triestini non possono non apprezzare alcune iniziative dell’amministrazione asburgica mirate a progettare e costruire scuole decisamente più moderne, con aule più ampie, con cortili interni ed esterni e dove vengono curati con molta attenzione i servizi igienici.

    A cavallo del secolo gli edifici progettati dall’architetto di origini fiumane Cornelio Budinich rivoluzionano in modo razionale e moderno l’architettura scolastica triestina ed a riprova di ciò, per il complesso scolastico di via Ruggero Manna, il progettista riceve per le sue soluzioni innovative un premio internazionale.

    La relazione illustrativa della premiazione evidenzia i pregi costruttivi e le particolari condizioni di abitabilità e di igiene adottate, la larghezza dei corridoi, la luminosità delle aule dotate di ampi finestroni, il riscaldamento ed un ingegnoso sistema di aereazione interna.

    Quella edilizia scolastica lascerà un segno per sempre nella città giuliana.

    Nella vita di tutti i giorni nel 1912 si inserisce un avvenimento sportivamente parlando molto importante che attira l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale ed in speciale modo l’attenzione dei giovani, i V giochi olimpici moderni.

    I giochi olimpici moderni erano stati organizzati per la prima volta nel 1896 dal Barone francese Pierre de Coubertin ad Atene per onorare la città in cui si svolgevano gli antichi giochi olimpici greci, poi altre città ogni quattro anni li avevano ospitati, nel 1900 Parigi, nel 1904 Saint Louis negli Stati Uniti d’America, nel 1908 Londra. E proprio in quella olimpiade londinese accadde un avvenimento che resterà nella storia dei giochi. Per la prima volta la maratona si snodava su 42,195 chilometri, alla partenza davanti al castello di Windsor fra i 56 atleti partecipanti era schierato l’atleta italiano Dorando Petri, uno specialista delle corse sulla distanza che aveva ottenuto in Italia numerosi successi.

    La gara si svolge in una giornata insolitamente calda per il clima inglese, petri si mantenne in una zona neutra sino a quando accorgendosi che l’atleta sudafricano che era in testa stava perdendo terreno iniziò la sua progressione, lo raggiunse e lo superò, la stanchezza si stava impadronendo a tal punto che entrato nello stadio perse l’orientamento e furono i giudici costretti a farlo tornare indietro, era esausto e a pochi metri dal traguardo cadde a terra, mancavano 200 metri alla vittoria, aiutato da un giudice di gara e dal medico si rialzò e tagliò il traguardo. Al secondo posto si classificò un atleta statunitense, la squadra USA venuta a conoscenza dell’aiuto ricevuto da Petri fece ricorso e lo vinse, Petri fu squalificato, ma la il racconto della sua impresa eroica, ma sfortunata, farà il giro del mondo e l’atleta italiano pur non avendo vinto diventerà una celebrità.

    Lo scrittore Arthur Doyle che in quella occasione era stato incaricato da un giornale inglese di redigere la cronaca della gara scrisse:

    < La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici >

    Quasi a compensarlo della mancata medaglia d’oro la regina Alessandra lo premiò con una coppa d’argento dorato. L’impresa di Dorando Petri è entrata nella storia dell’olimpiade e dello sport in genere assumendo un significato simbolico dimostrante lo spirito di sacrificio di tutti i concorrenti partecipanti a conferma della famosa affermazione del marchese de Coubertin < l’importante non è vincere ma partecipare >.

    In futuro questa affermazione perderà di valore e l’imperativo per i partecipanti sarà vincere!

    I giochi del 1912 giunti, come abbiamo detto, alla V^ edizione si svolgono a Stoccolma in Svezia con la partecipazione di 28 nazioni e oltre 2400 atleti e segnano una ulteriore tappa fondamentale nello sport mondiale, per la prima volta nelle gare di nuoto partecipano le donne che sino ad allora partecipavano solamente alle gare di tennis e del tiro con l’arco. Il mondo sta cambiando e le donne iniziano a far sentire il loro peso nella società e nello sport.

    Nelle scuole dell’Impero i risultati ottenuti dagli atleti appartenenti all’Austria, all’Ungheria, alla Germania che vinsero complessivamente 37 medaglie vengono esaltati a dimostrazione della validità del sistema sportivo imperiale. Sfidando le rigide disposizioni delle autorità alcuni maestri a Trieste citano anche i risultati della partecipazione italiana, non esaltante in verità ma sufficiente per essere citata, un undicesimo posto fra le nazioni con la conquista complessivamente di sette medaglie di cui tre d’oro.

    Il ginnasta Alberto Braglia conquista sia la medaglia d’oro in una prova singola che in quella a squadre, la terza medaglia d’oro viene dallo schermitore Nedo Nadi nel fioretto individuale.

    Enrico ha la fortuna di avere uno di questi maestri e quando alla sera rientra il padre dal lavoro glielo racconta.

    Oggi il maestro ci ha parlato dei giochi olimpici e oltre ai risultati ottenuti dagli atleti dell’Impero ci ha parlato anche degli atleti italiani che però hanno vinto solamente poche gare

    L’Impero è molto esteso ed è composto da più nazioni e la possibilità di scegliere atleti validi è maggiore che nelle nazioni singole, ma anche l’Italia nella sua ridotta dimensione ha dimostrato di avere atleti in grado di vincere, ne dobbiamo andare estremamente fieri

    Ci ha anche raccontato che nella olimpiade di quattro anni fa accadde un fatto che è rimasto nella storia dello sport, un atleta italiano fu aiutato per percorrere gli ultimi metri da un giudice di gara e per questo venne squalificato, lo sapevi papà?

    Si lo sapevo fu un avvenimento che fece scalpore in tutto il mondo e che dimostrò quali e quanti sacrifici sono costretti a fare gli atleti per raggiungere dei risultati, questo avvenimento dimostra che nessun risultato si ottiene senza costanza e sacrificio

    Penso che la medaglia d’oro gliela dovevano dare ugualmente

    I regolamenti sono drastici e sono convinto che a prescindere da tutto le regole devono essere sempre e comunque applicati

    Passato quel momento di aggregazione che sono le olimpiadi le manifestazioni irredentistiche riprendono e iniziano ad essere più frequenti e per Enrico a scuola sorge qualche problema, alcuni compagni a volte lo accusano di comportarsi in maniera ambigua dicendogli che frequenta la scuola imperiale ma sanno che nella sua famiglia non vedono bene le istituzioni che glielo permettono. Enrico non comprende quelle contestazioni e quando a casa ne parla con i genitori è sempre la mamma che gli spiega la complessità di quella situazione, il padre preferisce non intervenire soprattutto per non dire qualcosa di inopportuno che Enrico avrebbe potuto involontariamente riferire a scuola e peggiorare la situazione. In verità oltre a semplici ed abbastanza blande contestazioni verbali di pochi compagni non accaddero mai fatti tali da dover intervenire presso la direzione scolastica, Enrico era solamente, usando una parola grossa, contestato per il fatto di essere figlio di un padre che approvava la simpatia di molti triestini verso il Regno d’Italia.

    Giovanni per amore verso la sua Emma e verso Enrico evita di discuterne ed accetta seppure con qualche mugugno quella situazione.

    I suoi genitori nati nel vicino Friuli e poi trasferitisi a Trieste quando lui non era ancora nato gli avevano insegnato che l’Italia era la sua patria e tale da sempre lui l’aveva considerata.

    Parlando con alcuni amici Giovanni viene casualmente a conoscenza che è stata costituita in un locale nei pressi della falegnameria dove lavora una associazione per promuovere la italianità della città, ma non essendo l’associazione autorizzata dalle autorità la polizia era stata dopo pochissimi giorni chiusa ed i

    frequentatori fermati ed interrogati, ma i provvedimenti a loro carico non erano stati severi erano state solo, come dire, delle serie reprimende e dei perentori inviti a non farsi coinvolgere in futuro in quelle assurde idee irredentistiche. Anche se avvisati che la prossima volta i provvedimenti a loro carico sarebbero stati più pesanti non rinunciano alle loro idee, attendono che la situazione si calmi e poi riprendono a riunirsi in qualche altra zona.

    Giovanni inizia all’insaputa di Emma a frequentare una di queste associazioni, conosce altri triestini che la pensano come lui e quando lo invitano a partecipare ad una manifestazione di piazza per promuovere l’italianità della città e soprattutto protestare contro la continua infiltrazione slava nei posti di lavoro, lo fa senza esitazione.

    Il principe Konrad de Hobenlohe governatore imperiale della regione con alcuni decreti aveva dato ulteriore impulso alla già privilegiava politica filo slava esasperando ulteriormente i triestini che per esprimere il loro dissenso non hanno altro modo che scendere in piazza per protestare e per chiedere con forza il passaggio all’Italia. E’evidente, con quei decreti, la volontà del governo asburgico di indebolire i poteri e la forza politica ed economica di Trieste controllata in buona parte dai nazional –liberali, ritenendoli verosimilmente al centro delle tendenze irredentistiche.

    L’analisi dello sviluppo del movimento irredentistico a Trieste non può essere compresa solamente seguendo un piano esclusivamente politico è necessario per comprenderlo dare uno sguardo totale al suo sviluppo economico, storico e culturale in relazione sia con l’Italia che con l’impero Austro Ungarico, due realtà che hanno lasciato un segno più profondo di quanto potrebbe sembrare sul territorio.

    Trieste ampia il suo sviluppo quando la monarchia asburgica si afferma come grande potenza europea iniziando la sua espansione verso i Balcani e verso il mare Adriatico. L’Adriatico è una strada obbligata per l’espansionismo marittimo - commerciale dell’Impero così come Trieste ne è il naturale approdo.

    La città sotto gli Asburgo, ritenuta il porto principale se non l’unico dell’Impero aveva già ottenuto lo status di porto franco nel 1719, ora l’espansionismo asburgico l’ha ulteriormente ampliato.

    Da questo status derivano una serie di benefici come la libertà di esercitarvi commercio ed industria, la possibilità per gli stranieri di fare investimenti, di ottenere agevolazioni nell’acquisto di terreni per impiantare nuove attività ed di usufruire dell’esenzione quasi totale dalle imposte e della eventuale protezione in caso di guerra. In qualche decina di anni questi benefici danno uno sviluppo eccezionale alla città. La parola disoccupazione non fa parte del vocabolario triestino di quei tempi.

    Ma se è vero che tutti o quasi lavorano bisogna anche dire che le condizioni dei lavoratori sono estremamente precarie, nessuna prevenzione o controllo sanitario, nessuna sicurezza negli ambienti di lavoro ed orari che raggiungono anche 14 ore al giorno, le rivendicazioni sindacali non esistono, chi vuole lavorare deve farlo a quelle condizioni altrimenti resta a casa.

    La classe operaia è ancora nella massima maggioranza analfabeta e questo handicap pesa su ogni possibile trattativa con la classe padronale. In quei primi anni del 900 le associazioni per la difesa del lavoro sono più che altro le Società di Mutuo Soccorso che tentano di inserirsi nel rapporto datore di lavoro e lavoratori ottenendo risultati molto, molto scarsi.

    Queste società particolari nascono con il diffondersi della rivoluzione industriale dove la macchina è il nuovo perno della organizzazione del lavoro, l’uomo svolge operazioni meccaniche e ripetitive ad un ritmo deciso dalla macchina e non viceversa. Gli anni fra la fine dell’800 e lo scoppio della prima guerra mondiale costituiscono un periodo chiave per comprendere la futura evoluzione della economia e del mondo del lavoro non solamente a Trieste ma in tutta Europa. Nonostante la forte influenza austriaca Trieste mantiene una sua personalità dovuta al fatto che buona parte della borghesia anche se non lo dimostra apertamente si sente più vicina all’Italia che all’Impero Austroungarico.

    Il desiderio di italianità della città non viene mai meno e quelli che lottano per l’annessione sfidando la stretta repressiva imposta dalle autorità asburgiche restano attivi, la internazionalità del porto in questo caso risulterà di notevole importanza, vi attraccano navi provenienti da tutto il mondo e con loro giungono libri, riviste e giornali che riportano nuove idee e nuovi concetti di Stato ed anche se la polizia asburgica cerca di evitarlo questi prodotti giornalistici vengono con innumerevoli sotterfugi fatti uscire dal porto e distribuiti in clandestinità. Sono scritti che riportano nuove idee democratiche ed hanno un impatto notevole su quei triestini che credono in una nuova Trieste fuori dall’Impero. Continua così lentamente ma costantemente a svilupparsi il movimento irredentistico.

    A Trieste il termine < irredentismo >appare per la prima volta in uno scritto dello scrittore giornalista Renato Imbriani sul giornale L’Italia degli Italiani

    < Noi non siamo vilmente obbliviati ( dimentichi ) dei fratelli < irredenti > né dei martiri tuttora invitti né delle terre nostre che ancora calpesta lo straniero soldato, esse necessitano alla nostra sicurezza e senza le quali l’Italia non è compiuta>

    Uno scritto che avrà per gli appartenenti alle associazioni irredentistiche lo stesso valore della Sacra Bibbia per i credenti. Il movimento irredentista comincia a rappresentare un elemento di rilievo nella vita politica italiana subito dopo la guerra del 1866 quando pur avendo portato l’annessione del Veneto aveva lasciato sotto sovranità straniera la Venezia Giulia, l’Istria, la Dalmazia, il trentino, l’Alto Adige e Nizza.

    L’irredentismo vuole riunire alla madre patria le terre ancora soggette allo straniero e sarà questo il punto di partenza della liberazione delle terre ancora soggette all’Austria.

    Nel movimento irredentistico triestino si distinguono quattro distinti momenti.

    Il primo è quello legato agli ideali romantici e va inserito nel campo delle forze democratiche repubblicane di ascendenza mazziniana il cui suo esaurirsi avviene con la costituzione della Triplice Alleanza e l’esecuzione di Guglielmo Oberdan.

    Il secondo momento è rappresentato dalla azione dei liberal - nazionali con una forte partecipazione di elementi massoni ed ebraici, ma i suoi effetti non lasciano segni importanti.

    In terzo momento del movimento è rappresentato dagli impegni degli intellettuali e viene definito come irredentismo culturale. Questo ultimo momento si caratterizza come fortemente xebofobo e il meno aperto al confronto ed avrà alterni successi ma non sarà determinante.

    In città si costituiscono diverse associazioni culturali e sportive con sempre meno nascoste attività irredentistiche, sempre mantenute sotto stretto controllo dalle autorità di polizia austriache che talvolta ne ordinano la chiusura e gli iscritti vengono arrestati ed accusati di attività sovversive ed anche se non condannati a pene detentive nei loro documenti resta come un marchio di infamia il loro arresto per attività sovversiva ed a loro verrà vietata qualsiasi possibilità lavorativa nella amministrazione pubblica.

    La Dante Alighieri, la Pro Patria e la Lega Nazionale sono le più note associazioni attive che oltre a Trieste iniziano ad essere presenti anche in Istria e Dalmazia, terre i cui abitanti si sentono da sempre appartenenti all’Italia.

    Le modalità di azione adottate da queste associazioni sono quelle tipiche della gioventù rivoluzionaria dell’epoca, atti dimostrativi come il lancio di petardi durante manifestazioni politiche austriache, organizzazione nei teatri di distribuzione o lancio di manifestini antigovernativi, diffusione clandestina di opuscoli inneggianti all’Italia e di coccarde tricolori all’ingresso dei teatri, o il canto di brani di opere che inneggiano alla libertà, manifestazioni senza violenza ma estremamente contrastate dalla polizia asburgica che le ritiene ancora più pericolose delle manifestazioni di piazza.

    Queste associazioni pur nelle difficoltà dovute alla stretta sorveglianza della polizia austroungarica avranno comunque il merito di saper mantenere rapporti stretti con quelle operanti nel Regno d’Italia.

    Nella attività di queste associazioni è significativa la presenza consistente della comunità ebraica residente in città. Nel Regno d’Italia la comunità ebraica aveva ottenuto la completa emancipazione civile e politica e numerosi ebrei erano riusciti a raggiungere i vertici del potere economico e politico, di contro in Austria questo non era avvenuto ed anche se elementi della comunità ebraica raggiunsero i vertici del potere economico e culturale non raggiunsero mai quelli politici, per gli austriaci la presenza politica degli ebrei nei posti di responsabilità politica non era né accettabile, né auspicabile.

    La comunità ebraica di Trieste è nella stragrande maggioranza fermamente anti austriaca e seppure numerosi furono gli arresti e le condanne mai venne meno la ferma loro convinzione che era l’Italia la nazione a cui appartenevano.

    Anche la stampa non si risparmia ed i giornali di informazione locale fanno sentire la propria voce, fra gli anni 1900 e 1914 il Gazzettino tratta dell’irredentismo nella cronaca locale dando notizia, sanzionandola, delle irruzioni della polizia nei circoli della città. Una dimostrazione apertamente antiaustriaca ed antislovena. Un giornalista di quel quotidiano aveva coniato una significativa definizione o meglio uno slogan che non lasciava dubbi :

    < Trieste ai triestini !>

    Un altro giornale che lasciò un segno tangibile di come era schierato fu L’Indipendente in edicola dal 1876 considerato la voce dell’irredentismo triestino più estremo, con una tiratura che andava da 500 a 1000 copie si rivolgeva ad un pubblico di elite operando una funzione trainante nei confronti del movimento liberale filo italiano.

    In quegli anni altri quotidiani hanno una buona tiratura, fra questi Il Lavoratore organo ufficiale del partito socialista che ebbe la funzione di formare una coscienza politica nelle classi lavoratrici di ispirazione proletaria ed internazionalista evitando però di prendere una precisa posizione sull’irredentismo.

    Negli anni a cavallo del 1900 sono nate in città associazioni chiaramente di indirizzo irredentistico come il Circolo Garibaldi attraverso il quale venne distribuito il periodico L’eco delle Alpi Giulie ed il Circolo XX dicembre sorto dopo la condanna e l’esecuzione del martire triestino Guglielmo Oberdan, evento che infiammò non solo gli animi dei giovani irredentisti triestini e dalmati ma anche quelli dei simpatizzanti italiani e che sfociarono in prolungate proteste di piazza represse con estrema violenza dalle autorità di polizia con l’aiuto dell’esercito.

    In questo complicato contesto irredentistico auspicante l’annessione della città all’Italia si inserisce una ulteriore complicazione, la continua immigrazione slovena, che nei primi anni del 900 è molto consistente e che per evidenti fatti contingenti è favorevole all’Impero. La necessità di manodopera per la ristrutturazione e l’ampliamento del porto e la realizzazione di una ferrovia di collegamento con l’interno dell’Impero facilita queste immigrazioni di massa e gli irredentisti temono che quell’immigrazione, facilitata dalla amministrazione austroungarica, metta ancora di più in difficoltà quel lento processo di italianizzazione.

    Gli slavi in gravi difficoltà economiche nel loro paese vengono incentivati a trasferirsi a Trieste dove avrebbero trovato lavoro e quindi una vita più dignitosa, non ci si può lamentare che appoggino l’Impero.

    Nasce così un forte sentimento di contrasto all’immigrazione slovena che diverrà con il tempo comune a moltissimi triestini e nel futuro creerà continui problemi. Le manifestazioni promosse dagli irredentisti triestini creano anche qualche tensione fra il governo italiano e quello austriaco che accusa senza mezzi termini il Regno d’Italia di istigarle e sostenerle.

    Spesso per stroncare le manifestazioni le autorità austroungariche devono far ricorso alle maniere forti, gli arresti dei manifestanti sono sempre più numerosi e le pene che vengono comminate sempre più severe da Vienna l’ordine è tassativo nessuna comprensione per chi si ribella alla legalità.

    Inutili sono le proteste del Governo Italiano sulla durezza delle repressioni, per l’amministrazione imperiale oltre ad affermare che avvengono su suolo austroungarico precisano che sono manifestazioni non autorizzate e quindi vanno sciolte e se i manifestanti reagiscono la polizia è costretta a reprimerle con durezza. Vienna ribadisce con la massima determinazione che la città di Trieste è parte integrante dell’Impero Austroungarico e nessuna altra alternativa può esistere.

    Giovanni ad una manifestazione viene fermato, portato alla sede della gendarmeria ed interrogato ma dopo un paio di ore rilasciato, questo avvenimento resterà però come un marchio nei suoi documenti e gli creerà in seguito alcuni problemi per ottenere permessi ed autorizzazioni. Emma quando viene a conoscenza del fatto ne resta più che sorpresa, preoccupata, conosce e rispetta le idee politiche del marito ma lo invita ad evitare di compromettersi, Giovanni l’ascolta ma non reagisce accetta quel rimprovero e le promette che eviterà di partecipare alle manifestazioni, che farà più attenzione ma non rinuncerà mai alle sue convinzioni.

    Giovanni è di professione un artigiano falegname e con Umberto Salvi socio ed amico ha da anni creato una piccola fabbrica di mobili, gli affari vanno abbastanza bene e le condizioni di vita della famiglia sono buone, i mobili che producono hanno un buon mercato sia in città che nei paesi vicini, sono resistenti e funzionali e poi hanno un ragionevole costo che non è poco in quei delicati momenti economici.

    Per Giovanni l’Italia è la sua patria, ne è profondamente convinto e malgrado la promessa fatta ad Emma dopo quel fermo di polizia, continua a frequentare, evitando di partecipare alle manifestazioni di piazza, i circoli irredentistici. In sostituzione dei circoli chiusi dalla polizia ne nascono di nuovi per continuare a promuovere l’italianità della città, di conseguenza sempre di più si fa sentire la repressione della polizia asburgica. Arresti, processi e condanne si fanno più frequenti ma nello stesso tempo fanno si che i simpatizzanti a quelle associazioni aumentino continuamente.

    Giovanni dopo il fermo resta come promesso a Emma ai margini di quelle lotte, frequenta il circolo ma non partecipa alle manifestazioni pubbliche di protesta, si rende conto che in quel momento non è il caso di rischiare, deve pensare a Emma e ad Enrico non può mettere la loro sicurezza e il loro futuro a repentaglio per una idea che comincia a pensare non sarà di rapida realizzazione.

    Questa malinconica constatazione non gli farà cambiare idea ma lo renderà almeno in quei momenti più prudente.

    La vita della famiglia di Giovanni scorre normalmente, con la moglie Emma si conoscono da quando frequentavano le scuole elementari, lei aveva continuato a studiare sino alla licenza tecnica mentre lui ottenuta la licenza elementare aveva iniziato a lavorare presso un falegname amico del padre e vi aveva rapidamente imparato il mestiere.

    Giovanni è nato nel 1875 un secolo quello dell’800 che aveva visto nel 1851 fra le tante avvenute l’invenzione negli USA della macchina da cucire, un’invenzione che avrà negli anni a venire un peso notevole nella vita della sua famiglia. Pochi anni dopo a Milano nel 1883 viene fondata la Società Generale di Elettricità che porta gradualmente la corrente elettrica nelle case. La tecnologica con gli anni avrà sempre maggior sviluppo e le scoperte e le invenzioni si susseguiranno a ritmo continuo.

    L’800 resterà inoltre indelebile negli annali della industria delle costruzioni in quanto vi verrà eseguita una delle opere ingegneristiche più imponenti e prestigiose del mondo, il Canale di Suez in Egitto, progettato dall’ingegnere trentino Luigi Negrelli e costruito dalla compagnia francese diretta da Ferdinand de Lesseps il canale permetterà di evitare la circumnavigazione dell’Africa riducendo drasticamente i tempi di consegna delle merci con enormi vantaggi economici per importatori ed esportatori.

    E ancora, nella seconda metà dell’800 iniziano le costruzioni delle prime linee ferroviarie che collegando le città fra loro cambia totalmente il modo di viaggiare e dà la possibilità di trasferirsi da un luogo all’altro non solo alle persone agiate ma di tutte le classi sociali.

    Il mondo ha iniziato la sua lenta ma costante modernizzazione.

    Per anni Giovanni ed Emma si erano persi di vista, poi un pomeriggio di una domenica d’estate passeggiando con amici sul lungomare di Barcola si erano incontrati per caso, si erano salutati e parlando avevano ricordato i tempi della scuola.

    Quanti anni sono trascorsi dall’ultima volta che ci siamo visti, eravamo ancora bambini, mi ricordo che eri la più scatenata nei giochi in cortile e noi maschi cercavamo sempre di stare al passo con te

    Credo che siano passati diciotto anni, anch’io mi ricordo di te eri quello più calmo quello che non faceva mai dispetti e mi ricordo che un giorno mi hai anche dato un bacino sulla guancia

    Hai una buona memoria complimenti ed ora cosa fai?

    Ho terminato la scuola professionale e cerco di imparare a ricamare presso una sarta e tu se non mi ricordo male avevi una passione per i lavori in legno?

    E’ vero ti ricordi bene, lavorare il legno è stata sempre la mia passione, appena terminate le elementari sono andato a imparare il mestiere da un falegname amico di mio padre ed ora lavoro in una falegnameria anzi in una piccola fabbrica di mobili è un buon lavoro e ne sono soddisfatto

    Giovanni vincendo la sua timidezza verso l’altro sesso le chiede se può rivederla e Emma accetta, da bambina aveva sempre avuto una certa simpatia per lui, si sarebbero incontrati la domenica dopo alla pineta di Barcola una delle più belle zone di Trieste che si estende dal rione di Roiano al castello di Miramare .E’ soprattutto una zona residenziale e se escludiamo la chiesa di san Bartolomeo costruita nel 1785 e nel cui interno si trova la statua di san Matteo opera dello scultore Enrico Merengo, non ha altre opere importanti se non vogliamo includere fra queste alcune ville di un qualche interesse architettonico.

    Barcola è durante tutto l’anno meta di passeggiate ed i numerosi locali lungo la riviera sempre pieni nei giorni festivi danno una precisa fotografia delle abitudini dei triestini portati alle gite ed alle passeggiate anche in inverno quando sfidano il vento di bora che soffia impetuoso lungo la scogliera sul mare non rinunciano alla loro abitudine di vita all’aperto.

    Ma è nei mesi estivi che Barcola vive il suo migliore ed intenso periodo affollandosi di bagnanti che si ritrovano nei così detti < Topolini > piattaforme balneari e luoghi di aggregazione per chi va al mare, uno splendido mare che si infrange contro gli scogli ed accoglie gli appassionati del bagno

    I triestini quando si recano al mare usano appunto l’espressione vado al bagno.

    Emma è una bella ragazza con gli occhi marrone e con i capelli castani tirati e raccolti in una coda che le scende dietro le spalle, Giovanni ricordava che alle elementari portava i capelli sciolti sulle spalle, certo dopo tanti anni qualcosa era cambiato ma è sempre molto bella. Il loro rapporto settimana dopo settimana riprende, e piano, piano l’amicizia diventa un sentimento più forte.

    La famiglia di Emma venuta a conoscenza di quegli incontri non è molto favorevole, in casa ritengono Giovanni un ragazzo senza un sicuro avvenire, ma Emma non li ascolta e continua a frequentarlo e gliene parla, Giovanni le promette che dimostrerà a quella famiglia così scettica nei suoi confronti che avrebbe saputo costruire una famiglia senza problemi. Con l’aiuto del padre e impegnandovi la piccola eredità lasciategli dal nonno materno, apre un modesto laboratorio di falegnameria e comincia a produrre piccoli mobili e da romantico come è sulla insegna sopra la porta fa scrivere a caratteri cubitali : < Il MOBILE DI EMMA> Emma quando vede l’insegna si commuove, se a scuola aveva una simpatia per lui ora ne è decisamente innamorata.

    Gli ordini arrivano e l’attività del laboratorio aumenta al punto che Giovanni chiede ad Umberto Salvi un suo caro amico ed anche lui esperto falegname se fosse disposto ad associarsi con lui, Umberto accetta con entusiasmo e così nasce il binomio Giovanni – Umberto.

    I genitori di Emma resisi conto della buona volontà di quel ragazzo e dei sinceri sentimenti che prova verso la loro Emma a quel punto non si oppongono più, le due famiglie si incontrano ed i due giovani si fidanzano ufficialmente. I rapporti, come dire, amorosi fra i due sono complicati, si incontrano sempre o alla presenza della mamma di lei o della sua sorella maggiore Lucia, è persino difficile baciarsi ma Giovanni ha trovato un espediente, con la scusa di farle vedere i nuovi mobili che sta realizzando la invita assieme alla sorella al laboratorio e qui aiutato dal socio che si prende cura della sorella di Emma riesce ad avere alcuni brevi momenti di intimità certo non è gran cosa ma i loro baci in quei momenti avevano un calore ed una passione incredibile. Non possono farlo spesso per non insospettire i genitori o la sorella di Emma ma il destino aveva in serbo una sorpresa e un giorno Umberto nel recarsi in laboratorio trova lungo la strada un cucciolo di cane e lo porta al laboratorio, quando Emma e la sorella vi giungono Umberto sta giocando con il cucciolo e le due ragazze ne restano entusiaste, poi il cucciolo si infila sotto una catasta di legname e per quanto faccia non riesce a venirne fuori, lucia si offre di aiutare Umberto per riprendere il cucciolo.

    Giovanni e Emma restano soli! Giovanni la prende per mano e la conduce nel retro del laboratorio e lì i baci e le carezze si fanno sempre più infuocati.

    Emma è una ragazza in un certo senso moderna per quei tempi, frequenta alcune amiche che di quelle cose ne sapevano più di lei e ascoltandole se ne era fatta una idea abbastanza realistica, cioè sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro se lo avesse lasciato fare e fa in modo che la vicinanza non sia pericolosa.

    D’altronde non era facile spogliare una donna e ancora meno facile era farlo in quel angusto locale, era d’uso a quel tempo per le donne indossare un busto allacciato con stringhe, lunghi mutandoni e poi sottogonne e poi ancora il vestito, Giovanni si ingegna come può ma è molto complicato e non hanno molto tempo a disposizione e allora oltre che a carezze e baci altro non possono fare.

    Quella difficoltà li rende prima nervosi ma poi la prendono a ridere, si accontentano di quello che possono fare e cercano di trarne il maggior piacere possibile.

    Fu quella la prima volta che oltre ai baci ci fu qualcosa di più, Emma quasi si vergognava di avergli concesso tanto ma poi ripensandoci ne era felice, lo amava e quello, da quanto ne sapeva, facevano gli innamorati e non c’era proprio niente di cui vergognarsi.

    Quando rientrano al laboratorio, Umberto e la sorella di Emma sono ancora lì che giocano con il cucciolo, Lucia non si accorge di nulla o almeno così sembra ma Umberto aveva capito tutto e strizzò l’occhio a Giovanni. Il cucciolo da quel giorno rimase al laboratorio e ne divenne la mascotte, gli misero un nome significativo, lo chiamarono < Libero >.

    Le due ragazze rientrano a casa, Emma era felice e se anche preoccupata che poi quell’amore potesse finire ripensava a quei momenti meravigliosi fra le braccia di Giovanni con infinita tenerezza ed il suo pensiero era solamente per quando si sarebbero ripresentati. Avrebbe voluto raccontare a tutti di quell’amore ma a casa non era pensabile non poteva certo parlarne con la madre che non l’avrebbe più fatta uscire di casa ne tanto meno con la sorella Lucia che la doveva sorvegliare e lei ne aveva tradita la fiducia, si tenne tutto per se e ogni volta che vi pensava sentiva una emozione diversa. Alla sera quando resta sola nella sua cameretta ricorda oltre a i baci il momento in cui Giovanni aveva per la prima volta infilato la mano nel corsetto e le aveva accarezzato un seno, aveva sentito un brivido percorrerle il corpo.

    Anche Giovanni quella sera fa fatica ad addormentarsi era riuscito non sapeva come a infilare una mano nel corsetto di Emma ed aveva accarezzato la pelle vellutata dei seni. Le occasioni dopo quella prima volta in verità non furono molte, ma ogni volta procuravano nei due innamorati una sensazione nuova.

    Dopo un anno nel 1903 decidono di sposarsi, ormai il laboratorio era ben avviato e la famiglia di Emma apprezza sempre di più le capacità di quel ragazzo, soprattutto il padre di Emma lo apprezza oltre che per la capacità nel lavoro anche per le sue convinzioni politiche molto simili alle sue.

    Spesso ne parlano e si augurano che un giorno non lontano Trieste venga unita al regno d’Italia, erano due socialisti ma con un ideale nazionalistico, una strana combinazione ma che li univa in uno scopo primario quello di Trieste italiana. Ripensando a quando aveva saputo dei primi incontri di Emma con quel ragazzo forse aveva sbagliato a giudicarlo ma come spesso ripeteva l’importante è saper cambiare opinione al momento opportuno. Le famiglie si accordano e insieme aiutano i due ragazzi a trovarsi un buon appartamento. Emma giunge al matrimonio con la sua purezza intatta e la prima notte dopo i primi momenti di difficoltà capisce cosa vuol dire fare l’amore con l’uomo che si ama, sarà una unione perfetta in tutti i sensi. Ricorderà negli anni a venire con tenerezza ed una certa emozione un particolare di quella notte quando si era trovata indossando solamente una trasparente camicia da notte regalo di alcune sue amiche, davanti ad un uomo, anche se da poche ore quell’uomo era suo marito quasi si vergognava e quando Giovanni le sfilò la camicia con una certa preoccupazione pensò a cosa sarebbe accaduto guardava l’eccitazione di Giovanni crescere e pensava cosa avrebbe provato nel momento in cui sarebbe entrato in lei. Cosa sarebbe accaduto avrebbe provato dolore o piacere?

    Di una cosa è certa da quel momento la sua vita cambierà, sarà donna.

    Il ricordo di quegli intensi momenti non l’abbandonerà mai.

    Come era d’uso a quei tempi erano le madri a dare qualche suggerimento sul primo rapporto con un uomo, ma Emma in quel momento non ricordava proprio quanto le aveva detto. Poi i baci e le carezze avevano preso il sopravvento e tutte le preoccupazioni erano passate. Nel giorno del primo anniversario di matrimonio si recano a cena nello stesso locale dove avevano celebrato il pranzo di nozze, erano felici.

    Rientrati in casa Emma volle fare una sorpresa a Giovanni ed indossò la stessa camicia da notte della prima notte di nozze.

    Sai amore quella prima notte trovarmi davanti a te con solo questa camicia indosso mi aveva messo in agitazione non sapevo come comportarmi ma poi la tua dolcezza e la tua delicatezza mi fecero passare ogni imbarazzo

    Mi ricordo benissimo restai incantato a guardarti neanche io sapevo bene cosa fare poi l’amore ci diede una mano e ora sono di nuovo incantato qui a guardarti e ancora di più ti amo

    Dopo un anno il loro amore è lo stesso di quella prima notte. Dopo due anni nel 1905 nasce Enrico e la loro felicità è completa, sono una famiglia e lo saranno per sempre.

    Enrico cresce in una famiglia unita, circondato dall’affetto dei genitori e dei nonni che cercano di non fargli mancare nulla e se alcuni problemi sorgeranno a scuola, come abbiamo già raccontato non saranno mai talmente importanti da scalfire la serenità della famiglia.

    Ma qualcosa attorno a loro sta cambiando.

    Siamo nei primi giorni del 1914 e la preoccupazione per il domani sta prendendo il sopravvento, troppo spesso si sente parlare di un imminente guerra e quando le autorità austroungariche chiamano alle armi tutti gli uomini validi le preoccupazioni crescono ancora di più. Fra quegli uomini ci sono anche Giovanni ed Umberto. Per Giovanni inizia un periodo difficile, non sa cosa fare, si sente italiano ed il pensiero di venir arruolato in un esercito che magari dopo poco tempo sarebbe stato inviato a combattere proprio contro l’Italia lo rende insicuro e nervoso, ne parla a lungo con Emma che cerca di convincerlo che in quel momento non poteva rifiutarsi, i decreti governativi parlano chiaro chi non si presentava alle visite preliminari verrà arrestato e processato.

    Giovanni non può che darle ragione si presenterà e poi attenderà gli sviluppi. Alla visita Umberto viene dichiarato inidoneo, da bambino aveva avuto la poliomelite che gli aveva lasciato una forma di malformazione alla gamba destra che lo costringe a zoppicare leggermente ma per Giovanni non c’è niente da fare viene dichiarato abile ed arruolato. A quel punto il suo primo pensiero è che quando verrà chiamato per presentarsi in caserma non lo farà, ma poi pensa, come gli aveva detto Emma, alle conseguenze di un simile gesto, le disposizioni di legge sono molto chiare, chi non si fosse presentato sarebbe stato considerato un renitente, sarebbe scattato l’arresto e la conseguente condanna al carcere duro.

    Giovanni non sa come comportarsi sa solamente che non vuole indossare la divisa austriaca ed andare a combattere contro l’Italia, perché sempre più spesso è contro l’Italia che si parla di guerra, non gli resta che una soluzione, lasciare Trieste prima di ricevere l’ordine di presentazione.

    Non c’è dubbio che sia un rischio altissimo, la legge che regola gli espatri verso l’Italia è molto chiara in proposito, senza la autorizzazione delle autorità nessuno può lasciare la città.

    Giovanni è deciso non combatterà mai contro quella che lui considera la sua vera Patria, costi quello che costi. Emma lo ascolta preoccupata, conosce le convinzioni politiche di Giovanni e lo comprende ma ha paura, andarsene o meglio scappare da Trieste in quel momento era come disertare ed i disertori sapeva bene che fine facevano, sa quale battaglia si sta svolgendo nell’animo e nel cuore del suo uomo ma lo ama con tutta se stessa e qualsiasi sarà la sua decisione l’accetterà. Pregherà Dio che tutto vada bene, non può fare nient’altro.

    L’irredentismo si rafforza e dopo la condanna di uno studente triestino a 5 anni di carcere per apologia di Oberdan le manifestazioni hanno un nuovo impulso.

    Giovanni parla della possibilità di lasciare la città con alcuni amici che frequentano il circolo rionale dove quel problema è anche di altri. Se si voleva evitare il servizio militare si doveva fare come altri avevano già fatto o stavano per fare, lasciare la città prima che le ostilità inizino ma soprattutto prima che arrivi l’avviso di presentarsi in caserma. Attraversare il confine clandestinamente era una soluzione che andava bene per quelli che non avevano famiglia, lui aveva moglie ed un figlio, non poteva certo portarli con se, sarebbero rimasti e a quali conseguenze li avrebbe esposti? e poi se lui se ne andava con quali risorse economiche avrebbero vissuto? Erano domande che si poneva ed a cui non riusciva a rispondere.

    Andandosene clandestinamente da Trieste avrebbe comportato il rischio che la famiglia fosse accusata di complicità per aver coperto la sua fuga e magari Emma incarcerata e Enrico mandato chissà dove.

    Se resta non ha alternative dovrà al momento della chiamata presentarsi in caserma ed indossare l’odiata divisa e andare a combattere contro quelli che lui considera da sempre i suoi fratelli italiani.

    Ne parla a lungo anche con Umberto ed è lui a suggerire una possibile soluzione.

    Non molto ma hai ancora tempo prima di presentarti in caserma, trova una buona scusa non so per esempio che uno dei tuoi suoceri è gravemente ammalato, prendi moglie e figlio e vai da loro in Italia capisco che è rischioso, molto rischioso ma se non vuoi indossare quella divisa non hai altra scelta che andartene, molti lo hanno già fatto e molti altri per quanto si sente in giro hanno in programma di farlo

    A Giovanni sembra una buona soluzione e quando torna a casa ne parla con Emma.

    Ho paura è troppo rischioso, non possiamo esporre Enrico ad un tale pericolo, lasciare Trieste anche se con una buona scusa e poi non tornare verrà considerata una fuga o peggio un tradimento e poi come vivremo, abbiamo un figlio e per prima cosa dobbiamo pensare a lui ed al suo futuro

    Giovanni ascolta Emma e anche se deve concordare con lei sui problemi che si verrebbero a creare resta deciso ad andarsene, non può e non vuole restare, già altri triestini hanno lasciato la città, deve farlo anche lui e non ha molto tempo per decidere, deve trovare una soluzione.

    Sono sicuro, Emma, che una volta usciti da Trieste con qualche sacrificio riusciremo ad andare avanti e poi vivremo a casa dei tuoi genitori ed è già un grande vantaggio, molti hanno già scelto di lasciare Trieste per andare a vivere in altre città italiane sperando di ritornare quando il tricolore sventolerà sul Castello di San Giusto, dobbiamo farlo anche noi

    Tutti i triestini o quasi infatti sognano che in caso di guerra l’Impero Austroungarico venga sconfitto e finalmente Trieste possa far parte del Regno d’Italia. Sognare non costa niente.

    Ma ancora una guerra non è stata dichiarata e se poi non lo fosse come potrebbero rientrare in città, quali sarebbero le reazioni della polizia asburgica nei riguardi di quelli che se ne erano andati o meglio scappati?

    E’ una altra domanda che si pone Emma.

    Per il momento la sensazione generale è che una guerra non sia lontana, ma quale certezza esiste?

    In Giovanni la lotta fra lasciare la città o rimanere e così tradire i suoi ideali è devastante. Deve scegliere fra l’amore per la Patria italiana ed il rischio a cui esporrebbe Emma ed il figlio con una fuga, è una scelta tremendamente difficile, se venisse scoperto ed arrestato cosa accadrebbe alla sua famiglia, verrebbero nella migliore delle ipotesi internati in qualche campo di concentramento, probabilmente non li vedrebbe mai più. Non può neanche immaginare una simile eventualità, deve assolutamente trovare un'altra soluzione e anche presto. Il giorno in cui si dovrà presentare alla caserma potrebbe non essere lontano.

    Non sa con chi consigliarsi, i suoi genitori erano deceduti due anni dopo il suo matrimonio, non ha fratelli, l’unica persona con cui ne può parlare come sempre ha fatto nei momenti più difficili è Umberto.

    Non so cosa fare sono combattuto fra l’idea di tentare di andare in Italia con tutti i rischi che ne deriverebbero e quella di rimanere e magari fare in modo di evitare in qualche modo il servizio militare

    Umberto ascolta, comprende bene quale dramma sta vivendo il suo amico.

    Alle visite mediche sei stato giudicato idoneo come puoi ora pensare di evitare di presentarti

    Ho pensato di simulare un incidente sul lavoro, magari tagliarmi un dito della mano e così non potrei sparare, non ci sarebbero sospetti faccio il falegname e giornalmente lavoro con le seghe, un incidente può sempre accadere

    Potrebbe essere una soluzione ma credo che non riusciresti comunque ad evitare l’arruolamento verresti avviato ad altri servizi, bisogna trovare un altro modo per superare questo ostacolo, non hai molto tempo e se vuoi andartene devi farlo prima che sia troppo tardi

    Hai ragione devo andarmene non posso perdere altro tempo, stasera ne parlerò ancora con Emma

    Spesso dopo il lavoro Umberto e Giovanni passavano al circolo ricreativo del quartiere ma da qualche giorno era stato chiuso dalle autorità di polizia con l’accusa che era un covo di irredentisti, due soci erano stati arrestati e incarcerati. Umberto era venuto a sapere dal fratello di uno dei due arrestati che le autorità lo avevano immediatamente trasferito presso un reggimento di fanteria già schierato ai confini, l’altro che aveva rifiutato l’arruolamento era stato condannato a dieci anni di prigione dura.

    La situazione si stava facendo ogni giorno più difficile e la polizia non dava tregua a quanti fossero sospettati di idee irredentistiche. A quelle notizie Giovanni si convince sempre più che doveva lasciare la città prima che fosse troppo tardi.

    Per attuare il piano suggerito da Umberto, da un amico di famiglia che settimanalmente veniva dal vicino Friuli a portare legname al laboratorio fa sapere ai suoceri che Emma aveva bisogno venissero per alcuni giorni a Trieste per aiutarla con il piccolo ammalato. Dopo alcuni mesi dal matrimonio di Emma i genitori si erano trasferiti in Italia in un paese a poco meno di cinquanta chilometri dal confine, trasferimento dovuto ai motivi di salute del fratello più piccolo di Emma che soffriva di una malattia polmonare e vivere in città non era certo il posto migliore per tentare di guarire. Si erano sistemati in una casa appena in collina dove l’aria era migliore, purtroppo quella soluzione non era servita a molto e dopo pochi mesi il ragazzo se ne era andato. Fu un duro colpo per tutti ed anche se da tempo i medici avevano messo sull’avviso la famiglia della gravità della malattia quel momento fu egualmente molto doloroso.

    Con i genitori rimase Lucia la figlia maggiore, inutilmente Emma aveva proposto alla sorella di andare a vivere da lei, ma lei non aveva voluto abbandonare i genitori, sosteneva che in quel paesino della Carnia si trovava bene e non vedeva la ragione per trasferirsi in città, Emma sospettò che nella decisione della sorella di restare ci fosse qualche altra ragione ma non le fece nessuna domanda.

    Emma aveva ragione a pensarlo infatti Lucia aveva una relazione abbastanza travagliata con il figlio del farmacista del paese, era un prendersi e lasciarsi ma lei lo amava e accettava quella situazione anche se spesso pensava di troncare, poi quando era fra le sue braccia ogni pensiero svaniva, non si era confidata mai con nessuno ed anche se qualche volta ne avrebbe voluto parlare con Emma poi al momento di farlo vi rinunciava e si teneva tutto per sé.

    Il padre di Emma era un commerciante di frutta e verdura ed una volta al mese veniva a Trieste per le consegne e nell’occasione oltre ad incontrare i clienti si ritrovava con alcuni vecchi amici che lo tempestavano di domande sui movimenti che si stavano sviluppando in Italia in quei momenti storici così delicati. Per quanto ne sapeva rispondeva che in Italia si stavano formando due distinti fronti uno per scendere in guerra a fianco dell’Impero ed uno che tentava di spingere il Re a schierarsi contro l’Impero al fianco della Francia, dell’Inghilterra e della Russia.

    Altro non sapeva, viveva in un piccolo paese, le notizie quando arrivavano erano sempre con ritardo.

    Terminate le consegne si recava a casa di Giovanni per salutare la figlia, Giovanni ed il nipotino, alcune volte quando faceva più tardi del solito restava a cena e a dormire.

    Giovanni gli parlò della possibilità di lasciare la città, ne discussero a lungo valutando i pro ed i contro di quella idea. Il suocero aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo a lasciare Trieste ma alla fine si era convinto che se Giovanni non voleva combattere come soldato dell’Impero non esistevano alternative se ne doveva andare ed anche al più presto. Senza che Emma lo sentisse raccontava a Giovanni di aver saputo di alcuni triestini che cercavano di passare il confine clandestinamente erano stati arrestati e senza processo mandati nel nord dell’Austria nelle miniere di carbone o di altri che alla intimazione di fermarsi delle guardie di frontiera non si erano fermati le guardie avevano sparato, era una situazione che si stava facendo ogni giorno più pericolosa e drammatica.

    Ad ogni incontro Giovanni gli parlava della sua volontà di lasciare la città ed ancora una volta il suocero seppur in linea di massima favorevole lo invitava a pensarci bene prima di prendere la decisione definitiva.

    Giovanni capiva bene le preoccupazioni del suocero ma la sua intenzione di andarsene da Trieste rimaneva ferma. Con Emma ne parla si può dire quotidianamente e insieme cercano di analizzare ogni mossa e ogni conseguenza. Alla fine prendono la decisione, doveva andarsene, avrebbe contattato il commerciante amico del papà di Emma e avrebbe fatto sapere ai suoceri che aveva urgente bisogno che venissero a Trieste. Appena i suoceri ricevono la richiesta di andare da Emma per aiutarla con il piccolo ammalato si organizzano per partire, dopo due giorni alla sera al rientro dal lavoro Giovanni li trova in casa.

    Dopo cena Giovanni espone il piano che aveva preparato su suggerimento di Umberto. Il padre di Emma è preoccupato per il nipote e per la figlia, ai posti di confine i controlli si erano intensificati e da quando esisteva il pericolo della guerra le guardie di frontiera avevano avuto ordini severissimi per controllare chi usciva dall’Austria per recarsi in Italia. Un minimo sospetto faceva scattare l’arresto, racconta il suocero, ed in quel caso cosa ne sarebbe stato di Emma e di Enrico, Giovanni ribatte che avendo i genitori che vivevano in Italia per Emma ed il piccolo non poteva esserci nessun secondo fine per quell’attraversamento di confine, non avrebbero portato bagagli ingombranti ma solo lo stretto necessario per una visita di pochi giorni e poi lo avevano fatto già diverse volte ed il passaporto di Emma ne avrebbe dato la conferma.

    Non sarebbe andato con loro per non insospettire i doganieri, li avrebbe raggiunti in seguito.

    Hai ragione Giovanni, Emma e il piccolo hanno attraversato più volte il confine ma erano altri tempi ora la situazione è cambiata, ora si parla sempre di più di guerra

    Alla fine dopo lunghe discussioni Giovanni riesce a convincere i suoceri, Emma e Enrico sarebbero partiti con loro, poi lui li avrebbe raggiunti. Risolto quel problema un altro se ne presenta, Giovanni per transitare al valico di frontiera doveva essere in possesso del passaporto.

    Emma lo aveva si può dire da sempre in quanto il padre aveva una attività commerciale che lo portava frequentemente ad attraversare il confine nei due sensi e quando Emma aveva raggiunto l’età per ottenerlo lo richiese e lo ottenne in quanto figurava come collaboratrice alla attività commerciale paterna.

    Per Emma ottenere il passaporto era stata una conquista importante, in quegli anni la donna viveva ancora nei limiti imposti da una situazione che si poteva sintetizzare nel vecchio detto tedesco:

    < Cucina, Bambini, Chiesa >

    E’ quella di quei tempi sostanzialmente una società patriarcale dove il dominio del maschio è quasi assoluto e resiste con tenacia ai mutamenti che cominciano a farsi sentire nei grandi centri di tutta Europa.

    Le donne nell’Impero non hanno ancora il diritto di voto, sono praticamente ai margini della società e ci vorranno dure lotte per ottenere quei diritti che altre nazioni avevano già concesso.

    Ma anche in Italia la condizione femminile non è molto diversa da quella dell’Impero.

    Nel maggio del 1912 durante la discussione sulla legge i riforma elettorale per dare diritto di voto agli analfabeti alcuni deputati propongono un emendamento per concedere il voto alle donne.

    Il Primo Ministro Giolitti si oppone strenuamente definendolo < un salto nel buio >.

    La questione viene accantonata.

    Emma vive una condizione diversa il padre non

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