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Coscienza cosmica (tradotto)
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E-book510 pagine8 ore

Coscienza cosmica (tradotto)

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Coscienza cosmica: Uno studio sull'evoluzione della mente umana, è un libro dello psichiatra canadese Richard Maurice Bucke, pubblicato per la prima volta nel 1901. Il libro esplora il concetto di coscienza cosmica, che l'autore definisce "una forma di coscienza superiore a quella posseduta dall'uomo comune", e cerca di condurre un'indagine scientifica sugli individui che possiedono questo stato di coscienza elevato. Bucke presenta una raccolta di circa trentasei casi straordinariamente coerenti, che includono sia personaggi storici ben noti sia casi di studio più recenti, raccolti dallo stesso Bucke. La proposta di fondo avanzata da Bucke suggerisce che questi individui illuminati rappresentino un salto evolutivo, fungendo da precursori di una specie più avanzata.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ago 2023
ISBN9791255369677
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    Anteprima del libro

    Coscienza cosmica (tradotto) - Richard Maurice Bucke

    CONTENUTI

    Parte I. Le prime parole

    Parte II. Evoluzione e devoluzione

    Parte III. Dal sé alla coscienza cosmica

    Parte IV. Istanze di coscienza cosmica

    Parte V. Ulteriori

    Parte VI. Le ultime parole

    Coscienza cosmica

    Richard Maurice Bucke

    Parte I. Le prime parole

    I.

    Che cos'è la Coscienza Cosmica? Il presente volume è un tentativo di rispondere a questa domanda; tuttavia, sembra opportuno fare una breve premessa con un linguaggio il più semplice possibile, in modo da aprire la porta, per così dire, all'esposizione più elaborata che verrà tentata nel corpo dell'opera. La Coscienza cosmica, dunque, è una forma di coscienza superiore a quella posseduta dall'uomo comune. Quest'ultima è chiamata Autocoscienza ed è quella facoltà su cui poggia tutta la nostra vita (sia soggettiva che oggettiva) che non è comune a noi e agli animali superiori, eccetto quella piccola parte di essa che deriva da quei pochi individui che hanno avuto la coscienza superiore sopra nominata. Per chiarire la questione, bisogna capire che esistono tre forme o gradi di coscienza. (1) La coscienza semplice, che è posseduta dalla metà superiore del regno animale. Grazie a questa facoltà, un cane o un cavallo è consapevole delle cose che lo circondano tanto quanto lo è un uomo; è anche consapevole dei propri arti e del proprio corpo e sa che questi sono una parte di sé. (2) Oltre a questa semplice coscienza, che è posseduta dall'uomo come dagli animali, l'uomo ne ha un'altra che si chiama coscienza di sé. In virtù di questa facoltà, l'uomo non solo è consapevole degli alberi, delle rocce, delle acque, dei propri arti e del proprio corpo, ma diventa consapevole di se stesso come entità distinta da tutto il resto dell'universo. È quasi certo che nessun animale può rendersi conto di sé in questo modo. Inoltre, grazie all'autocoscienza, l'uomo (che sa come sa l'animale) diventa capace di trattare i propri stati mentali come oggetti di coscienza. L'animale è, per così dire, immerso nella sua coscienza come un pesce nel mare; non può, nemmeno con l'immaginazione, uscirne per un momento per realizzarla. Ma l'uomo, in virtù dell'autocoscienza, può uscire, per così dire, da se stesso e pensare: Sì, quel pensiero che ho avuto su quella questione è vero; so che è vero e so che so che è vero. A chi scrive è stato chiesto: Come fai a sapere che gli animali non possono pensare allo stesso modo?. La risposta è semplice e conclusiva: è così: Non ci sono prove che un animale possa pensare in questo modo, ma se lo facesse lo sapremmo subito. Tra due creature che vivono insieme, come i cani o i cavalli e gli uomini, e ciascuna consapevole di sé, sarebbe la cosa più semplice del mondo aprire una comunicazione. Anche così com'è, diversa è la nostra psicologia, osservando i suoi atti entriamo abbastanza liberamente nella mente del cane, vediamo cosa succede, sappiamo che il cane vede e sente, annusa e assaggia, sappiamo che è intelligente, che adatta i mezzi ai fini, che ragiona. Se fosse cosciente di sé, lo avremmo imparato molto tempo fa. Non l'abbiamo imparato ed è quasi certo che nessun cane, cavallo, elefante o scimmia sia mai stato autocosciente. Un'altra cosa: sull'autocoscienza dell'uomo si fonda tutto ciò che di noi è distintamente umano. Il linguaggio è l'obiettivo di cui l'autocoscienza è il soggettivo. L'autocoscienza e il linguaggio (due in uno, perché sono due metà della stessa cosa) sono la conditio sine qua non della vita sociale umana, delle maniere, delle istituzioni, delle industrie di ogni tipo, di tutte le arti utili e belle. Se un animale possedesse la coscienza di sé, sembra certo che su questa facoltà principale costruirebbe (come ha fatto l'uomo) una sovrastruttura di linguaggio, di costumi ragionati, di industrie, di arte. Ma nessun animale ha fatto questo, quindi deduciamo che nessun animale ha coscienza di sé.

    Il possesso della coscienza di sé e del linguaggio (l'altro sé) da parte dell'uomo crea un enorme divario tra lui e la più alta creatura che possiede solo la semplice coscienza.

    La Coscienza cosmica è una terza forma che sta al di sopra dell'Autocoscienza come quella che sta al di sopra della Coscienza semplice. In questa forma, naturalmente, persistono sia la coscienza semplice che quella di sé (come la coscienza semplice persiste quando si acquisisce la coscienza di sé), ma ad esse si aggiunge la nuova facoltà così spesso nominata e che verrà nominata in questo volume. La caratteristica principale della coscienza cosmica è, come dice il nome, la coscienza del cosmo, cioè della vita e dell'ordine dell'universo. Il significato di queste parole non può essere trattato in questa sede; è compito di questo volume fare un po' di luce su di esse. Oltre al fatto centrale appena accennato, sono molti gli elementi che appartengono al senso cosmico. Di questi se ne possono citare alcuni. Insieme alla coscienza del cosmo si verifica un'illuminazione intellettuale che, da sola, porrebbe l'individuo su un nuovo piano di esistenza, rendendolo quasi un membro di una nuova specie. A questo si aggiunge uno stato di esaltazione morale, un indescrivibile sentimento di elevazione, euforia e gioia, e un'accelerazione del senso morale, che è altrettanto sorprendente e più importante sia per l'individuo che per la razza di quanto non lo sia il potenziamento del potere intellettuale. A ciò si aggiunge quello che si può definire un senso di immortalità, una coscienza della vita eterna, non la convinzione che l'avrà, ma la consapevolezza di averla già.

    Solo un'esperienza personale, o uno studio prolungato di uomini passati alla nuova vita, ci permetterà di renderci conto di cosa sia in realtà; ma a chi scrive è sembrato che passare in rassegna, anche se brevemente e in modo imperfetto, i casi in cui la condizione in questione è esistita sarebbe stato utile. Egli si aspetta che il suo lavoro sia utile in due modi: In primo luogo, per ampliare la visione generale della vita umana, comprendendo nella nostra visione mentale questa importante fase di essa e permettendoci di renderci conto, in qualche misura, del vero status di alcuni uomini che, fino ad oggi, sono stati esaltati, dall'individuo medio autocosciente, al rango di divinità o, adottando l'altro estremo, sono stati giudicati pazzi. In secondo luogo, spera di fornire un aiuto ai suoi simili in un senso molto più pratico e importante. Il suo punto di vista è che i nostri discendenti raggiungeranno prima o poi, come razza, la condizione di coscienza cosmica, proprio come, molto tempo fa, i nostri antenati passarono dalla semplice coscienza di sé all'autocoscienza. Ritiene che questo passo nell'evoluzione si stia già compiendo, poiché gli è chiaro sia che gli uomini dotati della facoltà in questione stanno diventando sempre più comuni, sia che come razza ci stiamo avvicinando sempre più a quello stadio della mente autocosciente da cui si effettua il passaggio alla coscienza cosmica. Egli si rende conto che, con la necessaria ereditarietà, qualsiasi individuo che non abbia già superato l'età può entrare nella coscienza cosmica. Sa che il contatto intelligente con le menti cosmiche coscienti aiuta gli individui autocoscienti nell'ascesa al piano superiore. Spera quindi, realizzando o almeno facilitando questo contatto, di aiutare gli uomini e le donne a compiere il passo quasi infinitamente importante in questione.

    II.

    Il futuro immediato della nostra razza, secondo chi scrive, è indescrivibilmente promettente. Attualmente sono in atto su di noi tre rivoluzioni, la più piccola delle quali renderebbe insignificante l'ordinario sconvolgimento storico chiamato con questo nome. Esse sono: (1) La rivoluzione materiale, economica e sociale che dipenderà e deriverà dall'istituzione della navigazione aerea. (2) La rivoluzione economica e sociale che abolirà la proprietà individuale e libererà la terra in una sola volta da due immensi mali: la ricchezza e la povertà. E (3) la rivoluzione psichica di cui non si parla.

    Entrambi i primi due cambierebbero (e cambieranno) radicalmente le condizioni della vita umana e la eleveranno notevolmente; ma il terzo farà per l'umanità più di entrambi i primi, se la loro importanza fosse moltiplicata per centinaia o addirittura per migliaia.

    I tre che operano (come faranno) insieme creeranno letteralmente un nuovo cielo e una nuova terra. Le cose vecchie saranno eliminate e tutto diventerà nuovo.

    Prima della navigazione aerea, i confini nazionali, le tariffe e forse le distinzioni linguistiche svaniranno. Le grandi città non avranno più ragione di esistere e si dissolveranno. Gli uomini che ora abitano nelle città abiteranno d'estate le montagne e le rive del mare, costruendo spesso in luoghi ariosi e bellissimi, ora quasi o del tutto inaccessibili, da cui si gode la vista più ampia e magnifica. In inverno, probabilmente, abiteranno in comunità di dimensioni moderate. Come il raggruppamento, come ora, nelle grandi città, così l'isolamento dei lavoratori del suolo diventerà un ricordo del passato. Lo spazio sarà praticamente annullato, non ci sarà affollamento né solitudine forzata.

    Prima che il socialismo schiacci la fatica, l'ansia crudele, le ricchezze insulse e demoralizzanti, la povertà e i suoi mali diventeranno soggetti per romanzi storici.

    A contatto con il flusso della coscienza cosmica, tutte le religioni conosciute e nominate oggi si scioglieranno. L'anima umana sarà rivoluzionata. La religione dominerà assolutamente la razza. Non dipenderà dalla tradizione. Non si crederà e non si crederà. Non sarà una parte della vita, appartenente a certe ore, tempi, occasioni. Non sarà nei libri sacri né nella bocca dei sacerdoti. Non abiterà nelle chiese e nelle riunioni e nelle forme e nei giorni. La sua vita non sarà nelle preghiere, negli inni o nei discorsi. Non dipenderà da rivelazioni speciali, dalle parole di dèi scesi per insegnare, né da alcuna Bibbia o Bibbie. Non avrà la missione di salvare gli uomini dai loro peccati o di assicurare loro l'ingresso in paradiso. Non insegnerà un'immortalità futura né glorie future, perché l'immortalità e tutta la gloria esisteranno nel qui e ora. L'evidenza dell'immortalità vivrà in ogni cuore come la vista in ogni occhio. Il dubbio su Dio e sulla vita eterna sarà impossibile come lo è ora il dubbio sull'esistenza; l'evidenza di ciascuno sarà la stessa. La religione governerà ogni minuto di ogni giorno di tutta la vita. Le chiese, i sacerdoti, le forme, i credi, le preghiere, tutti gli agenti, tutti gli intermediari tra il singolo uomo e Dio saranno definitivamente sostituiti da un rapporto diretto e inequivocabile. Il peccato non esisterà più e la salvezza non sarà più desiderata. Gli uomini non si preoccuperanno della morte o del futuro, del regno dei cieli, di ciò che potrà accadere con e dopo la cessazione della vita del corpo attuale. Ogni anima sentirà e saprà di essere immortale, sentirà e saprà che l'intero universo con tutto il suo bene e con tutta la sua bellezza è per lei e le appartiene per sempre. Il mondo popolato da uomini che possiedono la coscienza cosmica sarà tanto lontano dal mondo di oggi quanto questo è lontano dal mondo che c'era prima dell'avvento della coscienza di sé.

    III.

    Esiste una tradizione, probabilmente molto antica, secondo la quale il primo uomo era innocente e felice finché non mangiò del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Dopo averne mangiato, si accorse di essere nudo e si vergognò. Inoltre, allora nacque nel mondo il peccato, il cui misero senso sostituì il precedente sentimento di innocenza dell'uomo. Allora e non prima di allora l'uomo cominciò a faticare e a coprire il suo corpo. Più strano di tutto (così ci sembra), la storia racconta che, insieme a questo cambiamento o subito dopo, nella mente dell'uomo nacque la straordinaria convinzione che da allora non l'ha mai abbandonata, ma che è stata mantenuta viva dalla sua stessa vitalità intrinseca e dall'insegnamento di tutti i veri veggenti, profeti e poeti, che questa cosa maledetta che ha morso il tallone dell'uomo (che lo ha infastidito, che ha ostacolato il suo progresso e soprattutto che lo ha reso faticoso e doloroso) dovesse alla fine essere schiacciata e soggiogata dall'uomo stesso con il sorgere in lui di un Salvatore, il Cristo.

    Il progenitore dell'uomo era una creatura (un animale) che camminava eretta ma con una semplice coscienza. Era (come lo sono oggi gli animali) incapace di peccare o di sentire il peccato e altrettanto incapace di vergognarsi (almeno in senso umano). Non aveva il sentimento o la conoscenza del bene e del male. Non sapeva ancora nulla di ciò che chiamiamo lavoro e non aveva mai faticato. Da questo stato cadde (o salì) nella coscienza di sé, i suoi occhi si aprirono, seppe di essere nudo, provò vergogna, acquisì il senso del peccato (divenne di fatto ciò che si chiama peccatore) e imparò a fare certe cose per raggiungere certi scopi, cioè imparò a lavorare.

    Per eoni stanchi questa condizione è durata, il senso del peccato continua a perseguitare il suo cammino, con il sudore della fronte mangia ancora il pane e si vergogna ancora. Dov'è il liberatore, il Salvatore? Chi o cosa?

    Il Salvatore dell'uomo è la Coscienza cosmica - nel linguaggio di Paolo - il Cristo. Il senso cosmico (in qualsiasi mente si manifesti) schiaccia la testa del serpente, distrugge il peccato, la vergogna, il senso del bene e del male in contrapposizione l'uno con l'altro e annienterà il lavoro, anche se non l'attività umana.

    Il fatto che l'uomo abbia avuto, insieme o subito dopo l'acquisizione della coscienza di sé, la premonizione incoativa di un'altra coscienza più elevata che, a quel tempo, era ancora lontana nel tempo di molti millenni, è sicuramente degno di nota, anche se non necessariamente sorprendente. In biologia abbiamo molti fatti analoghi, come la premonizione e la preparazione da parte dell'individuo di stati e circostanze di cui non ha avuto esperienza e vediamo la stessa cosa nell'istinto materno della bambina.

    Lo schema universale è intessuto in un unico pezzo ed è permeabile alla coscienza o (soprattutto) alla subcoscienza in tutto e in ogni direzione. L'universo è un'evoluzione vasta, grandiosa, terribile, multiforme ma uniforme. La sezione che ci interessa in modo particolare è quella che si estende dal bruto all'uomo, dall'uomo al semidio, e costituisce l'imponente dramma dell'umanità - la sua scena la superficie del pianeta - il suo tempo un milione di anni.

    IV.

    Lo scopo di queste osservazioni preliminari è quello di gettare quanta più luce possibile sull'argomento di questo volume, in modo da aumentare il piacere e il profitto della sua lettura. Un'esposizione personale dell'introduzione dello scrittore al fatto principale trattato sarà forse più utile di qualsiasi altra cosa per raggiungere questo scopo. Pertanto, egli esporrà qui con franchezza un brevissimo profilo della sua prima vita mentale e darà un breve resoconto della sua lieve esperienza di ciò che egli chiama coscienza cosmica. Il lettore capirà facilmente da dove sono nate le idee e le convinzioni presentate nelle pagine seguenti.

    Nato da una famiglia inglese di buona classe media, è cresciuto quasi senza istruzione in quella che era una fattoria canadese di campagna. Da bambino ha aiutato in tutti i lavori che gli erano possibili: curava il bestiame, i cavalli, le pecore e i maiali; portava la legna da ardere, lavorava nel campo di fieno, guidava buoi e cavalli, faceva commissioni. I suoi piaceri erano semplici come i suoi lavori. Una visita occasionale a una cittadina vicina, una partita a pallone, il bagno nel ruscello che scorreva lungo la fattoria paterna, la costruzione e la navigazione di navi mimetiche, la ricerca di uova e fiori di uccelli in primavera e di frutti selvatici in estate e in autunno, gli offrivano, con i pattini e le mani in spalla in inverno, i suoi svaghi casalinghi e molto amati. Quando era ancora un ragazzino, leggeva con grande interesse i romanzi di Marryat, le poesie e i romanzi di Scott e altri libri simili che trattavano della natura esterna e della vita umana. Non accettò mai, nemmeno da bambino, le dottrine della Chiesa cristiana; ma, non appena fu abbastanza grande per soffermarsi su questi temi, concepì che Gesù era un uomo, grande e buono senza dubbio, ma un uomo. Che nessuno sarebbe mai stato condannato al dolore eterno. Che se un Dio cosciente esisteva, era il padrone supremo e aveva buone intenzioni per tutti; ma che, essendo finita questa vita visibile, era dubbio, o più che dubbio, se l'identità cosciente sarebbe stata conservata. Il ragazzo (anche il bambino) si soffermava su questi e altri argomenti molto più di quanto si possa supporre, ma probabilmente non più di tanti altri piccoli mortali introspettivi. A volte era soggetto a una sorta di estasi di curiosità e speranza. In un'occasione particolare, quando aveva circa dieci anni, desiderava ardentemente morire affinché i segreti dell'aldilà, se esisteva un aldilà, gli venissero rivelati; era anche soggetto ad agonie di ansia e di terrore, come ad esempio quando, più o meno alla stessa età, lesse il Faust di Reynold e, essendo quasi alla fine di un pomeriggio assolato, lo posò del tutto incapace di continuare la lettura e uscì alla luce del sole per riprendersi dall'orrore (dopo più di cinquant'anni lo ricorda distintamente) che lo aveva colto. La madre del ragazzo morì quando lui aveva pochi anni e il padre poco dopo. Le circostanze esteriori della sua vita divennero per certi aspetti più infelici di quanto si possa facilmente raccontare. A sedici anni il ragazzo lasciò la casa per vivere o morire a seconda delle circostanze. Per cinque anni vagò per il Nord America, dai Grandi Laghi al Golfo del Messico e dall'Alto Ohio a San Francisco. Lavorò nelle fattorie, sulle ferrovie, sui battelli a vapore e negli scavi del Nevada occidentale. Più volte ha rischiato il naufragio per malattia, fame, congelamento e una volta sulle rive del fiume Humboldt, nello Utah, ha lottato per la vita per mezza giornata con gli indiani Shoshone. Dopo cinque anni di peregrinazioni, all'età di ventuno anni, tornò nel paese in cui aveva trascorso l'infanzia. Una discreta somma di denaro ricevuta dalla madre morta gli permise di dedicare alcuni anni allo studio e la sua mente, dopo essere rimasta a lungo incolta, assorbì le idee con straordinaria facilità. Si laureò con il massimo dei voti quattro anni dopo il suo ritorno dalla costa del Pacifico. Al di fuori del corso universitario lesse con avidità molti libri speculativi, come l'Origine delle specie, il Calore e i Saggi di Tyndall, la Storia e i Saggi e recensioni di Buckle e molte poesie, soprattutto quelle che gli sembravano libere e senza paura. In questo genere di letteratura preferì presto Shelley e, tra le sue poesie, Adonais e Prometheus erano le sue preferite. Per alcuni anni la sua vita fu un'appassionata nota di interrogazione, una fame inappagabile di illuminazione sui problemi fondamentali. Lasciata l'università, continuò la sua ricerca con lo stesso ardore. Insegnò il francese per leggere Auguste Comte, Hugo e Renan, e il tedesco per leggere Goethe, soprattutto il Faust. All'età di trent'anni si imbatté nelle Foglie d'erba e vide subito che contenevano, in misura maggiore di qualsiasi altro libro finora trovato, ciò che aveva a lungo cercato. Lesse le Foglie con entusiasmo, persino con passione, ma per diversi anni ne ricavò ben poco. Finalmente si fece luce e gli furono rivelati (per quanto forse tali cose possano essere rivelate) almeno alcuni dei significati. A quel punto avvenne ciò che precede.

    Era l'inizio della primavera, all'inizio del suo trentaseiesimo anno. Con due amici aveva trascorso la serata leggendo Wordsworth, Shelley, Keats, Browning e soprattutto Whitman. Si separarono a mezzanotte e lui fece un lungo viaggio in carrozza (era in una città inglese). La sua mente, profondamente influenzata dalle idee, dalle immagini e dalle emozioni suscitate dalla lettura e dai discorsi della sera, era calma e tranquilla. Era in uno stato di quiete e di piacere quasi passivo. All'improvviso, senza alcun tipo di preavviso, si trovò avvolto come da una nuvola color fiamma. Per un istante pensò a un incendio, a un'improvvisa conflagrazione nella grande città; un attimo dopo seppe che la luce era dentro di sé. Subito dopo lo assalì un senso di esultanza, di immensa gioia, accompagnato o immediatamente seguito da un'illuminazione intellettuale impossibile da descrivere. Nel suo cervello si riversò un lampo momentaneo dello splendore brahmico che da allora ha illuminato la sua vita; nel suo cuore cadde una goccia di beatitudine brahmica, lasciando da allora per sempre un retrogusto di paradiso. Tra le altre cose che non arrivò a credere, vide e seppe che il Cosmo non è materia morta ma una Presenza vivente, che l'anima dell'uomo è immortale, che l'universo è costruito e ordinato in modo tale che, senza alcuna peripezia, tutte le cose lavorano insieme per il bene di ciascuno e di tutti, che il principio fondante del mondo è ciò che chiamiamo amore e che la felicità di ciascuno è a lungo termine assolutamente certa. Egli afferma di aver imparato più cose nei pochi secondi in cui è durata l'illuminazione che in mesi o anni di studio precedenti, e di aver imparato molto che nessuno studio avrebbe mai potuto insegnare.

    L'illuminazione in sé non durò più di qualche istante, ma i suoi effetti si dimostrarono ineffabili; fu impossibile per lui dimenticare ciò che vide e seppe in quel momento; non dubitò né poté mai dubitare della veridicità di ciò che si presentò alla sua mente. L'esperienza non tornò, né quella notte né in nessun altro momento. In seguito scrisse un libro (28a.) in cui cercò di incarnare l'insegnamento dell'illuminazione. Alcuni che lo lessero ne pensarono molto bene, ma (come era prevedibile per molte ragioni) ebbe scarsa diffusione.

    L'evento supremo di quella notte fu la sua vera e unica iniziazione al nuovo e più alto ordine di idee. Ma fu solo un'iniziazione. Vide la luce, ma non aveva idea della sua provenienza e del suo significato più di quanto ne avesse la prima creatura che vide la luce del sole. Anni dopo incontrò C. P., di cui aveva spesso sentito parlare come di una straordinaria intuizione spirituale. Scoprì che C. P. era entrato nella vita superiore che aveva intravisto e di cui aveva avuto ampia esperienza dei fenomeni. La conversazione con C. P. gettò un'ampia luce sul vero significato di ciò che egli stesso aveva sperimentato.

    Guardando al mondo degli uomini, vide il significato della luce soggettiva nel caso di Paolo e in quello di Maometto. Il segreto della grandezza trascendente di Whitman gli fu rivelato. Alcune conversazioni con J. H. J. e con J. B. lo aiutarono non poco. I rapporti personali con Edward Carpenter, T. S. R, C. M. C. e M. C. L. lo aiutarono molto ad ampliare e chiarire le sue speculazioni, ad estendere e coordinare il suo pensiero. Ma erano necessari ancora molto tempo e molto lavoro prima che il concetto germinale potesse essere elaborato e maturato in modo soddisfacente: l'idea, cioè, che esiste una famiglia nata, che vive in mezzo all'umanità ordinaria, ma che ne fa a malapena parte, i cui membri sono sparsi in tutte le razze avanzate dell'umanità e negli ultimi quaranta secoli della storia del mondo.

    Il tratto che distingue queste persone dagli altri uomini è questo: I loro occhi spirituali sono stati aperti e hanno visto. I membri più noti di questo gruppo che, se riuniti insieme, potrebbero stare tutti insieme in un salotto moderno, hanno creato tutte le grandi religioni moderne, a partire dal taoismo e dal buddismo, e in generale hanno creato, attraverso la religione e la letteratura, la civiltà moderna. Non che abbiano contribuito a una grande percentuale numerica dei libri che sono stati scritti, ma che hanno prodotto i pochi libri che hanno ispirato il maggior numero di tutti quelli che sono stati scritti nei tempi moderni. Questi uomini dominano gli ultimi venticinque, e soprattutto gli ultimi cinque, secoli come le stelle di prima grandezza dominano il cielo di mezzanotte.

    Un uomo viene identificato come membro di questa famiglia per il fatto che a una certa età è passato attraverso una nuova nascita ed è salito a un piano spirituale superiore. La realtà della nuova nascita è dimostrata dalla luce soggettiva e da altri fenomeni. L'obiettivo del presente volume è quello di insegnare ad altri quel poco che lo scrittore stesso ha potuto apprendere sullo stato spirituale di questa nuova razza.

    V.

    Rimane da dire qualche parola sull'origine psicologica di quella che in questo libro viene chiamata Coscienza Cosmica, che non deve essere considerata in alcun modo soprannaturale o sovranormale, come qualcosa di più o di meno che una crescita naturale.

    Sebbene nella nascita della Coscienza cosmica la natura morale svolga un ruolo importante, per molte ragioni sarà meglio limitare la nostra attenzione all'evoluzione dell'intelletto. In questa evoluzione ci sono quattro fasi distinte. Il primo è stato compiuto quando si è stabilita la qualità primaria dell'eccitabilità della sensazione. A questo punto è cominciata l'acquisizione e la registrazione più o meno perfetta delle impressioni sensoriali, cioè dei percetti.

    Un percetto è naturalmente un'impressione sensoriale: si sente un suono o si vede un oggetto e l'impressione prodotta è un percetto. Se potessimo risalire abbastanza indietro nel tempo, troveremmo tra i nostri antenati una creatura il cui intero intelletto era costituito semplicemente da queste percezioni. Ma questa creatura (qualunque sia il nome che dovrebbe portare) aveva in sé quella che si può definire un'idoneità alla crescita, e ciò che le accadeva era qualcosa di simile: Individualmente e di generazione in generazione ha accumulato questi percezioni, la cui costante ripetizione, che richiedeva una registrazione sempre maggiore, ha portato, nella lotta per l'esistenza e secondo la legge della selezione naturale, a un accumulo di cellule nei gangli sensoriali centrali; la moltiplicazione delle cellule ha reso possibile un'ulteriore registrazione; questa, di nuovo, ha reso necessaria un'ulteriore crescita dei gangli, e così via. Alla fine si raggiunse una condizione in cui fu possibile per il nostro antenato combinare gruppi di queste percezioni in quello che oggi chiamiamo recettore. Questo processo è molto simile a quello della fotografia composita. Percezioni simili (come quella di un albero) vengono registrate l'una sull'altra fino a quando (essendo il centro nervoso competente per questo compito) vengono generalizzate in un'unica percezione; ma questa percezione composta non è né più né meno che una recezione, qualcosa che è stato ricevuto.

    Ora il lavoro di accumulo ricomincia su un piano più alto: gli organi sensoriali sono costantemente al lavoro per produrre percezioni; i centri recettoriali sono costantemente al lavoro per produrre sempre più ricezioni dalle vecchie e dalle nuove percezioni; le capacità dei gangli centrali sono costantemente sollecitate per effettuare la necessaria registrazione delle percezioni, la necessaria elaborazione di queste in ricezioni e la necessaria registrazione delle ricezioni; poi, man mano che i gangli vengono migliorati dall'uso e dalla selezione, essi producono costantemente dalle percezioni e dalle ricezioni semplici iniziali, ricezioni sempre più complesse, cioè sempre più elevate.

    Alla fine, dopo che molte migliaia di generazioni sono vissute e morte, arriva un momento in cui la mente dell'animale che stiamo considerando ha raggiunto il punto più alto possibile dell'intelligenza puramente ricettiva; l'accumulo di percezioni e di recezioni è andato avanti fino a quando non è possibile accumulare un maggior numero di impressioni e non è più possibile elaborarle sul piano dell'intelligenza ricettiva. A questo punto si verifica un'altra rottura e i recettori superiori vengono sostituiti dai concetti. La relazione tra un concetto e un recettore è in qualche modo simile alla relazione tra algebra e aritmetica. Un recettore è, come ho detto, un'immagine composita di centinaia, forse migliaia, di percezioni; è esso stesso un'immagine astratta da molte immagini; ma un concetto è quella stessa immagine composita - quello stesso recettore - nominata, etichettata e, per così dire, liquidata. Un concetto, infatti, non è né più né meno che un recettore nominato - il nome, cioè il segno (come nell'algebra), che d'ora in poi sta per la cosa stessa, cioè per il recettore.

    Ora è chiaro come il sole a chiunque voglia riflettere sull'argomento, che la rivoluzione con cui si sostituiscono i concetti ai recettori aumenta l'efficienza del cervello per il pensiero tanto quanto l'introduzione delle macchine ha aumentato la capacità di lavoro della razza, o quanto l'uso dell'algebra aumenta la potenza della mente nei calcoli matematici. Sostituire una grande e ingombrante ricevuta con un semplice segno era quasi come sostituire le merci reali - come il grano, i tessuti e la ferramenta - con le voci del libro mastro.

    Ma, come accennato in precedenza, affinché un recettore possa essere sostituito da un concetto, deve essere nominato o, in altre parole, contrassegnato da un segno che lo rappresenti, proprio come un assegno rappresenta un bagaglio o come una voce in un registro rappresenta una merce; in altre parole, la razza che è in possesso di concetti è anche, e necessariamente, in possesso di linguaggio. Inoltre, si noti, come il possesso dei concetti implica il possesso del linguaggio, così il possesso dei concetti e del linguaggio (che sono in realtà due aspetti della stessa cosa) implica il possesso della coscienza di sé. Tutto ciò significa che c'è un momento nell'evoluzione della mente in cui l'intelletto recettivo, capace solo di semplice coscienza, diventa quasi o del tutto istantaneamente un intelletto concettuale in possesso di linguaggio e autocoscienza.

    Quando diciamo che un individuo, sia esso un individuo adulto molto tempo fa o un bambino di oggi, è entrato in possesso dei concetti, del linguaggio e della coscienza di sé in un istante, intendiamo naturalmente che l'individuo è entrato in possesso della coscienza di sé e di uno o pochi concetti e di una o poche parole vere all'istante e non che è entrato in possesso di un intero linguaggio in quel breve periodo. Nella storia del singolo uomo il punto in questione viene raggiunto e superato all'età di circa tre anni; nella storia della razza è stato raggiunto e superato diverse centinaia di migliaia di anni fa.

    Ora, nella nostra analisi, abbiamo raggiunto il punto in cui ognuno di noi si trova individualmente, il punto, cioè, della mente concettuale, autocosciente. Nell'acquisire questa nuova e più elevata forma di coscienza non si deve pensare che abbiamo abbandonato la nostra intelligenza recettiva o la nostra vecchia mente percettiva; in effetti, non potremmo vivere senza di esse più di quanto potrebbe fare l'animale che non ha altra mente al di fuori di esse. Il nostro intelletto, quindi, oggi è costituito da una miscela molto complessa di percezioni, percezioni e concetti.

    Consideriamo ora per un momento il concetto. Questo può essere considerato come un recettore grande e complesso, ma più grande e più complesso di qualsiasi recettore. È costituito da uno o più recettori combinati con probabilmente diverse percezioni. Questo recettore estremamente complesso viene poi contrassegnato da un segno, cioè viene nominato e in virtù del suo nome diventa un concetto. Il concetto, dopo essere stato nominato o marcato, viene (per così dire) messo da parte, proprio come un bagaglio registrato viene contrassegnato dal suo scontrino e ammucchiato nel deposito bagagli.

    Per mezzo di questo assegno possiamo inviare il baule in qualsiasi parte dell'America senza mai vederlo o sapere dove si trova in un determinato momento. Così, per mezzo dei loro segni, possiamo costruire concetti in calcoli elaborati, in poesie e in sistemi filosofici, senza sapere nulla della cosa rappresentata dai singoli concetti che stiamo usando.

    E qui va fatta un'osservazione a parte rispetto all'argomento principale. È stato notato migliaia di volte che il cervello di un uomo pensante non supera in dimensioni il cervello di un selvaggio non pensante in una proporzione simile a quella in cui la mente del pensatore supera la mente del selvaggio. Il motivo è che il cervello di un Herbert Spencer ha pochissimo lavoro in più da svolgere rispetto a quello di un nativo australiano, per questo motivo Spencer svolge tutto il suo caratteristico lavoro mentale con segni o contatori che stanno per concetti, mentre il selvaggio fa tutto o quasi tutto il suo per mezzo di ingombranti ricettari. Il selvaggio si trova in una posizione paragonabile a quella dell'astronomo che fa i suoi calcoli con l'aritmetica, mentre Spencer si trova nella posizione di chi li fa con l'algebra. Il primo riempie molti fogli di carta con cifre e si sottopone a un lavoro immenso; l'altro fa gli stessi calcoli su una busta e con un lavoro mentale relativamente ridotto.

    Il capitolo successivo della storia è l'accumulo di concetti. Si tratta di un doppio processo. A partire dall'età, diciamo, di tre anni, ognuno ne accumula di anno in anno un numero sempre maggiore, mentre allo stesso tempo i singoli concetti diventano sempre più complessi. Consideriamo, ad esempio, il concetto di scienza così come esiste nella mente di un ragazzo e di un uomo pensante di mezza età; nel primo caso si tratta di poche decine o poche centinaia di fatti, nel secondo di molte migliaia.

    Ci sarà un limite a questa crescita dei concetti in numero e complessità? Chiunque prenda seriamente in considerazione questa domanda vedrà che ci deve essere un limite. Nessun processo del genere potrebbe andare avanti all'infinito. Se la natura tentasse un'impresa simile, il cervello dovrebbe crescere fino a non poter più essere alimentato e a raggiungere una condizione di stallo che vieterebbe ulteriori progressi.

    Abbiamo visto che l'espansione della mente percettiva aveva un limite necessario; che la sua stessa vita continua la portava inevitabilmente verso la mente ricettiva. Che la mente ricettiva, con la sua stessa crescita, è stata inevitabilmente condotta verso la mente concettuale. Le considerazioni a priori rendono certo che la mente concettuale troverà uno sbocco corrispondente.

    Ma non abbiamo bisogno di dipendere dal ragionamento astratto per dimostrare la necessaria esistenza della mente sovraconcettuale, poiché essa esiste e può essere studiata senza maggiori difficoltà di altri fenomeni naturali. L'intelletto sovraconcettuale, i cui elementi, invece di essere concetti, sono intuizioni, è già (in numero ridotto, è vero) un fatto accertato, e la forma di coscienza che appartiene a tale intelletto può essere chiamata ed è stata chiamata Coscienza cosmica.

    Abbiamo quindi quattro stadi distinti dell'intelletto, tutti abbondantemente illustrati nel mondo animale e umano che ci circonda, tutti ugualmente illustrati nella crescita individuale della mente cosciente cosmica e tutti e quattro esistenti insieme in quella mente come i primi tre esistono insieme nella mente umana ordinaria. Questi quattro stadi sono, in primo luogo, la mente percettiva - la mente fatta di percezioni o impressioni sensoriali; in secondo luogo, la mente fatta di queste e di ricezioni - la cosiddetta mente recettiva, o in altre parole la mente della semplice coscienza; in terzo luogo, abbiamo la mente fatta di percezioni, ricezioni e concetti, chiamata a volte mente concettuale o altrimenti mente autocosciente - la mente dell'autocoscienza; e, in quarto e ultimo luogo, abbiamo la mente intuitiva - la mente il cui elemento più elevato non è una ricezione o un concetto, ma un'intuizione. Questa è la mente in cui la sensazione, la coscienza semplice e la coscienza di sé sono integrate e coronate dalla coscienza cosmica.

    Ma è necessario mostrare ancora più chiaramente la natura di questi quattro stadi e la loro relazione l'uno con l'altro. Lo stadio percettivo o sensazionale dell'intelletto è abbastanza facile da capire, quindi può essere superato in questa sede con una sola osservazione, ossia che in una mente costituita interamente da percezioni non c'è alcun tipo di coscienza. Quando, invece, nasce la mente recettiva, nasce la coscienza semplice, il che significa che gli animali sono consapevoli (come sappiamo) delle cose che vedono intorno a loro. Ma la mente recettiva è capace solo di una coscienza semplice, cioè l'animale è cosciente dell'oggetto che vede, ma non sa di esserlo; né l'animale è cosciente di se stesso come entità o personalità distinta. In altre parole, l'animale non può porsi al di fuori di sé e guardarsi come può fare qualsiasi creatura autocosciente. Questa, dunque, è la semplice coscienza: essere coscienti delle cose che ci circondano, ma non essere coscienti di se stessi. Ma quando ho raggiunto l'autocoscienza, non solo sono consapevole di ciò che vedo, ma so di esserlo. Sono anche consapevole di me stesso come entità e personalità separata e posso stare lontano da me stesso e contemplarmi, e posso analizzare e giudicare le operazioni della mia mente come analizzerei e giudicherei qualsiasi altra cosa. Questa autocoscienza è possibile solo dopo la formazione dei concetti e la conseguente nascita del linguaggio. L'autocoscienza è alla base di tutta la vita umana fino ad oggi, ad eccezione di ciò che è scaturito dalle poche menti cosmiche coscienti degli ultimi tremila anni. Infine, il fatto fondamentale della coscienza cosmica è implicito nel suo nome: è la coscienza del cosmo; questo è ciò che in Oriente viene chiamato Splendore brahmico, che è in grado, secondo la frase di Dante, di transumanizzare un uomo in un dio. Whitman, che ha molto da dire al riguardo, ne parla in un punto come di una luce ineffabile - una luce rara, non raccontabile, che illumina la luce stessa - al di là di ogni segno, descrizione, linguaggio. Questa coscienza mostra che il cosmo non consiste di materia morta governata da leggi inconsce, rigide e non volute; lo mostra al contrario come interamente immateriale, interamente spirituale e interamente vivo; mostra che la morte è un'assurdità, che tutti e tutto hanno vita eterna; mostra che l'universo è Dio e che Dio è l'universo, e che nessun male è mai entrato o entrerà mai in esso; molto di tutto questo è, ovviamente, dal punto di vista dell'autocoscienza, assurdo; è tuttavia indubbiamente vero. Ora, tutto questo non significa che quando un uomo ha la coscienza cosmica sappia tutto dell'universo. Sappiamo tutti che quando a tre anni abbiamo acquisito l'autocoscienza non sapevamo subito tutto di noi stessi; sappiamo, al contrario, che dopo molte migliaia di anni di esperienza di se stesso l'uomo ancora oggi sa relativamente poco di se stesso considerato anche come personalità autocosciente. Così come non conosce tutto del cosmo solo perché ne diventa consapevole. Se la razza ha impiegato diverse centinaia di migliaia di anni per apprendere un'infarinatura della scienza dell'umanità dopo l'acquisizione della coscienza di sé, potrebbe impiegare milioni di anni per acquisire un'infarinatura della scienza di Dio dopo l'acquisizione della coscienza cosmica.

    Come sulla coscienza di sé si basa il mondo umano come lo vediamo, con tutte le sue opere e i suoi modi, così sulla coscienza cosmica si basano le religioni e le filosofie superiori e ciò che ne deriva, e su di essa si baserà, quando diventerà più generale, un nuovo mondo di cui sarebbe ozioso cercare di parlare oggi.

    La filosofia della nascita della coscienza cosmica nell'individuo è molto simile a quella della nascita della coscienza di sé. La mente si affolla (per così dire) di concetti e questi diventano costantemente più grandi, più numerosi e più complessi; un giorno (quando le condizioni sono tutte favorevoli) avviene la fusione, o quella che si potrebbe chiamare l'unione chimica, di diversi di essi e di alcuni elementi morali; il risultato è un'intuizione e l'instaurazione della mente intuitiva, o, in altre parole, della coscienza cosmica.

    Lo schema con cui si costruisce la mente è uniforme dall'inizio alla fine: una ricezione è fatta di molte percezioni; un concetto di molte o diverse ricezioni e percezioni, e un'intuizione è fatta di molti concetti, ricezioni e percezioni insieme ad altri elementi appartenenti e tratti dalla natura morale. La visione cosmica o l'intuizione cosmica, da cui prende il nome quella che può essere chiamata la nuova mente, si vede così essere semplicemente il complesso e l'unione di tutti i pensieri e le esperienze precedenti, proprio come l'autocoscienza è il complesso e l'unione di tutti i pensieri e le esperienze precedenti.

    Parte II. Evoluzione e devoluzione

    I. La coscienza di sé

    Sarà necessario, in primo luogo, che il lettore di questo libro abbia davanti a sé un'idea abbastanza completa dell'evoluzione mentale in tutti e tre i suoi rami - sensuale, intellettuale ed emozionale - fino allo stato di autocoscienza. Senza questa immagine mentale come base per la nuova concezione, quest'ultima (cioè la coscienza cosmica) alla maggior parte delle persone sembrerebbe stravagante e persino assurda. Con queste basi necessarie, la nuova concezione apparirà al lettore intelligente per quello che è: una cosa ovvia, un seguito inevitabile di ciò che l'ha preceduta e l'ha portata. Nel tentativo di dare un'idea di questa vasta evoluzione dei fenomeni mentali, dal suo inizio in lontane ere geologiche fino alle ultime fasi raggiunte dalla nostra razza, non si poteva ovviamente pensare a un trattato esaustivo. Il metodo effettivamente adottato è più o meno spezzettato e frammentario, ma è sufficiente (si pensa) per il presente scopo, e chi desidera di più non avrà difficoltà a trovarlo in altri trattati, come l'ammirevole opera di Romanes [134]. Tutto ciò che il presente scrittore si prefigge è l'esposizione della coscienza cosmica e un resoconto appena sufficiente dei Fenomeni mentali inferiori per rendere questo argomento pienamente comprensibile; qualsiasi altra cosa appesantirebbe questo libro senza alcuno scopo.

    La costruzione o il dispiegamento dell'universo conoscibile presenta alla nostra mente una serie di ascese graduali, ciascuna divisa dalla successiva da un apparente salto su quello che sembra essere un abisso. Per esempio, per cominciare non dall'inizio, ma da metà strada: Tra il lento ed equilibrato sviluppo del mondo inorganico, che lo preparava ad accogliere e sostenere le creature viventi, e la più rapida crescita e ramificazione delle forme vitali, una volta apparse, si verificò quello che sembra lo iato tra il mondo inorganico e quello organico e il salto con cui fu superato; all'interno del quale iato o baratro ha risieduto finora la sostanza o l'ombra di un dio la cui mano è stata ritenuta necessaria per sollevare e far passare gli elementi dal piano inferiore a quello superiore.

    Lungo la strada pianeggiante della formazione dei soli e dei pianeti, della crosta terrestre, delle rocce e del suolo, siamo portati dagli evoluzionisti senza problemi e con sicurezza; ma quando raggiungiamo questa fossa pericolosa che si estende interminabilmente a destra e a sinistra attraverso il nostro cammino, ci fermiamo, e persino un pilota così abile e audace come Lester Ward [190. 300-320] difficilmente può indurci a tentare il salto con lui, tanto ampio e oscuro è l'abisso. Riteniamo che la natura, che ha fatto tutto e cose molto più grandi, fosse in grado di

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