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MEMORANDUM. Una moderna tragedia greca
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E-book178 pagine2 ore

MEMORANDUM. Una moderna tragedia greca

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Una guida non convenzionale lungo le strade della Grecia, fra miseria e marginalità, alla scoperta di una catastrofe socio-economica mai raccontata a sufficienza.

Come un'antica tragedia classica, Memorandum ripercorre una piccola parte della sofferenza, le lacrime, il sudore e il sangue versati dal popolo greco in nome dell'austerità. Quindici episodi, un prologo, un esodo.

Il viaggio dentro un dramma nazionale, molto più vicino a noi italiani di quanto si possa pensare. Nello spazio e nel tempo che ci aspetta.
LinguaItaliano
Data di uscita17 ago 2020
ISBN9788894552621
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    Anteprima del libro

    MEMORANDUM. Una moderna tragedia greca - Antonio Di Siena

    Buongoverno

    Prefazione

    di Carlo Formenti

    Samir Amin, assieme a Giovanni Arrighi, Gunder Frank, Emmanuel Wallerstein e altri fa parte di quel meritorio manipolo di intellettuali marxisti che non hanno sposato la linea negazionista, secondo cui problemi come lo scambio ineguale, lo sviluppo del sottosviluppo e la dipendenza delle economie dei popoli del Terzo Mondo dalle economie dei Paesi industrialmente avanzati si sarebbero di fatto risolti negli anni Settanta del secolo scorso, con il completamento del processo di decolonizzazione.

    Amin ha viceversa dimostrato come, a pochi anni dalla conquista della loro indipendenza formale, le nazioni ex coloniali siano nuovamente finite sotto il tallone degli imperialismi occidentali, con la complicità delle proprie borghesie nazionali e con l’avvallo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, incaricati di gestire quel sistema degli aiuti internazionali che è servito esclusivamente a costruire l’infernale trappola dei debiti sovrani. Ma non si è limitato a questo: ha dimostrato che sviluppo ineguale e dipendenza sono destini condivisi anche da alcune regioni dei Paesi sviluppati, come il nostro Meridione e la Germania dell’Est dopo l’unificazione; ma soprattutto ha dimostrato che il rapporto di subordinazione che lega centri e periferie globali tende ad instaurarsi anche fra diverse nazioni europee, in particolare fra la Germania, i Paesi ex socialisti dell’Est e quei Paesi mediterranei – Italia, Spagna, Portogallo e Grecia – che sostiene Amin, hanno subito un processo di "sudamericanizzazione, sono cioè diventati il cortile di casa" dell’imperialismo tedesco allo stesso modo in cui le nazioni dell’America del Sud sono il cortile di casa degli Stati Uniti.

    Ovviamente questa è una verità indigesta per le élite delle nazioni vittime di questo colonialismo di ritorno, in particolare per quei partiti europeisti di sinistra cui è spettato – e tuttora spetta – l’ingrato compito di far digerire alle classi subalterne il duro prezzo di una perdita di sovranità che ha distrutto quegli strumenti di contrattazione sociale e di decisione democratica che, nel trentennio postbellico, avevano loro consentito di costruire faticosamente condizioni di vita e di lavoro dignitose.

    Di qui un negazionismo che si manifesta con il silenzio di fronte al caso più eclatante di riduzione a colonia di un Paese europeo di civiltà millenaria qual è la Grecia: mentre nelle librerie troverete centinaia di volumi che denunciano i crimini vecchi e nuovi (più i vecchi dei nuovi, per le ragioni di cui sopra) del colonialismo occidentale nei confronti dei popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, sugli effetti della disgustosa macelleria sociale ed umana che la Troika ha imposto al popolo greco per conto delle grandi banche europee (tedesche e francesi su tutte) troverete ben poco. Ben venga quindi questo reportage di Antonio Di Siena su una raggelante sequenza di casi di cronaca che ci aiutano a capire la portata della tragedia che la Grecia ha vissuto nell’ultimo decennio. Mi limito a riassumere qui di seguito quelli che più mi hanno colpito, seguendo l’ordine cronologico degli eventi.

    5 maggio 2010. Mezzo milione di greci scendono in piazza in occasione dello sciopero generale indetto contro la firma del primo memorandum da parte del governo Papandreou, che promette riforme e tagli draconiani in cambio della prima tranche di aiuti europei. Nel corso della manifestazione un drappello di persone incappucciate di nero dà fuoco a una sede della Marfin Bank e nel rogo muoiono tre impiegati, fra cui una donna incinta. Gesto sconsiderato di un gruppo di black bloc lasciati colpevolmente liberi di operare (la memoria corre inevitabilmente al G8 di Genova)? Oppure provocazione finalizzata a delegittimare le manifestazioni popolari? L’interrogativo resta tuttora aperto.

    16 settembre 2011. Apostolos Polyzonis, un piccolo imprenditore indebitato, si dà fuoco davanti alla sede della Piraeus Bank. I pennivendoli di regime lo liquideranno come il gesto di un pazzo, ma il suo atto, scrive Di Siena, resta quello che è. La drammatica immagine di una torcia umana che arde per le strade d’Europa a quarant’anni di distanza da Jan Palach. Non per protestare contro la ’dittatura’ sovietica. Ma per denunciare, forse inconsciamente, un modello liberista e ’democratico’ che in nome della stabilità economica e dei mercati annienta la libertà dei popoli riducendoli alla fame".

    12 febbraio 2012. In occasione del varo del quinto pacchetto di austerità per ottenere la sesta rata di salvataggio, provvedimento che comporta pesanti tagli alle pensioni e ai salari (oltre a massicci licenziamenti) dei dipendenti pubblici, i manifestanti invadono per l’ennesima volta il centro della città e danno alle fiamme lo storico cinema Attikon (questa volta per fortuna non vi sono vittime).

    27 aprile 2013. Kostas Kogias è un militante di sinistra che gestisce un piccolo chiosco nella cittadina turistica di Volos. La sua non è solo una modesta attività commerciale: il chiosco funziona da centro di aggregazione politica e sociale, promuove dibattiti ed eventi di vario genere. Kostas, rappresentante del sindacato dei chioschi, organizza una marcia di protesta (si tratta di percorrere ben 325 chilometri fino ad Atene!). Arrivano in centocinquanta in piazza Syntagma, dove iniziano uno sciopero della fame per ottenere di essere ricevuti dal governo e presentare le proprie rivendicazioni. Nessuno accetterà di incontrarli. Sei mesi dopo Kostas, resosi conto di non poter fare nulla per salvare la sua attività, ma soprattutto deluso per il fallimento del suo epico tentativo di farsi ascoltare, si impicca. Poco dopo la moglie sarà effettivamente costretta a chiudere il chiosco, privando la città di uno dei suoi storici luoghi di socializzazione.

    13 agosto 2013. Thanasis Kanaoutis, studente diciannovenne sta tornando a casa sul filobus numero 12. Come molti coetanei ridotti alla fame dalle politiche austeritarie, viaggia senza biglietto. Kanaoutis viene beccato e buttato fuori dall’autobus in corsa, batte la testa e muore poco dopo in ospedale. Gli inquirenti sosterranno che è caduto nel tentativo di sfuggire al controllo, ma i compagni sono convinti che Thanasis sia stato vittima di un omicidio, ancorché preterintenzionale, uno dei tanti caduti delle guerre fra poveri innescate dalla miseria.

    17 settembre 2013. Pavlos Fyssas, un giovane musicista del Pireo viene accoltellato a morte da un militante di Alba Dorata. Di Siena, riflettendo sulla crescita di questa formazione neofascista, spiega come questa sia nata e abbia gettato le basi del proprio successo nel rione di Agios Panteleimon, un tempo prestigiosa zona residenziale poi progressivamente abbandonata al degrado. Qui i suoi militanti si sono assunti il ruolo di difensori dell’ordine e della sicurezza, raccogliendo il consenso degli autoctoni spaventati dal crescere della criminalità associata alla massiccia presenza di immigrati. L’assassinio di Fyssas, sostiene Di Siena, è anche frutto del senso di impunità che Alba Dorata ha acquisito. Tuttavia rifiuta di attribuire esclusivamente ai neofascisti la responsabilità di questo atto: Allo stesso modo in cui il fascismo considera se stesso una ’cura’ per la degenerazione della società, scrive, anche chi ritiene questo l’unico responsabile della sua morte commette un errore. Perché una cura, per quanto sbagliata sia, è per definizione una cosa diversa dalla malattia.

    E all’elenco dei complici della vera causa – perlomeno nel senso che hanno abdicato al compito di denunciarla e contrastarla – cioè della resa della Grecia ai diktat della Troika, si aggiunge, addì 14 agosto 2015, quel governo Tsipras che, ignorando gli esiti del referendum popolare, approva il terzo memorandum e il suo carico di lacrime e sangue, grazie all’appoggio dell’opposizione di centrodestra, che copre il buco aperto dal voto contrario di 43 deputati di Syriza.

    Lo fa pur sapendo perfettamente, come denuncia Leonidas Vatikiotis nella postfazione a questo lavoro, che le misure del memorandum servivano esclusivamente a ridurre al minimo le perdite dei creditori (in particolare delle banche tedesche e francesi) e a demolire lo stato sociale postbellico, certamente non a diminuire il debito pubblico che, non solo in Grecia, ma in tutti gli altri Stati che hanno accettato la chemioterapia europea, è piuttosto pesantemente aumentato.

    Ma su questo, come sugli orrori sciorinati dalla cronistoria di Antonio Di Siena, i negazionisti preferiscono stendere un pietoso velo di silenzio. Altrimenti dovrebbero ammettere che le borghesie dei Paesi mediterranei – e i loro rappresentanti di destra, centro e sinistra – hanno da tempo accettato, pur di conservare il potere sui connazionali che appartengono alle classi subalterne, di trasformare i propri Paesi in altrettanti villaggi vacanza per i turisti del Nord Europa, smantellando i rispettivi sistemi industriali. Così il centro ottiene in un colpo solo di eliminare potenziali concorrenti e di offrire ai propri cittadini consumi a buon mercato garantiti dai bassi salari della periferia.

    Lecce, luglio 2020

    Prologo

    Le notti di Alexis

    Povertà fuoco veleno questo luogo.

    E questo ragazzo del mare

    la luce che gli si frantuma fra i capelli

    raggi colorati

    deificano il fiore del suo corpo.

    (Nikos Karouzos, Sento la notte)

    Exarchia è un piccolo quartiere a venti minuti a piedi da piazza Syntagma.

    Un luogo davvero speciale, non solo per la storia di Atene ma per la Grecia tutta. Già alla fine del XIX secolo è protagonista delle dure proteste studentesche che portano alle dimissioni del governo, e da allora la sua natura antisistema non è cambiata.

    Incastrata fra l’Università, il Politecnico, il monte Licabetto e la collina di Strefi, il centro di Exarchia è platia Exarchiòn. Una piccola e squallida piazzetta, sporca e malmessa, all’incrocio fra le vie Themistokleous e Stournari, la strada che costeggia il Politecnico. Il lato settentrionale della piazza, all’angolo con via Arachovis, è noto per la presenza del grande palazzo blu, uno dei primissimi condomini moderni costruiti nella capitale greca. L’edificio, risalente a inizi anni ’30, deve il suo soprannome alla colorazione originale (adesso è bianco) e la celebrità non solo al fatto di essere una struttura molto importante per l’architettura greca moderna, ma soprattutto al fatto di avere ospitato il quartier generale della resistenza antifascista contro la dittatura di Metaxas.

    Negli anni ’70 Exarchia diviene uno dei principali centri culturali e politici della capitale. Crocevia di artisti, scrittori, poeti, intellettuali e base operativa dei movimenti autonomi e delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare greca.

    Proprio Exarchia è il fulcro delle proteste contro la dittatura militare dei colonnelli che culminano nella rivolta del Politecnico di Atene e la conseguente caduta del regime nel 1973.

    Il quartiere, pur essendo per molti una meta turistica esotica, è in realtà un cimitero di palazzi fatiscenti e finestre sbarrate, e tutt’oggi continua a vivere fra le contraddizioni e i problemi legati alla micro delinquenza e allo spaccio.

    All’estetica così vistosamente decadente si contrappone, però, un’anima ribelle e culturalmente vivacissima.

    Le sue strade, i suoi muri, sono un gigantesco museo di street art: centinaia di murales – alcuni di dimensioni ragguardevoli – ricoprono le facciate di enormi palazzoni nascondendo il grigio del cemento, il nero dello sporco, il vuoto dei buchi negli intonaci.

    I suoi palazzi abbandonati sono una galassia di spazi occupati grandi e piccoli, asili, mense, biblioteche, centri servizi per cittadini e stranieri. Come il Notara Squat 26, ex sede del ministero del lavoro, ora centro di accoglienza per i rifugiati.

    I suoi tetti sono teatri a cielo aperto per rassegne cinematografiche e concerti punk. Le vie un pullulare di minuscole boutique di abbigliamento, laboratori artigianali, polverosi negozi di vinili, librerie indipendenti, taverne e caffè. Un’anima underground che si respira ovunque e da anni resiste al processo di gentrificazione che interessa la stragrande maggioranza dei quartieri popolari delle città europee.

    Da Exarchia ci passano davvero tutti. Studenti, lavoratori, disoccupati, tossici, spacciatori, immigrati, autonomi, anarchici, punk e cani randagi. Un caleidoscopio di persone diverse, tutte benvenute. Tutte. Tranne fascisti e polizia.

    Quando entrano loro, sono sempre problemi.

    La polizia infatti di solito si limita a presidiare il confine esterno del quartiere,

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