Ricomincio da me
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Anteprima del libro
Ricomincio da me - Francesco Santonastasio
La malattia misteriosa
Era il capodanno del 2012: insieme ad alcuni amici e uno dei miei cugini, ci recammo alla festa organizzata in un locale molto in voga della movida napoletana.
Nella mia vita ho fumato davvero poche volte, ma quella sera, mentre raggiungevamo la festa, decisi di condividere con loro un paio di canne. Ero reduce da un periodo di stanchezza, a cui non avevo dato molto peso, anche se da atleta mi era sembrato strano. Quella sera mi sentivo spossato, ma diedi la colpa al fumo e all’alcol. Continuai a divertirmi senza pensarci più di tanto, c’era una ragazza che frequentavo all’epoca e decisi di festeggiare con lei tra balli, effusioni e qualche bicchiere.
Rientrato a casa, avvertii degli strani sintomi: sentivo un ronzio nella testa, diverso dalle altre volte in cui avevo esagerato. Mi addormentai e cercai di non pensarci, in fondo poteva trattarsi di un effetto collaterale
della serata.
Nei mesi successivi continuai ad avere difficoltà a portare avanti il lavoro presso la mia attività e la palestra a cui mi dedicavo in quel periodo, in attesa di poter tornare a giocare a calcio: ero spesso stanco e spossato, mi addormentavo appena possibile, mi facevo sostituire da mia sorella nei rapporti con i fornitori e nell’acquisto della merce per il nostro negozio. Mentre la aspettavo in macchina, puntualmente mi addormentavo per cercare di recuperare energie. A volte pensavo che occuparmi del lavoro e della palestra fosse troppo gravoso, e cercavo di giustificare così la mia condizione. Anche se pensavo a tutti quelli che tenevano il mio stesso ritmo, e non apparivano così stremati. Forse c’era davvero qualcosa che non andava…
A Marzo crollai: mi stavo allenando in palestra e cominciai ad avvertire un forte stordimento, tachicardia e vertigini; capii immediatamente che avrei dovuto affrontare un calvario complicato, perché in quel preciso momento accadde qualcosa di incredibile, che va oltre l’esperienza fisica. Il mio spirito mi comunicò che stava per piombarmi addosso una prova durissima: una voce dentro di me, disse che non sarei mai arrivato a una diagnosi. Era incredibile pensarlo in quel momento, ma era la verità.
Cosa mi stava succedendo? Venivo da un periodo davvero duro, avevo subito tre interventi al ginocchio per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, andati male. Ne avevo in programma un quarto, Perugia.
Nel gennaio del 2011, a seguito di reiterati infortuni al ginocchio destro, ero stato operato per la prima volta a Sulmona. Prima di allora, non ero mai entrato in sala operatoria: quel giorno mi sentivo in una bolla, come se fossi anestetizzato ancor prima dell’anestesia stessa. Disteso sul lettino, prima di ricevere l’anestesia spinale, osservavo i miei genitori e amici lungo il percorso che mi portava alla sala operatoria. Erano preoccupati, ed io con un sorriso cercavo di infondergli coraggio, sapevo molto bene quanta paura avesse mia mamma e volevo comunicarle che era tutto sotto controllo e doveva stare tranquilla.
Nel frattempo, l’anestesia cominciava a fare il suo effetto, sentivo le gambe di gesso. L’ortopedico mi aspettava sull’uscio della sala operatoria, con un sorriso rassicurante. Entrammo insieme, mi adagiarono sul tavolo per l’intervento, e lui cominciò a chiedere gli attrezzi: tutto era molto freddo intorno a me, indossavo un camice leggerissimo, gli assistenti provavano a stemperare la tensione facendomi delle domande banali, mentre una dottoressa alle mie spalle mi chiedeva se andasse tutto bene, durante le varie fasi dell’intervento. Dalla telecamera posta in alto potevo osservare le manovre del dottore, ma non capivo molto. A un certo punto pensai a rilassarmi, e dopo quasi tre ore tutto finì. La ricostruzione era terminata, ora il mio obiettivo era sentire di nuovo vive le mie gambe, e non solo.
Fui dimesso dopo tre giorni, e rientrai a casa a Guardiagrele, dov’ero impegnato quell’anno con il campionato di eccellenza. Purtroppo, dopo qualche giorno di febbre lieve, la temperatura aumentò tantissimo: stavo molto male, chiamai Vittorio, uno dei miei amici storici del calcio che quell’anno giocava con me, perché appena mi mettevo in piedi avevo degli svenimenti. Il ginocchio era esageratamente gonfio e pulsava. Tutte cose che non mi aspettavo.
Vittorio suonò il campanello di casa: per andare ad aprirgli, avrei dovuto affrontare una rampa di scale, mi feci coraggio e mi alzai, il sangue affluiva verso il ginocchio e faceva ancora più male. Feci appena in tempo ad aprire la porta che persi i sensi, Vittorio mi raccolse e mi versò immediatamente dell’acqua fredda sulla testa. Poi chiamò l’ortopedico che mi aveva operato, che gli disse di riaccompagnarmi in ospedale.
Iniziava così un vero e proprio incubo, che non avrà mai più fine.
Cosa mi stava succedendo? Mi facevo tante domande e cercavo di capire come mai un intervento semplice
stesse letteralmente sconvolgendo la mia vita. Arrivai in ospedale con enorme sofferenza, Vittorio mi rassicurò durante il tragitto, e appena arrivammo fui sottoposto a una serie di esami, prima di portarmi in reparto, dove sarei rimasto ricoverato per circa 40 giorni.
Mi vennero somministrate massicce dosi di antibiotici, mentre continuavano a farmi esami. Ricordo che in quel lungo ricovero, il dottore passava spesso e osservandomi mi pregava di riprendermi, dicendomi che non riusciva a capire cosa mi stesse succedendo. Passavano i giorni ma io restavo lì, da solo: non avevo voluto che mia mamma tornasse a Sulmona, ogni tanto passava qualche mio conoscente abruzzese, per il resto ero diventato una specie di mascotte dell’ospedale. Infermiere, medici e altri pazienti passavano da me, anche solo per un saluto, e questo mi faceva stare bene, mi sentivo coccolato. Ricordo che nel letto accanto al mio si alternarono almeno 5 o 6 pazienti, che in pochi giorni andavano via, mentre io restavo lì. Il mio ginocchio continuava ad essere gonfio in modo anomalo, e svenivo appena provavo a mettermi in piedi. Ero tremendamente debilitato.
Eppure, anche in quella situazione, non sono mancati episodi simpatici e momenti goliardici. Nella mia vita, sono sempre stato bravo a trovare il modo per essere positivo. Un giorno, l’ortopedico arrivò da me insieme ad alcuni tirocinanti, per procedere ad un’artrocentesi, una pratica davvero molto cruda e dolorosa, che consiste nell’aspirazione di liquidi e sangue in eccesso con un ago piuttosto grosso, che viene inserito direttamente nella zona interessata. Nel mio caso, nel ginocchio. Avvertii un dolore incredibile, ma siccome erano presenti molte future dottoresse, feci finta di nulla, per fare il figo. In realtà, avrei voluto urlare!
I giorni passavano ma la febbre non calava, gli esami non portavano a nessun risultato concreto, e nel frattempo un’infermiera abbastanza più grande di me, che mi portava in giro a fare gli esami, si proponeva spesso per restarmi accanto. In quella situazione così difficile, una donna aveva preso una cotta per me e lo faceva capire palesemente!
Una volta provò addirittura a baciarmi mentre eravamo in ascensore. Io mi reggevo a stento in piedi, le feci capire che forse non era la situazione giusta, ma nei giorni successivi continuò con complimenti e avance.
Dopo circa quaranta giorni, la febbre cominciò a calare e finalmente fui dimesso, anche se non ero ancora completamente guarito. Il dottore mi disse di non preoccuparmi più di tanto per quella febbricola serale e di andare avanti con la mia vita, perché prima o poi sarebbe sparita. Così accadde, ma ci vollero un paio di mesi.
Passò del tempo e finalmente cominciai con la riabilitazione. Mi seguiva il fisioterapista della squadra del
Guardiagrele, dove militavo. Furono mesi dolorosissimi, per provare a recuperare la piega del ginocchio, una delle prove più dolorose affrontate nella mia vita.
La riabilitazione proseguiva tra propiocettiva, rinforzo muscolare e corsette, ma mi accorgevo che il ginocchio era instabile come prima dell’operazione. Mi chiedevo come potesse essere possibile, ormai vivevo da anni una serie di sventure. Era iniziata un’escalation che mi avrebbe portato a sprofondare negli abissi, a toccare il fondo. Io e Vittorio decidemmo di tornare dall’ortopedico che mi aveva operato: dopo le sue manovre, il ginocchio risultò effettivamente instabile. Quello fu un momento davvero difficile, presi coscienza del fatto che mi sarei dovuto operare nuovamente, dopo tutti i sacrifici e i mesi di sofferenza. Mi sentivo angosciato, pensando che erano anni che non riuscivo più a godere a pieno della mia passione, e chissà quando sarei tornato sui miei amati campi di calcio. Mi presi qualche giorno per riflettere, parlai con la società, il Mister e i compagni di squadra, salutai tutti e decisi di rientrare a Napoli. All’epoca gestivo una piccola attività di fronte casa dei miei genitori, in collaborazione con mia sorella. In attesa di capire il da farsi, mi ci dedicai quasi esclusivamente.
Conobbi un ortopedico specializzato nelle ricostruzioni di legamenti crociati anteriori e così, dopo svariate visite, programmammo un nuovo intervento, in cui era prevista la ricostruzione con un legamento sintetico, fissato con viti di titanio.
Quel giorno c’erano molti più familiari ad accompagnarmi, ancora una volta ero pronto ad affrontare tutto, determinato a tornare a giocare. Sapevo che non sarebbe stato più lo stesso, ero consapevole che non sarei mai più tornato il calciatore di una volta: ma io, in mezzo a quel prato verde, volevo assolutamente tornarci.
Avevo dedicato tutta la mia vita a quel sogno, da piccolo ero così determinato che spesso raggiungevo il campo a piedi - facendo un bel po’ di chilometri - con la borsa da calcio in groppa e la pioggia che mi inzuppava. Non avrei mai potuto dimenticarlo. Avevo rinunciato alla mia adolescenza, alle gite scolastiche, alle feste il sabato sera e le domeniche in famiglia, in nome di quella passione. Non avrei mollato per niente al mondo.
Entrai in sala operatoria e iniziarono a prepararmi per l’anestesia. Ancora una volta ero lì, nudo, accecato dalle luci sopra di me, con il chirurgo che mi spiegava passo dopo passo l’intervento, mostrandomi anche il legamento e le viti che avrebbe impiantato.
La degenza fu breve e dopo 3 giorni fui dimesso. In quel periodo frequentavo una ragazza molto dolce, Barbara, che venne a trovarmi anche in ospedale: mi ero ripreso così bene dall’anestesia che facemmo addirittura l’amore, in quella situazione assurda, nel letto d’ospedale. Mancò poco che ci scoprissero, perché un attimo dopo il nostro momento insieme entrò un infermiere per la mia consueta puntura di eparina!
Cominciai immediatamente la riabilitazione, il dottore fece alcune manovre e ci accorgemmo che l’instabilità sembrava sparita. Mi feci seguire da Pako, un fisioterapista che avevo conosciuto in palestra e con il quale diventammo molto amici. Purtroppo, nel tentativo di piegare il ginocchio, sentivo il legamento cedere lentamente e la sensazione mi fu confermata qualche giorno dopo, quando con grande dispiacere mi accorsi che ancora una volta quel maledetto movimento di instabilità si stava ripresentando. Caddi nello sconforto più totale e tornai dall’ortopedico che mi aveva operato, che non riusciva a capacitarsene.
Tornai a casa e andai a sedermi sul balcone, a terra: guardando verso la chiesa, mi lasciai andare a un pianto infinito, tenendomi la testa tra le mani. Ero inconsolabile, chiedevo a Dio perché mi stesse capitando tutto ciò. Pensai addirittura di voler morire, avevo completamente perso la bussola. Vedendomi in quello stato, mia mamma mi disse che probabilmente avrei dovuto guardare avanti e comprendere che era il momento di smettere con gli interventi. Risposi a muso duro, dicendole che avrei lottato con tutte le mie forze per tornare in campo, non mi sarei mai arreso, non era nel mio stile… dopo giorni di pianto, ricominciai a cercare una soluzione.
Decisi di contattare il migliore in Italia, il professor Mariani, che si rese conto da subito dei danni che mi avevano arrecato, invitandomi a denunciare gli ortopedici che mi avevano operato in precedenza. Denuncia mai partita, perché non avevo nessuna intenzione di pensare ad altro, volevo concentrarmi soltanto su quel maledetto ginocchio e recuperarlo. Purtroppo, il professore mi disse che avrei avuto bisogno di due interventi per provare a tornare in campo: il primo serviva a rinforzare il ginocchio, prima di proseguire con l’ennesima ricostruzione del crociato, per evitare un nuovo fallimento. Andava fatto un riempimento osseo e poi si sarebbe proceduto alla ricostruzione.
Non potendo permettermi di affrontare la spesa che il professore mi preventivò, decisi di cercare un’alternativa. Mi recai da un ortopedico di Perugia - Cerulli Giuliano Giorgio, che programmò finalmente i due interventi. Era marzo del 2013, quando partii in compagnia di uno dei miei cugini. Dopo gli esami di routine, entrai di nuovo in sala operatoria. Il dottore avrebbe dovuto estrarre le due viti in titanio, ma una delle due era incastrata profondamente e c’era bisogno di uno strumento che in quel momento mancava; decise di lasciarla lì, perché non avrebbe influito sulla mia salute e sulla successiva ricostruzione del legamento.
Particolare che, invece, risulterà rilevante in futuro.
Il giorno dopo potevo già camminare abbastanza bene, così rientrammo a Napoli. Come ho raccontato in precedenza, da capodanno erano iniziate alcune strane sensazioni. Tutta quella stanchezza non era da me, mi interrogavo chiedendomi cosa mi stesse succedendo. Passarono alcuni mesi e la situazione peggiorò. Un pomeriggio capii definitivamente di essermi ammalato: entrai in palestra sentendomi stordito, ma iniziai lo stesso ad allenarmi. Mario, il mio partner di allenamento, era lì ad aspettarmi; iniziai a sollevare i pesi e la mia sensazione di straniamento arrivò a un punto critico, la testa girava forte e il cuore batteva all’impazzata. Ero stordito. Perché? Cosa si stava accanendo contro di me? Ebbi la consapevolezza che la mia salute fosse gravemente compromessa. Ebbi una sensazione fortemente negativa, che mi fregò per anni. Se all’epoca avessi conosciuto la legge dell’attrazione, non avrei ceduto ad un pensiero simile. Interruppi l’allenamento e abbracciai Mario, che mi ripeteva di non preoccuparmi, ma io sapevo che sarebbe finita lì. Stavo per intraprendere la battaglia più dura