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La porta dei morti
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La porta dei morti
E-book203 pagine2 ore

La porta dei morti

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Info su questo ebook

Sono l’amore e la pietà a spingere Giulia alla raccolta di tanti cani randagi o è qualcos’altro che la costringe in quel fenomeno che gli anglosassoni chiamano animal hoarding, collezionismo di animali? Se lo chiedono anche le autorità di Verdalmasso, un paese tra le colline toscane dove l’anziana svizzera risiede ormai da diverso tempo, in solitudine ai margini del paese. Il sindaco però non può dedicarsi solo al problema della cagnara in quanto si avvicina il solstizio d’estate e, la notte di San Giovanni, il paese è da sempre teatro di incontri particolari, visite di parenti scomparsi da tempo. La psicologa, incaricata di sondare le capacità psichiche di Giulia è nativa di quei luoghi, diretta discendente degli etruschi che lasciarono tracce nelle tombe circostanti il paese e nelle tradizioni legate alle porte dei morti, passaggi ben noti agli antropologi, che hanno il potere di togliere la paura di morire. Dopo "Ti guardo" e "I cavalli soffrono in silenzio", l’autrice offre in questo psicoromanzo un messaggio d’amore e di speranza, una cerniera affettiva tra passato e futuro, un viaggio tra psicologia e parapsicologia.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita10 feb 2015
ISBN9788863362763
La porta dei morti

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    Anteprima del libro

    La porta dei morti - Sibyl Von Der Schulenburg

    1.

    Maremma bonina!, esclamò Paolo fermando il motorino sul promontorio. Dietro di lui c’era un chilometro di strada bianca, piena di buche e un polverone che le nascondeva tutte, ma davanti aveva il più bel panorama della Costa degli Etruschi. In lontananza il mare puntinato di vele bianche, rifletteva il sole.

    Qualche metro sotto, oltre l’uliveto a terrazzi, giaceva la fattoria che sembrava trasudare umidità dai vecchi mattoni. Il tetto era ancora quello di un centinaio d’anni prima, quando la casa era abitata da una famiglia numerosa e nella stalla la vacca teneva compagnia all’asino. In più punti le tegole erano state sostituite con materiali di recupero e il complesso agricolo, di tipica fattura toscana, avrebbe avuto bisogno di una ripulita. A destra saliva il bosco.

    Paolo si grattò il ventre prominente prima di scendere verso il podere; oltrepassò l’ultimo cartello con la scritta proprietà privata, e cercò l’ingresso principale. Un coro di guaiti, ululati e abbai lo accolse.

    Sull’aia in terra battuta, davanti alla lunga facciata principale che guardava il mare, era posteggiato un fuoristrada sporco e ammaccato con targa straniera. Tutt’intorno erano sparsi rifiuti d’ogni genere, plastica, lattine, imballaggi e altro; non c’era un metro quadrato che fosse sgombro dal pattume. La brezza marina portò alle narici di Paolo un fetore di feci e carogne. Le finestre erano tutte chiuse: gli oscuranti di legno interni erano accostati.

    Un c’è nessuno?, urlò col viso alzato verso la facciata in sassi naturali.

    La porta al piano terra si aprì quel tanto che bastò a un’esile figura per scivolare fuori e richiudere immediatamente. Cosa vuole?

    Posta! Telegramma… mi serve ‘na firma signora.

    La donna si fermò sui gradini dell’ingresso a sbattere le palpebre. Portò la mano alla fronte e guardò verso l’uomo. Per me?

    Giulia Regazzoni… l’è lei?

    La donna che dimostrava una settantina d’anni strisciò indietro una ciocca grigia. Sono io, ma non conosco nessuno.

    Questa arriva da… Bellinzona, Svizzera. Il portalettere si avvicinò alla donna con il registro aperto.

    Oh… Giulia si strinse addosso il golfino sporco e abbassò lo sguardo. C’è ancora qualcuno…

    A due passi dalla donna Paolo arricciò il naso e si fermò. Tese il braccio e le porse il registro con la penna assicurata a uno spago.

    Con mano tremante la donna mise uno scarabocchio e restituì il registro.

    Il postino indicò la macchina. E’ una targa svizzera?

    Sì, ma funziona anche qui. Giulia fissò la busta bianca. Cosa vorranno ancora…

    Paolo si allontanò di due passi e si guardò intorno. Dal fienile giungevano i richiami dei cani. Tiene cani da caccia?

    I miei bambini.

    Io vo’ a cinghiali ogni tanto ma qui siamo in riserva, non si spara. Che ci fa coi cani?

    Li curo e li tengo qui perché nessuno li vuole. Gli do una casa.

    Sembrano pure tantini…

    Ci sono un sacco di randagi. La gente è cattiva, li abbandona. La donna si accarezzò le spalle. E i cacciatori… bestie.

    Un’altra zaffata giunse alle narici di Paolo. Ci dev’essere in giro una carogna di cinghiale.

    Giulia guardò in direzione del mare. Sarà così.

    Peccato che i cani qui un li puole mollare, le recinzioni non le fanno fare in riserva. C’è tanto spazio però. Il postino guardava giù mentre con la punta della scarpa scavava attorno a una lattina nel terreno. Tanta natura…

    Ho chiesto, un po’ di anni fa, quando sono arrivata. Hanno detto di no.

    In comune son cambiati, magari ora si puole, almeno qui d’intorno la casa. L’uomo fece un gesto circolare che comprese l’aia e gli annessi. Ci vorrebbe pure un po’ di malta sulla facciata di quel fienile.

    A me sembra che vada bene così. Bon, è un po’ scrostato, ma regge.

    Se c’ha bisogno, io faccio i lavoretti, pure se c’è da togliere il sudicio che c’è qua.

    Non c’è sudicio, non ho avuto tempo per mettere a posto.

    Il portalettere mise il registro nella tracolla nera e inforcò il suo motorino.

    Aspetti! Giulia mosse due passi verso l’uomo. Strusciò la mano rugosa sul pantalone lercio e gli porse la busta. Me lo legge?

    Paolo, scese e rimise il motorino sul cavalletto. Spostò indietro il berretto e si grattò il cranio con il mignolo. Non capisco lo svizzero…

    A Bellinzona si parla l’italiano.

    Il portalettere stracciò un lato corto della busta ed estrasse un foglio di carta fine, col timbro postale di Verdalmasso. Lo portò a una spanna dagli occhi e lesse: "Mamma...".

    Giulia strinse i denti. Lena… la nuora modello…

    "Arriviamo lunedì 9 con il treno delle 15.35, Stazione di Cecina. A presto. Milena."

    La donna prese la busta che l’uomo le restituiva. Milena…

    E’ oggi, disse Paolo.

    Che cosa?

    Il nove, lunedì.

    Ah…

    E sono già le due. Fino a Cecina ci vole un quaranta minuti.

    La donna si girò e salì i due gradini fino alla porta. Lo so., disse prima d’infilarsi in casa.

    ***

    La vecchia Mitsubishi Pajero scese lentamente a valle. Al primo tornante la busta con il telegramma scivolò dal sedile del passeggero.

    Giulia sedeva ritta dietro al volante, lo sguardo puntato avanti, i denti serrati. Ma che cavolo…, mormorava ogni tanto. Dopo tutti questi anni…. La macchina procedeva a 40 chilometri orari e una lunga colonna di veicoli si formò dietro di lei sulla strada a fondo valle. Alle 16.20 la Pajero svoltò sul piazzale della stazione quasi deserto. C’erano solo una giovane donna e una ragazza sedute sui bagagli all’ombra dell’edificio ferroviario. La donna si alzò quando vide il fuoristrada.

    Giulia posteggiò con un paio di manovre azzardate, scese e si fermò accanto alla macchina.

    La donna e la ragazza si avvicinarono trascinando due valige. Mamma, disse la donna, non speravo più….

    Perché sei venuta, Lena?

    Mi serve aiuto.

    E vieni da me? Non posso aiutarti, devi sbrigartela da sola.

    A casa credono che tu sia morta, non hai telefono… Milena guardò la suocera, la macchina, poi di nuovo l’anziana. Stai bene?

    Giulia annuì e si appoggiò alla portiera della Pajero.

    Ti ricordi Lucia, mia figlia, la tua…

    La ragazza bionda alzò gli occhi azzurri sulla nonna. Ciao., sussurrò ficcando le dita nelle tasche dei jeans tesi sopra i fianchi troppo larghi. La maglietta corta lasciava scoperto un rotolo di grasso che strabordava dalla cintura.

    Ti assomiglia un sacco., rispose Giulia asciutta. E perché non mi dai per morta anche tu?

    Forse l’avrei fatto ma è venuto l’ispettore dell’ufficio pensionistico, vuole un certificato di esistenza in vita.

    Ecco perché non arrivano più soldi.

    Milena sospirò. Forse sei tu quella che ha bisogno d’aiuto. Ma… dobbiamo stare qui in mezzo alla strada?

    Giulia inarcò le sopracciglia e indicò il bar sull’altro lato della piazzetta. Bon, allora un caffè. Offri tu.

    Le tre figure si spostarono fino al bar.

    Di cosa campi, mamma?, chiese Milena davanti a un panino.

    Di carità.

    Il cameriere che portò il caffè all’anziana cliente annusò rumorosamente l’aria. C’è odore…, disse guardando a terra, attorno al tavolino. Maledetti cani.

    Lucia arrossì e Giulia fulminò il cameriere con lo sguardo.

    Non hai ripreso a scrivere allora.

    Non riesco più da quando… Rodolfo… io… La donna strinse i denti e sembrò ancora più minuta.

    Sono passati sei anni. Neanche una cartolina per Natale.

    Ho da fare, non posso. Ho un compito… Giulia ispezionò le suole delle scarpe.

    Ma siamo la tua famiglia! Abbiamo sofferto tutti, non solo tu.

    Vuoi dire che non ho il diritto di piangere da sola?

    Non rispondi alle mie lettere… Milena infilò gli occhiali da sole e tirò su col naso.

    Lucia depose il mezzo panino sul piattino e picchiettò la mano paffuta della madre. Non piangere mami.

    Due gocce scesero da sotto le lenti scure. Non è niente… l’allergia ai platani.

    Giulia incrociò le braccia. Insomma: perché sei venuta?

    E’ difficile da spiegare e… mormorò Milena.

    Allora io torno a casa, mi aspettano. Giulia scostò la sedia.

    Mamma…

    Devo chiederti di ospitare Lucia per qualche giorno, una settimana.

    Giulia guardò la nuora e poi la nipote. Scosse la testa.

    E’ un’emergenza, altrimenti non l’avrei chiesto. Devo andare… all’estero.

    Giulia riportò il peso sulla sedia. Estero?

    Sì… insomma, poi ti spiego, ma è una questione di vita o di morte.

    Non se ne parla.

    Lucia si arrangia, pulisce e sa cucinare.

    Non so dove metterla, non ho posto, non abbiamo neanche da mangiare.

    Le basta uno spazio piccolo-piccolo, e deve mangiare poco. Milena sorrise alla figlia. Come un gattino, vero amore?

    Lucia annuì a braccia conserte, affossando la mandibola nel doppio mento.

    Giulia inclinò la testa e guardò la nipote. Un gattino… no, non se ne parla e poi non ho più soldi.

    Va bene mamma, ti lascio qualcosa, quanto ti serve?

    Per cosa?

    Mamma…

    Giulia si strofinò i palmi delle mani. Va bene, fai tu… poi te li ridò quando entra la pensione.

    Milena prese il portafogli dalla borsetta e sfilò qualche biglietto. Li mise sul tavolo e li fece scivolare fin davanti alla suocera. Ecco…

    Giulia afferrò i soldi, li ficcò in tasca, quindi si alzò con un movimento fluido. Va bene, però se non ubbidisce la rimetto sul treno per Bellinzona.

    Mami, chiese Lucia col viso contratto, fammi venire con te… non ti rompo.

    Non posso tesoro, davvero non posso. Ti voglio tanto bene e anche la nonna te ne vuole, vedrai. Milena guardò la suocera che si dirigeva verso la macchina. Parto subito, lo sai… ci sentiamo, devo sapere che stai bene.

    Lucia annuì con gli occhi lucidi. Lo so, mami.

    Milena lasciò dei soldi sul tavolo e accarezzò la guancia della figlia. Per il tuo compleanno saremo di nuovo insieme, spegneremo sedici candeline a Bellinzona.

    Giulia seduta al volante attese che la figlia caricasse il bagaglio e la nipote salisse a bordo della Pajero. Poi, senza una parola uscì dal piazzale della stazione.

    Lucia dal vetro posteriore salutò la madre con ampi gesti della mano.

    Ho tante cose da fare., disse Giulia. Non ho tempo anche per te.

    Lucia s’ingobbì sul sedile posteriore e chiuse gli occhi.

    ***

    Il posteggio del supermercato era pieno di macchine con targhe straniere. Olandesi, tedeschi e francesi si contendevano un posto accanto a svizzeri e belgi. Giulia posteggiò la Pajero con due ruote sull’aiuola. Aspettami., disse prima di scendere e scomparire nel negozio con il carrello.

    Un quarto d’ora dopo la donna aprì il portellone posteriore e caricò le merci facendo ondeggiare la macchina. Giulia sparì di nuovo e dopo cinque minuti caricò altre scatole pesanti e sacchi ingombranti. La Pajero si abbassò sulle ruote posteriori.

    Bene, disse la donna risalendo dietro il volante, hanno da mangiare.

    Lucia annuì debolmente e scostò i capelli sudati dalla fronte. Guardò fuori, nel verde della campagna toscana mentre l’odore di escrementi si mischiava a quello delle merci appena caricate. Appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.

    Il fuoristrada percorse lentamente la strada di fondo valle portandosi dietro una colonna di automezzi impazienti e strombazzanti. Giulia mise la freccia e con calma svoltò; dopo qualche chilometro di salita dolce, ridusse la marcia e affrontò il primo tornante. Da un lato della strada si ergevano i pini marittimi e le sughere, dall’altro lo sguardo arrivava sulla costa. In lontananza emergevano dall’acqua l’isola d’Elba e di Capraia.

    Completato il tornante Giulia borbottò: Ma tu vedi…, accostò e spense il motore.

    Cosa c’è?, chiese Lucia.

    Un micio… è piccolo… povero, così solo. Giulia scese.

    Anche Lucia scese. Vide l’oggetto delle attenzioni della nonna: un gattino di qualche mese era sdraiato a bordo della strada, nell’erba alta. Guardava la donna che si avvicinava con occhi grandi, atteggiò la bocca per miagolare, ma non emise suono.

    Ci sono io… va tutto bene… micio, micio…

    Avrà un padrone, forse in quella casa lì sotto. Lucia indicò la costruzione sotto il livello stradale.

    Non è randagio.

    Ma… mi sembra che stia bene.

    Cosa vuoi sapere tu? Io i gatti li capisco subito, sta male. Giulia si chinò per raccogliere la bestiola.

    Il gatto si alzò di scatto e si fece tre metri più in là. Con la zampa schiaffeggiò un paio di volte un filo d’erba. Si sedette e guardò di nuovo la donna.

    Micio, micio…

    Nonna…

    Zitta che lo spaventi.

    C’è la sua mamma. Lucia indicò un gatto adulto che avanzava nell’erba.

    Giulia si rizzò, fissò la gatta e il gattino che correva verso la madre. La donna sospirò e tornò alla macchina.

    La Pajero riprese la strada, e dopo qualche tornante fu nel territorio di Verdalmasso. Giulia girò lo sterzo a sinistra e imboccò la strada bianca dissestata; Lucia si aggrappò alla maniglia della portiera.

    Finalmente la macchina si fermò sull’aia del podere. Il coro dei cani era assordante.

    Si mangia!, gridò Giulia appena mise il piede a terra. Andò dritta al capanno degli attrezzi e tornò spingendo una carriola.

    I latrati aumentarono.

    Lucia scese cautamente tra i rifiuti; girò attorno alla macchina e attesa che la nonna aprisse lo sportellone.

    Giulia aprì e accostò la carriola.

    La ragazza guardò l’enorme quantità di scatole per cani, e crocchette nel vano bagagli del fuoristrada. Allungò la mano verso la maniglia della sua valigia.

    Aspetta, intimò la nonna, lasciala lì. Adesso aiutami.

    Lucia afferrò l’angolo di un sacco e con l’aiuto di Giulia lo fece

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