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Un cadavere nel confessionale
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E-book107 pagine2 ore

Un cadavere nel confessionale

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Info su questo ebook

La vita serena e tranquilla, quasi monotona, di un paesino dell’entroterra sardo, viene turbata da due efferati omicidi. Il primo delitto viene compiuto ai danni di Mariangela, una ragazza bella e spregiudicata, figlia di don Salvatore, una specie di signorotto del paese proprietario di una prosperosa azienda agro-pastorale; il secondo cadavere è quello di Angelo, un ragazzo dal carattere timido e introverso che lavora nella tenuta di don Salvatore. Forse i due delitti sono legati da un filo comune o forse sono completamente indipendenti; sarà compito del commissario Fiori, incaricato delle indagini, fare luce su questo intricato caso e rendere giustizia ai due sfortunati giovani.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2020
ISBN9791220301930
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    Anteprima del libro

    Un cadavere nel confessionale - Gianna Matzis

    info@youcanprint.it

    Capitolo I

    Quel paesino, simile a molti altri dell’entroterra sardo, circondato da uliveti, vigneti e boschi secolari di lecci e querce era popolato da poco più di mille anime che vivevano abbarbicate a quei monti tenendo in vita tradizioni antichissime che si tramandavano di generazione in generazione.

    A volte i giovani si allontanavano per proseguire gli studi o per cercare lavoro ma il richiamo di quei luoghi, di quei profumi, di quella tranquillità era fortissimo e spesso tornavano cancellando, con la loro presenza, la noia e la pigrizia in cui, quotidianamente, il paese si abbandonava.

    Quella mattina, era giunta l’ora in cui il chiarore dell’alba, con un pennello dapprima intinto nel rosa e poi nell’oro, si faceva spazio tra le tenebre e la palla di fuoco che inesorabilmente scandisce il nostro tempo, giorno dopo giorno, faceva capolino all’orizzonte andando ad occupare il suo posto in un cielo terso di mezza estate.

    La signora Antonia era sveglia da tempo, da quando aveva oltrepassato le settanta primavere dormiva sempre meno ma dal momento che si alzava riposata e piena di energie non se ne faceva un problema. Come tutte le mattine preparò la caffettiera, la mise sul fuoco e attese trepidante che il consueto rituale si consumasse; sorseggiare dalla sua tazzina preferita quel liquido nero e caldo che inondava la cucina di un sublime profumo, la lasciava per qualche istante come incantata e sognante. I rintocchi della campana della chiesa che si udivano in tutto il paese la riportarono alla realtà e le ricordarono che la funzione del mattino sarebbe iniziata puntuale.

    Si preparò in fretta ma con cura, le piaceva essere ordinata e ben vestita anche se ormai guardarsi allo specchio non era più tra i suoi passatempi preferiti; da giovane era stata una bella donna, amata e desiderata ma da quando l’unico amore della sua vita, a cui aveva donato tutta sé stessa per quasi cinquant’anni non c’era più, il suo tempo si era trasformato in un’attesa. Quell’unione era come quelle piante rigogliose che però non danno frutti e Antonia che si sentiva molto sola cercava di riempire le sue giornate dedicandosi al volontariato, ai poveri e alla Parrocchia.

    Quella mattina voleva arrivare in Chiesa prima che iniziasse la Messa per potersi confessare e comunicare, quindi uscì di buon’ora e si incamminò lungo la strada principale del paese che ancora sonnecchiava svogliato come se non volesse affrontare un’altra giornata torrida e afosa di quel lunghissimo mese di agosto. Il portone principale era socchiuso, le luci erano già accese ma non c’era ancora nessuno, andò a cercare Don Peppino, il rumore delle sue scarpe a mezzo tacco era l’unico segno di vita in un silenzio quasi spettrale, bussò delicatamente e chiese al Parroco, che le aprì la porta, di potersi confessare.

    Si diressero verso la navata laterale che ospita il Confessionale e quando il Sacerdote aprì la porta, un cadavere scivolò verso i piedi della signora Antonia che dopo aver emesso un grido, reso ancor più acuto dai grandi spazi delle ampie navate, si coprì il volto con le mani come se non volesse vedere l’orrore che si era presentato davanti ai suoi occhi. Don Peppino cercò di sorreggerla e la accompagnò alla panca per farla sedere e solo allora si accorse delle tracce di sangue che inondavano sia la panca sia tutto il tragitto che porta al Confessionale; era sconvolto anche lui ma si fece forza per non aggiungere altro panico a quello che già aveva pervaso la donna e poiché la gente cominciava ad entrare per la funzione mattutina, si avvicinò al portale per intimare alle signore, per lo più anziane, di fermarsi all’ingresso e possibilmente uscire nella piazza, dando il compito ad alcune di loro di non far entrare nessuno.

    Dopo aver raccolto tutto il coraggio che a un uomo di Dio non può mancare, si avvicinò al cadavere cercando di non alterare la scena, la riconobbe subito < è Mariangela, la figlia di don Salvatore > pensò. La sera prima, dopo l’ultima funzione, la ragazza gli aveva chiesto di poter parlare con lui, aveva bisogno di alleggerirsi del peso che portava dentro il suo cuore, del tormento che le soffocava l’anima rendendo impossibile la sua esistenza.

    Dopo la confessione, quando ormai tutti erano andati via, l’aveva lasciata là, inginocchiata, con gli occhi lucidi rivolti alla statua della Madonna che troneggia sull’altare, come se chiedesse aiuto affranta da un immenso dolore. Dopo aver raccontato questo episodio al maresciallo dei Carabinieri disse: l’assassino deve averla uccisa mentre pregava, colpendola alle spalle e poi deve averla trascinata fino al Confessionale dove l’abbiamo trovata stamattina.

    Furono immediatamente rilevate le impronte lasciate dalle scarpe sulla scena del delitto e dato il permesso di rimuovere il cadavere che fu portato nell’ospedale più vicino per eseguire l’autopsia. Il maresciallo era stato allertato dai familiari di Mariangela la sera prima; non vedendola rientrare, il marito si era recato a casa dei genitori, che abitavano vicino, sperando di trovarla ma a casa nessuno l’aveva vista, telefonarono a un’amica con la quale la ragazza era solita passare molto tempo ma neppure lei aveva notizie, non sapendo dove cercarla, a notte inoltrata, il padre allertò i Carabinieri che promisero di iniziare le loro ricerche col nuovo giorno. Ora che il corpo era stato ritrovato, Don Peppino si offrì di accompagnare il maresciallo a casa della ragazza per mettere i familiari al corrente dell’orrendo crimine che era stato commesso.

    Non è mai facile annunciare ad una madre la morte di un figlio, nemmeno un uomo abituato a predicare e a perdonare, come Don Peppino, riuscì a trovare le parole per giustificare tale orrore, niente poteva portare conforto alla madre né placare la rabbia di don Salvatore che già gridava vendetta e giurava che chiunque avesse osato condannarlo a quel grande dolore l’avrebbe pagata cara.

    Capitolo II - Don Salvatore

    Don Salvatore, in paese, era tenuto in grande considerazione da tutti, era una specie di signorotto trattato con grande rispetto; era riuscito, dal niente, a mettere su una grande fortuna. Aveva un carattere burbero e irascibile, maturato in seno ad un’esistenza difficile e non sempre serena e spensierata.

    Era l’unico figlio di un pastore, proprietario di un piccolo gregge, che, fin da piccolo, lo aveva destinato a pascolare le pecore, a mungerle, a trasformare il loro latte in ricotta e formaggio costringendolo ad una vita di sacrificio e di privazioni. Lo svegliava quando il sole non era neppure apparso all’orizzonte e se si attardava ad alzarsi, lo buttava giù dal letto usando una violenza inaudita per un bambino di appena otto anni; il ricordo della sua testa immersa con forza nel catino di acqua gelida fino a togliergli il respiro, restò nella sua mente per sempre.

    Frequentò la scuola solo fino alla seconda elementare perché suo padre era convinto che l’istruzione, oltre a non servire a nulla, era una cosa da donnicciole, per un maschio riteneva fondamentale imparare, fin da piccolo, il mestiere che gli consenta da grande di sfamare la famiglia.

    Abitavano in una casa molto modesta, buia e umida, con un piccolo giardino che fungeva da bagno. Una grande cucina, con un camino, dove Salvatore aveva a disposizione un lettino per dormire e la camera da letto dei genitori completavano quell’edificio fatiscente che visto dal di fuori dava l’impressione di perdere un pezzo ogni giorno.

    Caricata sull’asino la bisaccia con il necessario per affrontare la giornata, insieme all’immancabile fiasco di vino, ogni mattina si recavano alla tanca, per accudire il bestiame che durante la bella stagione, quando i prati erano verdeggianti e l’erba fresca, veniva condotto al pascolo. Durante la primavera le pianure erano pervase da una miriade di profumi, il lentischio emanava un odore inebriante, le mille ginestre in fiore formavano enormi macchie gialle che si perdevano nel verde intenso delle radure e le rose selvatiche che si aggrappavano sui muri a secco, costruiti dai pastori per segnare le loro tanche, creavano un’esplosione di colori e di profumi, che quel fanciullo portò dentro per sempre. In quella immensità di solitudine e silenzio interrotto solo dallo scorrere lento del ruscello, immerso nella contemplazione di quel cielo così terso e azzurro da confondere l’anima, Salvatore

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