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Compendio di DIRITTO COMMERCIALE: Quarta edizione
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E-book469 pagine4 ore

Compendio di DIRITTO COMMERCIALE: Quarta edizione

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La quarta edizione del Compendio di DIRITTO COMMERCIALE si propone di fornire un quadro chiaro, approfondito ma sintetico della materia per indirizzare lo studente ad un approccio organico e ragionato. Aggiornato alle più recenti modifiche normative, che hanno interessato soprattutto il diritto societario, e completamente rivisto, il Compendio presenta una trattazione ragionata ed approfondita, attenta anche all’inquadramento sistematico degli istituti.
Da STUDIOPIGI un aiuto concreto in più per i tanti studenti di Giurisprudenza ed Economia che hanno bisogno di basi per cimentarsi con uno degli esami più ostici dell'intero corso di studi. Un compendio agile, sintetico, di facile comprensione e senza fronzoli. STUDIOPIGI, #lostudiofacile.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2016
ISBN9786050478198
Compendio di DIRITTO COMMERCIALE: Quarta edizione

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    Anteprima del libro

    Compendio di DIRITTO COMMERCIALE - Pietro Giaquinto

    PIETRO GIAQUINTO

    Compendio di

    DIRITTO COMMERCIALE

    2018

    ________________________

    Collana Manuali Giuridici

    STUDIOPIGI

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Vietata la riproduzione anche parziale

    Tutti di diritti di sfruttamento economico dell'opera appartengono a

    STUDIOPIGI EDITORE

    (art. 64 , D. Lgs. 10-2-2005, n. 30)

    INDICE DEI CONTENUTI

    CAPO I

    IL DIRITTO COMMERCIALE NEI SECOLI..............................................................pag 5

    Breve storia del diritto commerciale-Che cos'è il diritto commerciale-Le fonti.

    CAPO II

    L'IMPRESA, L'AZIENDA E LA DITTA.......................................................................pag 9

    Imprenditore ed impresa-Lo status di imprenditore e la nozione di impresa nel codice civile-Le diverse categorie imprenditoriali-Acquisto della qualità di imprenditore e suoi effetti-Capacità di esercitare un'impresa commerciale-La pubblicità dell'imprenditore-L'imprenditore ed i suoi ausiliari-L'azienda e i suoi elementi costitutivi. L'avviamento-Trasferimento d'azienda e successione nell'impresa-I segni distintivi dell'imprenditore-Il marchio ed i suoi requisiti-La circolazione del marchio-La trascrizione del marchio e sue vicende-I marchi collettivi-I segni distintivi atipici-I diritti di privativa-Il brevetto-I brevetti per i modelli-Impresa familiare e azienda coniugale-Concorrenza e cooperazione tra imprese-Tutela cautelare e sanzioni-La legislazione antitrust-L'associazione in partecipazione-I consorzi, le società consortili e le associazioni temporanee di imprese.

    CAPO III

    LE SOCIETA´...................................................................................................................pag 73

    Le societä in generale-La tipicitä delle societä-Societä di persone e societä di capitali.

    CAPO IV

    LE SOCIETA´ DI PERSONE.........................................................................................pag 81

    Generalitä-La societä semplice-Le societä in nome collettivo-Le societä in accomandita semplice.

    CAPO V

    LE SOCIETA´ DI CAPITALI......................................................................................pag 119

    Generalitä e profili storici-La societä per azioni-L+elemento patrimoniale nelle SPA-Il bilancio di esercizio-La revisione contabile-Acquisto e sottoscrizione delle proprie azioni-Variazione del capitale sociale-Gli organi sociali nelle SPA-Gli amministratori-Le responsabilitä degli amministratori-Il direttore generale-Il collegio sindacale-Gli organi del sistema dualistico-Controlli esterni sulle SPA-Controlli esterni sulle societä quotate-Le altre societä di capitali-La nuova societä a responsabilitä limitata e la SRLS-Le societä mutualistiche e le cooperative-La costituzione della societä cooperativa e la sua disciplina-Scioglimento del rapporto sociale da parte di un solo socio-Quote ed azioni-I prestiti dei soci e le obbligazioni-Gli organi sociali-Le modificazioni dell'atto costitutivo-Le mutue assicuratrici.

    CAPO VI

    LE MODIFICAZIONI DELL'IMPRESA SOCIETARIA........................................pag 239

    La trasformazione.

    CAPO VII

    LE SOCIETA' COSTITUITE ALL'ESTERO.............................................................pag 245

    La società europea.

    CAPO VIII

    I TITOLI DI CREDITO................................................................................................pag 249

    Profili generali-Caratteri del titolo di credito-Nascita e circolazione del titolo di credito-Classificazione dei titoli di credito-Figure non rientranti fra i titoli di credito-Eccezioni opponibili dal debitore cartolare-Ammortamento del titolo di credito-Le diverse figure-Requisiti della cambiale-Categorie di obbligati e autonomia delle obbligazioni cambiarie-Le azioni cambiarie ed il protesto-Azioni extracambiarie-Cambiali finanziarie-L'assegno bancario-Figure particolari di assegni-I titoli rappresentativi di merci-Altri titoli di credito.

    CAPO IX

    MERCATO MOBILIARE ED INTERMEDIARI MOBILIARI.............................pag 277

    Il mercato mobiliare e i servizi di investimento-Valori mobiliari e strumenti finanziari-I servizi di investimento ed il loro esercizio-Il contratto di gestione di patrimoni mobiliari individuali-La sollecitazione all'investimento-Le società di intermediazione mobiliare-I fondi comuni di investimento-Struttura e caratteristiche dei fondi-Le società di investimento a capitale variabile-I mercati regolamentati-La borsa valori-Altri mercati telematici-La vigilanza sui mercati regolamentati-I contratti di borsa. Generalità.

    CAPO X

    LE PROCEDURE CONCORSUALI..........................................................................pag 295

    Generalità-Il fallimento-Il concordato preventivo-La liquidazione coatta amministrativaL'amministrazione controllataL'amministrazione straordinaria.

    NOTE BIBLIOGRAFICHE............................................................................................pag.

    CAPO I

    IL DIRITTO COMMERCIALE NEI SECOLI

    § 1. BREVE STORIA DEL DIRITTO COMMERCIALE

    La lunghissima epopea, l'evoluzione e le numerose revisioni del diritto commerciale, hanno corso e si sono sviluppate in una dimensione simbiotica con la storia dell'uomo e del suo bisogno di comunicazione e scambio, di merci e cultura, con i suoi simili. Per questo l’attività commerciale ha sempre avuto nel corso dei secoli una disciplina copiosa e particolare nonostante non abbia mai costituito una branca del diritto completamente autonoma rispetto al diritto civile.

    Tracce delle prime rudimentali regole applicate al commercio ed agli scambi sono state rinvenute già nelle tavolette cuneiformi degli assiro-babilonesi e nel codice di Hammurabi.

    La società romana invece, non conobbe un sistema unitario del diritto commerciale e lo jus civile non si preoccupò di porre le regole riguardanti gli scambi commerciali, considerati attività inferiori persino presso le classi più umili. Il commercio in senso stretto aveva infatti, in Roma, carattere tipicamente esterno.

    E' altrove, quindi, che vanno ricercate le origini del diritto commerciale, per come lo intendiamo oggi, e precisamente nel feudalesimo, grazie all'attività di quelli che furono chiamati piedi polverosi, ossia mercanti che, spostandosi di corte in corte, introducevano presso queste, oltre che le loro mercanzie, anche tutta una serie di conoscenze e metodi di contrattazione o pagamento che così si diffondevano sul territorio; e, successivamente, nell’età comunale grazie al rigoglioso sviluppo del commercio e alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri.

    Nel 1533 poi, il giurista BENVENUTO STRACCA, considerato il padre del diritto commerciale italiano, scrisse il trattato De Mercatura sive de mercatore, l'opera in cui, per la prima volta, il diritto commerciale veniva codificato in maniera autonoma rispetto al diritto civile generale, affermandosi come diritto di classe, cioè sviluppandosi esclusivamente in seno a soggetti che svolgevano un'attività economica, e tutelando solo gli interessi di quest'ultimi; scissione agevolata dall’espandersi dei traffici marittimi sulle grandi tratte oceaniche e la nascita dei titoli documentali di credito per agevolare i pagamenti su piazze lontane.

    Con la Rivoluzione Francese del 1789 le corporazioni vennero però travolte perché contrarie ai principi liberali: il diritto commerciale perse il suo carattere di specialità soggettiva e si passò a considerare "commerciale" ogni singolo atto che interessasse da vicino il commercio, compreso la tutela dell'acquirente, o di coloro che, per qualsiasi motivo, si trovassero nella condizione di interagire con chi praticava il commercio.

    Nacquero così le grandi codificazioni dove il diritto commerciale era ormai ridotto a settore: nel codice di commercio napoleonico del 1808, l’atto di commercio, da chiunque compiuto, divenne l’unico criterio di applicabilità della disciplina commercialistica.

    Il primo codice italiano di commercio venne invece pubblicato il 25 giugno 1865 sulla falsariga del codice francese, già introdotto in Italia con le guerre napoleoniche. Il diritto commerciale si affermò come un sistema di norme autonomo rispetto al diritto civile, prevalente su di esso per il criterio della specialità e caratterizzato dall’esistenza di principi generali propri dei rapporti commerciali.

    Ma solo ottant'anni dopo, quella che sembrava essere ormai una categoria (i commercianti) organizzata e dotata di una propria regolamentazione, non piacque all'apparato fascista, per cui, inaspettatamente e repentinamente, proprio quando il regime era sul viale del tramonto, si arrivò alla stesura del codice civile del 1942, con cui si unificò il codice civile col codice del commercio, inglobando il secondo nel primo, allo scopo di regolamentare il diritto delle obbligazioni, partendo da una considerazione unitaria di ogni attività economica facente capo alla figura generale, e, vedremo avanti, dominante, dell’imprenditore commerciale.

    § 2. CHE COS'E' IL DIRITTO COMMERCIALE

    Ma cosa si intende oggi per diritto commerciale? E' ancora possibile considerarlo, come allora, il diritto dei mercanti?

    Abbiamo già visto, nel paragrafo precedente, come la materia abbia, teoricamente, perso la sua specialità, per la paura che diventasse punto di forza di una corporazione; ma, ciononostante, appare evidente quanto la normativa civilistica, pure creata dal legislatore fascista, sia comunque imperniata sull'idea della centralità di una figura forte, l'imprenditore appunto.

    Questo, a nostro parere, ha comportato che ancora oggi, grazie anche le numerose modifiche ed interventi in materia, soprattutto da parte della legislazione comunitaria, il diritto commerciale, nonostante le intenzioni, sia più che mai materia "elitaria, viva e a se stante", e che la corporazione mercantile, dominante nel sistema economico planetario, sia prepotentemente rientrata al centro della scena, da cui il legislatore del 1942 sembrava averla estromessa.

    Le nostre considerazioni, sembrano trovare conforto nella definizione che il GALGANO da della materia; secondo lui infatti il diritto commerciale è "l’insieme delle speciali regole del commercio che, nelle diverse epoche storiche, la classe mercantile ha direttamente fondato o ha preteso dallo Stato" (F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Vol. I, Wolters Kluwer Italia, 2010).

    Ciò premesso, e in modo più concreto, il diritto commerciale può oggi intendersi come quella "parte del diritto privato dedicata alla disciplina dell'attività di impresa da parte di persone fisiche (appunto l'imprenditore) o giuridiche quali le Società, e, da qualche tempo, le organizzazioni senza scopo di lucro, come Associazioni e Fondazioni; la relativa disciplina è contenuta nei libri IV e V del codice civile, intitolati Delle obbligazioni e del lavoro, oltre che, come vedremo, nelle numerose leggi speciali succedutesi nel tempo.

    § 3. LE FONTI

    Accanto alla Costituzione e, ovviamente, al codice civile, le species cui occorre fare riferimento, per individuare le fonti del diritto commerciale sono:

    -la legislazione speciale, che in alcuni settori, ha profondamente innovato rispetto alla disciplina del codice civile;

    -la legislazione comunitaria, la quale, soprattutto nel settore societario, ha modernizzato la preesistente disciplina.

    Una seconda categoria di fonti è quella degli usi, prevista al numero 4 dell’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile. Gli usi di cui parliamo (detti commerciali), sono normalmente quelli relativi ad aspetti contrattuali non disciplinati da norme scritte o fatti salvi da esse, e distinti dagli usi c.d. legali perché frutto di prassi consuetudinarie, e dalle pratiche generali interpretative previste dall’art. 1368 c.c..

    Ultima categoria di fonti è costituita, infine, da quelli che denomineremo in breve codificazioni; questi codici possono essere i più vari e possono, innanzi tutto, essere collettivi e individuali. Tra essi, ad esempio, alcuni tipi di regolamenti come quelli di borsa, le condizioni generali di affari codificate dalle diverse associazioni professionali al fine di predisporre una disciplina unitaria per le contrattazioni nel settore merceologico interessato.

    CAPO II

    L’IMPRESA, L'AZIENDA E LA DITTA

    § 1. IMPRENDITORE ED IMPRESA

    Abbiamo già detto in precedenza come l'impianto delle norme riguardanti il diritto commerciale contenute nel codice civile ruotino intorno alla figura dell'imprenditore; questi si può definire come colui che utilizza i fattori della produzione organizzandoli, a proprio rischio, nel processo produttivo di beni o servizi: egli è, dunque, un intermediario tra quanti offrono capitale e lavoro e quanti domandano beni o servizi.

    Da un punto di vista giuridico, la nozione di imprenditore ha subito una profonda evoluzione. Nel corso dei decenni si è infatti passati da un'idea di imprenditore inteso come speculatore sull'altrui lavoro (in pratica una figura particolare di commerciante), ad una visione completamente opposta che considera imprenditore e commerciante in un rapporto da genere a specie: il commerciante è quell’imprenditore la cui attività consiste nello scambio di beni.

    L'articolo 8 del vecchio codice del commercio, definiva commerciante colui che esercita per professione abituale atti di commercio, e le società commerciali; l'articolo 3 invece elencava le diverse tipologie di attività commerciale, per cui i commercianti che esercitavano qualcuna di queste attività, assumevano la qualifica specifica di "commerciante imprenditore".

    Oggi, per l'art 2082 del codice civile è imprenditore "colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi".

    Dunque, secondo la nuova definizione, nella nozione generale di imprenditore, vi rientrano soggetti estremamente disomogenei sul piano dell'attività lavorativa, dalla grande SPA al coltivatore diretto.

    La ratio di questa unificazione è la rilevanza nazionale dell’organizzazione produttrice di ricchezza, quale elemento del progresso della Nazione e questo giustifica il disposto dell’art. 2085: Il controllo sull'indirizzo della produzione e degli scambi in relazione all'interesse unitario dell'economia nazionale è esercitato dallo Stato, nei modi previsti dalla legge.

    Con tale impostazione il regime fascista non intendeva piegare gli imprenditori agli interessi dello Stato, perché avrebbe portato ad una economia centralizzata (e quindi, a qualcosa di troppo simile al socialismo reale), ma solo venire a patti con i grandi imprenditori senza alcuna intenzione di toglierli i profitti. Nella nozione d’imprenditore non è menzionato lo scopo di lucro, perché comporta evidenziare un contrasto tra l’interesse personale all’arricchimento e quello dell’economia nazionale. Parte della dottrina, come l'ASCARELLI, ritiene che il concetto di lucro è insito nell'idea stessa di imprenditore, di attività economica e di professionalità; altri, come il GALGANO, ritengono che lo scopo di lucro non sia essenziale allo svolgimento dell'attività imprenditoriale (esistono infatti imprese in cui lo scopo di lucro è escluso dalle finalità perseguite, come le imprese mutualistiche).

    Tuttavia, già dall’inizio, l’interpretazione prevalente è stata quella che considera l’attività d’impresa come caratterizzata dallo scopo di lucro dell’imprenditore.

    L’imprenditore può stipulare contratti per avere il dominio utile (la disponibilità) dei beni, ma nella disciplina dell’impresa l’aspetto statico della proprietà dei mezzi è un aspetto collaterale o addirittura ininfluente.

    La nozione di azienda (art. 2555) esprime pienamente questo concetto: "L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa"; infatti non si fa cenno all’aspetto della proprietà dei beni; la rilevanza dei beni è funzionale all’attività e un’azienda è costituita dal complesso unitario dei beni, a qualsiasi titolo detenuto, organizzato dall’imprenditore per esercitare l’attività di impresa.

    CARATTERI DELL'ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE

    Dalla definizione data dal Codice Civile, possiamo evincere i caratteri che qualificano l’attività imprenditoriale:

    -l’attività economica, intesa come ogni atto che l'imprenditore compie per realizzare lo scambio di uno o più beni o servizi; per creare nuova ricchezza, l'imprenditore si espone al rischio di perdere la ricchezza utilizzata;

    -l’organizzazione, che prescinde tuttavia dall’impiego o meno di collaboratori o di un complesso di beni materialmente percepibile; l’organizzazione serve a tracciare il confine tra le attività produttive (che proprio in quanto organizzate, assumono il carattere di impresa) e quelle attività che, pur essendo destinate a produrre beni o servizi, non assumono carattere di impresa proprio perché non sono organizzate (lavoro autonomo e professioni cd. liberali). L’organizzazione quindi deve rivolgersi al mondo esterno (eterorganizzazione), e deve essere rivolta al mercato. Si può quindi affermare che "vi è lavoro autonomo finché l’uso di mezzi o di strumenti materiali non configura una produttività che ecceda quella del lavoro individuale; vi è impresa quando il livello è superato, appunto come risultato del concorso determinante e qualificante di altri fattori, quale che sia poi il rapporto tra di essi, e il rapporto tra essi e l’attività di lavoro del soggetto";

    -la professionalità, risultante da un’attività costante e sistematica, non solo occasionale; non sono imprese quelle occasionali, come ad esempio la costruzione di un edificio per abitazioni civili da parte del libero professionista che dispone di eccedenze liquide, lo sono quelle stagionali, come ad esempio gli stabilimenti alneari e, quando la lavorazione segue i ritmi naturali della fruttificazione, le imprese di trasformazione dei prodotti agricoli.

    -il fine della produzione o scambio di beni o servizi;

    -lo scopo di lucro, che tuttavia la dottrina dominante ritiene solo requisito naturale e non necessario;

    -la spendita del nome, requisito necessario in quanto determina l’assunzione del rischio imprenditoriale;

    Altro requisito non esplicitato nella nozione data dall’art. 2082, ma che emerge in via interpretativa in modo inequivocabile, è quello della liceità dell’attività d’impresa.

    Per esserci attività d’impresa ed applicare la relativa disciplina è necessario che l’imprenditore svolga una attività lecita. Non si può classificare imprenditore, benché sussistano i requisiti dell’art. 2082, chi svolge (o si propone di svolgere) un’attività contraria alle norme imperative, al buon costume o all’ordine pubblico (ad esempio il contrabbandiere o il trafficante di droga).

    Diversa dall’impresa illecita è quella irregolare cioè l’impresa che pur svolgendo un’attività legale, non rispetta le norme imperative sull’accesso o le condizioni per l’esercizio di attività d’impresa (ad esempio imprese bancarie, assicurative, finanziarie eccetera). In questo caso, l’impresa nasce comunque e si applica la relativa disciplina, salvo poi l’irrogazione delle sanzioni.

    Infine, ai sensi dell’art. 2238, i liberi professionisti e gli artisti non sono mai – in quanto tali – imprenditori: essi lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale sia esercitata nell’ambito di un’altra attività di per se qualificata come impresa (ad es. il medico che gestisce una clinica privata in cui egli stesso opera). Il motivo di tale esclusione è da ricercare nel fatto che tali soggetti non assumono, nell’esercizio delle proprie attività, quel rischio del lavoro che caratterizza la figura di imprenditore: si parla per essi di una obbligazione di mezzi e non di una obbligazione di risultati. Quindi il professionista ha diritto al compenso per il solo fatto di aver prestato la propria opera ed a prescindere dal risultato di essa, il cui rischio, pertanto, grava sull’altra parte del rapporto obbligatorio.

    § 2. LO STATUS DI IMPRENDITORE E LA NOZIONE DI IMPRESA NEL CODICE CIVILE

    La qualifica di imprenditore comporta per il soggetto uno speciale regime giuridico (status di imprenditore). Questi infatti ha la direzione dell’impresa; ha l’obbligo di tutelare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti, ed è sottoposto ad un regime di particolare rigore pubblicistico.

    Quanto all’impresa, poiché il codice si limita a definire la figura dell’imprenditore, è la dottrina ad estrapolarne la nozione: partendo dal presupposto che l’imprenditore è il titolare dell’impresa, questa può essere definita come l’attività economica organizzata dall’imprenditore e da lui esercitata professionalmente al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

    PRINCIPI COSTITUZIONALI

    Tutto il Titolo della Costituzione dedicato ai Rapporti economici riguarda in modo più o meno diretto l’impresa. Tra gli articoli più significativi, l’art. 41, in cui si sancisce la libertà di iniziativa economica privata e pubblica: per cui l’impresa pubblica e quella privata coesistono nel nostro sistema in condizioni giuridicamente paritarie e di concorrenza; l’iniziativa economica è libera, ma essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

    L’art. 43 sancisce l’intervento pubblico nell’economia in forme sia autoritative che espropriative; le imprese in questione debbono riferirsi a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia, a situazioni in monopolio ed avere un preminente interesse generale. La normativa esaminata, sancendo l’intervento dello Stato nell’economia, spezza il rapporto tradizionale fra pubblico e privato e porta, come afferma il Galgano, alla conversione del diritto privato in un diritto comune a pubblici e privati operatori che, nell’esercizio delle attività economiche, operano in posizione paritaria.

    Infine l’art. 41 comma 3 sancisce l’indirizzo e il coordinamento a fini sociali dell’attività economica pubblica e privata, mentre gli art. 45 e 46 riconoscono la valenza della cooperazione mutualistica, la tutela e lo sviluppo dell’artigianato e la collaborazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda.

    § 3. LE DIVERSE CATEGORIE IMPRENDITORIALI

    L’IMPRENDITORE AGRICOLO

    Prima dell’entrata in vigore del codice del 1942, l’attività di sfruttamento delle terre - considerata attività di mero godimento – era regolata anziché dal codice di commercio, dal codice civile. La normativa attuale, considerando imprenditore chiunque svolga un’attività creativa di ricchezza, ha incluso nella categoria anche l’agricoltore ma ha conservato per esso alcuni privilegi come l’esclusione dall’obbligo della tenuta delle scritture contabili e la non assoggettabilità al fallimento. Per l'art. 2135 è imprenditore agricolo "chi esercita un'attività (professionale) diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse; il 2° comma dell'art. 2135 precisa che si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura".

    La giurisprudenza e la dottrina prevalenti ritengono che le imprese agricole per connessione non si esauriscano nel novero di quelle elencate dalla norma considerando tale elencazione meramente esplicativa. In quest’ottica si distinguono:

    -attività connesse tipiche, cioè quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura;

    -attività connesse atipiche, cioè tutte le altre attività esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame (es. agriturismo, trebbiatura per conto terzi ecc.).

    Tali attività sono oggettivamente commerciali ma vengono considerate agricole qualora siano connesse ad una delle tre attività agricole essenziali. Perché possano essere considerate connesse, tali attività devono presentare:

    -una connessione soggettiva, in quanto il soggetto che esercita l’attività deve essere un imprenditore agricolo;

    -una connessione oggettiva, in quanto l’attività connessa non deve configurare un’autonoma speculazione commerciale o industriale e, tramite la persona dell’agricoltore, deve essere sempre collegata oggettivamente alla terra. Tale collegamento oggettivo viene individuato per le attività connesse tipiche attraverso il criterio dell’esercizio normale dell’agricoltura; per le attività connesse atipiche mediante il criterio dell’accessorietà.

    L’IMPRENDITORE COMMERCIALE

    La nozione di imprenditore commerciale è ricavata per via residuale allorché la sua attività non costituisca attività agricola.

    Ai sensi dell’art. 2195, sono quindi imprenditori commerciali coloro che esercitano:

    -attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi: sono tutte quelle che si propongono, attraverso la trasformazione di materie prime, la creazione di nuovi prodotti ovvero, attraverso la organizzazione di capitale e lavoro, la predisposizione di servizi;

    -attività intermediaria nella circolazione di beni, ovvero le attività commerciali;

    -attività di trasporto per terra, per acque, per aria;

    -attività bancaria, che si concreta nella raccolta di risparmio tra il pubblico e nell’esercizio del credito;

    -attività assicurativa, cioè quelle attività che consistono nell’esercizio delle assicurazioni private, per cui non sono imprese gli enti che gestiscono le assicurazioni sociali;

    -attività ausiliarie alla precedenti, cioè quelle attività che agevolano l’esercizio delle attività specificamente indicate o comunque sono legate a queste ultime da un rapporto di complementarità.

    Sono invece casi particolari:

    -l’impresa civile, intesa come attività di produzione di servizi, non definibile come attività industriale ai sensi del n. 1 dell’art. 2195: parte della dottrina ritiene che l’imprenditore civile non sia assoggettabile alla disciplina dell’imprenditore commerciale (quindi non fallirebbe); la dottrina dominante ritiene invece che la dicotomia impresa agricola – impresa commerciale esaurisca ogni possibile tipo di impresa e quindi non esista una impresa civile;

    -gli enti pubblici economici, ovvero quella particolare categoria di enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di una attività commerciale: per essi, la normativa dettata per gli imprenditori privati, si aggiunge o si sovrappone alla disciplina istituzionale.

    IL PICCOLO IMPRENDITORE

    Secondo l’art. 2083 sono piccoli imprenditori:

    -il coltivatore diretto del fondo;

    -l'artigiano. Secondo le due due leggi, la n. 860 del 1956 e la n. 443 del 1985 (cd. "legge–quadro dell’artigianato"), l’impresa artigiana ha ad oggetto prevalente "lo svolgimento di una attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di produzione di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni e ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti o bevande"; mentre è definito imprenditore artigiano colui che "esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare dell’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e rischi inerenti alla sua gestione e direzione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo";

    -il piccolo commerciante, (ossia colui che, rispondendo ai caratteri di cui all’art. 2082, svolge un’attività di intermediazione nella circolazione dei beni, vale a dire il piccolo imprenditore commerciante che non deve tenere le scritture contabili obbligatorie, non è soggetto alle procedure concorsuali ma è obbligato all’iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese ai fini di certificazione e di pubblicità notizia);

    -tutti coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia.

    Tale definizione si scontra però con l'art. 1 della legge fallimentare che per esprimere la nozione di piccolo imprenditore fa riferimento al capitale investito, ma la disputa pare essersi risolta con alcune pronunce della Corte Costituzionale, che hanno statuito che la norma del secondo comma dell'art. 1 L. Fall. è cancellata dal nostro ordinamento.

    La distinzione tra le categorie di piccolo, medio e grande imprenditore, ed insolvente civile deve essere operata, pertanto, non più in relazione al capitale investito, bensì con ponderato riferimento all’attività svolta, all’organizzazione dei mezzi impiegati, all’entità dell’impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell’economia generale.

    § 4. ACQUISTO DELLA QUALITÀ DI IMPRENDITORE COMMERCIALE E SUOI EFFETTI

    L’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, per le persone fisiche, è indipendente da ogni adempimento di carattere formale e si produce in conseguenza dell’inizio effettivo della attività economica.

    Ma quando nasce l'impresa? In che momento si certifica la sua esistenza? Su tale momento l’orientamento della dottrina si bipartisce in due teorie:

    -teoria oggettiva: l’impresa nasce quando sono realizzate organizzazione e attività produttiva. Alla stregua di tale criterio sembrerebbe risolto in senso negativo il problema della ricomprensione nell’attività di impresa di quelli che sono stati denominati gli atti di organizzazione, quegli atti, cioè, preparatori al vero e proprio inizio dell’attività;

    -teoria soggettiva: secondo tale tesi, la distinzione tra atti di organizzazione e atti dell’organizzazione non avrebbe rilievo decisivo nella soluzione del problema, soprattutto, perché, a parte la difficoltà pratica di inquadramento degli atti compiuti dal soggetto in una piuttosto che in un’altra delle due categorie, anche gli atti preparatori dell’attività rientrano nell’attività di impresa. L’importante è che non si tratti di atti isolati.

    L’accettazione di una piuttosto che dell’altra tesi non è senza conseguenze pratiche, proprio perché alla individuazione del momento dell’inizio dell’attività di impresa, la legge ricollega, nell’ordine:

    -l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese;

    -l’obbligo di tenuta delle scritture contabili per gli imprenditori commerciali;

    -l’applicazione delle forme di tutela dei segni distintivi e contro la concorrenza sleale;

    -la soggezione alle procedure concorsuali.

    Comunque sia, dalla qualità di imprenditore di una delle parti di un rapporto contrattuale, conseguono determinati effetti, fra i quali occorre ricordare:

    a)la proposta o l’accettazione di un contratto, fatta dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa, non perde efficace se l’imprenditore muore o viene dichiarato incapace prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di piccolo imprenditore o che risulti diversamente dalla circostanze o dalla natura dell’affare;

    b)la norma dell’art. 1341 (condizioni generali del contratto), si riferisce alle attività imprenditoriali per delineare la figura del c.d. contraente più forte;

    c)nell’interpretazione del contratto, se una delle parti è imprenditore, le clausole ambigue si interpretano secondo gli usi del luogo in cui si trova la sede dell’impresa.

    § 5. CAPACITÀ DI ESERCITARE UN’IMPRESA COMMERCIALE

    In linea generale, è possibile affermare che chi ha la capacità di agire è anche capace di esercitare un’impresa. Sia l’incapace (minore o interdetto) che l’inabilitato possono essere autorizzati solo a continuare, ma non ad iniziare, l’esercizio dell’attività commerciale.

    Fa eccezione alla regola il minore emancipato, il quale, peraltro, dopo l’autorizzazione consegue la piena capacità di agire anche per gli atti estranei all’impresa, con la sola eccezione degli atti di donazione. In ogni caso, l’esercizio–continuazione o inizio di una impresa commerciale, sia nel

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