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Le stagioni del burattinaio
Le stagioni del burattinaio
Le stagioni del burattinaio
E-book269 pagine3 ore

Le stagioni del burattinaio

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Info su questo ebook

Il Capitano Santacroce è alle prese con un caso intricato, dopo ogni delitto l'assassino lascia sulla scena del crimine un burattino di carta. Le indagini lo portano a viaggiare da Napoli fino al manicomio criminale sulle pendici del freddo Appennino. Sullo sfondo di un caso di per se complicato, si intrecciano tra le luci della città, crimini efferati e due donne che lo contendono come se fosse un premio.


“Il Burattinaio sgranò gli occhi, era dritto, le mani lungo i fianchi. Il suo teatro era vuoto, illuminato dalle luci del proscenio. Osservò le proprie mani, le sollevò e le tenne davanti agli occhi ancora sgranati. Fu allora che uno dei due burattini di carta gli parlò a un orecchio e l’altro fece lo stesso.”
LinguaItaliano
Data di uscita3 set 2023
ISBN9791222443676
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    Le stagioni del burattinaio - Mimmo Esposito

    Accornero Edizioni

    Le stagioni del burattinaio – Mimmo Esposito

    Copyright © 2023 Accornero Edizioni

    www.accorneroedizioni.it

    accorneroedizioni@gmail.com

    Progetto grafico: Publishing Lab

    www.publishinglab.it

    Mimmo Esposito

    LE STAGIONI DEL BURATTINAIO

    Accornero Edizioni

    1

    La luce del crepuscolo, silenziosa e incandescente, si abbassava vicinissima sul mare, come per penetrare la distesa d’acqua. Al tramonto, la baia di Napoli, ad inizio gennaio, era gelata e tranquilla. L’azzurro rubino e nebuloso dell’orizzonte si confondeva con l’abisso teso tra le isole e la striscia di terra. Un filo a tratti sospeso, su cui sembrava che potessero camminare solo creature mitiche e uomini, senza lasciare spazio a nient’altro. Eppure, verso le 20:40 tutto cambiò di colpo. Nonostante l’ora tarda, le auto procedevano a rilento nel traffico bloccato del rettilineo di Via Filangeri che portava a Chiaia. Il rombo dei motori si mischiava con quello dei clacson delle altre auto in coda, tutte con i finestrini serrati per via del freddo intenso di quei giorni.

    C’erano tre gradi a Via Dei Mille e un’umidità gelida che penetrava nelle ossa. In quello stesso momento, dei gruppetti di persone stavano attraversando le strisce pedonali, erano appena usciti dal palazzo della libreria Mezzocannone di Piazza dei Martiri. Nel grande salone della libreria, era da poco terminato un evento, la presentazione vespertina di un saggio dedicato al poeta Virgilio e alla sua opera L’Eneide. All’interno dell’ampio spazio, le sedie erano tutte vuote, le luci principali e quelle della balconata erano ancora accese come le due file di lampade del piano terra. L’aria era impregnata di umidità mista alle essenze di candele profumate lasciate a bruciare.

    Il professore di liceo Anastasio Palmanova, docente di greco antico e latino da anni a riposo, autore e organizzatore della presentazione del saggio su Virgilio, si trovava al piano terra. Superò lo spazio dell’ingresso e raggiunse la parete di destra, dove c’era una lunga scaffalatura piena zeppa di libri, quando si fermò di colpo. Rimase in silenzio, cercando di dare un senso a ciò che stava capitando da circa un mese. Aveva tentato di riordinare gli ultimi fatti accaduti senza farne parola con nessuno, mischiando ogni indizio, ma non era riuscito ad arrivare alla soluzione del mistero ai confini fra il bene e il male, sperava che ci fosse più bene che male, ma purtroppo si sbagliava. Alla fine si decise. Si avvicinò ad alcuni ripiani e, come stava capitando da quasi quattro settimane, oltre ai libri e ai gadget sparsi, su una di quelle mensole di metallo, vide qualcosa che non doveva trovarsi lì: un burattino di carta con un sorriso aguzzo come una lama di coltello. Cercò di mantenere la calma, afferrò il burattino e con pochi secchi scatti nervosi delle mani lo appallottolò con rabbia, e lo buttò nella pattumiera. Si avviò verso il salone, superò due grossi pilastri tondi, si mise seduto e accavallò le gambe nervoso. Pochi scaffali più indietro, si trovava il suo vecchio amico Ennio Riccapezza, un medico, da qualche anno a riposo, piccolo e zoppo. Stava sfogliando scontento dei libri di chimica posti dentro dei contenitori a scansie al piano terra. L’uomo si guardò un attimo intorno e salì con fatica lo scalone centrale che portava sulla balconata per iniziare un’altra ricerca di volumi a lui più graditi.

    Si trovava ancora sulla balconata. Abbassò lo sguardo su alcuni titoli, ma non sfogliò nulla. Scese con attenzione, gradino dopo gradino, e si portò al lato opposto, dietro alle prime file di sedie vuote, all’inizio della sala, per raggiungere il professor Palmanova. Di colpo si spensero tutte le luci. Pochi attimi dopo, un urlo agghiacciante rimbombò in quell’oscurità al punto da non capirne la provenienza.

    2

    Alle 20:50, il Capitano dei Carabinieri della Compagnia della Vicaria, Ivan Santacroce, superò il marciapiede e osservò il frontale moderno della libreria Mezzocannone per qualche secondo, quando gli si avvicinò un Maresciallo dei Carabinieri che bisbigliò qualcosa e lui annuì. Santacroce era giovane, alto, di bella presenza, più vicino ai trenta che ai quaranta. Sembrava a tutti una persona in gamba e di buon carattere, dotato di un certo buon senso. Un attimo dopo comparvero il Magistrato e il Medico legale, i quali uscivano dal portale centrale e mentre andavano via, scambiarono solo qualche parola con Santacroce.

    Santacroce procedette con decisione dentro la libreria, accompagnato dall’organizzatore e autore del saggio, il vecchio professore Anastasio Palmanova.

    Da quando conosceva la vittima… Il dottor Ennio Riccapezza?, domandò il Capitano Santacroce.

    Da sempre. Era il mio medico di fiducia. Lo stimavo tanto. Era vedovo da quasi 30 anni, senza figli. Tant’è che, quando si è ritirato, è venuto a vivere nella mia villa di Posillipo... Una camera e un bagno a sua disposizione. Non era molto anziano, ma gli acciacchi lo perseguitavano da sempre. Era un eccellente medico. Lo avevo accolto con molto piacere. Un medico in casa, a portata di mano, faceva piacere a un vecchio come me...

    Il dottor Riccapezza era steso per terra, a pancia in giù. Santacroce osservò quel corpo: le mani, la camicia sgualcita, i pantaloni spiegazzati, le scarpe con suola di cuoio e il sangue che era uscito da un solo lato dell’orecchio destro.

    Santacroce si chinò su di lui, vide che aveva qualcosa conficcato in quell’orecchio. A un primo sguardo, sembrava un chiodo, proprio come aveva accennato il medico legale, probabilmente uno di quelli molto lunghi. Cercò di inquadrare ciò che poteva essere successo quando notò che, sotto al muro, c’era un drappello del personale della libreria e, sospirando, si rivolse a loro: Non ve ne state nell’ombra. Il direttore di questa libreria chi è? Si faccia avanti. Telecamere interne...?

    Uno di loro, con aria malcontenta, si staccò dal gruppo: Sì, sono il direttore. Di telecamere ne abbiamo otto, ma credo che saranno inutilizzabili... Era tutto buio. Qualcuno ha staccato il generale dell’energia elettrica. Poi, l’abbiamo riacceso noi...

    Santacroce, sospirando: Nessun testimone... Quanti dipendenti erano di turno questa sera?

    Dieci persone in tutto e il direttore si ritirò di nuovo a ridosso del muro.

    Santacroce, annuendo e rivolgendosi al professor Palmanova: Chiunque sia stato, conosceva il fatto suo. Ha agito in maniera spietata e rapida, ha pianificato tutto: il luogo, il momento, ed è sparito indisturbato. Non è difficile introdursi a un evento come una presentazione di un libro... Può entrare chiunque. Ha osservato bene ogni cosa, anche quelle più furtive che di solito fanno dei vecchi appassionati di libri. L’agguato, l’attimo esatto. Ha aspettato che fosse da solo. Si è nascosto senza dubbio, dietro uno di quei due grossi pilastri e, nel buio, ha colpito. Ha fatto perdere le sue tracce. Si è allontanato con calma senza farsi notare da nessuno!

    Mentre il vecchio professore lo ascoltava, Santacroce si calava completamente nelle sue considerazioni e iniziò a muoversi avanti e indietro.

    Capitano Santacroce, che cosa deve cercare?, chiese il professore Anastasio Palmanova.

    In quello stesso momento Santacroce scorse qualcosa sul marmo lucido del pavimento, a fianco della vittima: della carta spiegazzata, con le sembianze di un burattino. Santacroce, osservandolo, notò che dove dovevano esserci le orecchie c’erano dei buchi, come se fosse stato infilzato da qualcosa di acuminante. Certamente non se lo aspettava di trovarlo.

    Girandosi verso il professore Palmanova, disse: Lei si è avvicinato al cadavere o qualcun altro?

    No, era buio completo. Ricordo che si sono riaccese le luci e solo allora l’ho visto a terra, l’ho chiamato, e mi sono reso conto subito che non respirava più, questo è tutto! No, non mi sono mosso, mi è mancato il coraggio. La sala era vuota, la presentazione del mio libro era terminata da poco e le posso assicurare che nessuno del personale si era avvicinato, ne sono certo. Che cosa ha trovato prima sul pavimento?, domandò il vecchio Palmanova.

    L’ufficiale dei Carabinieri, annuendo: Certamente qualcosa che c’entra con tutto questo… anzi posso dire di più!

    Il professore Anastasio sorpreso: Venga al punto, la prego.

    Mi sembra chiaro: chi ha fatto ciò ha voluto farci avere anche qualcos’altro, altrimenti perché lasciare una sorta di firma?

    Firma dice? Non capisco…

    Sì, oltre a quest’orribile omicidio c’è una bizzarria se si può dire, abbiamo una sorta di marchio…

    Ve ne prego, fino ad ora siete stato molto cortese, potreste spiegarmi meglio? Com’è possibile una cosa simile?

    Non posso dirle altro!

    Era stato solo l’istinto di Santacroce a indurlo a dire quel tipo di parole.

    Il professore Anastasio scosse il capo: È incomprensibile! Un incubo a cui stento a credere!

    Lei dov’era con precisione?

    Seduto su quella sedia. La indicò e aggiunse: Ripeto: il buio... Ho sentito il suo spaventoso urlo.

    E l’ultima volta che ha visto la vittima ancora viva...?

    Lui, poverino, era sulla balconata a controllare certamente qualche libro di chimica o biologia, come faceva sempre. Sfogliava qualche pagina, scendeva quei quindici gradini, tutto qui…

    Non potete dirmi altro, immagino... Interrompendolo

    Le ripeto: l’ho visto sul pavimento e l’ho chiamato, ma inutilmente. Non c’era nulla da fare. Era morto... Morto!

    Il Capitano Santacroce fece cenno al direttore della Mezzocannone di avvicinarsi di nuovo: Mi occorre un elenco completo del personale.

    Ho la documentazione che le occorre nel mio ufficio. Pochi minuti e le consegno i nominativi dei nostri dipendenti, turni e orari.

    Il direttore si diresse al suo ufficio.

    Lei, professor Palmanova... Chi c’era alla presentazione del libro? Deve consegnarmi i loro nominativi.

    Il vecchio, lievemente sorpreso: Sarà premura mia farglieli avere al più presto, anche se credo che sia inutile... Sono tutti vecchi con artrosi e artriti quelli che hanno partecipato.

    Professore, immagino che sia un frequentatore assiduo della libreria Mezzocannone...

    Naturalmente. Anche se sono un insegnante in pensione, i libri sono sempre la mia passione. Ultimamente mi recavo qui anche tutti i giorni, per organizzare la presentazione del mio libro, parlo di un mese pieno: tre anni di lavoro, volevo che fosse tutto impeccabile…

    E il dottore Riccapezza, anche lui era assiduo?

    Piaceva anche a lui sfogliare qualche novità tra gli scaffali, ma soprattutto testi scientifici. In questi trenta giorni mi ha sempre fatto buona compagnia…

    Il vecchio Palmanova non fece in tempo a finire la frase e sollevò le sopracciglia, quando sentì che si spalancò la porta di vetro centrale con uno strepito e comparve timidamente, un giovane, alquanto alto e dalla faccia ossuta, come il resto del suo corpo di qualche chilo di meno, che si fermò sulla soglia e fece una smorfia di dispiacere: Scusatemi, esordì lui e prima che il professore facesse in tempo a dire qualcosa continuò: Ho saputo quello che è successo e mi sono precipitato! Povero dottor Riccapezza. Lei come sta professore?

    Suppongo che a me passerà, forse! Ma per il povero dottore non c’è nulla da fare!

    È opera del male!

    Santacroce gettò un’occhiata furtiva al giovane: Del male dice?

    Sì, lo conosciamo solo quando si rivela, dunque troppo tardi.

    C’è chi conosce il male e chi conosce gli uomini… Lei è?

    Il giovane con timidezza: Mi scusi. Sono don Rosalbino Pepe.

    Capitano Santacroce, Don Rosalbino è un sacerdote, rispose prontamente Palmanova.

    Non ho l’abito… È molto più comodo così.

    Formalità!, esclamò il professore.

    Ah, bene!, rispose Santacroce e aggiunse: e dove svolge la sua opera sacerdotale?

    Ho la carica di cappellano. Oramai sono due anni.

    Interessante… Compito delicato.

    Il professore Palmanova, sospirando: "è da un bel po’ che abbiamo perso il nostro giovane e promettente latinista don Rosalbino Pepe… Ci faremo mai una ragione di poterne fare a meno? Credo mai.

    3

    Santacroce, il giorno seguente, era già da qualche ora nella caserma della Compagnia della Vicaria, seduto nel suo ufficio, con una tazza di caffè fumante. Aveva appena finito di parlare al telefono con il magistrato, titolare dell’indagine e, un po’ annoiato da quelle parole tecniche-giuridiche, posò la cornetta pigramente e bevve il suo caffè. Qualche minuto dopo lo squillo di quell’apparecchio ebbe il pregio di rompere il torpore in cui si trovava con i suoi pensieri. Era il medico legale che gli stava snocciolando i primi esami eseguiti sul cadavere del dottore Ennio Riccapezza. C’erano poche certezze in quelle poche analisi. Senza dubbio era stato assassinato con un chiodo di venti centimetri conficcato nell’orecchio destro che aveva raggiunto il cervello uccidendolo sul colpo. Il tutto con una spaventosa forza, probabilmente con un martello di metallo, mentre per quel che riguardava il burattino di carta, era pulito in modo assurdo.

    La scientifica aveva già rivelato il suo rapporto in merito a eventuali tracce biologiche e impronte digitali, ed erano risultate del tutto negative. In quanto all’elenco di nominativi di coloro che si trovavano quella sera alla presentazione del saggio virgiliano, non era altro che una breve lista di docenti e professoresse quasi ottuagenari, di latino, greco e letteratura. Pieni di artriti e non in grado di fare male a una mosca, figuriamoci un omicidio di tale brutalità.

    In merito agli addetti della libreria, vennero messi tutti sotto la lente d’ingrandimento e passato al setaccio ogni loro attimo nei locali della Mezzocannone. Dopo un’accurata ricerca, si ricostruì ogni loro passo e si appurò che non c’era nulla di anomalo. In quel momento, Santacroce sentì la suoneria del cellulare. Dopo un paio di minuti uscì in strada e salì a bordo di un’auto di servizio, correndo ad alta velocità.

    Tra le cappelle del cimitero monumentale di Poggioreale, si poteva scorgere un cielo umido e lattiginoso. Il vento arrivava a folate. Il freddo si era fatto più rigido, come un cuore nero.

    Dentro, sul viale di basalto scuro, stava ad attendere un angosciato don Rosalbino Pepe.

    Ha telefonato Lei?, domandò il Capitano Santacroce.

    Sì.

    Mi dica tutto.

    Don Rosalbino con tono rammaricato: Il professore mi aveva detto che l’avrei trovato qui. Sono venuto a prenderlo con la mia auto. Lui è arrivato con un taxi, non se la sentiva di guidare. Voleva vedere la tomba della figlia. Poverina, morta giovanissima... Una disgrazia. Mai avrei pensato di vedere quello che ho visto. Con l’aiuto della provvidenza, ce la farà. Ho già chiamato l'autoambulanza… Spero sia qui in breve tempo.

    Il professore Anastasio Palmanova se ne stava rintanato in un angolo buio, dietro a una delle colonne laterali di una vecchia nicchia diroccata. Santacroce si chinò e abbassò lo sguardo verso di lui. Il vecchio professor Palmanova aveva le orbite vuote, prive dei bulbi oculari e del sangue coagulato gli rigava il volto: qualcuno gli aveva crudelmente cavato tutt'e due gli occhi accecandolo per sempre. Aveva il terrore stampato sul viso, respirava a fatica ed emetteva dei sussulti improvvisi per tutto il corpo.

    Santacroce, avvicinandosi, sfiorò con il piede qualcosa sulla pavimentazione di basalto: si chinò e vide che si trattava ancora una volta di un burattino di carta, ma senza occhi. Il professore Palmanova, mezz’ora dopo, era in un letto di ospedale imbottito di antidolorifici e antibiotici. Santacroce, il giorno seguente, si presentò al suo capezzale. I medici concessero il benestare per potergli parlare, ma senza stancarlo troppo. Palmanova aveva la testa affossata nel grosso cuscino e una larga benda ben fissata su dove una volta c’erano gli occhi.

    Come si sente?

    Il professore sussultò, colto da un’improvvisa ondata di tremore: Il dolore è terribile…

    I medici dicono che fra qualche giorno starà un po’ meglio.

    Palmanova sghignazzò e pianse. Tremante nella voce sibilò: Oh… temo che ci voglia un po’ di più!

    I medici mi hanno pregato di chiedere poche cose. Ce la fa? Mi dica tutto dal principio.

    Ci provo... La faccenda risale più o meno una trentina di giorni fa. Sì, proprio quando ho iniziato a organizzare la presentazione del mio libro alla Mezzocannone, mormorò il vecchio Anastasio e proseguì: Ho sottovalutato ogni cosa. Ma come potevo mai supporre un fatto simile? Sono stato un inetto…

    La prego di spiegarsi più chiaramente!

    Succedeva ogni sera, quando facevo il mio giro tra gli scaffali. Ogni volta, sul ripiano della libreria, nella sala centrale, trovavo un burattino fatto di carta con un sorriso strano, agghiacciante.

    Perché non ne ha fatto subito parola con me?

    Ho sbagliato! Me ne rendo conto!

    E questo va avanti così da un mese? Che idea si è fatto di tutto ciò?

    All’inizio, nulla di particolare poiché non lo ritenevo importante. Avevo supposto uno scherzo... Solo uno scherzo stupido e nient’altro. Poi, il povero dottor Ennio Riccapezza... Ora io... Adesso ho capito che c’era qualcosa di sinistro. Ma è troppo tardi…

    E cosa ne ha fatto dei burattini di carta?

    Ogni volta li accartocciavo e li buttavo!

    È stato rinvenuto anche un altro burattino: quello del dottore Riccapezza e anch’esso aveva una peculiarità, se così si può dire, era trafitto da orecchio a orecchio! L’assassino ha riprodotto la morte terribile di Riccapezza.

    No, ma è bestiale. Io… non potevo sapere, mi creda.

    Lo so, momentaneamente è una notizia riservata.

    Nel cimitero, da qualche parte, avete trovato il mio burattino di carta?

    Sì, sulla pavimentazione di basalto, non molto lontano da lei.

    Il vecchio, con calma inaspettata, aggiunse: La firma, come ha detto lei l’altra volta, è così?

    Aspettiamo per essere certi. Riesce a proseguire il suo resoconto?

    Ah, sì. Certo. Quando ho capito quello che mi era accaduto, ho iniziato a urlare e ho sentito che è corsa un po’ di gente dai viali del cimitero.

    Quindi, qualcuno potrebbe aver notato il burattino di carta sul basalto, probabilmente è sulla bocca di tutti… Commentò Santacroce e sospirando aggiunse: Ci mancava solo questo! Lo saprà l’intera Napoli e anche la stampa. Per il momento può bastare, non la voglio affaticare di più professore.

    Di quelle persone accorse qualcuno potrebbe aver visto qualcosa?

    Non lo sapremo mai. Tutti spariti... Si affrettò a dire il Capitano Santacroce.

    Si sentì la voce di un sanitario nel corridoio, il quale avvisò che la visita era terminata. Santacroce esitò, ma la voce insistette. Finiremo il nostro discorso nei prossimi giorni, appena starà meglio! Mi occorrono i dettagli…

    Infatti, come aveva accennato Santacroce, fuori dall’ospedale c’era un drappello di giornalisti, accalcati lungo la strada, ad aspettare sotto gli ampi portoni di legno massiccio per ripararsi dal freddo, in attesa di particolari. I cronisti appena videro Santacroce avviarono le registrazioni. Santacroce per prima cosa disse le parole di rito e che stavano vagliando ogni pista e dopo, descrisse sommariamente quello che era successo, senza rivelare i particolari del caso.

    Qualcuno scattò qualche foto e chiese i dettagli di ciò che era capitato al professor Palmanova. Santacroce precisò alquanto seccato che Palmanova era stato

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