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La pupazza di Dio: Vita di suor Amalia da Ruvo Discepola del Volto Santo
La pupazza di Dio: Vita di suor Amalia da Ruvo Discepola del Volto Santo
La pupazza di Dio: Vita di suor Amalia da Ruvo Discepola del Volto Santo
E-book299 pagine4 ore

La pupazza di Dio: Vita di suor Amalia da Ruvo Discepola del Volto Santo

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Suor Amalia Da Ruvo, donna pugliese del XX secolo, ha vissuto un percorso di devozione a Cristo e di identificazione con le sue sofferenze sulla croce. Un cammino che ha portato Amalia verso l'ascesi mistica che l'ha resa un Alter Christus, cioè in una figura che incarna le caratteristiche di Cristo. Il libro racconta la vita di Amalia e il suo cammino verso la santità, culminato con il raggiungimento delle stigmate.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mag 2023
ISBN9791221462395
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    Anteprima del libro

    La pupazza di Dio - Michele Ippedico

    Prima stazione del mistero

    L’Annunciazione

    Noi apparteniamo alla nostra epoca, guardiamo e comprendiamo l’esistenza con gli strumenti culturali che abbiamo, con le certezze e con gli errori dei nostri giorni.

    Senza di te, Amalia, non avremmo lambito i misteri del Volto di Dio, né esplorato la dimensione spirituale dell’esistenza. Non avremmo scoperto che il Vangelo può diventare operativo vivendolo, che la santità è facile da raggiungere anche per le anime lontane dalla verità, che la felicità è possibile su questa terra e con la sofferenza si può sorridere, che la teologia alta e la fede popolare sono complementari; una non vale meno dell’altra, una ha bisogno dell’altra. Questo ci hai trasmesso nella piccola parentesi in cui la nostra vita si è incrociata alla tua che è stata simile a quella di decine di uomini e di donne, semi del progetto di Dio, persone di fede e di preghiera che hanno raccolto intorno a sé decine e migliaia di anime.

    Quando tua madre ha saputo che esistevi, era alla quinta gravidanza. La vita scorreva con tante faccende, tre figlie piccole e un marito reduce della prima guerra mondiale, un uomo che era un mondo a parte. Maria Marinelli ha trentotto anni. Il giorno della tua nascita è un venerdì, il 25 maggio del 1934. Chi lo sa se è accaduto in una mattina assolata o in un bel pomeriggio con il tepore del sole sulle pietre. Tua sorella Maria giura che è stato di mattina. Stai per nascere in una delle ultime case del quartiere delle Gravinelle, in via Clorìa al numero 38. A un centinaio di metri sorge la chiesa di santa Lucia con l’annesso convento dei cappuccini, al di là si estende il contado con i mandorli dai boccioli novelli. Dev’essere stata bella la sera, con la frescura che scendeva dalla campagna e il profumo del sole ancora nell’aria.

    Tua madre è sui gradini, ha lasciato per un momento il lavoro, non regge più di stare in casa. Ha bisogno d’aria. L’abitazione è troppo piccola e intanfita. Dalle stalle di sotto salgono gli olezzi del mulo, delle galline e di qualche pecora. Aspetta che i dolori si facciano più forti per chiamare la levatrice. Sa che avverrà lì, così è successo per le altre figlie. Ha messo l’acqua sul treppiede a bollire e ha ravvivato il fuoco con della legna. Ha preparato i panni e il letto, tutto è pronto purché ti decida. Le tue sorelle, Maria e Benedetta sono in piazza per gli esercizi fisici che il fascismo impone ai ragazzi. Il 25 maggio è la ricorrenza della vittoria ed è festa a scuola. Santina è stata portata da qualche parente.

    Tuo padre Cleto è nella stalla, al piano di sotto, a rigovernare le bestie. Tornò dalla guerra nel 1918, al paese aveva la fidanzata che lo aspettava e allora il fidanzamento era una promessa di matrimonio. In Amalia aveva riposto la speranza di una vita insieme, stando nelle trincee, sotto i bombardamenti, negli assalti, con la pioggia o con il sole mentre si sbranavano da cani. Cleto le voleva bene e quando tornò nonostante fosse lacero e ferito, il primo pensiero fu per Amalia. Non passò neanche dalla madre perché il chiodo fisso era quella bella ragazza, Amalia.

    Quando apprese ch’era morta di Spagnola, malattia che in quel periodo aveva mietuto molte vittime, questa donna gli resta nella testa simile ad una perenne ferita.

    Amalia è stato il sogno della giovinezza smarrito in guerra.

    Conosce tua madre Maria Marinelli. Si piacciono e si sposano con molta semplicità nel 1923. Gli anni del dopo guerra sono difficili per la tua famiglia.

    Non sappiamo quando Maria Marinelli parlò del tuo arrivo a papà. Cleto ne fu felice, sta per diventare padre per la quinta volta, spera che giunga il desiderato maschio che lo aiuti nel lavoro e continui la stirpe della famiglia, che porti nel tempo il cognome. Per l’intera esistenza avrebbe portato il segno delle maledette pallottole sulla coscia e sul braccio sinistro. Un uomo ferito è quasi un mutilato per il lavoro. Nei campi non è facile lavorare a giornata, se non hai braccia forti e gambe svelte, nessuno ti paga se non rendi e quindi avrebbe dovuto arrangiarsi.

    Amalia, ti tocca nascere in un ambiente senza conforti, dove la gente e le bestie confondono gli umori e i sudori; avrai in sorte una famiglia povera, quasi al limite della sopravvivenza.

    Tua madre è seduta sulla porta, in quella mattina di maggio, mentre respira l’aria della campagna. I dolori si fanno più ravvicinati, tu scalci per uscire e si avvicina il momento. Se è femmina la chiameremo Amalia, un’altra che portava questo nome le è morta che aveva qualche anno. Amalia, dal germanico significa valorosa protettrice. Tua madre non conosce i significati delle parole, non sottilizza sui significati letterali, parla un dialetto stretto e il nome le piace, Ama’. Suona bene nel lessico familiare, spesso così brutale. Il ruvese è una lingua dura, eppure, a volte, ci sono accenti dolcissimi e non immagina quanto ti sarà confacente questo nome, né che mirabile creatura ha nel grembo. Noi ringraziamo il Signore che tu sia giunta quel venerdì 25 maggio del 1934.

    Non importa se con la pioggia o con il sole, fu una bellissima giornata.

    La condanna a morte

    Nascere è morire. Sospinta, hai attraversato un cunicolo verso la luce che abbagliava fino a stordire. L’abbraccio è diventato una stretta asfissiante, è giunto il momento di andare. Questo passaggio da un’esistenza all’altra è comparabile alla morte e scavalcare la porta della prima vita per la seconda, dà sofferenza. Morire è nascere.

    Eppure sai del terrore che si prova a restare soli di fronte alla morte. Ti ricordi quel pomeriggio all’oratorio? Ha finito di soffrire dicesti, con un sospiro di sollievo, mentre Tina andava via per la morte di sua madre, pensasti all’approssimarsi della tua con la dolce sorella, dopo qualche mese. Non ho paura di morire. Hai soggiunto subito dopo, mentre le donne tornavano al lavoro a capo chino. Nessuno ti ha creduto quando parlasti che sarebbe toccato a te e quando sei passata dal grembo alla vita e dalla vita alla resurrezione, non avesti alcun dubbio che morire è la vita promessa, per l’alito d’eternità che ci è stato donato nel concepimento prima e dal sangue del Signore dopo. In quello stretto alveo si comprime il tuo viso, il corpo ne è schiacciato e sei esplosa in un fragoroso lunghissimo pianto.

    Sei nata, come tutti, quasi in un modo anonimo. Poi la vita prende molteplici strade. Tuo padre ci rimase molto male per un’altra femmina e in quanto tempo ha smaltito la delusione, nessuno può dirlo. Per una madre è diverso, sentirti nascere è una gioia, perché è la fine di un dolore, di una deformazione.

    Maria Marinelli si sente ricca, ha un’altra bellissima bambina che non si sazia di ammirare. Cleto non ti guarda nella rabbia del rifiuto. Poverino, non sa, tu varrai molti maschi messi insieme già da fanciulla.

    La vita è una condanna a morte per i sapienti del finito nel finito. Per te, Amalia, è la speranza di altre speranze, anche se può essere dura attraversarla tutta come hai fatto tu e quanto dura sia stata, tu sola sai e tu sola potresti dircelo. Adesso che sei nel grembo di Dio, chissà quanto arido e freddo e duro ti appare questo pianeta bellissimo, quanto lacerante ti appare l’esistenza.

    Prima che il Signore te lo chiedesse, hai compiuto la sua volontà; prima che ti parlasse, sei stata pronta ad ubbidire. Non ti ha ripetuto nulla, intuivi il suo progetto e questa intima comprensione è un miracolo che lo può compiere solo un’innamorata. L’obbedienza è la coincidenza di una stessa volontà d’amore. Hai commosso il Sovrano con la tua straziante passione, diventando un’anima a cui nulla poteva negare. Una santa vivente, un’amante del Signore come nessuno o pochi riescono o sono riusciti ad essere in questo secolo ricco di distrazioni e di superbia, compiendo azioni antiche e nuove. L’uomo moderno non tollera più la religione, mira alle scienze quale suprema capacità di differenziarsi dalla bestia originaria. Dio non esiste e se dovesse esserci il maggior rancore che gli porta è la scadenza con la morte, che gli appare intollerabile. La logica del mondo è chiedere, dubitare e confondere, mentre tu rispondevi. A Dio non si chiede mai, perché.

    Tua madre pensa ai lavori di casa e ai tuoi bisogni, è probabile che si sia alzata presto dal letto di partoriente. Nessuno poteva sostituirla nei ricami che la porteranno a vegliare di notte per consegnare alle scadenze pattuite le giubbe militari da cucire per pochi centesimi a capo. Nessuno poteva sostituirla nelle robe da stirare, nella carne da vendere. Il lavoro non manca, pur se pagato male. Non solleva rivendicazioni salariali, sa come racimolare un gruzzolo, centesimo dopo centesimo.

    Tu sei nata in questa famiglia capace di sopportare qualsiasi situazione o evenienza. Tua sorella Maria lavora come una donna, ma è pur sempre una bambina di dieci anni, sveglia e attiva. Bisogna fare la liscivia per il bucato a mano, non esistevano lavatrici e questo lavoro non possono sbrigarlo né Maria, né Benedetta che ne ha otto, né Santina che ne ha quattro.

    Una donna degli anni Trenta è robusta, ha fianchi larghi e seno fiorente, braccia forti, spalle larghe e sguardo fiero. Così la immagino donna tra le donne confusa in un remoto ricordo. L’ho conosciuta alla fine della sua esistenza. Era una piccola ossuta vecchietta.

    Il fascismo non fa miracoli, è solo una bella invenzione italiana. In tanti lottano per un pezzo di pane, non ci sono cedimenti, bisogna faticare fino allo stordimento, alla nausea, fino a non poterne più. Tuo padre non rifiuta qualsiasi lavoro, anche il più umile o quello che nessuno si sognerebbe di compiere.

    Trasporta i rifiuti organici passando per le strade del paese, le fogne non esistono ancora. Oppure è impiegato come guardiano alla discarica dove si accumula il letame per poi venderlo da concime organico per i campi. Non hai ancora imparato a conoscerlo, è brusco e duro. Aveva diciannove anni quando è partito alla grande guerra. Era sano e forte. A vent’anni tutti i ragazzi si somigliano, sono intrisi di speranze e delusioni, amarezze e gioie. Se fare il soldato abbruttisce, gli uomini che tornano dalla guerra sono stati carne da macello o macellai; non sono più quelli di prima, dentro di loro, l’innocenza è morta per sempre. La guerra trae il peggio, rare volte il meglio. Tuo padre è irascibile e a volte violento.

    Ha i modi del padrone così come lo erano gli uomini dell’epoca e come pochi lo sono oggi. Di preghiere neanche a pensarle, qualche messa se capitava. L’ultima comunione risaliva all’epoca della celebrazione del matrimonio nel 1923 e se ne riparlerà sul letto di morte. Possiede un’arroganza tipica dei maschi e prega se non nell’estremo bisogno. Si vergogna di farsi il segno di croce e volge gli occhi ai santi più che a Dio. Ecco, vedi, in quell’angolo della stanza, ha posto un altarino con i santi medici Cosimo e Damiano, con i lumini ad olio sempre accesi, ha una devozione pagana più che cristiana. Per lui la vita è stata una condanna a morte.

    Tu, hai fatto del perdono la tua prima bandiera, la carta di credito che non si esaurisce. L’hai capito subito che tipo era, quell’uomo massiccio e rude. Forse il tuo primo perdono è stato per lui. Tenne il broncio a tua madre per molti mesi perché eri nata femmina, come se fosse stata colpa sua. Chissà per quanti anni ha rifiutato di tenerti tra le braccia! All’inizio non volle neanche guardarti. Poi lentamente cominciò ad amarti; era, nonostante tutto, un uomo di cuore. Tu gli hai voluto bene e basta, senza pensare ad altro. Anche le rocce si levigano all’acqua che scorre per smussare le asperità. Cleto non poteva immaginare che proprio tu, piccola fragile tenera bambina, l’avresti salvato non dalla condanna a morte, ma da quella eterna. Proprio quella a cui meno pensa l’uomo di oggi, che sicuro cammina sul ciglio di un dirupo senza accorgersi del pericolo. Questa è la vera condanna a morte per cui hai sofferto e vissuto, cercando di allontanarla da quelli che avevi intorno.

    Seconda stazione del mistero

    La visitazione

    Non c’è dubbio, si potrebbe chiamarti la donna delle visitazioni, già da bambina. Sei stata in perenne movimento, ti recavi dove avevano bisogno. Per spostarti dovevi avere gambe svelte e forti, instancabili. Hai imparato a muoverti da piccola in quella casa stretta, con le ragazze che frequentavano la stanza per imparare da tua madre l’arte del ricamo. Immagino che ridevano i tuoi occhietti vispi.

    Il corpicino strisciava tra le gambe delle fanciulle che poi sarebbero diventate tue amiche. Rotolavi sul pavimento di pietra ridendo e chissà cos’altro combinavi in quello spazio ristretto! Eri una bambina dai capelli chiari, quasi biondi, e non stavi mai ferma. Mentre Benedetta è in cucina a rigovernare o a lavare le camicie di papà o a stirare, Maria è con tuo padre, lei è il maschio che lui avrebbe voluto. Un po’ conserverà l’asprezza e il carattere dell’unico maschio di famiglia. Imparerà molto presto ad uccidere le galline o le pecore quando servirà la carne per nutrirsi o per venderne. Appena staresti in grado di orientarti per le strade di Ruvo, avresti avuto il compito di girare di casa in casa, per vendere i pezzi delle bestie macellate.

    Hai poco più di sei o sette anni e così cominciano le tue visitazioni d’inverno o d’estate, con la pioggia o col caldo della canicola. Sei sempre in giro. Sai dove abita quella comare o quel signore che è venuto da tuo padre per prenotare un filetto o un pollo o della salsiccia. Tu giri e ti rendi conto dei bisogni della gente, della fame e della miseria che pullula negli jusi e nelle case, simile a spettri.

    Il Fascismo distingue in poverissimi e poveri, benestanti e agiati. La tua famiglia appartiene alla categoria, poveri. Tuo padre bestemmiava contro il regime, a denti stretti, si poneva problemi di giustizia sociale, ma non t’importava minimamente e così sarà in seguito, saranno ben diverse le tue preoccupazioni. La cosa fondamentale in quest’epoca è la visitazione, portare il tuo sorriso e le tue piccole braccia in qualsiasi casa, una vocazione che ti segnerà in futuro.

    Impari a dare a ciascuno a seconda dei suoi bisogni. Le categorie povero e poverissimo, le hai apprese a scuola. Non guardi al ricco o al povero, le persone sono uguali e tu le chiamerai anime. Ti fai in quattro per chiunque t'interpelli, sei sempre disponibile. Donare è un moto spontaneo, un riflesso condizionato, qualunque cosa ti costi e quanto impieghi non t’importa. Maria, ti rimprovera e ti picchia. Per portare quella coscia d’agnello o di castrato, hai impiegato più tempo di quanto sarebbe servito. Aveva già diviso le parti che dovevi distribuire secondo le richieste. Ha affettato. Pesato e incartato. Invece tu non ti sbrighi, sei lenta. Non lo sa, ma è la sindrome della visitazione. Con tutto quello che fai, al rientro ti toccano pure le botte di tua sorella, e ha certe mani! Cosa vuoi, è così che deve andare. Maria è precisa e puntigliosa agli ordini ricevuti da papà. Ha diciotto anni, tu otto. Dieci lunghissimi anni vi separano. Tu obbedirai alla tua mamma borbottona anche quando sarai la guida spirituale della comunità di Andria.

    Tua sorella non muterà atteggiamento, non sente ragioni, sarai la sua piccolina. Così da bambina esci per una mansione e devi far presto, altrimenti non riesci a portare tutta la carne ai clienti. E poi chi lo sente a papà? le giustificazioni non sarebbero servite: quella vecchia aveva bisogno di una brocca d’acqua; quella signora mi ha chiesto di tenere la bambina in braccio per un po’, doveva stendere i panni. La sorella madre ha certe mani dure e pesanti! Non hai ricevuto uno schiaffo da mamma o da papà, per quante botte hai preso da Maria e non di raro portavi qualche livido sulle guance, ma zittivi.

    Eppure tua sorella ti adorava, nonostante il suo caratteraccio. Lo conferma oggi che non ci sei, quante volte ti ha picchiata, pur chiamandoti la piccolina, che nel dialetto stretto di Ruvo ha un suono delizioso. Non poteva sapere che avevi iniziato le visitazioni, di casa in casa ad imitazione di Maria, la tua prediletta Madre, Madre del Signore, a cui hai reso la più bella delle visitazioni andando a Lourdes e a Fatima con ammalati e quanti desideravano aggregarsi a te.

    Poi, ad Andria hai avuto l’ispirazione di raccogliere le famiglie in una comunità. La famiglia il centro del cuore di Cristo. Questa è stata la tua teologia operativa, moderna e antica: risvegliare l’amore per il Signore, e ogni problema di coppia poteva essere risolto attraverso di Lui. Ti sei riservato il lavoro la preghiera e la sofferenza per condividerne la croce. Chiedevi che benedicesse la famiglia e la casa in cui entravi. Prendendo su di te i loro peccati, chiedevi di soffrire per il loro amore e per la loro salvezza.

    Il Signore ti ha sorriso ogni giorno, mandando lo Spirito a parlare sulle tue labbra. Ha preso dimora non presso te, ma in te, incidendo le piaghe della passione e compiendo in te la sua visitazione. Oltre alla Vergine Maria, il più grande visitatore è stato Gesù, che ha camminato di strada in strada, di casa in casa, di famiglia in famiglia, di visitazione in visitazione fino alla croce, dove è stato visitato. Fino al sepolcro. Fino all’essenzialità del pane. Ricalcare le orme di Cristo, il più grande visitatore di ogni tempo.

    Non saresti giunta a tali vette spirituali, se per prima non avessi compiuto la prima visitazione in assoluto dinanzi al Signore nelle specie del Pane. Se c’è un mistero gaudioso, che ti si può attribuire, è questo: Amalia s’innamora di Cristo. La chiesa dei cappuccini, chiamata anche di santa Lucia è a quattro passi da casa. Nel tuo pudore di bambina dicevi spesso, Mi piace stare in chiesa. Lo hai confessato a tua cugina Rita, che a sua volta, è diventata suora prima di te. Ella andava in chiesa, certo per Gesù ma anche per incontrare le amiche. Tu in chiesa ascoltavi il palpito del Signore, eppure è inspiegabile che in così giovane età, la tua anima impazziva per Lui.

    Che cosa può averti condotta ad una tale matura illuminazione? Forse eri attratta dall’adorazione eucaristica per l’esposizione del Santissimo Sacramento. Un semplice pezzo di pane inserito in una teca d’oro e d’argento trapunto di pietre preziose. Che strano, Dio che predilige la semplicità, in tanto sfarzo! Dio che si nasconde nel pane modesto, in tanto splendore! Tu forse hai riflettuto su questo e magari ti stanno anche bene le contraddizioni. Il tuo amore ti spinge a restare e non vedi niente altro intorno che quella particola. Questo è il vero miracolo. Il senso di una vita: Cristo è tutto per me. Quante volte l’hai detto e ripetuto.

    Forse dinanzi al Santissimo l’hai pronunciato per la prima volta la tua prima e l’ultima dichiarazione d’amore. Quanti anni hai? Sei o sette. Chissà. Hai sentito un’effusione di calore. Il cuore è impazzito per i battiti, hai avuto le vertigini o chissà, ma il tuo Padrone ti ha risposto e ti ha visitata, tu stessa l’hai confermato.

    In comunità ad Andria, quanti venerdì mentre eravamo riuniti in preghiera, cadevi in qualcosa che somigliava ad un sonno, mentre restavi sdraiata dinanzi al Santissimo e nel tuo dolore nascosto muovevi appena le labbra. Il tuo pudore è stata l’arma più potente contro la nostra vanità. Tu pregavi Iddio di santificarti, ma nel pudore. Lontana dai nostri sogni di grandezza e di alterigia di avere dalla nostra il Signore senza che nulla compissimo per Lui. Ti rendevi insignificante e noi ti trattavamo con sufficienza, ti abbiamo disubbidita, risposto male o guardata con arroganza. Tu, Amalia hai visitato le nostre anime per condurci alla presenza del Signore Crocifisso, che ci ha visitati senza che lo sapessimo. Questa è stata la Sua e la tua visitazione.

    Caricato della Croce

    Fino all’età di nove anni hai goduto di ottima salute, dopo Cristo ti ha caricata della croce. Ha cominciato piano a regalarti delle piccole sofferenze. Hai frequentato la scuola fino alla terza elementare. Sei una bambina vivace, allegra e intelligente. Hai sei anni e frequenti regolarmente. L’edificio scolastico si trova vicino casa, dinanzi alla chiesa di santa Lucia. Devi fare pochi passi per raggiungerlo. Non fai assenze, il tuo stato di salute è ottimo. La tua vivacità è più o meno quella delle tue coetanee. Siamo negli anni quaranta e ne mancano cinque alla caduta del Fascismo.

    Ad ottobre inizia l’anno scolastico 1940 - 41 e sei in prima elementare. Dalle generalità dell’alunno si legge Di Rella Amalia di Cleto e della Marinelli Maria, nata nel comune di Ruvo di Puglia provincia di Bari, il 25 maggio del 1934, di condizione povera, appartenente a razza italiana, iscritta il 24 settembre del 1940, abitante in via Clorìa numero civico 38. Assistita dal patronato scolastico per le forniture di cancelleria.

    Sono gli anni della guerra e della segregazione razziale. Tu non hai problemi in quanto sei di razza italiana. Questa considerazione non ti fa ridere e non sai quanto assurdo e contro il volere di Dio siano queste leggi. Non immagini che si uccide per niente intorno a te. Gli uomini usano armi terribili e sconosciute prima, anzi gareggiano ad inventarne di più sofisticate e micidiali, perché una guerra si vince con degli strumenti tecnologici.

    La tua preoccupazione è di pulire la chiesa, lavare le tovaglie della Sua mensa. Sei sempre disponibile ad ascoltare chiunque invochi aiuto. La sera non si può giocare per strada, le luci vengono spente per la guerra. In questo insignificante paese di provincia si odono appena gli echi dolorosi da quanto trapela di bocca in bocca dalla gente. Dai comunicati del regime, che nella tracotante sicurezza, afferma la certa vittoria. Dalla scuola, da sempre sezione staccata del potere. Sai che hai fame e tanta, stai crescendo e ti muovi tantissimo. Hai bisogno di cibo, non solo tu, ma tanti bambini come te. La fame si vede dalle facce scarne di chi ti sta intorno.

    Il settanta per cento della popolazione è catalogata dal regime in poveri e molto poveri. Appena uscita da scuola devi portare i pezzi di

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