Una lunga storia di amore e di commerci: Quando la realtà si fa surreale tutto può accadere...
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Anteprima del libro
Una lunga storia di amore e di commerci - Emilio Angelini
PARTE PRIMA
I
Se mi porto appresso questo ventre rigonfio da più di duemila anni è perché l’incontro tra due diverse mitologie ha saputo condurre la carne verso la sua dignità più estrema.
Sentivo di perdere progressivamente la mia natura quando quell’uomo mi amava con astratta tenerezza e svanì del tutto proprio mentre dolcemente moriva e mi irrorava col suo seme.
Era sereno e con gli occhi sbarrati.
Non mi aveva detto il suo nome ma qualcuno pensò di riconoscerlo in Cernunnos, dio celtico piccolo e delle periferie.
Da parte mia, lo onorai con un’onesta sepoltura e non volli l’aiuto delle mie sorelle.
In perfetta solitudine.
Da allora giace alle pendici di questo monte caro ai palermitani per via della santa e da allora mi chiedo cosa fosse venuto a fare da queste parti.
Con monotona regolarità si spande intorno un Novembre molto inoltrato e deposita ovunque la sua tristezza. Sotto trionfa in silenzio un mare grigio e pieno di spuma.
In un ramo accanto si rannicchia in se stessa una rondine infreddolita.
Ha dimenticato di emigrare, maledice la sua distrazione e ha paura per il futuro.
Io no. La paura si è spalmata sui secoli fino a diventare una membrana sottile, difficile da percepire.
Da quell’isola che a tratti scorgo in lontananza un giorno partivano i pirati. Raggiungevano la parte orientale della città, prendevano quello che potevano e rapivano le donne.
Io li vedevo partire e ritornare, pensavo a quegli amplessi rubati e mi chiedevo quante pance sarebbero rimaste ingravidate.
Non saprei dire qual è la mia percezione del tempo e se i ricordi sono puntuali o trapassano in altri ricordi con troppa disinvoltura.
Solo poche ore fa sono entrata di nascosto in una casa sul lungomare. Volevo pesarmi e guardarmi allo specchio. È difficile descrivere l’espressione di chi ha tanta storia nella carne ma mi sono riconosciuta.
Sono sempre io, Eumonia.
Per un attimo mi è sembrato che i miei capelli avessero ancora la dolcezza di allora e li ho accarezzati.
Sono apparsi i fiumi e i laghi nei quali amavo bagnarmi e dove trascorrevo la mia quieta esistenza di ninfa.
Salmastre, le acque erano leggermente salmastre.
Io, questo lo ricordo bene, raramente mi univo ai cori e ai canti delle mie numerose sorelle.
Non era alterigia del cuore, però.
Preferivo ascoltare, piuttosto, una musica segreta e molto personale e quando ne afferravo qualche nota mi scioglievo nella gioia.
Con tutta me stessa.
Poi sarebbero venuti il vento, la pioggia e la vertigine.
Già,il vento.
I miei primi passi di donna gravida sono stati accompagnati dal vento e imparai presto a conoscerne i segreti. Non ho tardato a capire che sapeva raccontare storie e lo faceva nel modo migliore. Regalava le battute iniziali, suggeriva le note per continuare e poi mi lasciava sola. Distaccando con leggerezza la sua mano dalla mia.
E a me veniva di danzare. Sussurrava anche informazioni che provenivano da ogni parte del pianeta, ma questo lo avrei capito molti anni dopo. Credevo, allora, che la mia sarebbe stata una gravidanza normale e così lo scelsi come unico amico e gli confidai tutti i segreti del cuore. Parlavo spesso con lui e lui porgeva le orecchie. E siccome sapeva ascoltare, non ci volle molto che io mi aprissi a lui. Completamente. Gli raccontavo ogni genere di confidenza, gli parlavo di paure e speranze e, anche, delle mie premonizioni di ninfa ancora bambina. Sempre mi resterà in testa quel suo benevolo sorriso, quasi un alito caldo, quando gli parlai delle mie reazioni al gusto lievemente salmastro delle acque dei miei laghi e dei miei fiumi. Avrei voluto che fossero semplicemente salate, come quelle del mare
- dissi.
Seppi, così, che il mare non poteva avere ninfe ed ebbi la conferma di ciò che sospettavo da sempre. Sono uno di quegli esseri per i quali non c’è un vero posto dove stare, un pallido ponte verso mondi non ancora portati a compimento.
Un giorno di agosto del 72 avanti Cristo - lo ricordo benissimo - gli chiesi se mai sapesse cosa fosse venuto a cercare dalle nostre parti quel dio celtico piccolo e delle periferie.
Lo sapeva, ma non rispose.
Ed io apprezzai subito la qualità del suo silenzio.
Settembre lo passammo in allegria, ridendo e scherzando.
Si parlava della creatura che avevo in grembo e di come potesse essere.
Trovava sempre le parole per rassicurarmi, aveva le informazioni giuste ed era assolutamente sincero. Così io mi cullavo nell’attesa e lui mi stava accanto.
Con grande saggezza e discrezione.
Contavo le stelle quella notte di Novembre, lui era al mio fianco e mi aiutava. Il cielo era sereno e la luna una falce appena accennata.
Guardavo Venere e azzardai la data del mio parto. Lui si fermò e tacque.
Ed era un silenzio pieno di dolore.
Fu allora che confusamente capii ciò che avrei continuato a capire in modo allucinato.
Per i secoli a venire.
Con la pioggia, invece, ho avuto subito un rapporto diverso. Non so come, ma mi sentivo giudicata. Da lei mi sentivo giudicata. Mi sembrava che di me sapesse cose molto antiche e che io non volevo vedere.
Proprio per questo, quando arrivava, provavo sempre una iniziale paura. Un attimo dopo, però, la paura si scioglieva perché avvertivo che i giudizi erano severi ma dati in amicizia. In vera amicizia. E non ricordo una volta, una sola volta, in cui io non ne sia uscita arricchita. Nello spirito e nell’intelligenza.
E purificata.
E anche lei aveva le sue informazioni da dare. Erano informazioni che, qualche secolo dopo, sarebbero state definite chimiche
e io mi ritrovavo a sapere, giorno dopo giorno, qualche cosa in più. Anche su posti molto distanti del pianeta.
Sono mortale, lo so. E so che questa condizione mi è stata regalata da quel piccolo uomo venuto dal Nord.
Come i venti di Maestrale.
Ma so anche che in me si sommano esperienze e conoscenze e mi dispiace che debbano venire giù insieme a questo misero corpo.
Nella tomba.
Conosco quasi tutte le lingue europee e ho visto in che modo popoli e culture organizzano il loro sapere.
Durante la Grande Rivoluzione conobbi a Parigi un uomo onesto, umile e ordinato. Si faceva raccontare tante cose dalla gente che incontrava, annotava tutto e tutto sistemava usando una grafia molto elegante e servendosi sempre di grandi fogli bianchi.
Io, invece, non ho mai scritto e, forse, nemmeno ora sto scrivendo. Sono sempre stata impegnata a lavorare sodo. Per me e la mia creatura.
La rondine che mi sta accanto si è stretta sempre di più in se stessa. Vedo a stento i suoi piccoli occhi e forse provo un po’ di paura. Forse per lei o forse per me ma mi sembra, finalmente, una paura vera.
Umana e pungente.
Guardo il cielo, infatti, e minaccia la pioggia. E non posso permettermelo. Peso poco più di tre chili e le gocce, quelle grosse, possono essere pericolose. Da tempo, ormai, la pioggia ha smesso di giudicarmi e io non ho più, almeno credo, bisogno di purificazione.
Di pace, invece, sì. Un grande bisogno.
Vorrei solo dare alla luce la mia creatura, vivere quel tanto che basta per vederla grande e al sicuro e, poi, morire. Sì, morire con dolcezza, andare dall’altra parte. Semplicemente.
Un vento un po’ clandestino sta diradando le nubi e forse allontana la pioggia di qualche ora. La rondine si è spostata di tre o quattro rami. Vuole raccogliere meglio le ultime luci del giorno che muore e mi guarda perplessa. Forse mi rimprovera per come ho utilizzato il mio tempo e pare fare un piccolo cenno col capo.
Sì, è vero. Ho pensato troppo a Cernunnos e alla mia creatura e, forse, avrei dovuto anche scrivere. E comunicare agli uomini le mie conoscenze accumulate attraverso i secoli. Loro sanno ordinarle bene, metterle nella veste migliore e renderle fruttuose. E spesso fanno ciò pensando al bene comune.
Mi attraversa, repentino, un pensiero. Quasi un desiderio. E forse vorrei avere la certezza di vivere ancora per un centinaio di anni. Scrivere tutto di mio pugno, proprio no. Sarebbe una fatica eccessiva e sarebbero conoscenze ordinate male. Di quelle che possono procurare danni. Raccogliere appunti, invece, sì. Avvierebbero il dialogo con persone sapienti e io mi metterei in un angolo.
Aspettando le loro domande.
Sì, questo potrei farlo ma il mare, là sotto, è troppo triste. Tra spume grigie e insopportabili, però, c’è un’onda un po’ più bianca e sembra voler seguire percorsi personali. Ma, forse, è un’ impressione. Devo prepararmi per la sera, piuttosto, e dovrei trovare qualcosa da mangiare.
Sulla destra c’è un casolare ed esce fumo buono dal camino. Bussare e chiedere ospitalità, però, non lo farei mai. Fossero anche le persone più generose.
Ho troppo vergogna del mio sguardo assente e del mio peso irrilevante. Raggiungo invece quella piccola grotta quasi nascosta dalla vegetazione e raccolgo queste quattro erbe selvatiche che conosco