Merluz Vogn
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Info su questo ebook
Merluz Vogn è la cronaca, sognata e reale, di un’estate randagia alle soglie dell’adolescenza, in un Ticino presente e irrimediabilmente perduto nella “corrente del tempo”. Una realtà in cui il paese si fa “mondo” e dove il confine sfuma nell’epopea da fumetto.
Figure surreali e leggende da osteria fanno da cornice alle avventure di un paio di amici, immaginate per “sbaragliare” le giornate estive, e lenire l’ingombrante assenza di una madre.
Con Merluz Vogn Giorgio Genetelli rivisita luoghi e atmosfere della sua opera prima (Il becaària), e ci offre un romanzo post-dialettale da cui la nostalgia è volutamente bandita.
Giorgio Genetelli
Il Genetelli è nato nel 1960 e l’hanno chiamato Giorgio, forse perché c’era tanta campagna. Prima di diventare scrittore ha mangiato la polvere, della strada e del legno: la strada perché gli è piaciuto stare in giro fin da piccolo; il legno perché ha dato nuova forma agli alberi come falegname.In un momento di vuoto, un po’ voluto e un po’ subìto, riprende in grembo un computer, cosa che non faceva da cinque o sei anni. Nella soffitta della sua casa di allora, a Moghegno, scrive Il becaària, il suo primo romanzo. Lo pubblica grazie a Franco Lafranca, che lo inserisce nella sua ANAedizioni.Il rapporto con il suo paese natale è fortissimo, anche se non ci va quasi mai e quando ci va si autodelude nel non ritrovare cose e fatti che invece crede siano ancora lì, piantati come i platani in piazza.Il suo lavoro di scrittore diventa quotidiano e sterminato, ma i prodotti sono soprattutto racconti brevissimi.
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Anteprima del libro
Merluz Vogn - Giorgio Genetelli
Merluz Vogn
di Giorgio Genetelli
Copyright 2020 Gabriele Capelli Editore
Gabriele Capelli Editore
ISBN 978-88-31285-08-7 (EPUB)
Immagine di copertina: Witold Krasowski/123RF.COM
Editing: Gianmatteo Genetelli
Prima edizione GCE aprile 2020
Pubblicazione sostenuta dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia.
La casa editrice Gabriele Capelli Editore beneficia di un sostegno strutturale dell'Ufficio federale della cultura per gli anni 2016-2020.
Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale. Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di tornare su Smashwords e di acquistare la propria copia. Grazie per il rispetto al duro lavoro di questo autore.
Nota dell'editore:
Per una migliore lettura non ci saranno note che riportano alla traduzione in italiano delle parti dialettali ma il testo in italiano seguirà subito, in corsivo e tra parentesi, quello in dialetto.
A Lindsey, per quel che sappiamo noi due.
"A s’incontrerem in sol fiir" a t’ere dicc,
blagon, dadré dala fron scotente
Nandel
Sdraiàti nel fieno maturo a guardare le nuvole candide di giugno, aspettiamo la digestione prima di tuffarci nel riale. Come raccomandano. Ogni tanto, e per poco, si può anche ubbidire. Il filo d’erba mi pizzica le labbra, il bruciore degli occhi è alleviato dal fazzoletto bagnato che stringo sul petto. Le cavallette fanno pif e pif e balzano a decine per traiettorie che non si possono sapere. Un bimotore torna col suo rombo ricurvo nel silenzio che parrebbe assoluto se il pilota non stuzzicasse il cielo e i saiotri non facessero pif e ancora pif. Fra una cosa e l’altra.
«Cos’è fare all’amore?»
«Si baciano incollati con la bocca e si succhiano le lingue.»
«Che schifo.»
Impaziente di uscire nelle poche ore di luce che la sera concedeva, mi alzai da tavola, la bocca ancora piena di fontina con la crosta. Ma il pa’ mi disse di star seduto. Presagii una predica per qualcosa che non sapevo e che forse non avevo commesso. Intanto masticavo il formaggio con grandissima lentezza pervasa dall’odore di minestrone. Lui ripose il piatto e le posate nel lavandino. Di solito lo faceva la mama, che invece rimase seduta.
Il fontina stava finendo. Il pa’ si era riaccomodato, i gomiti belli larghi sul tavolo di fòrmica rossa a righine bianche. I modelli di fòrmica legati con una catenella li avevo disposti nella memoria in tutti i loro colori. Dove il pa’ appoggiava il gomito destro, il rosso era stinto dal ferro da stiro a vapore che la mama poggiava proprio lì.
Temporeggiava prima degli strali, sempre.
«Tra una settimana vado in mare e quando torno vado all’alpe» esordì, prendendola alla larga.
Lo sapevo già. E dunque? Con un sorso d’acqua mandai giù il formaggio, ultima difesa prima dell’ignoto. Esame supersonico: a scuola ero andato bene. L’ultimo sgambetto al Buseche risaliva a febbraio. Rispostacce? Prescritte. Ritardi? Nella norma. Licenza di quinta? Conseguita senza infamia. Cosa allora, da appoggiare i gomiti a quel modo?
«La mamma va in clinica, a riposare. Starai coi noni.»
Coi pugni stretti sotto il tavolo repressi la gioia immensa e traditrice. Chiaro, doveva dispiacermi per la mama. Feci un cenno col capo. Comprensione e maturità.
Libero. Sono libero. Ciao pa’, ciao mama!
«Per quanto?» chiesi a capo chino.
«Fin verso settembre. Fai il bravo.»
Il discorso era finito, mi ero preoccupato per niente. Anzi.
La mama però non aveva parlato, pallida. Ero così contento da riuscire a mettere su una faccia addolorata. Poi la mama aveva pianto abbracciandomi e non sapevo più bene cosa fare. Il pa’ andò fuori a fumare. Io filai nella mia stanza, appena verniciata di rosso, come se dovessi nascondere le lacrime e invece era solo per immaginare i piani a venire.
Sei giorni dopo la mama, seduta di fianco al pa’ nella Opel, mi guardò per l’ultima volta e nei suoi occhi passò forse un rimpianto, un monito, o una richiesta di perdono.
Non è che sapessi.
Salutai con la mano fino a quando l’auto verde non sparì in fondo allo stradone, oltre il dosso di Mondiral. Poi tornai ad allineare i bossoli vuoti, il mio esercito pronto per non so cosa. Con tre calci li feci cadere tutti morti.
In quegli ultimi giorni non avevamo più parlato della rivoluzione
che ci aspettava, distratti come eravamo dai nostri impegni futuri. O dal futuro stesso.
Io partivo al mattino per il corso di nuoto che anche al nono sembrava necessario ma che a me faceva ribrezzo, col cloro, il freddo, le pretese dei monitori, e la paura dell’acqua alta, che era poi la causa di tutto. Loro due non so.
Prima di cena andavo in Pasquei (Piazza), poi domande distratte e risposte stringate sui progressi natatori. Dopo cena un po’ di tele e infine in stanza a leggere, a disegnare e ad ascoltare qualche 45 giri che mi ispirasse o non so bene cosa.
Il mangiadischi blu. Andava forte Serafino, pastore spendaccione.
Non ci saremmo più rivisti fino alla sera dopo, per lo stesso fiacco rituale. Facevo colazione da solo, il pa’ usciva presto a dare una mano al terzo e al quarto per il fieno, la mama ancora a letto e non era mai successo prima. Infilavo nel tascapane i panini, la gazosa e le mele e andavo ad aspettare il postale ancora assonnato. Una non-esistenza, ma col piacere del conto alla rovescia per la libertà e la punta di un dolore di cui appena mi accorgevo.
* * * * *
La casa dei noni era a un centinaio di passi dalla nostra, ma oltre la strada sterrata e la stalla del Peo, quindi come se fosse in un altro continente. Tiravo il carrettino stipato delle mie cose, legate con una fune di quelle per le mucche. Fumetti libri quaderni astuccio scarpe sandali stivali vestiti. Un piccolo straccivendolo. Il mangiadischi no.
Se mi voltavo la nostra casa sembrava già abbandonata da anni. Le piante nel verde della tarda primavera parevano flosce come in ottobre, o curve sotto la neve d’inverno. L’erba del giardino incolta ma per fortuna,