Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Reset!: Il manuale di cambiamento, per chi ha le ... rotte
Reset!: Il manuale di cambiamento, per chi ha le ... rotte
Reset!: Il manuale di cambiamento, per chi ha le ... rotte
E-book290 pagine2 ore

Reset!: Il manuale di cambiamento, per chi ha le ... rotte

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In questo libro troverai:
  • Complete e dettagliate spiegazioni sui "meccanismi evolutivi" attraverso cui la nostra mente tiene costantemente a freno il nostro "reale potenziale neurale", come "sbloccare" quest'ultimo nella sua forma più vivace, potente e significativa.
  • Come mettere gli ultimi ritrovati delle neuroscienze, teoria della probabilità e teoria dei giochi al servizio dei nostri sogni, grandi e piccoli che siano.
  • Daniel Kahneman, Nicholas Taleb, e le favolose intuizioni teoriche dei più grandi scienziati, psicologi e filosofi sul come dare valore alla propria esistenza, negoziare con l'incertezza e "cesellare" la propria esistenza nella sua forma più affascinante, seducente e ricca.
  • Kintsugi, Kaizen, To-do list pesate, Matrici Payoff, "Reset journaling", e decine e decine di strumenti pratici di lavoro, con tanto di tabelle con cui riportare i nostri progressi, analizzare scenari futuri, fare brainstorming, avere cura dei nostri progetti più preziosi.
  • Cosa vuol dire "giungere mentalmente nella nostra Atlantide", e perché è così importante.
  • Come aprire le porte della nostra mente all'esplorazione di "nuovi universi" e scatenare nuovi intuizioni, spunti creativi, "straordinarie piccole rivoluzioni".
  • Il "senso finale dell'esistenza"? Proviamo a parlare anche di quello!
Il nostro estratto preferito
"Nessuna risposta tangibile potrà mai esaurire definitivamente il nostro desiderio di dare un senso alla nostra esistenza e ogni “bit” aggiuntivo che acquisiremo in questo senso porrà inevitabilmente anche delle nuove domande; è quello che Nagel chiamava “L’Assurdo”, ossia la totale asimmetria informativa tra il nostro (infinito) desiderio di senso e la (minima) “disponibilità” dell’universo a rivelarcene anche solo un po’. E in questa verità apparentemente terribile c’è in realtà il nucleo di una delle risposte più confortanti che potremmo mai darci: ogni istante prestato a un problema irrisolvibile è un istante sprecato. Se non si può dividere per zero d’altronde possiamo fare due cose: inventarci delle regole arbitrarie che improvvisamente decidano che “il risultato è pizza margherita”, o “io sono Dio”, compiacendoci poi per il nulla assoluto che abbiamo appena realizzato, oppure semplicemente capire che non è realmente importante farlo, riconoscere che l’unico vero problema deriva dal nostro accanimento, e passare finalmente ad altro; dimenticarci insomma di tutta questa “immondizia esistenziale” e, piuttosto, capire di poter vivere in totale tranquillità la nostra vita senza preoccuparcene affatto."
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2023
ISBN9791222447186
Reset!: Il manuale di cambiamento, per chi ha le ... rotte

Leggi altro di Danilo Lapegna

Correlato a Reset!

Ebook correlati

Crescita personale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Reset!

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Reset! - Danilo Lapegna

    I – Non ho nulla al di fuori di me, e questo è sufficiente

    1.png

    Il Buddha andò a Kashi. Il re andò a fargli visita e gli chiese: Vedo che tu non hai nulla. Sei solo un mendicante, eppure io mi sento un mendicante in confronto a te. Non hai nulla, ma il modo in cui cammini, in cui guardi, in cui ridi, fa sembrare che l’intero mondo sia il tuo regno, e tu non possiedi nulla di visibile, nulla di nulla. Dov’è quindi il segreto del tuo potere? Sembri un imperatore. In realtà nessun imperatore ha mai avuto un aspetto così regale – come se tutto il mondo gli appartenesse. Tu sei il re, ma dov’è il tuo potere, la fonte? E il Buddha disse: È in me. Il mio potere, la fonte del mio potere, tutto quello che senti intorno a me, in realtà è dentro di me. Non ho nulla salvo me stesso, ma questo è sufficiente.

    (Aneddoto Buddhista)

    Nell’introduzione abbiamo dunque affermato un principio che nella sua semplice potenza rappresenterà un po’ l’architrave dell’intero testo che avete tra le mani, ossia: tutto il fondamento del potere creatore della nostra specie è nel modo in cui la complessità del nostro pensiero può consentirci di elaborare strumenti, mezzi, strategie e dar luogo a processi con cui cambiare profondamente non solo noi stessi ma anche la realtà che ci circonda.

    Si può sfidare questa affermazione anche all’infinito perché essa non farà che mostrare ulteriormente la propria validità. Ammettiamo per esempio di esclamare: Potere del pensiero? Tutte cavolate! L’unico potere che conta è quello che può essere tratto dalla propria posizione sociale e dai propri possedimenti materiali. Giustissimo: come pensare di poter effettuare alcun cambiamento senza avere anche i soldi, il ruolo o gli strumenti pratici con cui portarlo a termine? Eppure si potrebbe facilmente argomentare che un potere materiale-economico da solo, per quanto immenso, non potrà mai sperare di controllare o prevenire tutte le infinite, e imprevedibili variabili che regoleranno l’esistenza. I mercati possono sempre crollare da un momento all’altro per esempio, eppure alla fine è la giusta mentalità di chi li gestisce a consentire ai patrimoni di ammortizzare, e poi risollevarsi dai peggiori crolli. Un’eredità può essere tanto utilizzata per creare ancora più valore, quanto sperperata in facili divertimenti in pochi mesi, e divenire il principio di un terrificante vortice di debiti senza fine. E vogliamo fare anche un po’ di banale retorica sul fatto che I soldi non fanno la felicità? Va bene, di solito a questa affermazione si suole replicare che: "Se i soldi non fanno la felicità, la povertà ci riesce ancora di meno". Il che anche è innegabile.

    Eppure il fatto che un certo benessere materiale sia causa necessaria per la propria stabilità psichica non lo rende automaticamente anche causa sufficiente: le infinite storie di chi a Hollywood si dispera tra depressione, droghe e alcolismo bastano infatti da sole per dimostrare che anche un patrimonio immenso, senza una naturale serenità, capacità, struttura filosofica che consenta di goderne i frutti, potrebbe essere persino più dannoso dell’assenza dello stesso. Parte e ritorna insomma sempre tutto lì: nel nostro cervello, nella nostra capacità di amministrare fatti, eventi, emozioni, risorse, pensieri. È puro senso comune, eppure ce ne dimentichiamo continuamente. Senza allenare la propria facoltà di pensare bene si possono facilmente ignorare informazioni inestimabili, perdere battaglie già vinte, polverizzare ricchezze virtualmente illimitate; e viceversa una mente solida, data anche una piccola dose di fortuna, può divenire l’ avversaria più temuta persino di ostacoli ridicolmente più grandi della minuscola scatola che ospita i suoi processi cognitivi. Per un pensatore allenato e maturo anche un evento terribilmente spiacevole come la fine di una relazione importante può essere trasformato in un’occasione per ripensare la propria esistenza, e magari iniziare a lavorare a un progetto personale che altrimenti non si sarebbe mai potuto neanche considerare. Un problema nuovo e mai affrontato prima può diventare il pretesto per leggere nuovi libri, effettuare nuovi viaggi, elaborare nuove strategie. Un avversario che ci surclassa può essere l’evento che ci spinge a intraprendere strade con cui migliorarci che prima non avremmo mai nemmeno preso in esame. Nella nostra libertà di decidere come reagire c’è tutto il potere straordinario del trarre il massimo dal peggio, dell’imbrigliare energie altrimenti dissipate, dell’intuire la presenza di una risorsa laddove magari altri vedrebbero solo un problema.

    Se inoltre volessimo fare un discorso che più strettamente inquadra il nostro ruolo all’interno della società, potremmo dire che la costruzione di una solida disciplina mentale ci consente di riconquistare dignità in un mondo in cui spesso siamo visti come nulla più che dei ricevitori di impulsi. Non che ora voglia scadere nel delirio complottista secondo cui c’è sempre qualcuno che tenta di manipolarci dietro ogni messaggio proveniente da questo o quel media; ma sarebbe altrettanto folle negare che siamo in un’era in cui, infinitamente più che nel passato, il bombardamento di informazioni persuasive è incessante, onnipresente, e rischia di inquinare ulteriormente dei processi di pensiero che già di norma è difficile portare dalla nostra parte. Perché, per esempio, lavorare per risolvere i nostri problemi di ansia se ogni like che riceviamo sotto le nostre foto di cibo su Instagram ci dà una scarica di dopamina tale da non farci avere bisogno di nient’altro (almeno per i successivi dieci minuti)? Perché pensare di lavorare per migliorare il nostro ambiente o la nostra società se il nostro feed di Facebook è pieno di articoli-spazzatura che ci urlano che l’apocalisse è dietro l’angolo?

    E tutto questo discorso, attenzione, non deve risolversi nel fatto che le tecnologie contemporanee sono il nemico (anzi, come vedremo anche più avanti, è tutto l’opposto) ma piuttosto nell’ammissione della stupidità della nostra mente nell’elaborare molte informazioni dotate di una certa complessità; chiaro che questa stupidità è terribilmente amplificata dal continuo sovraccarico di informazioni cui siamo soggetti, ma non è questo il vero punto. Il reale avversario da combattere (e con cui negoziare) in questa battaglia infatti è piuttosto il fatto che il cervello è dotato di meccanismi progettati per la rapidità d’elaborazione più che per la loro precisione. Tali meccanismi spesso producono confusione, errori e incongruenze, e quindi accadrà troppe volte che data la necessità, per esempio, di orientare il nostro pensiero verso la risoluzione di un problema, esso per paura, pigrizia o pregiudizio finirà comunque per ignorare una soluzione ovvia, per disprezzare un’opzione anche se incredibilmente efficiente, o peggio, per prodigarsi con tutti i mezzi possibili per proiettarci in una costante astensione da ogni scelta realmente costruttiva. Il che ci riporta brutalmente a quanto affermato a inizio capitolo: non conta ciò che la vita di per sé ci offre in termini di opportunità o risorse effettive, perché lasciare tutto all’inconsapevole pilota automatico della nostra mente equivarrà in gran parte dei casi a lasciare che tale offerta venga comunque ignorata, sprecata, presa dal verso sbagliato; il che, moltiplicato per un’intera vita di scelte, potrebbe voler dire consegnare tutto il nostro immenso potere cognitivo nelle mani dei nostri istinti più bassi, dei nostri impulsi più irrazionali, delle nostre paure più mostruose. O magari di risposte facili, ciarlatani dell’ultim’ora, rimedi narcotici alle nostre inquietudini e tutto ciò che più di ogni altra cosa consuma e annulla ogni nostro realistico proposito di voler vivere una buona vita.

    La mancanza di autoconoscenza rende estremamente facile convincersi che la risposta sia nell’abbracciare un’ideologia, o nell’avanzamento di carriera, o nell’aggiungere un nuovo diploma al proprio CV. Le cose che perseguiamo mentre siamo confusi sono anche quelle più spudoratamente imitative […] quando si è smarriti nella nebbia, è naturale seguire semplicemente il primo corpo caldo che si incontra.

    (Luke Burgis)

    Un impiegato in un ufficio postale è pari a un conquistatore se la consapevolezza è comune a entrambi

    (Albert Camus)

    Cerchiamo però ora di fare un po’ di ordine: se è vero che ogni percorso di cambiamento nasce da un intervento sui propri schemi di pensiero, in cosa di preciso dovrebbe consistere questo intervento?

    Inutile dire che, come ogni intervento che si prospetta duraturo su una situazione complessa, esso ovviamente non si potrà risolvere in un insieme di azioni semplici, ma piuttosto dovrà consistere nell’impostazione di un percorso in cui:

    ✓ Dovremo imparare a conoscere e ascoltare i nostri schemi di pensiero. E dovremo imparare a farlo in maniera spontanea, naturale, senza mentirci e senza imporci filtri derivanti da condizionamenti o pregiudizi. Perché ovviamente non si può pensare di manovrare al meglio una macchina di cui non capiamo né i meccanismi né gli scopi.

    ✓ Dovremo man mano capire come lavorare sugli schemi di cui sopra , in modo da rimetterli al servizio della volontà di essere ciò che desideriamo essere e di fare ciò che desideriamo fare.

    E se nei prossimi capitoli vedremo proprio come mettere in pratica questi due principi nel dettaglio, concludiamo questo capitolo provando un attimo a soffermarci su quel volontà di essere ciò che desideriamo essere e di fare ciò che desideriamo fare. Come infatti accennato qualche pagina fa, non avrebbe senso lavorare su sé stessi senza prima credere di poter cavalcare un fulmine, costruire la propria Shangri-La, o più banalmente, potere godere dei frutti del proprio lavoro. Se esiste un pilota automatico dentro di noi che può divenire facile preda di istinti, paure e predatori di ogni sorta, è altrettanto vero che diviene necessario costruire e cementare un pilota alternativo per lo stesso meccanismo, che sia pronto a riprendere la guida del mezzo impazzito e rielabori la traiettoria di viaggio verso ciò che reputiamo essere fonte di produttività, felicità, realizzazione. Il che, inutile dirlo, può risultare estremamente complicato: il nostro cervello tende difatti a dare spesso priorità al soffermarsi su ciò che non funziona, il che ci rende terribilmente facile impantanarci in delle vere e proprie fasi no in cui ci sembra di non avere più alcun potere sulle circostanze della nostra vita. E anche quando non possiamo dire di sentirci profondamente sfiduciati, è comunque possibile che la nostra volontà e le nostre azioni vengano inquinate anche solo in parte per avere assistito a una storia scoraggiante, per avere esperito un brutto fallimento, per avere subito un rifiuto inaspettato. E che queste cose facciano inconsapevolmente perdere alle nostre azioni in vigore, impatto ed efficacia. A tale proposito tuttavia, proviamo a meditare sui concetti che seguono:

    Le storie scoraggianti vendono di più e si diffondono meglio.Non dobbiamo mai dimenticare né che ciò che è emotivamente impattante tenderà a colpirci con più violenza, né che le storie singole non descrivono che una parte della realtà che ci circonda. Non viviamo certo in un’epoca d’oro (ma quale scrittore ha mai detto il contrario in un proprio testo, al di fuori di qualche propagandista ideologico pagato dalla parte politica al potere?), ma non dobbiamo nemmeno ignorare che, specialmente grazie all’estrema accelerazione del progresso tecnologico recente, abbiamo anche molte più opportunità, in ogni campo possibile e immaginabile, anche solo rispetto a pochi decenni fa. Internet, social e intelligenze artificiali hanno completamente ristrutturato i nostri modi di intendere il lavoro, la ricchezza, la comunicazione e lo scambio di idee, e se dovessimo imbastire una reale narrazione del mondo non potremmo ignorare tutte quelle storie in cui questo progresso tecnologico conferisce valore inimmaginabile alle persone di questa terra. In questo senso, per puro amore di realismo, dobbiamo almeno in parte provare ad abbandonare l’idea di un mondo completamente ostile in cui poco e niente di ciò che vogliamo realizzare potrà avverarsi davvero, e dobbiamo piuttosto imbracciare il concetto che, salvo i casi in cui esso contraddica completamente alcune basi della realtà, è possibile che il nostro obiettivo abbia almeno degli aspetti in parte realizzabili. Tutto sta nel lavorare duro per capire dove risiede l’opportunità, la base, il compromesso da cui provare a partire.

    Siamo evolutivamente portati ad ancorarci alle peggiori tra le nostre sensazioni. Come accennato anche poche pagine fa e come approfondiremo ulteriormente tra qualche capitolo: siamo ancora in gran parte, dal punto di vista biologico, gli stessi primati che abitavano le caverne migliaia di anni fa. Se al tempo avessimo ignorato anche il più piccolo dei segnali di pericolo avremmo rischiato di ignorare magari l’appostamento di un predatore affamato, e quindi, non perpetuare mai più i nostri geni. Oggi invece, nel mondo ultra-complesso di cui abbiamo parlato sopra, diviene praticamente impossibile distinguere un pericolo reale da uno fittizio. Ed ecco che così troppo spesso ci ancoriamo irrazionalmente quasi a qualunque ansia, qualunque prospettiva di fallimento, qualunque cosa possa anche solo in parte danneggiare noi, il nostro ambiente o chi amiamo. E così facendo finiamo per credere a delle semplici menzogne, proiettandoci in un’immobilità giustificata da ogni possibile prospettiva di ostilità. Chiaro che il contrario sarebbe altrettanto stupido: credere che ogni segnale di pericolo suggerito dalla mente sia immaginario porterebbe probabilmente alcuni di noi a ingoiare acido solforico o buttarci in massa dai burroni in motocicletta. Eppure il punto è proprio nell’imparare a non soffermarsi al primo impulso o al primo pensiero che viene in mente, ma nel capire che proprio soffermandosi, indagando, razionalizzando, studiando la realtà anche solo un po’ in più di quello che si sarebbe fatto normalmente, è possibile scovare opportunità, soluzioni, chiavi verso porte che normalmente non avremmo neanche osato concepire.

    Credere che il futuro sarà scoraggiante e credere che sarà buono sono insomma, a tutti gli effetti, entrambe profezie che il nostro cervello va a costruire in merito a una realtà che ancora non esiste e ancora non si è verificata. E visto che non abbiamo nessun reale e provato potere precognitivo, ma allo stesso tempo pur magari non credendo effettivamente di averne saremo comunque subconsciamente pronti a difendere la nostra immagine che ci siamo costruiti del futuro, ecco che gran parte del nostro percorso di crescita consisterà nel cercare di gestire dolcemente le vuote profetesse di sventura nella nostra immaginazione, focalizzandoci invece solo laddove sarà utile farlo. Maturare un certo grado di razionale ottimismo infatti non vuol dire certo ignorare la realtà dei fatti, né divenire da un momento all’altro passivi sognatori in attesa di un futuro migliore. Anzi, al contrario, vuol dire puntare a dare la regia della propria immaginazione a quella che Erich Fromm chiamava una fede razionale nel futuro: ossia una fede che non sia figlia di una credenza cieca ma di semplici, puri e solidi rapporti causa-conseguenza, uniti a tutto il duro lavoro necessario perché letteralmente si costruisca qualcosa di valore che a posteriori confermi il senso di fede con cui eravamo partiti. Valore che magari non ci raggiungerà necessariamente nella forma, nel modo o nei tempi che ci eravamo immaginati all’inizio, ma lo farà pur sempre in un’incarnazione che rappresenti una soddisfazione, un vantaggio, un risultato, di quelli che non si sarebbero mai potuti raggiungere se non si fosse partiti dando alla realtà una possibilità.

    Ovvio che gli ostacoli, soprattutto interiori, perché questo processo venga svolto agilmente saranno innumerevoli; e proprio per questo cominceremo a vedere insieme, fin dal prossimo capitolo, da dove partire per effettuare dei passi avanti nella nostra capacità di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1