Cuori di waffel
Di Maria Parr e Bo Gaustad
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Info su questo ebook
Maria Parr è nata nel 1981 in Norvegia.
Ha studiato le lingue e letterature nordiche e insegna in una scuola elementare. Cuori di waffel è il suo primo romanzo che ha subito avuto un successo folgorante, vincendo premi prestigiosi in Norvegia, Olanda e Francia. Dal romanzo è stata tratta una serie televisiva molto popolare in Norvegia, dove Maria Parr è considerata la nuova star
della letteratura per ragazzi.
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Anteprima del libro
Cuori di waffel - Maria Parr
Indice
Il buco nella siepe
Il giovane Trille e la Piccoletta
Come si spegne una strega
La Barca di Noè
«Cercasi papà»
La battaglia della Baia di Martinfranta
Isak
«Bianco Natal» in piena estate
Sangue pirata
Fine dell’estate
Il raduno delle pecore e un giro in elicottero
Lena molla un pugno
La neve
Il giorno più triste della mia vita
Il nonno e io
Schianto in bob con doppia commozione cerebrale e gallina in volo
Jon e Giumenta del Colle
Lena e io giochiamo alla seconda guerra mondiale
L’incendio
La coppia di sposi della Festa di Mezza Estate
maria parr
cuori di waffel
Illustrazioni di Bo Gaustad
Traduzione di Alice Tonzig
Titolo originale:
Vaffelhjarte. Lena og eg i Knert-Mathilde
© 2005 by Det Norske Samlaget, Oslo. All rights reserved
Per l’edizione italiana:
© 2014 Beisler Editore s.r.l.
Via del Forte Bravetta 100 - 00164 Roma
Tutti i diritti riservati
Prima edizione in ebook 2023
Published by agreement with Hagen Agency, Oslo
Questa traduzione è stata finanziata da NORLA
Il buco nella siepe
Il primo pomeriggio delle vacanze estive
Lena e io costruimmo una funicolare tra le nostre due case. A sperimentarla, come al solito, sarebbe stata lei. Si arrampicò coraggiosamente sul davanzale, afferrò la fune con entrambe le mani e si buttò fuori avvinghiando i piedi nudi alla corda. Aveva tutta l’aria di essere una cosa estremamente pericolosa. Io trattenni il fiato mentre lei si spingeva verso casa sua, allontanandosi sempre più dalla finestra.
Lena ha quasi nove anni, ma non è forte come certi altri bambini di quell’età, un po’ più grossi. Circa a metà strada i piedi le scivolarono dalla corda con un piccolo «sviss» e di colpo si ritrovò appesa solo con le mani, a dondolare tra le nostre case. Il cuore prese a battermi fortissimo nel petto.
«Oh–oh», fece Lena.
«Continua!», le strillai.
Fui informato che non era così facile continuare, come poteva sembrare a uno che se ne stava a guardare dalla finestra.
«Allora resta attaccata! Ti salvo io!»
Al solo pensiero le mani mi si bagnarono di sudore. E se Lena mollava la presa e cadeva dal secondo piano? Fu in quel momento che mi venne l’idea del materasso.
Mentre Lena restava attaccata come meglio poteva, io tirai il materasso giù dal letto di mamma e papà, lo spinsi per il corridoio, lo gettai per le scale, lo rispinsi attraverso l’ingresso fino alle scalette esterne e di nuovo giù, a calci, e poi in giardino sull’erba che faceva resistenza. Era un materasso proprio pesante. Lungo il percorso feci cadere il quadro con la fotografia della bisnonna, che andò in mille pezzi. Meglio lei che Lena.
In giardino, dalle boccacce che faceva capii che stava per mollare da un momento all’altro.
«Quanto sei lento, Trille!», sbuffò arrabbiata. I suoi codini neri neri ondeggiavano al vento. Feci finta di non aver sentito. Lena pendeva giusto sopra la siepe, quindi dovevo posizionare il materasso proprio là. Non sarebbe servito metterlo da nessun’altra parte.
Alla fine Lena poté lasciare la presa e piombare giù dal cielo come una mela matura. Atterrò con un botto sordo e due piante della siepe si spezzarono all’istante. Io mi accasciai sollevato sull’erba e guardai Lena districarsi furibonda in mezzo alle frasche spiaccicate, tra i rami e il lenzuolo con gli angoli.
«È stata colpa tua, per la miseria, Trille!», gridò dopo essersi rialzata, illesa.
Beh, adesso, addirittura colpa mia..., pensai, ma non lo dissi. Ero felice che fosse viva. Come al solito.
Il giovane Trille e la Piccoletta
Siamo in classe assieme,
Lena e io, e lei è l’unica ragazza. Per fortuna erano finalmente arrivate le vacanze estive, altrimenti sarebbe crepata in coma. Lena dice sempre così.
«Veramente potevi crepare anche quando sei caduta, se non ci fosse stato il materasso sotto di te», le dissi più tardi, quella sera, quando eravamo fuori a ispezionare di nuovo il buco nella siepe. Lena aveva i suoi dubbi. Al massimo si sarebbe potuta procurare una commozione cerebrale, come le era già accaduto in passato. Due volte.
Eppure mi chiedo che cosa sarebbe successo se davvero fosse caduta senza un materasso sotto di lei. Sarebbe stato triste se fosse crepata, non avrei avuto più nessuna Lena.
Lei è la mia migliore amica, anche se è una femmina. Non glie l’ho mica mai detto, non oso farlo. Perché non so se io sono il suo migliore amico. Certe volte credo di sì, altre volte credo di no. Dipende. Ma vorrei davvero saperlo, specialmente quando succedono cose del tipo che lei cade da una teleferica sospesa sopra un materasso che io le ho messo sotto. Credo che mi piacerebbe sentirle dire che sono io il suo migliore amico. E poi mica dovrebbe dirlo per forza a voce alta, lo potrebbe anche sussurrare, ma non lo fa mai. Certe volte può sembrare che Lena abbia un cuore di pietra.
Per il resto ha gli occhi verdi e sette lentiggini sul naso. È magrolina. Il nonno dice che mangia come un cavallo e ha l’aspetto di una bicicletta. Tutti la battono a braccio di ferro. Ma è perché tutti imbrogliano, dice lei.
Io di aspetto sono normale, credo, con i capelli biondi e una fossetta su una guancia. È il mio nome che non è normale, ma questo mica si può vedere da fuori. Mamma e papà mi hanno chiamato Theobald Rodrick. Poi si sono pentiti. Non è una bella cosa dare un nome così gigantesco a un bimbo piccolo. Ma ciò che è fatto è fatto. Ormai sono nove anni che mi chiamo Theobald Rodrik Danielsen Yttergård. Un bel po’ di tempo! Praticamente da tutta la vita. Per fortuna tutti mi chiamano Trille, così non ci penso molto, tranne quando Lena a volte mi chiede: «mi ripeti com’è che ti chiami veramente, Trille?»
Allora io rispondo: «Theobald Rodrik.»
E lei scoppia a ridere. A volte si dà anche delle manate sulle cosce.
Quella siepe in cui io e Lena avevamo fatto un buco è il confine tra i nostri due giardini. Nella piccola casa bianca abita Lena assieme alla sua mamma. Non hanno nessun papà, anche se Lena sostiene che lo spazio per uno ci sarebbe, se riordinassero un po’ la cantina. Nella grande casa arancione abito io. Abbiamo tre piani più una soffitta, perché siamo tanti in famiglia: mamma, papà, Minda di 14 anni, Magnus di 13, Trille, cioè io, di 9 e Ricciola di 3. Più il nonno in cantina. Appena appena il numero giusto per tenere tutti sotto controllo, dice la mamma. Quando si aggiunge Lena diventiamo un po’ troppi e il controllo salta.
In quel momento Lena si chiese se potevamo andare da me in cucina per vedere se per caso qualcuno aveva pensato di farsi un caffè con biscotti. In effetti il nonno stava giusto venendo su dalle scale della cantina con questa idea. Il nonno è magro e rugoso e ha i capelli appassiti. È il migliore adulto che conosco. Si sfilò gli zoccoli di legno con un calcio e si ficcò le mani nelle tasche della tuta da lavoro. Il nonno va sempre in giro in tuta da lavoro.
«Ma guarda, il giovane Trille e la Piccoletta», disse facendo un inchino. «Abbiamo avuto la stessa idea, mi sembra!»
La mamma era seduta in salotto a leggere il giornale. Non si accorse che eravamo entrati. Il fatto è che la nostra cucina è sempre piena di Lena e del nonno, anche se nessuno dei due abita lì. Spuntano fuori di colpo. Lena viene a trovarci così spesso che è quasi vicina di casa di se stessa. Il nonno prese una torcia dal ripiano e avanzò guardingo verso la mamma.
«Mani in alto!», le gridò facendo finta che la torcia fosse una pistola. «Un caffè o la vita, signora Kari!»
«E biscotti!», precisò Lena per sicurezza.
A Lena, al nonno e a me, quasi sempre quando ne abbiamo voglia, ci danno caffè e biscotti. La mamma non riesce a dirci di no. Perlomeno non quando lo chiediamo educatamente. E in ogni caso di certo non quando è in pericolo di vita, sotto la minaccia di una torcia tascabile.
Siamo proprio una bella compagnia, pensai, quando ci sedemmo tutti e quattro attorno al tavolo della cucina scherzando e divorando biscotti. La mamma si era arrabbiata un bel po’ per quella faccenda della teleferica, ma adesso era calma e chiese all’improvviso se Lena e io eravamo contenti di fare gli sposi alla Festa di Mezza Estate.
Lena smise di masticare.
«Anche quest’anno? Ci vuoi far morire di matrimonio?», quasi gridò.
No, spiegò la mamma, non aveva affatto pensato di farci morire di matrimonio. Ma Lena la interruppe e sostenne che era proprio quello che stava per accadere.
«Io e Trille ci siamo sposati fino alla nausea. Ci rifiutiamo!», decretò senza prima chiedere a me. Ma non importava. Per me andava bene il rifiuto. Siamo sempre noi, Lena e io, che dobbiamo travestirci da sposi della Festa di Mezza Estate.
«Mamma», dissi, «non possiamo fare qualcos’altro?»
La mamma non riuscì ad aprire bocca neanche stavolta, perché Lena si intromise bruscamente e suggerì con grande entusiasmo