Salve, libertà: Foscolo, Calvo, Solomòs e il risveglio della coscienza nazionale
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Anteprima del libro
Salve, libertà - Alessandra Cenni
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2023 Gammarò edizioni
Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)
www.librioltre.it
ISBN 979-12-80649-35-5
isbn_9791280649355.jpgTitolo originale dell’opera:
Salve, libertà
Foscolo, Calvo, Solomòs e il risveglio della coscienza nazionale
di Alessandra Cenni
Collana * Le bitte *
ISBN formato cartaceo: 979-12-80649-05-8
L’AUTRICE
Alessandra Cenni
Alessandra Cenni, ricercatrice e docente di Letteratura Italiana e Letterature Comparate, ha conseguito un dottorato di ricerca internazionale-label europeo presso l’Università di Roma2- Tor Vergata e Atene Capodistriako
nel 2014, precedentemente aveva ottenuto la specializzazione di tre anni di postlaurea in Letterature comparate greca-italiana presso l’Università di Salonicco (Grecia) Si occupa da molti anni di poesia e di teatro, didattica e ricerca.
Ha curato l'Opera completa di Antonia Pozzi per diversi editori, dalla prima edizione moderna con Scheiwiller-Garzanti (1986) all'ultima con Bietti (2013), oltre alla biografia: In riva alla vita, (Rizzoli, 2002). Ha scritto anche un accurato ritratto critico-biografico di Emily Dickinson: Cercando Emily Dickinson (Milano, Archinto, 1998) e il saggio biografico Gli occhi eroici (Mursia, 2011) Ha pubblicato poesie che interpreta in forma di performances, allestite in spazi inusuali : Silhouettes-L’Altra Poesia (1994), Le tuffatrici (1997) e Cosmonautiche (2002) , Corpi celesti (2010) che ha ottenuto il primo premio al concorso internazionale di poesia Tulliola, Città di Formia, 2012.
Ha ideato e realizzato anche mostre di poesia visiva, tra cui la mostra sulla Lettera come scrittura creativa, con autografi e interventi di poesia visiva, alla Biblioteca Sormani di Milano nel 2010. L’ultima mostra da lei realizzata: Pietre parlano
è stata allestita nel luglio 2013 nell’antico palazzo della Commenda di Pré a Genova. Nel 2013 è uscito anche il suo primo romanzo, Pietre e onde (Robin-Biblioteca del vascello), presto in e-book: un romanzo d’avventura e filosofico, ispirato alla teoria dell’eterno ritorno.
INTRODUZIONE
Il nostro intento è di delineare, con l’apporto di documenti e testimonianze, i momenti e i luoghi della convergenza culturale tra Grecia e Italia nella prima metà del secolo XIX.
Definiamo del risveglio
questo periodo, perché esso effettivamente coincide, non solo con la nascita e l’affermazione di una coscienza nazionale, ma anche con un vero e proprio Rinascimento culturale e artistico per le due principali civiltà dell’area mediterranea.
Per comprendere i motivi e gli aspetti peculiari di tale rinascita e conoscere quindi i movimenti, gli autori e le opere che la determinarono e la tramandarono all’età successiva, è apparso necessario proporre un quadro storico, ancorché essenziale, che riguarda principalmente la vicenda europea in generale, e greca in particolare, in quegli anni che vanno dai primordi della rivolta al consolidarsi del nuovo stato greco e della sua partecipazione agli avvenimenti europei coevi.
Non si può, infatti, comprendere il significato e l’apporto alle cause della libertà greca e/o italiana di Foscolo o di Solomòs, se non si è sufficientemente definito il cammino della rivoluzione di cui sono stati ispiratori. La poesia e la storia, infatti, si intersecano su percorsi che lo studioso deve necessariamente compiere, tanto più quando questo avviene in concordanza con la scelta etica, politica, culturale degli autori di cui ci occuperemo.
1. INQUADRAMENTO STORICO: VERSO LA RIVOLUZIONE
1.1 Premessa
Com’è noto, il lungo periodo storico che va dalla caduta di Costantinopoli (29 maggio 1453) all’avvento della rivoluzione (1821), di cui quest’anno si ricorda il bicentenario, è definito in Grecia turcocrazia
. La penisola balcanica, una volta avviato il disfacimento dell’impero bizantino, era stata rapidamente assoggettata dai turchi ottomani, con una conquista iniziata dalla terraferma e continuata nelle isole, strappate al dominio secolare di Venezia, che conserverà solo le Jonie fino al 1795.
Gli ottomani non si erano affatto fusi con le popolazioni ferocemente sottomesse, ma presero possesso dei territori greci come un esercito perennemente dedito a violenze e saccheggi.
I Sultani mantennero comunque il Patriarcato della Chiesa Ortodossa, nel quartiere del Fanar, a Costantinopoli, confermando le concessioni che già gli imperatori bizantini avevano fatto alla chiesa e ai prelati ortodossi. Il Patriarca estendeva dunque la sua autorità sui popoli balcanici di religione cristiana ortodossa con l’ambizione di estendere l’ellenismo e mortificare le diversità nazionali ed etniche. I turchi manifestavano una sostanziale incapacità nel governo di popoli aventi caratteristiche tanto differenziate, ostacolati anche dal Corano che proibiva loro di usare la lingua degli infedeli
. Il Patriarcato poteva dunque immettere nell’amministrazione elementi scelti, fedeli, di origine nobile: alcuni fanarioti
, poi, divennero così potenti da essere nominati governatori della Moldavia e della Valacchia, a perpetuare, quindi, una sorta di peculiarità greca
, con la collaborazione nell’amministrazione e nell’esercito di elementi da loro reclutati.
Ma il consolidarsi del feudalesimo turco assegnava le terre più fertili dei più grandi ai turchi, con eccezione solo di quelle regioni, come il Peloponneso e Creta, che erano state conquistate più tardi, o delle proprietà intangibili dei monasteri.
Le popolazioni che godevano relativamente di maggiore autonomia erano quelle isolane, dedite a un ricco commercio, e alcune comunità montane, come i Sulioti dell’Epiro, con il solo onere del contributo fiscale (i kefallochorìa
).
Le fiorenti attività commerciali, che portarono i mercanti greci in tutti i principali centri economici e culturali dell’Occidente e del Medio Oriente, costituiscono l’unica vera manifestazione di sviluppo per il popolo greco, con l’affermazione di nuovi ceti sociali, più dinamici e ribelli alle imposizioni della retriva dirigenza ottomana. Con il trattato di Kiuzùk-Kainargi, lo zar permetteva alla Marina greca, che batteva bandiera russa, di transitare liberamente negli stretti. Era il 1774. I Greci trassero vantaggio anche dal blocco continentale imposto alla Francia napoleonica, sbarcando illegalmente sulle coste francesi e vendendo i loro carichi a dispetto del controllo di Sua Maestà britannica. Il commercio, che arricchiva le isole, era anche uno stimolo per la produzione di alcune materie prime e manufatti: dall’olio al cotone, dal vino ai tessuti. Si formava dunque un moderno, efficiente nucleo commerciale e capitalistico, a fronte di un sistema feudale immobilistico che si poneva ormai ai margini dell’evoluzione economica del mondo contemporaneo e mostrava dunque anche la sua debolezza sul terreno politico. Tributi sempre più gravosi venivano fatti pesare sulla popolazione, per compensare l’impoverimento delle casse dello Stato. I feudatari locali diventavano nel frattempo veri e propri sovrani: il caso più clamoroso fu quello del pascià Alì di Jànina, una delle più potenti città della Grecia e capitale dell’Epiro. Alì riuscì ad ampliare i suoi domini fino ad occupare una zona che corrisponde attualmente alla Grecia continentale, intrattenendo relazioni diplomatiche con le principali potenze europee e tramando persino contro il sultano. Nel 1820, infatti, fu privato dei suoi possedimenti e dichiarato nemico dell’impero. La sua abilità strategica negli affari politici, unita a una dose ragguardevole di spregiudicatezza, lo indussero ad avvicinarsi ai ribelli che andavano in quegli anni organizzando la lotta di liberazione, convocando alle sue dipendenze i più noti rappresentanti dei gruppi rivoluzionari. La reazione della Porta d’Oriente non si fece attendere e fu durissima: le regioni di Alì vennero riconquistate, ad una ad una, e lo stesso pascià venne assassinato nel 1822. Ma la rivoluzione era già in atto da un anno.
Guardando all’esterno, si può senza dubbio affermare che il più accanito e temibile avversario dell’impero ottomano fosse la Russia, che si atteggiava a protettrice dei popoli slavi dei Balcani e unica legittima erede dell’impero bizantino, in ragione della sua difesa della religione cristiano-ortodossa. Sia Pietro che Caterina avevano iniziato una politica di espansione sulle coste del Mar Nero. Dopo la rivolta di Papazolis, capitano dell’esercito russo, di origine greca, fomentata ad arte dalla zarina, la Russia dichiarava guerra alla Turchia. Fra il 1672 e il 1914, furono ben 12 le guerre russo-turche, che vedevano naturalmente la partecipazione, tra le fila dell’esercito russo, di moltissimi volontari greci, speranzosi nell’aiuto della Russia al progetto di indipendenza nazionale. Quando nel 1770, la potente flotta russa ancorava nel porto di Eudylos, la popolazione greca, vessata da secoli di sfruttamento e inaudite crudeltà, inneggiò ai russi come a dei liberatori. In realtà, il sostegno russo fu del tutto limitato e la reazione dei turchi violentissima. Di fronte alle devastazioni degli ottomani, soprattutto nel Peloponneso, i russi si diedero alla fuga, arrivando a stipulare una iniqua pace con il Sultano. I turchi avevano utilizzato, nelle loro feroci rappresaglie, 20.000 scipetari albanesi che, praticamente, rimasero arbitri della situazione, razziando campagne e villaggi, senza controllo alcuno, almeno fino al 1780, quando furono decimati dall’esercito altrettanto feroce del pascià Hassàn. Anche per questo, successivi tentativi di coinvolgere i greci nelle vicende russo turche, andarono perduti, nonostante la partecipazione dei più influenti mercanti e armatori, come in occasione della guerra del 1788-92.
La Rivoluzione francese attuò una formidabile spinta sui fermenti eversivi negli arretrati regimi della vecchia Europa. Dappertutto rappresentò la possibilità di realizzare la volontà del popolo su principi idealmente egualitari e liberali. Tra gli intellettuali maggiormente influenzati dalle nuove ed entusiasmanti ideologie, e operanti a renderle fattive nel mutato tessuto sociale, c’era il greco Costantino Rìgas, nato a Velestino, in Tessaglia, nel 1757. Sin dal 1790, egli traduceva le opere fondamentali dello spirito rivoluzionario, come L’esprit des lois di Montesquieu, e le diffondeva in Grecia, con lo scopo di animare la coscienza progressista del suo popolo. Scrisse anche la Costituzione politica, su modello di quella francese, oltre a fervidi inni patriottici, come il celebre Inno greco. Disegna persino una carta geografica della Grecia per visualizzare, con precisione scientifica, l’estensione ragguardevole e peculiare di un territorio naturalmente
caratterizzato ad essere Nazione. A Vienna, dove aveva raccolto intellettuali, lavoratori, giovani, intorno alla causa dell’Ellade libera, aveva fondato il primo settimanale e lingua greca: il Giornale ellenico
, nel 1792. Lo sbarco dei francesi nelle Isole Ionie, che decretava anche la morte della gloriosa Repubblica di Venezia, per volontà di Napoleone Bonaparte, lo spinse ad organizzare un audace piano rivoluzionario per liberare la Grecia e creare una Repubblica comprendente la Macedonia, la Tessaglia e il Peloponneso. Rìgas e i suoi compagni progettavano di risvegliare alle trascinanti promesse della rivoluzione, ad uno ad uno, tutti i popoli slavi e balcanici oppressi. Ma la polizia austriaca scoprì a Trieste i proclami di Rìgas e si iniziò un processo che si concluse con l’estradizione dei patrioti e la loro consegna alle autorità turche di Belgrado. Il 17 giugno 1798 il poeta e i suoi compagni venivano strangolati. Ma il loro esempio non fu dimenticato e costituisce, anzi, un discrimine nella storia della cultura nazionale greca. il movimento di liberazione, d’ora in poi, fu legato agli ideali della Francia rivoluzionaria e, dunque, dell’occidente democratico e progressista; inoltre, Rìgas comprese tra i primi che la causa della Grecia non poteva essere avulsa dalla situazione complessiva dei Balcani e insieme a essa andava risolta.
Se il mito della nazione sorella, che avrebbe sostenuto la causa greca, continuava a essere insinuato dalla propaganda russa, ormai il popolo greco, e soprattutto i vigili abitanti delle Isole e i sofferenti della Morea, guardavano con maggiori speranze all’Occidente e, dopo la delusione napoleonica, alla potenza marittima dell’Inghilterra.
Il moto rivoluzionario non poteva più essere fermato. Nell’aria si avverte una tensione fremente. La cultura si afferma come il mezzo più sicuro e nobile per educare i popoli alla consapevolezza della loro forza e della loro specificità. Fa passi avanti persino la scuola filologica – di cui ci occuperemo più avanti – con il dibattito tra il magistero degli antichi e l’urgente studio dei moderni, a definitivo vantaggio delle nuove tecniche.
Raccogliendo l’eredità del coraggioso lavoro del Rìgas, a Vienna si pubblica il periodico: Hermes Lòghios
, dal 1811 al 1821: importante palestra di formazione e informazione degli intellettuali greci. Non ultimo, il teatro diventa veicolo di sensibilità rivoluzionaria: tragedie classiciste di stampo alfieriano sono rappresentate nelle capitali della mitteleuropa, segno dell’inquietudine del pensiero che anelava a farsi atto. A Parigi viene fondato un Albergo di lingua greca
, che intendeva diffondere la lingua e la cultura ellenica, con una vocazione apertamente nazionalista.
Nel 1814, a Odessa, viene istituita la Filikì Eterìa
, per iniziativa di alcuni giovani, come Skufà, Xanthos, Tsaklov, Anagnostopulos, appartenenti alla piccola borghesia mercantile residente all’estero. Si tratta di una vera e propria società segreta, come le tante che si formano nell’Europa della Restaurazione, dove il dissenso politico era criminalizzato ed era impossibile ottenere riforme per il potere stabilito da governi assolutisti. Analogamente alla Carboneria italiana, è organizzata, almeno inizialmente, con un rigido assetto di tipo massonico: divisioni in logge, struttura gerarchica, ignoranza dei fini ultimi erano alla base dell’organizzazione. Il motivo del successo delle società segrete, in questo periodo della storia europea, si deve senz’altro al controllo poliziesco dei governi liberticidi instauratisi all’indomani del congresso di Vienna, che rendeva impossibile qualsiasi iniziativa politica non allineata al potere, se non in forma di cospirazione occulta.
Rifacendosi alle idee di Rìgas, l’associazione Eterìa, che si poneva come obiettivo la liberazione dell’Ellade, mediante l’azione rivoluzionaria, intendeva promuovere la collaborazione di tutti i popoli balcanici contro il comune nemico ottomano.
Nel 1818, trasferitasi la centrale a Costantinopoli, la base venne allargata a una più ampia partecipazione sociale, che non rimase appannaggio della piccola borghesia mercantile e militare.
Le tensioni interne sfociarono ben presto, alla morte del presidente Skufàs, tra i sostenitori dello Zar Alessandro I, appartenenti alle famiglie nobili più vicine al clero e all’alta borghesia, come gli Ipsilanti, da una parte e dall’altra i liberali progressisti, guidati dai Mavrokordàtos e Koraìs, che si collocavano su posizioni filoccidentali e liberiste.
Nel 1820, l’incarico di presidenza veniva offerto a una delle personalità greche di maggiore spicco nello scacchiere della politica internazionale: il Conte di Capodistria, ministro dello zar, il quale, però, clamorosamente rifiutava, non condividendo le tesi rivoluzionarie dell’associazione che avevano preso il sopravvento sulla linea morbida
di collaborazione con le autorità. Ad accettare senza incertezze si trovò disponibile l’ambizioso generale Alessandro Ipsilanti, anch’egli dipendente dello zar. La scelta conservatrice fu garantita dalla clausola che nell’organizzazione non venissero accolti appartenenti agli strati sociali più bassi. Malgrado questi controlli frenanti, la spinta rivoluzionaria non smetteva di crescere di intensità; per di più, la polizia turca era venuta a sapere alcuni piani dell’Eterìa e minacciava un duro intervento repressivo da un momento all’altro. Poiché nei Principati danubiani l’eventuale iniziativa turca non avrebbe potuto avvenire senza l’approvazione dello zar, i patrioti decisero di iniziare motu proprio, a partire dalla Moldavia e dalla Valacchia, del resto abitate e governate in buona parte da greci, in cui accorsero almeno 10.000 uomini, guidati da comandanti famosi come Olimpio e Farnakis. Questi uomini erano denominati clefti, indicando in questo modo la loro appartenenza a una categoria sociale composta in gran parte da contadini e profughi, rifugiatisi sui monti per sfuggire e combattere le angherie del potere. I clefti, come i briganti italiani, ebbero un ruolo importante nel coinvolgimento della massa popolare alle iniziative rivoluzionarie, introducendo rivendicazioni di ordine sociale ed economico fin qui escluse.
Per i contadini, infatti, la risoluzione della questione nazionale, non