Merry Crisis
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Anteprima del libro
Merry Crisis - Jacopo Brendolise
serenità.
1. MILANO
Nessuna città dovrebbe essere tanto grande che un uomo una mattina non possa uscirne camminando.
(Cyril Connolly)
Milano, 24 Dicembre;
Un forte profumo di caffè e brioche avvolge l’aria nebbiosa e fredda. Non sono ancora le nove del mattino, ma la strada pullula già di molte persone.
Camminando per le vie della città, si possono incontrare uomini d’affari, pensionati, bambini e, anche se passano più inosservati, sono presenti anche molti immigrati e poveri mendicanti, che qua e là, chiedono l’elemosina sullo sporco marciapiede, o intenti a vendere scaramantici braccialetti della fortuna o ombrelli di qualsiasi colore.
Questa mattina sembra però, non esserci ancora cosi tanta gente come nei normali giorni lavorativi.
Guardandosi intorno infatti si possono già notare molti individui che compongono il tessuto urbano e cittadino della metropoli nelle ore mattutine: c’è chi passeggia lentamente, chi invece ha più premura e cammina a passo decisamente più spedito, c’è anche chi aspetta in modo impaziente il bus, aimè bestemmiando e imprecando per l’ormai così frequente ritardo dei mezzi pubblici e c’è anche chi, di corsa, scende le scale, sfoggiando il costoso biglietto tra le dita
– come se fosse un trofeo di guerra - per prendere, in ritardo, la frettolosa metro: tutto come se accadesse in un giorno normale.
La lunga via, che ha preso il nome del grande personaggio politico Giuseppe Mazzini
, che sfocia direttamente nella famosissima piazza del Duomo, è sempre gremita di gente ed è conosciuta, dai Milanesi e non, come una delle vie più vivaci e popolate, animata dai suoi luminosi negozi, dallo scampanellio dei tram e in questi giorni anche di tante luci colorate e di addobbi natalizi in essa posti, divenendo luogo di avventurosi inseguimenti tra babbi natale di gomma appesi qua e la e in procinto di scalare qualche lampione o qualche grondaia dei condomini che su essa si affacciano.
Questa via, secondo molti, è anche uno dei luoghi dove si può ammirare, come se fossimo colombe in volo, l’anima e lo spirito della città: la sua dinamicità e la sua inesauribile energia. Del resto non solo qui, ma in tutti i luoghi di Milano si può percepire, prepotentemente, la forza e l’imponenza della metropoli, che è da sempre creata e sostenuta dalla collettività.
Essa appare quindi, come un luogo dove ogni individuo può esprimersi nel proprio ruolo individuale, dando così il proprio contributo sociale, divenendo una piccola, ma aimè quasi insignificante tessera del grande mosaico urbano.
In questa strada, come già accennato, si possono quindi incontrare molte persone: alcune si salutano e affettuosamente si scambiano i superficiali, e talvolta ipocriti, auguri natalizi di rito, altre incrociando rispettivamente gli sguardi, non si salutano nemmeno e per la fretta tirano avanti come se niente fosse.
Mosso dalla mia curiosità, mi sforzo ad osservare ancora di più la folla e noto, con stupore, che, sopra a delle impalcature, alcuni operai - nonostante sia la vigilia della festa tra le feste - lavorano freneticamente, in un piccolo cantiere a bordo della strada e, come di consueto, ecco che intravedo anche alcuni anziani, chiamati anche in gergo Umarell
, che con nostalgia e una nota di tristezza, sbirciano da alcuni fori nelle recinzioni per vedere a che punto siano arrivati i tanto agognati lavori.
Spostando poi lo sguardo verso la piazza, noto due bambini, che con allegria e spensieratezza, corrono sul marciapiede inseguendo i piccioni. In parte a loro, noto anche la presenza della loro madre: una donna dalla bella presenza, bionda, alta, con un elegante piumino grigio che, chiudendo in modo repentino una telefonata, cerca di richiamarli a se imprecando.
Dopo aver osservato per alcuni minuti questi simpatici, ma altrettanto fastidiosi, bambini continuo ad osservare la gente transitare e sostare per la strada. Che bello ammirare la gente, la collettività, magari pensando anche a quanto sarebbe interessante, poter conoscere i pensieri, i cuori e sopatutto le realtà di queste persone: mi sono sempre chiesto infatti quali siano le storie che ognuno porta con se nella propria interiorità, quali tesori ognuno di noi ha in sè e nessuno cerca mai di coglierli.
Siamo infatti, sempre pronti, nella nostra ipocrisia, ad etichettare il prossimo. e a giudicare, nella sua apparenza, la pagliuzza che porta nel suo occhio, senza guardare alla trave che portiamo invece all’interno del nostro.
Provo allora, aiutato ancora dalla mia curiosità, a focalizzare l’attenzione tra la gente che popolava quella via, e in particolare, noto un primo personaggio che ha attirato da subito la mia attenzione: è un giovane sulla trentina, sta uscendo dalla grande caffetteria di fronte a me, dall’altra parte della strada, e saluta in modo scherzoso il barista facendogli gli auguri di Natale. L’uomo in questione è calvo, porta un paio di occhiali con montatura rigida di plastica, e ha una folta barba. Porta inoltre, sul lobo dell’orecchio sinistro, un largo dilatatore di metallo. Dall’aspetto sembra essere un bonaccione: vivrà ancora con i genitori. Guardandolo, si nota subito infatti la sua robustezza, molto probabilmente è anche uno che mangia molto, o che solamente frequenta, per lavoro, molti fast-food. Noto anche, con meraviglia, che nonostante il freddo non porta il capotto, ma indossa solamente, sopra la maglietta bianca, una felpa nera.
Indossa inoltre dei pantaloni di jeans a cavallo basso, con la stoffa strappata all’altezza delle ginocchia e delle sporche Convers nere.
Il suo nome è Domenico, porta al petto un cartellino con questo nome, che riesco a leggere a malapena per via della distanza che ci separa, lavora per una nota azienda di consegne e forniture, per attività e privati, a domicilio, ed evidentemente sta lavorando anche in questo giorno prefestivo.
Appena uscito dal bar, dopo essersi messo una cartellina blu scuro, sotto il braccio e infilantosi la penna dietro l’orecchio, si diresse verso il suo furgone bianco parcheggiato in mezzo alla strada, e dopo averne aperto la pesante portiera, appoggiò la cartellina sul sedile e si accese una sigaretta.
Appoggiato sul fianco del furgone, scrutando la strada e il traffico davanti a se, consumava, in qualche momento di pace, la sigaretta.
Lanciando via il mozzicone, salì in modo goffo sul veicolo chiudendo velocemente la portiera dietro di se e con una breve sterzata si immise velocemente in strada, dando solamente un breve sguardo nello specchietto laterale tra le auto e il traffico, con tanto di stridore di pneomatici sull’asfalto e fumo nero nell’aria.
Che che persona simpatica, chissà se lo rivedrò mai più questo Domenico.
Continuando stupidamente a perdermi con lo sguardo tra i passanti, vedo un’ultima figura che attrae il mio sguardo: un giovane: avrà avuto cica venticinque