Perché lo fai?: Una mappa per capire l’universo dei bambini
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Anteprima del libro
Perché lo fai? - Fabio Porporato
1
Vivere la rabbia
Possiamo pensare alle emozioni come a delle risposte a eventi reali o immaginari che prevedono reazioni di breve durata e caratterizzate da una certa intensità. La rabbia è una delle emozioni primarie³ e insorge nel momento in cui, di fronte a un evento percepito come ingiusto, si produce una forte sensazione di disappunto e un impulso a contrattaccare. Proviamo rabbia quando abbiamo la percezione di aver subito un torto e sentiamo un senso d’ingiustizia nei nostri confronti per il danno subìto.
La rabbia è forse l’emozione più potente e dirompente che esista. Quando ci arrabbiamo sperimentiamo sensazioni contrastanti che, se da una parte ci attivano e ci fanno sentire forti e potenti, dall’altra ci spaventano per il loro essere in qualche modo poco controllabili. È esperienza comune che quando qualcosa ci fa arrabbiare abbiamo, almeno all’inizio, la capacità di autocontrollarci e di regolare le nostre reazioni ma, superato un livello di soglia, generalmente ci ritroviamo in una situazione di cortocircuito
nella quale a prevalere sono reazioni istintuali e poco gestibili. Quando poi la rabbia si insinua nella relazione tra un adulto e un bambino, è altamente probabile che la situazione possa precipitare velocemente.
Ma perché questa emozione ci fa andare così in tilt? Che cosa la rende così destabilizzante e allo stesso tempo preziosa? In che modo può diventare un’alleata nella relazione con i nostri bimbi e le nostre bimbe?
Per rispondere a queste domande può essere d’aiuto andare indietro nel tempo. Quando l’uomo primitivo viveva in caverne e ripari di fortuna, di fronte alle minacce reagiva principalmente in due modi: si bloccava oppure passava all’azione, scappando se guidato dalla paura, attaccando se guidato dalla rabbia. La reazione di freezing, nella quale l’individuo in una situazione di minaccia rimane paralizzato da un senso di impotenza e non riesce letteralmente a muoversi, ha avuto e ha ancora oggi conseguenze estremamente negative in situazioni di emergenza. È, inoltre, la responsabile di quei fenomeni di dissociazione osservabili in chi soffre di disturbi post-traumatici da stress. Al contrario, la risposta di attacco, da un punto di vista evolutivo e sociale, ha permesso all’uomo di difendersi e di reagire.
Si può dunque dire che, in qualche modo, la rabbia abbia aiutato l’uomo a uscire dalle caverne e ad affrontare il mondo ostile, grazie alla sua grande forza propulsiva: di fronte a un animale che lo minacciava l’uomo, arrabbiandosi, ha iniziato a reagire e a rispondere a quella minaccia contrattaccando. La portata di questo cambiamento in termini evolutivi è stata naturalmente enorme e ci fa comprendere meglio quanto la nostra percezione della rabbia come emozione negativa
debba essere in realtà ridimensionata.
La funzione adattiva della rabbia risiede, dunque, nell’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova, nel rispondere a un torto subìto o percepito perché rappresenta la violazione dei propri diritti.
Spostando questa importante funzione nella relazione con i bambini e le bambine, ci si chiede spesso quale sia la motivazione che provochi le loro reazioni rabbiose. In molti degli episodi che viviamo nella quotidianità delle relazioni con i piccoli, infatti, ci capita di osservare scoppi emotivi apparentemente immotivati. Occorre tenere a mente che non sempre, a monte, esiste una motivazione reale e oggettiva ma, molto spesso, è la percezione di ciò che è accaduto, il vissuto del bambino, a evocare quell’emozione. Sapere, però, che c’è sempre un motivo può spingere l’adulto a mettersi in una posizione di ascolto e di osservazione, prima, e di ricerca dopo che la tempesta di rabbia è passata.
I bambini costruiscono le loro esperienze in base a ciò che vivono in ogni istante ed è importante aiutarli fin da piccoli a imparare a stare nelle situazioni senza che le loro emozioni li travolgano. In tutte queste vicende, quello che può fare la differenza è la risposta dell’ambiente che circonda il piccolo, la reazione degli adulti di riferimento che ha accanto e che lo aiutano a vivere, a comprendere e poi a verbalizzare l’esperienza vissuta.
La recente teoria polivagale⁴ ci può aiutare a comprendere da un punto di vista neurofisiologico come le risposte di fronte a eventi pericolosi siano innate e abbiano origine dall’attivazione di due percorsi diversi (nervo vago dorsale e nervo vago ventrale). La cosa interessante, però, è che alcune delle risposte si possono allenare ed esistono strategie che permettono di abbassare il cosiddetto arousal, la situazione di allerta che in alcuni contesti e per alcune persone si attiva con soglie di pericolo più basse.
Questa teoria, oggi, ci permette di cogliere quale sia il senso profondo di qualsiasi relazione di cura: connettersi e co-regolarsi con gli altri rappresenta il nostro imperativo biologico. In altre parole, potremmo dire che il compito di ogni adulto che si occupa di bambini dovrebbe essere quello di mettersi in relazione con l’altro in una maniera accogliente, attraverso modi che trasmettano vicinanza e comprensione e comunichino, con tutto il corpo, la disponibilità a stare insieme. In ambito clinico e educativo, queste scoperte hanno riportato al centro del discorso sulle emozioni il concetto di sicurezza
che già Bowlby⁵ aveva individuato nei suoi studi sull’attaccamento tra il bebè e la propria madre.
Al di là delle teorie e delle parole che sicuramente ci aiutano a comprendere meglio le emozioni, io credo che l’aspetto che mette più in difficoltà nella rabbia dei bambini sia quella sensazione di perdita di controllo che la caratterizza e che la nostra parte adulta e razionale fatica ad accettare. Spesso perché risveglia le nostre parti rabbiose, la nostra storia evolutiva legata alla rabbia e la nostra incapacità di controllarci. A volte, in alcune situazioni, ci mette di fronte ai nostri limiti di genitori o di adulti, che non riescono a gestire quelle manifestazioni così forti dei piccoli.
Allo stesso tempo, da un punto di vista sociale siamo ancora lontani dal considerare la rabbia come una reazione adatta e fin da piccoli si tende a dire ai bambini: «Su dai, non ci si arrabbia», quando forse il messaggio più corretto potrebbe essere che ci si può arrabbiare ma senza fare e farsi male.
È pur vero che, quando gli scoppi di rabbia hanno luogo in contesti pubblici, pochi adulti si sentono davvero a loro agio: scatta velocemente il pensiero del giudizio altrui; quegli sguardi e quei pensieri dell’altro, reali o immaginati, ci rimandano immediatamente alle nostre mancanze e possono innescare reazioni sconclusionate che hanno, come unico scopo, quello di far cessare al più presto quel comportamento inadeguato.
Da ciò che ho provato a esporre rapidamente sopra, può sorgere in chi legge una serie di interrogativi legati alle strategie da mettere in campo in quei momenti. Che cosa fare? Come farlo? Come agire per far sì che le cose vadano in un altro modo? Posto che non si può non provare rabbia ma piuttosto imparare con l’esperienza a esprimerla in maniera modulata
e attraverso comportamenti via via più accettabili, quello che mi preme è rendere esplicito un aspetto che sfugge sovente alla nostra consapevolezza di adulti.
Generalmente si usa il termine gestire
per descrivere le modalità principali da adottare in quei momenti, ma è opportuno ricordare che i bambini, così come noi adulti, sono prima di tutto corpi che sentono e reagiscono mettendo in atto risposte istintive. Per quanto si possa accogliere, contenere, utilizzare tutti gli strumenti più adatti, in quelle situazioni dobbiamo avere pazienza e ricordarci che passerà.
Bisogna, prima di tutto, sgombrare mente e corpo dalle aspettative irrealizzabili che le esplosioni rabbiose possano scomparire magicamente dopo una certa età o fase di sviluppo. È più razionale e utile, invece, avere fiducia nelle capacità di connessione e di co-regolazione nostre e dei bambini. Per questo, se vogliamo usare la parola gestire
occorre tenere a mente che si tratta di un processo lungo e tortuoso che non si esaurisce in breve tempo. È un percorso a ostacoli in cui ciò che più conta e può fare la differenza è la relazione, il come stiamo insieme in quei momenti.
Abbiamo visto che la rabbia si accende
in maniera spontanea, si attivano diversi circuiti e in base al percorso di quegli impulsi nervosi si hanno risposte differenti. Esperienze ripetute di rottura e di costruzione di un equilibrio attraverso la presenza rassicurante di un adulto consapevole di sé e della situazione permettono al bambino di evolvere e di trasformare i suoi comportamenti. Inoltre, solo la corteccia pre-frontale, la parte più grande e più recente
del nostro cervello e che termina il suo sviluppo intorno ai 25 anni di età, è in grado di svolgere quei compiti tanto importanti nella gestione della rabbia: riconoscerla, nominarla, comprenderne la motivazione e individuare delle