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Guida galattica alla filosofia: In sette lezioni
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E-book79 pagine1 ora

Guida galattica alla filosofia: In sette lezioni

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Info su questo ebook

Immaginiamo che dei marziani vogliano capirci qualcosa di quei bipedi della Terra chiamati «filosofi». Ecco, questa Guida galattica prova a spiegare alle forme di vita intelligenti della galassia la storia di quegli esserini che, sul nostro pianeta, hanno preso la strana abitudine di porsi questioni di senso, ripercorrendo in modo piano e semplice i principali snodi della plurimillenaria storia della filosofia.
LinguaItaliano
EditoreRogas
Data di uscita10 mag 2021
ISBN9791220297394
Guida galattica alla filosofia: In sette lezioni

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    Anteprima del libro

    Guida galattica alla filosofia - Matteo Bergamaschi

    Lezione

    Introduzione - Filosofia per marziani

    «Quarantadue». Risponde così Pensiero Profondo, il supercomputer progettato da una razza di esseri super-intelligenti appartenenti a un piano dimensionale superiore al nostro. Si tratta del macchinario più grande di tutti i tempi e gli spazi, il cui design ricorda una versione cyborg del Pensatore di Rodin. L’elaborazione è durata sette miliardi e mezzo di anni, e la sua (deludente) risposta suona inevitabilmente: «Quarantadue».

    Si tratta di una delle scene più memorabili di Guida galattica per autostoppisti ( The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy, film del 2005 diretto da Garth Jennings), versione cinematografica dell’omonima serie di romanzi di Douglas Adams. Per farla breve, un gruppo di scienziati extraterrestri ha creato il famoso supercomputer per ottenere la «risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto» ( The Ultimate Question of Life, the Universe and Everything). Di qui la delusione, la stessa, per inciso, che proviamo quando ci imbattiamo in risposte banali o scontate (micro-logiche, direbbe Kant) ai quesiti fondamentali che animano la nostra esistenza.

    Pensiero Profondo prosegue, quasi volesse giustificarsi: la risposta è proprio quella, non c’è stato errore, casomai il problema risiede nel non aver formulato correttamente la domanda. Non avete avuto una risposta soddisfacente, ci avvisa il computer (che pare aver studiato Wittgenstein), perché non avete saputo formulare una soddisfacente domanda ‒ e anche qui ci ritroviamo con la nostra stessa confusione, la nostra difficoltà nel chiarire quali sono gli autentici problemi che ci animano, le difficoltà nel formulare ciò di cui siamo davvero in cerca, motivo per cui lo cerchiamo sovente nei posti sbagliati, ponendo il nostro interrogativo a chi è strutturalmente incapace non solo di rispondere, ma a volte perfino di ascoltare.

    Per uscire dall’ impasse, il supercomputer si incarica di costruire un computer più potente, il quale sia finalmente in grado di elaborare la Domanda; ma di questo nuovo super-supercomputer ‒ ed è la scena che più mi affascina di tutto il film ‒ fanno parte nientemeno che… gli esseri umani! Film e romanzo, sia pure nella trama scanzonata che li caratterizza, ci fanno toccare con mano che, fra tutti gli esseri della galassia, i soli capaci di porre realmente le domande delle domande, le cosiddette «domande radicali», siamo proprio noi, semplici esseri umani. È il nostro «mestiere», la nostra caratteristica più profonda; potremmo immaginare computer ancora più intelligenti, forme di vita molto più evolute di noi, capaci di ideare tecnologie e partorire scoperte scientifiche estremamente più complesse e avanzate, eppure, nel momento in cui si tratta di individuare la Domanda, non si può che ricorrere agli esseri umani, alla loro capacità di porre domande di senso.

    Romanzo e libro proseguono nella loro storia, da cui apprendiamo che la Terra viene distrutta per far spazio a un’autostrada iperspaziale (il che ci ricorda l’indifferenza dell’efficiente mondo degli affari e dell’industria verso quelle questioni considerate con sufficienza superflue); a questo punto gli scienziati alieni tentano di estrarre la Domanda sezionando il cervello dell’unico umano sopravvissuto (cosa che ci mostra la riduzione in senso scientista delle questioni di senso, come se il senso della vita dipendesse dalla fisiologia, dalla chimica o dalle secrezioni dell’organo situato nella scatola cranica); tali scienziati devono infatti partecipare a un noto talk show in cui avrebbero rivelato la Domanda facendo il pieno di ascolti (e qui ritroviamo la seduzione dell’apparato di consumo e spettacolo che mira a catturare qualsiasi occasione di senso per capitalizzarla, riducendola a merce o show da cui estrarre profitto).

    Non è la prima volta, a dire la verità, che per illustrare le questioni intellettualmente più stimolanti si fa ricorso a un’intelligenza superiore; si è parlato a lungo in filosofia del «punto di vista di Dio», di intelligenze dette «separate» o «angeliche», fino alla super-intelligenza del fisico e matematico Laplace, la quale, se avesse conosciuto le forze e i rapporti fra gli esseri naturali in un dato istante, attraverso l’analisi matematica sarebbe stata in grado di conoscere i movimenti di qualsiasi entità per tutto l’arco temporale, dai pianeti fino agli atomi.

    È significativo che le intelligenze angeliche hanno ceduto il posto a forme di vita extraterrestri (come i Vogon, i deformi burocrati della galassia); è forse un segnale del fatto che il cielo, per noi uomini del XXI secolo, è vuoto, senza Dio né angeli, ma è anche un sintomo della nostra incapacità a considerare il cielo come un «vettore di senso», come un’indicazione verso qualcosa che supera quanto già sappiamo e possiamo fare. Senza contare che i marziani con cui popoliamo fantasticamente l’universo hanno i nostri stessi caratteri (sono, ad esempio, eccellenti scienziati e tecnocrati): li chiamiamo «alieni» perché dovrebbero essere altri, stranieri, totalmente differenti da noi, ma poi li immaginiamo a nostra immagine e somiglianza (sono, in fondo, degli americani con i tentacoli) ‒ non siamo davvero capaci di superare quel geo-centrismo che ci spinge a ritenere il nostro grado di civiltà come il punto di riferimento implicito di tutto ciò che esiste.

    In ogni caso, forti di queste considerazioni, desideriamo concentrarci su questa particolare specie vivente (o ingranaggio della matrice del supercomputer) che siamo noi, esseri umani capaci di porre domande di senso. Sono molti gli ambiti in cui esprimiamo questa nostra caratteristica: la scienza, naturalmente, ma anche l’arte, la religione, la politica, l’economia, la tecnica, la filosofia… I filosofi, come Hegel, hanno chiamato «Spirito» le forme ritenute più alte di queste espressioni (riservando l’arte, la religione e la filosofia ai tre gradi in cui si dispiega lo Spirito Assoluto); noi però non intendiamo stabilire una gerarchia tra queste forme o realtà: ci limitiamo solo a definirle «spirituali» perché non hanno un’utilità immediata dal punto di vista della sopravvivenza biologica, perché cioè sono inutili per i fini immediati della sopravvivenza fisica (non ci servono a respirare, a mangiare o a riprodurci), e dunque

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