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Melankomas: Sulla bellezza dell'atleta
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E-book160 pagine2 ore

Melankomas: Sulla bellezza dell'atleta

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Che cosa è il bello? Dione Crisostomo (Prusa, 40-120),presentando la storia e la figura di Melankómas nei suoiDiscorsi28 e 29, sembra rispondere a questa domanda affermandoche il bello è un bell’atleta. Melankomas, infatti, pugile gloriosoe imbattuto dalla chioma nera (questo è il significato del suonome), fuoriclasse capace di utilizzare una tattica del tuttosimile a quella del campione statunitense Cassius Clay (1942-2016), vincitore della duecentosettesima Olimpiade nel 49 d.C.,amante dell’imperatore Tito, scomparso prematuramente nel 70d.C. durante i giochi di Napoli, fu il più bell’atleta dell’antichità.La storia di Melankomas e la descrizione della sua bellezzastatuaria viene fatta indirettamente tramite un elogio funebre eun racconto.Dione, illustre retore della seconda sofistica, raccontandoci lavita e le imprese di Melankomas ci trasporta nel sistema etico,estetico e pedagogico dello sport greco, facendoci entrare in unantico ginnasio, nella sua quotidianità, con i suoi colori, i suoirumori e i suoi odori (l’odore dei corpi sudati ricoperti di polveree dal sangue delle ferite degli atleti) dandocene una visionevivida e tridimensionale. Spesso trascurati dalla critica, che hatalvolta messo in discussione l’esistenza stessa di Melankomasquale personaggio storico, i due discorsi in cui Dione ci raccontadel bel pugile (qui raccolti sotto il titolo diMelankomas: sullabellezza dell’atleta), vengono proposti in una traduzione dalgreco in italiano completamente riveduta e corredati da saggidi studiosi esperti di scienze umane dello sport. Quello che siè inteso dimostrare è che ilMelankomasdi Dione è, di fatto,un micro-trattato di estetica e pedagogia dello sport antico digrande valore storico e culturale anche per il nostro tempo.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2022
ISBN9788878539785
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    Anteprima del libro

    Melankomas - Dione Crisostomo

    MAGNA TRADITIO. LA PAIDEIA IN EPOCA IMPERIALE

    Elsa M. Bruni

    1. INTELLIGHENZIA ELLENICA E IMPERIALISMO ROMANO: LA VOCE DI DIONE CRISOSTOMO

    Dione di Prusa introduce un capitolo tanto importante quanto trascurato della storia dell’educazione occidentale. L’ellenismo imperiale è stato un momento di grande trasformazione, segnato dall’incontro di due civiltà, quella ellenica e quella romana, e contraddistinto dal punto di vista storico-educativo dall’adozione e dall’adattamento della paideia greca alla realtà romana e latinizzata.

    Quella visione del mondo costruita intorno al modello greco di vita e di cultura, noto come paideia, uscì dal recinto degli stati sorti dopo Alessandro Magno, trasformatisi nel corso dei due secoli successivi alla sua morte, e giunse materialmente in territorio italico, sotto forma di ricchezze, sotto forma di beni, sotto forma di prigionieri guerra, sotto forma di arte, e soprattutto sotto forma di indirizzo educativo e culturale. Non fu secondario l’effetto del fenomeno schiavistico e in generale non fu affatto secondario il carattere dell’imperialismo romano con le conseguenze generate sull’atteggiamento dei dominati. I rapporti con Roma impegnarono gli elleni e sul fronte di un sentito patriottismo, connaturato allo spirito greco, e su quello della collaborazione, spesso interessata e opportunistica, altre volte necessaria per assicurare ordine sociale. Possiamo immaginare in effetti che la vita da sudditi in un universo multietnico non sia stata facile; è ovvio presupporre che la quotidianità con i dominatori non-greci, avvertiti naturalmente come barbari, abbia generato frustrazioni profonde negli animi di cittadini da sempre fieri della propria identità e sicuri della propria appartenenza a una civiltà superiore.

    Va da sé che il patriottismo sia stata la cifra più rappresentativa degli elleni, un tratto mai venuto meno; è dunque quasi scontato ipotizzare che i Greci del basso ellenismo abbiano mal tollerato la nuova situazione di dipendenza da Roma, che sempre vivo sia stato quel senso di nostalgia per l’indipendenza perduta e che, seppur senza spronare alla rivolta, si sia levato il richiamo al riscatto in memoria di quella grandezza che nel passato aveva fatto dell’Ellade l’indiscusso modello dell’intera oikumene.

    È l’intellettuale Dione, per esempio, a rivolgere l’accorato appello ai Rodiesi affinché mettessero fine alla deprecabile abitudine di reimpiegare le statue dei grandi del passato, sostituendo le iscrizioni e riassegnandole a uomini influenti del momento, di solito governatori romani di provincia, per trarne vantaggi e onori.

    La pagina di Dione, con buona probabilità risalente al periodo di Domiziano o a quello di Traiano [1] , rivela la mestizia del patriota: «dentro di lui l’interesse di classe, e l’amore del moralista per l’ordine e l’autorità, sono in conflitto con l’ostilità verso i dominatori stranieri. […] egli avrebbe preferito senza dubbio che la Grecia fosse restata indipendente (anche Plutarco lo preferiva […]), tuttavia non chiama i greci alla rivolta: è solo amareggiato. […] Non è l’unico: la sua amarezza è quella della maggior parte dei suoi compatrioti» [2] . Questo doveva essere il sentimento condiviso dai Greci durante e dentro l’Impero. Senza dubbio fra le classi esistevano differenze legate al modo di sentire e agli interessi particolari: i collaboratori dei romani, coloro che contavano e intrattenevano relazioni con i governatori e i funzionari romani, il partito degli oligarchici in altri termini, più facilmente si erano allineati alla politica imperiale e, pur serbando nell’intimo l’idea della propria grecità e dei valori della paideia, si muovevano per acquisire credito, cittadinanza, carriera entro gli argini dell’Impero e delle istituzioni romane. Le classi popolari mantenevano d’altra parte un serio e ragionato distacco dalle leggi dei barbari, restavano legate all’idealità culturale tradizionale, aderenti ai costumi e ai principi della civiltà greca e persino alla lingua greca che mai sostituirono o affiancarono a quella latina.

    Già prima di Dione, l’imperialismo romano aveva dato prova di sé: come anticipato, il numero dei deportati greci a seguito delle conquiste romane fuori dal territorio italico e a est dell’Adriatico era notevolmente aumentato nei due secoli avanti Cristo. Da fenomeno ristretto, la schiavitù tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C. si trasformò nell’Urbe e presso gli Italici in una vera e propria economia schiavile. Tra schiavi occupati nelle fabbriche di ceramica in Etruria e in Campania, schiavi rustici, schiavi rurali, schiavi impiegati per la produzione agricola in Sicilia, schiavi nelle miniere, schiavi addestrati per i combattimenti gladiatori, nel I secolo l’Impero romano ne contava un numero pari al 50% della popolazione libera [3] . Personaggi illustri di Roma avevano al loro servizio almeno due o tre schiavi e nelle famiglie aristocratiche della capitale l’educazione e l’istruzione della prole venivano affidate alle cure di dotti intellettuali elleni giunti a Roma proprio come prigionieri di guerra. È nota la vicenda di Polibio, deportato a Roma ed educatore degli Scipioni, un caso istruttivo anche per conoscere le dinamiche politiche interne agli stati greci e gli orientamenti di questi con Roma. Polibio, che era nativo di Megalopoli nell’Arcadia e che apparteneva a una famiglia influente nella Lega achea, si distinse durante la III guerra macedonica combattuta dai Romani contro Perseo. Dopo Pidna, che segnò nel 168 a.C. la vittoria dei Romani, fu condotto a Roma e qui, grazie alla posizione non ostile nei riguardi dei Romani durante la guerra macedonica, entrò nell’ambiente di Scipione Emiliano, come storico viaggiò molto e non mancò di esternare il suo fedele legame alla politica romana quando, per esempio, condannò i Corinzi per essere ribellati a Roma nel 147 a.C. e quando di seguito collaborò alla riorganizzazione di talune città del Peloponneso.

    Mentre i regni di matrice ellenistica a partire dal I secolo a.C. si avviavano a un progressivo tramonto, altre realtà e altre dinastie non greche assumevano il ruolo di custodi e difensori della grecità. Nel 63 a.C. Pompeo riduce in provincia il regno dei Seleucidi, più tardi sarà la volta dell’Egitto e così a seguire per i territori a oriente del Mediterraneo. Roma si impegnava nell’attuazione di un patronato panellenico che di fatto passava attraverso la traduzione in province dei regni ellenistici. Dall’altra parte, emergeva una resistenza, talvolta passiva talvolta colorita e altre volte piuttosto demagogica, per difendere l’autonomia locale. Fra tutti, si pensi all’azione propagandistica di Mitridate che si oppose ai Romani, latrones gentium, autoproclamandosi salvatore dell’intera Asia e della Grecia [4] .

    Questo periodo, trascurato non solo nell’ambito degli studi pedagogici ma in generale anche in altri settori di ricerca fino a non molto tempo fa, ha conosciuto una attenzione nuova, non preconcetta e standardizzata, solo a partire da qualche decennio. Storici dell’antichità hanno ripensato l’interpretazione idealizzante della grecità; le scoperte epigrafiche e il rinnovato interesse per la letteratura e per i letterati d’epoca ellenistica imperiale hanno determinato il superamento della gerarchizzazione culturale per la quale, rispetto al periodo e al paradigma classico, gli altri momenti risultavano insignificanti, o preparatori o in ogni caso non originali.

    Allo stesso modo, l’approfondimento di piste di ricerca originali e le esperienze socio-politiche dell’ultimo secolo hanno favorito la ridefinizione dei paradigmi e delle categorie interpretative con le quali sono state lette le condizioni dei Greci prima e dopo il tempo d’oro (politico, culturale, economico, artistico) di Pericle. Sotto il profilo storiografico l’età ellenistica si è venuta addirittura a dilatare cronologicamente (anche oltre la battaglia di Azio) [5] ; nel merito dei caratteri culturali, sociali e formativi si è avviato un nuovo approccio analitico teso a riconsiderare lo status dei Greci dentro l’Impero, ripensandone le condizioni reali e i processi formativi attivati nella profonda costruzione identitaria di fronte a un universo altro come quello romano.

    Il periodo ellenistico imperiale è diventato, così, centrale in virtù del ventaglio dei grandi temi pedagogici che lo viene a caratterizzare: le dimensioni cosmopolitiche dell’ordine politico e culturale portano alla necessità di definire i processi di formazione umana, inaugurano discorsi sul modo di vivere alla greca e sulle possibilità di sentire la libertà trovandosi politicamente nella condizione di dominati, problematizzano la questione identitaria investendo i Greci nel modo di ridare forma alle coordinate e ai modelli di lunga memoria. Restare Greci e diventare Romani [6] : si possono sintetizzare con queste due espressioni il travaglio vissuto nel mondo greco sotto il dominio romano, una crisi profonda che toccò al cuore il sistema valoriale propriamente ellenico. Se forte è stato il risentimento da parte greca nei riguardi dell’esercizio del governo romano, altrettanto evidente è stata l’evoluzione da parte romana del proprio ruolo di dominatori, del proprio modo egemonico di ricercare lealtà assoluta presso città e privati cittadini ellenici [7] .

    In questo contesto si inseriscono la figura e le opere di Dione di Prusa, il quale appartiene cronologicamente alla prima generazione di intellettuali che vissero, da elleni, l’epoca tardo-repubblicana romana e che sentirono il peso e la responsabilità di traghettare l’apparato sapienziale ellenico in un ordine geografico, sociale, politico e culturale del tutto nuovo.

    Se osserviamo dalla parte dei Greci la realtà di I e II secolo dopo Cristo, l’età in cui matura la vicenda umana di Dione, i rapporti diretti con Roma, ma anche con il Vicino Oriente e con la Giudea, generarono qualcosa che mai si era verificato prima di allora. Non solo sotto l’aspetto politico-amministrativo, bensì dal punto di vista della cultura, del modo di vivere e di pensare, di autorappresentarsi come cittadini all’interno e per una società che di fatto si era fatta globale.

    A risultare, dunque, toccato in questa storia di incontri e scontri fra civiltà era il sistema della paideia e tutto quanto intorno a esso i Greci pensarono e costruirono.

    I Discorsi di Dione, fittizi o realmente pronunciati, si inseriscono in questa cornice caratterizzata da un groviglio di rapporti maturati internamente al mondo ellenistico e fra due civiltà, in generale quella greca (e orientale) e quella romana. I Greci del periodo classico sapevano dell’esistenza dei Romani, pur non avendo avuto con Roma contatti diretti. La conoscenza vera e propria avvenne due secoli più tardi, nel III secolo a.C. quando al centro delle vicende ellenistiche primeggiava la complessa questione della successione di Alessandro il Grande. Periodo di alleanze anche matrimoniali nei regni dei diadochi e poi degli epigoni del re di Macedonia, epoca delle prime mire interventistiche greche a Occidente, tempo di aperture, di trasformazioni e al tempo stesso di alterazioni del tessuto socio-culturale, oltre che politico. Contro Pirro i Romani intervennero, sconfiggendolo nel 275 a Maleuentum. Pirro rientrò in Grecia e i Romani, padroni

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