ELEONORA
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Info su questo ebook
Il mio intento è stato ben altro: ovvero profittare del drammatico avvenimento per una scenografia ideale – nel sacro rispetto della valenza storica ed umana che caratterizzò l’evento al tramonto del 1700 a Napoli – che sostenesse la trama narratologica di Eleonora.
La fantasia ha giocato senza essere invasiva nella realtà storica, anzi ha dato la voce e l’anima agli attori originali di quella tragica parentesi della storia di Napoli.
Sotto la stessa luce che illuminava Eleonora, protagonista ed eroina indiscussa della Rivoluzione antiborbonica, ho voluto collocare due figure, così vicine nella geografia dei luoghi natali quanto lontane nei loro ideali: Domenico Cirillo di Grumo Nevano e Don Antonio Della Rossa di Sant’Arpino. Universale medico e botanico il primo e Dirigente Generale della Polizia borbonica il secondo.
Tenendo in debita considerazione che i loro paesi natali erano, e sono, confinanti e osservata la rappresentatività istituzionale di cui erano depositari, ho voluto accomunarli da un sentimento di frequentazione giovanile che, per esigenze esistenziali, non fiorì poi in amicizia.
Si capisce, a questo punto, che il canovaccio di “Eleonora” tende ad invitare le Istituzioni dei due paesi ad un incontro capace di tessere una revisione storica più serena.
Dopo più di duecento anni, appare inverosimile che i due paesi, così vicini, possano restare ancora discordi su uno dei tanti drammatici eventi che caratterizzarono una delle Rivoluzioni più cruente della storia umana.
Un’ultima osservazione: la fantastica relazione di sola conoscenza, alla quale ho voluto appositamente legare il Dottor Domenico Cirillo a Don Antonio Della Rossa, intende essere soltanto l’input propedeutico ad un gesto di buona volontà.
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Anteprima del libro
ELEONORA - PASQUALE COMINALE
PASQUALE COMINALE
ELEONORA
La piccola grande eroina del novantanove
PREFAZIONE
del Prof. GIUSEPPE LIMONE
GIUSEPPE LIMONE SU PASQUALE COMINALE E LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA DEL 1799
In questo scritto Pasquale Cominale si cimenta – attraverso la consueta capacità stilistica e scenica – con un’antica vicenda, sempre viva nella coscienza di Napoli e dei napoletani: la rivoluzione del 1799. Fu quella in cui venne sterminata, con inaudita ferocia, una vera e propria comunità di intellettuali, primissimi in Europa.
Il nostro autore, come sempre fa quando affronta la rappresentazione di figure storiche, non si limita al puro circuito degli avvenimenti conosciuti, ma – con intenso e consapevole impegno fantastico – scava negli avvenimenti passati per estrarne il possibile celato. Dentro la scienza della storia egli cerca altro,
interrogando la sua anima di palombaro.
Nelle scene, accuratamente ricostruite, le figure di quel tempo si muovono come a noi contemporanee:
Eleonora Pimentel Fonseca, Domenico Cirillo, Mario Pagano, Antonio Della Rossa, la regina Carolina, il re Ferdinando di Borbone, e tante altre. Dentro le righe scorrono tutti i pensieri – riflessi e irriflessi – del narratore, il quale sembra muovere, nel suo sforzo rappresentativo, da una duplice prospettiva, che è anche una duplice domanda: che cosa la storia conosciuta non ci dice? Che cosa la storia conosciuta, pur
dicendoci, sotto le azioni dei suoi personaggi nasconde?
In realtà, ogni storia, in quanto è scientificamente ricostruita a partire dai suoi documenti, certamente manca di tutto ciò di cui non si trovano documenti, e meno che mai possono trovarsi documenti di ciò che è accaduto nell’interiorità dei personaggi che gli storici cercano di interrogare. In questo senso, ogni rappresentazione storica siede su due falle, che mai potranno essere colmate: l’impossibilità di trovare tutti i documenti possibili e l’impossibilità di scendere nell’interiorità dei personaggi.
Pasquale Cominale lo sa, e impiega appunto questa debolezza strutturale della storia come tunnel per poter entrare nello spirito di ciò a cui chiede di venire alla luce.
In questo orizzonte di quesiti, sotto la tessitura della narrazione segretamente emergono – sempre – alcune domande, che costituiscono la molla potente da cui la fantasia dello scrittore muove: è possibile immaginare l’esistenza di rapporti che, pur autentici, furono spezzati dal precipitare degli eventi? È possibile immaginare che sotto la superficie degli eventi accaduti siano rimasti in ombra altri possibili eventi che sarebbero potuti accadere al loro posto? E ancora: è proprio vero che la storia non si fa con i se
e con i ma
? Non è forse vero, piuttosto, che proprio la storia, quando opera attraverso i concetti di cause
e di effetti
, lavora pur sempre con i se
e con i ma
che crede di avere programmaticamente respinto? In altri termini: non è forse vero che, quando gli storici parlano di cause
, stanno pur sempre sottintendendo che, se non fosse accaduta quella certa cosa, ci sarebbero stati altri effetti
? In questo senso, non è forse vero che gli storici, quando parlano in termini di cause
, stanno anch’essi nascondendo i propri se
e i propri ma
?
Pasquale Cominale è consapevole di questa debolezza strutturale della storia, e trae proprio da questa debolezza la sua forza di narratore.
Ciò non significa, però, che il nostro autore inventi
. Significa soltanto che egli, essendosi immerso fino in fondo nel fiume degli eventi, non solo li indossa
, come storia propria, ma cerca di immaginare ciò che negli esseri umani e in ogni contesto narrativo sempre si nasconde, più reale che mai. Del resto, la stessa concezione di Benedetto Croce, per la quale la storia andava collocata sotto la categoria speculativa dell’arte, sapeva di aprire potentemente uno spazio specifico – quello dell’interiorità, ossia dello spirito
– a ogni scrittore che della storia volesse parlare con verità.
La trama delle vicende raccontate dall’autore, mentre fa emergere la verità psicologica delle figure, è guidata da interrogazioni sul possibile che un narratore vero, quando si innamora dei suoi percorsi, non può non agitare dentro di sé.
Raffaele La Capria, come è noto, nel suo libro L’armonia perduta, presentava lo sterminio della classe intellettuale napoletana, avvenuta nel 1799, come un’autentica decapitazione del futuro della città: un vero e proprio genocidio intellettuale e culturale. Pasquale Cominale, memore di questa lezione e di questo dolore, mai veramente rimarginato, si interroga su tutti i possibili
che nel fiume della storia sono pur scorsi e che l’anima di un narratore può qualche volta – come nei Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello – far venire alla luce. Dove il cuore batte, la fantasia lavora e, dove la fantasia lavora, l’intelligenza, inoltrata nei concreti documenti,
sa.
NOTA DELL’AUTORE
Se avessi scritto una mia personale interpretazione o critica storica circa la Rivoluzione Napoletana del 1799, avrei emulato il mitico Sisifo nell’inutilità delle sue fatiche. Nel senso che l’argomento in questione è stato tante volte trattato ed esaminato da storici autorevoli nella sua profondità con elegante sapienza e competenza.
Il mio intento è stato ben altro: ovvero profittare del drammatico avvenimento per una scenografia ideale – nel sacro rispetto della valenza storica ed umana che caratterizzò l’evento al tramonto del 1700 a Napoli – che sostenesse la trama narratologica di Eleonora.
La fantasia ha giocato senza essere invasiva nella realtà storica, anzi ha dato la voce e l’anima agli attori originali di quella tragica parentesi della storia di Napoli.
Sotto la stessa luce che illuminava Eleonora, protagonista ed eroina indiscussa della Rivoluzione antiborbonica, ho voluto collocare due figure, così vicine nella geografia dei luoghi natali quanto lontane nei loro ideali: Domenico Cirillo di Grumo Nevano e Don Antonio Della Rossa di Sant’Arpino. Universale medico e botanico il primo e Dirigente Generale della Polizia borbonica il secondo. Tenendo in debita considerazione che i loro paesi natali erano, e sono, confinanti e osservata la rappresentatività istituzionale di cui erano depositari, ho voluto accomunarli da un sentimento di frequentazione giovanile che, per esigenze esistenziali, non fiorì poi in amicizia.
Si capisce, a questo punto, che il canovaccio di Eleonora
tende a invitare le Istituzioni dei due paesi a un incontro capace di tessere una revisione storica più serena.
Dopo più di duecento anni, appare inverosimile che i due paesi, così vicini, possano restare ancora discordi su uno dei tanti drammatici eventi che caratterizzarono una delle Rivoluzioni più cruente della storia umana.
Un’ultima osservazione: la fantastica relazione di sola conoscenza, alla quale ho voluto appositamente legare il Dottor Domenico Cirillo a Don Antonio Della Rossa, intende essere soltanto l’input propedeutico ad un gesto di buona volontà.
L’arte salutare deve esercitarsi
a sollievo della misera umanità
e non come strumento per
per procacciarsi ricchezze
(Domenico Cirillo).
ELEONORA
Regno di Napoli, febbraio 1796
Grigia e fitta, la cappa di nebbia ristagnava ancora nelle vie del paese. L’uomo intabarrato nell’ampio mantello correva a perdifiato, inseguito da tre giovani che