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I cavalli soffrono in silenzio
I cavalli soffrono in silenzio
I cavalli soffrono in silenzio
E-book261 pagine3 ore

I cavalli soffrono in silenzio

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Info su questo ebook

Markus e Sandro potevano dirsi una coppia di successo. Nel mondo dell’equitazione western erano nomi conosciuti, uno americano e l’altro italiano, sembravano la classica copia gay che addestrava cavalli. Markus amava i colori sgargianti, gli strass e le parrucche; Sandro aveva fama di avere qualche debole anche per le donne. Era ovvio a tutti che l’americano avesse una personalità dolce, quasi femminile, mentre l’italiano tradiva sovente una tendenza all’aggressività, una passione per la violenza che sfogava anche sui cavalli. Erano tutte cose risapute, ma nessuno avrebbe potuto prevedere quel che poi accadde. Qualche dubbio i clienti del maneggio nel pavese l’avevano avuto: i cavalli segnati dagli speroni erano una consuetudine per Sandro, però poi ci fu l’arrivo della ragazzina francese e quella storia della cavalla zoppa fece riflettere più di una persona. Ma cosa fece davvero scatenare l’inferno tra i box del centro ippico S&M- Performance horses; cosa portò Markus a confrontarsi col suo passato e Sandro a temere per il suo futuro? Perché qualcuno cominciò a chiedersi se i cavalli sapessero odiare?
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita17 nov 2014
ISBN9788863362633
I cavalli soffrono in silenzio

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    Anteprima del libro

    I cavalli soffrono in silenzio - Sibyl Von Der Schulenburg

    1.

    Il vialetto che collegava l’abitazione alla scuderia mostrava le tracce della neve caduta a gennaio. Il camminamento centrale era una lastra di ghiaccio lattiginoso e la fitta nebbia che aveva pernottato in val padana, non si era ancora alzata.

    L’uomo sulla porta della villetta si guardò intorno, emise un fischio sommesso poi, deluso, si avviò verso la costruzione rettangolare. Il lieve tintinnio dei suoi speroni allertò i cavalli che drizzarono le orecchie e rimasero in attesa.

    Markus entrò dall’ingresso secondario per non dover aprire il portone centrale sul lato lungo dell’edificio, le cui rotelle faticavano a girare in quelle giornate di febbraio, soprattutto la mattina presto. L’americano sorrise quando le teste degli animali si affacciarono alle finestrelle dei box e guardarono verso di lui.

    "Goodmorning!, gorgheggiò ad alta voce, Tutto bene my friends?"

    Una serie di sbuffi e nitriti rispose al saluto.

    Colazione?, chiese ancora Markus con il suo accento inglese.

    I cavalli si agitarono, il castrone baio all’ingresso prese a battere la porta con lo zoccolo.

    L’uomo s’incamminò lungo l’ampio corridoio controllando ogni singolo animale. Arrivato in fondo entrò nella selleria sulla quale si aprivano due porticine: quella del bagno e quella dello stanzino dell’aiutante.

    Imprecò all’indirizzo della ragazza che dormiva dietro la porta di sinistra, afferrò il grande bidone di plastica pieno di mangime e lo trascinò nel corridoio della stalla causando ulteriore fermento.

    Il tonfo della mistura di avena, orzo e crusca che cadeva nelle mangiatoie di plastica segnò il percorso di Markus lungo il corridoio, fino in fondo, al box del baio che aveva aumentato il ritmo con cui batteva lo zoccolo.

    "Zoster! Shut up! Markus redarguì il bel castrone che doveva il suo nomignolo al fatto di essere noioso e inarrestabile come un virus. Quindi aprì lo sportello della mangiatoia e rovesciò il contenuto della paletta, sul muso che già vi era immerso. Morto di fame", borbottò mentre pescava l’ultima razione, quella per Buddy.

    Lo stallone bianco rimase immobile un istante, quasi volesse rifiutare la colazione. Il suo padrone allungò una mano tra le sbarre di ferro e accarezzò le froge calde. "Good boy", mormorò e l’animale soddisfatto affondò il muso nelle granaglie.

    Markus sospirò raddrizzando la parrucca, tirò bene il berretto rosa sulle ciocche rosse e riportò la scorta di mangime in selleria al ritmato cigolio delle ruote. Poi spolverò con il palmo della mano i jeans elasticizzati pieni di strass e chiuse fin sotto il mento la cerniera del giaccone verde smeraldo.

    Prima di uscire l’uomo guardò verso la selleria e vide il border collie che aveva chiamato prima. Sentan! Come hai fatto a entrare?

    Il cane si avvicinò scodinzolando, accettò una carezza e tornò dentro la selleria.

    Markus fece spallucce. "Stai qui se vuoi, io vado a fare colazione. Se vedi il tuo master, digli che lo cerco."

    L’americano uscì e si fermò un attimo ad ammirare le rose di ghiaccio sui vetri delle macchine nel posteggio. Le giornate si stavano allungando, c’era già molta luce, e la nebbia accennava ad alzarsi: riusciva a intravvedere l’insegna in ferro battuto all’ingresso della piccola struttura equestre: ‘M&S – Performance Horses’.

    ***

    "Darling, chiamò Markus allegro, infilandosi tra lo stipite del portone e il carrello del fieno spinto dall’assistente, Buddy è dritto oggi?" Fece un cenno con la testa in direzione dello stallone bianco.

    Sandro sbuffò alzando gli occhi al soffitto. Buddy non è mai stato zoppo. Tu invece sei sempre più rincoglionito.

    L’americano non reagì e si diresse verso il fondo del corridoio.

    Markus!

    La testa nel berretto rosa si girò di colpo facendo ondeggiare il pompon.

    Senza smettere di spazzolare la morella, Sandro lanciò un’occhiata sprezzante in direzione del naso arrossato del compagno. Hai già trincato stamattina?, chiese ad alta voce, accennando un sorrisino di complicità verso l’assistente.

    Markus divenne paonazzo e serrò le labbra, entrò nel box dello stallone e gli passò la mano fredda sul collo.

    "Buddy boy, sussurrò, ricordi i mondiali a Oklahoma City? Il muso dello stallone accarezzò la guancia umida del padrone. Ce l’ho ancora la coppa…"

    L’americano aprì la capezza e il cavallo infilò la testa.

    "Home sweet home, Buddy… home sweet home. Markus chiuse la fibbia e attaccò la lunghina all’anello sotto il muso. Sorrise e lisciò il ciuffo bianco tra le orecchie dritte. Eravamo campioni, Buddy, e oggi io sono solo un frocio e tu, senza documenti, sei meno di un castrone."

    Markus gettò la lunghina sul collo di Buddy e uscì dal box. Lo stallone lo seguì con passi misurati. Si fermarono in corridoio e l’uomo sottovoce disse: "Stay." Il cavallo bianco si fermò e non si mosse di un centimetro.

    Sandro uscì dalla selleria con sulle spalle la sella da lavoro. Cosa t’è successo?, chiese con un ghigno passando accanto all’americano, una volta eri il re del pleasure, adesso non ti chiamano più neanche per un clinic.

    "Ma chiamano te, darling, ribatté il più anziano, ti ho insegnato tutto, adesso tu insegni agli altri."

    Con calma Markus andò in selleria, da uno dei supporti più bassi prese la sella e la portò vicino a Buddy. "Fucked arthrosis", borbottò cercando di sistemare i quattordici chili sulla schiena del cavallo.

    Sandro scosse la testa: Non arrivi più neanche a buttar su la sella… e fece un cenno alla ragazza che stava osservando il battibecco tra i due uomini.

    L’assistente si avvicinò solerte all’uomo di mezza età.

    No grazie Lisa, la dissuase Markus, pronunciando Laisa, faccio ancora da solo. Prese la sella con due mani, l’appoggiò al costato del cavallo e con uno sforzo riuscì a issarla. Buddy girò il muso e spinse dolcemente il cavaliere artrosico.

    Markus si fermò a prendere fiato, strinse piano il sottopancia, tolse la capezza e sventolando la mano indicò l’uscita. Appena fuori dalla stalla, infilò i guanti di lana che facevano pendant con il copricapo e si girò verso lo stallone: Odio questo freddo-umido che mi entra sotto i jeans: mi gela la pelle e l’anima.

    ***

    Sandro lanciò la sella sulla schiena della morella con una sola mano e tirò con un colpo secco la cinghia. Bluebelle alzò di scatto la testa spaventata. Stai ferma, ringhiò l’uomo stizzito, vedrai come ti faccio scaricare adesso!

    Si girò verso l’assistente che stava pulendo una baia. Non trovi che sia rimbecillito?

    Lisa fermò la spazzolata circolare sul posteriore di Moara. Sta invecchiando e forse beve un po’ troppo.

    È alcolizzato, l’ombra di quello che era una volta… famoso… ricco… Sandro tacque per un istante poi riprese: Ma lo vedi adesso? È un pagliaccio, non lo vuole più nessuno.

    Però è rimasto una leggenda. Lisa riprese a muovere la spazzola in senso orario sulla groppa della baia. È un sussurratore.

    Sandro riunì le dita a tulipano e oscillò con la mano avanti e indietro.È solo un cliché, quello dei sussurratori, non esistono. Non servono a niente le paroline dolci come fa Redford nel film. Sono animali stupidi e capiscono solo frusta e speroni. Sandro passò la mano sul fianco della cavalla, dove le speronate del giorno prima avevano lasciato i segni.

    L’assistente danese non cambiò espressione. Markus non si è mai abituato all’Italia… neanche dopo dieci anni… Dice che lo disprezzano perché è gay.

    E non è vero?

    Forse non capisce bene l’italiano…

    Tu invece, che sei più brava di lui, dopo due anni sai già tutto.

    Lisa serrò i denti e scosse la testa. Volevo solo dire che soffre e che comunque è un grande.

    Grande… se avessi l’occasione ti farei vedere chi è grande.

    Lo so, lo so, lo dici sempre… devi solo vincere il Futurity. Ma chi te lo dà il puledro?

    Non si fida nessuno dei trainer italiani, cazzo. Vogliono tutti l’americano! Sandro afferrò una striglia dal cesto degli attrezzi e la scagliò contro l’inferriata di un box. Il cavallo dietro la griglia dilatò le froge e si addossò alla parete di fondo, tremante.

    Non sei Markus Kattel., sussurrò Lisa.

    L’italiano diede uno strattone alle redini della morella, drizzò le spalle e la trascinò verso l’uscita. Sulla porta si girò verso la ragazza e con un sogghigno disse: E cerca di mettere su qualche chilo, fai schifo così secca con le gambe storte.

    ***

    Nella penombra dell’arena, lo stallone bianco galoppava lento. Le labbra dell’americano in sella si muovevano appena, come se canticchiasse, o pregasse.

    Sandro entrò tirandosi dietro la morella recalcitrante. Si fermò in centro, si chinò e indossò gli speroni con le grandi rotelle a stella, facendo attenzione alle punte affilate. Fottuta checca., sussurrò.

    "Darling…, Markus mise lo stallone al passo e si avvicinò. Are you ok?"

    L’italiano mise il piede nella staffa e si tirò in sella. Dovresti cambiare look., rispose senza guardare il compagno con la parrucca rossa, la giacca verde smeraldo, il berretto e i guanti rosa.

    Cosa c’è che non va? La voce dell’americano si fece strada tra le labbra tese, creando una nuvoletta dall’odore di whisky.

    Ti ho detto mille volte di non andare in giro come uno spaventapasseri. Siamo in Italia, non in America, non ti potresti vestire come un uomo?

    Buddy aveva allungato il collo verso l’enorme femmina dal manto nero con i riflessi blu. Gli piaceva.

    Hai capito cosa ti ho detto?, insisté Sandro strofinandosi il mento col dorso della mano guantata.

    "Not really. Tanti anni fa mi hai fatto il filo come Adamo con Eva. Mi hai chiesto di vestirmi da donna, trovi sexy i miei boxer di seta viola e i pantaloni con gli strass. Cosa c’è che non va oggi, sei metreo… metero… meteoropathic?" La mano svolazzò per aria in un gesto elegante.

    Ecco… anche quei gesti da checca… smettila!

    Oh, allora è proprio grave. Però ci proverò. Ok?, di nuovo la mano aperta veleggiò nell’aria fresca del mattino.

    E bevi meno. Non riesci neanche più a tenere i conti.

    L’allegria del pagliaccio si spense. Pagarli sì però… c’è qualcos’altro… forse non ti piaccio più.

    Lo stallone bianco mordicchiò il collo della giumenta; lei abbassò le palpebre e rilassò le orecchie. La speronata di Sandro la colse di sorpresa: la morella nitrì e partì al galoppo sgroppando.

    L’italiano si bilanciò bene in sella e costrinse la cavalla a fermarsi; le bloccò la testa tirandola da un lato e calò sui suoi fianchi gli speroni appuntiti, con metodo e ritmo, senza fermarsi.

    Lo stallone bianco s’innervosì. Markus gridò: "Stop it!"

    Bluebelle, piegata di lato, era in panico: combatteva per mantenere l’equilibrio mentre scalciava cercando di difendersi. Girava disperatamente in tondo facendo perno sugli anteriori, ma non riuscì mai a vedere il nemico che la bucava.

    "Stop it! Smettila!, tornò a gridare l’americano seduto sul cavallo bianco. You damn son of a bitch, smettila!" urlò paonazzo, stringendo i pugni.

    Ancora due speronate ben assestate poi la furia si placò. La grande giumenta stette immobile ansimante, con le zampe tremanti e il muso a terra. Nuvole di vapore salivano dal manto nero e rivoli di sangue confluivano sul ventre con quelli di sudore, per gocciolare insieme nella sabbia.

    Sandro aprì le dita serrate sul pomolo della sella e si rilassò visibilmente. Ok, bestiaccia, disse rivolto alle orecchie basse dell’animale, adesso va meglio.

    Markus respirava al ritmo della giumenta. Nel silenzio dell’arena, la sua voce fremente echeggiò: È questo che insegni ai clinic?

    Lo sappiamo tutti che è una bastarda. Deve capire chi comanda., rispose calmo Sandro, Dev’essere piatta quando la monta la cliente e poi, non mi aspettavo di vederti in arena oggi.

    Un’ombra passò negli occhi di Markus. È il tuo stile…

    Mi pagano per vincere e va bene anche a te.

    Non così, Sandro. Non così.

    ***

    Tina arrivò alle nove e cinquantacinque. Si accomodò nella saletta d’attesa, un piccolo locale nel quale c’erano solo due sedie scomode, un appendiabiti e un tavolino nascosto sotto un mucchio di riviste.

    Dalla strada giungevano i rumori del traffico di Pavia. La donna che guardava nel vicolo sottostante la piccola finestra, non si accorse della porta che si aprì silenziosa alle sue spalle. La signora Del Torrione?

    Tina si girò e sorrise istantaneamente. Rispose nello stesso tono cortese e vivace, Ho appuntamento alle dieci con la dottoressa Ranghi.

    Sono io, venga. La psicologa tornò nello studio e Tina la seguì, chiudendo dietro di sé la pesante porta insonorizzata.

    La dottoressa si sedette dietro a una piccola scrivania antica e invitò la paziente, con un gesto ampio, ad accomodarsi in una delle due poltroncine di fronte. Tina scelse quella più a sinistra, vicina alla finestra.

    Per un minuto nessuno parlò, la dottoressa guardò con simpatia la donna che aveva chiesto un colloquio introduttivo e che stava ispezionando rapidamente l’ambiente. I suoi occhi si erano fermati qualche secondo sui dorsi dei libri negli scaffali dietro alla psicologa, incontrando nomi di autori quali Rogers, Kelly e anche il più famoso Freud.

    La dottoressa consultò la sua agenda poi chiese: Signora Santina, è la prima terapia che intraprende?

    Sì, ma non è nulla di serio, solo una piccola paura. Tina parlò torcendosi le dita della mano.

    Ne sono sicura, rispose la terapeuta, mi dica di cosa si tratta.

    Ecco…, Tina volse lo sguardo in alto a sinistra, è una paura che mi prende ogni volta che monto Moara.

    Hmmm… chi è Moara?

    Oh, scusi. Moara è la mia cavalla di razza American Quarter Horse. Il suo nome all’anagrafe equina è Miss Extended Particle; sa, hanno tutti dei nomi altisonanti.

    Oh, lei va a cavallo! È uno sport magnifico, mi piacerebbe provarlo un giorno o l’altro. La psicologa si sporse in avanti appoggiando i gomiti sulla scrivania. Fa quelle gare con gli ostacoli?

    No, no. Moara è una cavalla da Western Pleasure, è una specialità della monta americana che richiede un cavallo tranquillo e ubbidiente.

    La psicologa si appoggiò di nuovo allo schienale. Dunque… mi diceva che ha paura quando cavalca.

    Non mi succede con tutti i cavalli. Ne ho diversi e monto da tanto tempo, mi capita solo con Moara. È un po’ nervosa ma non credo che farebbe male a nessuno. In verità non c’è un motivo vero per cui io possa giustificare la mia paura.

    È importante per lei montare proprio questa cavalla?

    È la sola cavalla da gara che ho. Mi sarebbe piaciuto andare a qualche show in Germania, lì si riuniscono i migliori d’Europa. Tina si lisciò la gonna. Ci sono tanti cavalli, tutti quarter, tanti concorrenti…

    "La sua cavalla potrebbe vincere, questo… show?"

    Sandro, l’addestratore, dice di sì, ne è convinto; lo show è l’insieme delle gare di tutte le specialità; è la parola inglese per ‘spettacolo’.

    La terapeuta lasciò spegnere il suono dell’ultima parola poi chiese: Mi racconti qualche cosa di sé. È sposata?

    Sì, con Filippo da una decina d’anni. Non abbiamo figli ma un buon numero di cavalli e cani. Tina si fermò un attimo, si strofinò le palme delle mani. Ho superato i cinquant’anni e godo di una buona posizione sociale, grazie al mio studio commercialista.

    Come c’è arrivata?

    Dopo una gioventù un po’ vivace, ho recuperato alla grande con duro lavoro e dedizione. Ho avuto successo. Però mi sentivo sola, soprattutto la sera quando rientravo nella casa vuota. Quando ho conosciuto Filippo, è stato facile innamorarmi di lui: é un tipo assistenziale. La parlata della paziente era divenuta automatica. Se si ottura un lavandino, salta la corrente, si ferma la caldaia, si rompe qualsiasi cosa, Filippo è subito sul posto e ripara. Si preoccupa della mia salute, fino a farmi saltare i nervi.

    Anche suo marito va a cavallo?

    Sì, però Filippo si limita a qualche giro nella nostra tenuta oppure a una passeggiata lungo il fiume. Lo facevamo spesso insieme, prima che io mi dedicassi esclusivamente alle gare.

    In che modo definirebbe se stessa?

    Credo di essere una persona tranquilla, nel senso che cerco sempre di evitare contrasti inutili. Ho fama di essere generosa e spesso la gente se n’approfitta, ma non per questo cambierò. Non credo almeno. Parlava guardandosi le mani riunite in grembo. Come già detto, sto passando un periodo in cui mi sembra di cambiare.

    Alla fine del colloquio la dottoressa riepilogò: Dunque Tina, se desidera intraprendere la terapia con me, le chiedo di essere sempre puntuale e di scrivere gli avvenimenti più significativi della giornata. Possono essere comportamenti, sensazioni, pensieri o semplicemente dei ricordi che l’hanno raggiunta improvvisamente dopo tanto tempo che non ci pensava. Faremo una terapia di tipo cognitivo, con degli interventi di arte-terapia se si dovesse presentare la necessità. La terapeuta indicò con la mano il tavolo addossato al muro alla sua sinistra sul quale erano messi in bell’ordine fogli da disegno, matite, colori, pennelli e altro materiale artistico. Spero che le piaccia disegnare. L’arte è la porta maestra per la nostra psiche.

    Tina si alzò, strinse la mano alla dottoressa Ranghi e si volse verso la porta dalla quale era entrata.

    No, Tina. Per motivi di privacy ci sono due porte. Quella d’uscita è in fondo alla libreria alle mie spalle, resta un po’ nascosta, ma è voluto. Se la vedono in seduta, molti pazienti sono tentati di uscire dallo studio con la mente, lasciando qui solo il corpo.

    2.

    La nebbia si era alzata, ma nascondeva ancora il sole. Il freddo umido diventava sopportabile nella stalla, dove i cavalli, nei loro alloggi di quasi quattro metri di lato, emettevano calore sufficiente anche per gli umani.

    Lisa aveva finito di pulire quasi tutti i box e stava togliendo le fiande dalla lettiera di Lucy.

    "Darling…"

    Il richiamo di Sandro la fece trasalire. Fermò il solcare della forca fra il truciolo e stette immobile. I muri del box necessitavano una rinfrescata, lunghe strisciate brunastre testimoniavano l’abitudine della saura di defecare in punti precisi.

    Vai al diavolo!, rispose tagliente all’uomo entrato con passo felpato, Non ci sto più. Gli girò le spalle e riprese a separare le fiande dal truciolo.

    Sandro fece una smorfia e allargò le braccia: "Come on baby, sii carina. Lo sai che Markus è il mio socio." Si avvicinò all’assistente mentre la cavalla restava ferma in un angolo.

    Però mi avevi detto che lo avresti lasciato. L’accento danese di Lisa risaltava nelle parole emotivamente cariche. E invece, disse, tu lo scopi ancora. Scagliò gli escrementi nella carriola sulla porta del box, a qualche centimetro dall’italiano.

    "Ma dai… le

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