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E-book193 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Un’ombra spia Valentina, che lavora la pasta di zucchero nel laboratorio con le grandi vetrate. L’ombra trema, soffre, ama e parteggia per la bella cake designer; il freddo di fine anno non impedisce gli appostamenti al buio per vedere l’oggetto del suo amore. Poi improvvisamente tutto cambia: l’amore diventa disprezzo e l’ammirazione silenziosa esplode in azioni violente.
Negli ultimi mesi dell’anno, la vita di Sofia ha preso una piega nuova e definitiva. L’amore per Valentina, la bella cake designer, svanisce e si trasforma in disprezzo che Sofia esprime con atti di stalking. Le varie identità che hanno caratterizzato la sua vita tendono a ridursi a una sola, quella che piace al dottor Zuccala, lo psicologo che ha detto di volerle bene.
No… le ha detto di amarla.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita13 ott 2014
ISBN9788863362527
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    Anteprima del libro

    Ti guardo - Sibyl Von Der Schulenburg

    1.

    Il vento, quel primo giorno di ottobre, muoveva le foglie morte nel cortile del vecchio complesso milanese di case a ringhiera. Una figura atletica, in giacca di pelle e jeans aderenti, entrò dal portone che dava sul marciapiede affollato e accompagnò l’anta. Il rumore intermittente del traffico serale e le luci al neon restarono fuori.

    Alex ammiccò alla vista della piccola struttura libera su tre lati che si proiettava nel cortile. Il bianco del giardino d’inverno fendeva il buio e le grandi vetrate colorate dall’interno, lasciavano filtrare una luce morbida. Una sagoma indistinta si muoveva dietro ai vetri bianchi.

    Le suole delle Nike ultimo modello morsero l’acciottolato e si diressero senza esitazioni in uno degli angoli in cui la costruzione in stile palladiano incontrava la vecchia muratura. Qualcuno aveva cercato di coltivare un’aiuola in quel punto freddo e buio, ma alla fine aveva vinto l’oscurità e la sola vegetazione presente erano le foglie secche raccolte dal vento.

    Alex calcò il berretto nero sulla fronte, tese l’orecchio e alzò lo sguardo verso le finestre degli appartamenti che si illuminavano qua e là. L’angolo restava buio. Si girò verso il finestrone opacizzato cercando un punto preciso, appoggiò la mano guantata sul serramento scheggiato e premette il naso adunco sul vetro, là dove la vernice non era arrivata.

    La pupilla dell’occhio scuro si contrasse violentemente colpita dalla luce del laboratorio di cake design dentro la piccola costruzione del diciottesimo secolo. Alex sbatté un paio di volte le palpebre e la luce lattiginosa che inondava la piccola cucina al di là del vetro non gli dette più fastidio. I led rossi e verdi degli elettrodomestici risplendevano tra i mobili color panna, beige, crema, avorio e varie altre gradazioni di bianco.

    La cucina era ordinata e deserta.

    Alex si staccò dal serramento, si guardò attorno poi si spostò di una vetrata. Le mani si appoggiarono di nuovo a un pezzo di legno scrostato e il naso incontrò il freddo del vetro. Nell’occhio scuro si stagliò una torta a strati e le mani di una donna affondate in una palla di pasta di zucchero. La bocca rosa, mormorava parole silenziose.

    Valentina…, sussurrò Alex.

    Le labbra si fermarono. Le mani restarono sospese in aria per qualche secondo poi tornarono nell’impasto, a premere. Sulla bocca comparve una smorfia di dolore.

    La mano dell’ombra nera si contrasse sul serramento.

    Un matterello passò avanti e indietro sulla pasta. Avanti e indietro. Le dita rigide staccarono i bordi della pasta e la tirarono verso l’alto aprendo diverse lacerazioni.

    Riprova… Alex appoggiò il palmo della mano sul vetro poi lo ritrasse.

    Le mani della cake designer tremavano leggermente; una massaggiò l’altra sulle articolazioni. Al disotto giaceva la pasta a brandelli.

    Il fiato caldo di Alex lasciò un’aureola di condensa sul vetro. Forza…

    All’interno della casetta bianca, gli angoli della bocca di Valentina si abbassarono. La donna lasciò sul tavolo la pasta di zucchero e andò in cucina.

    Alex alzò il collo della giacca, sfregò le mani sulle cosce muscolose e si spostò sulla finestra della cucina. Riportò l’occhio al vetro: una ciotola bianca veniva tolta dal frigorifero e deposta sul piano di marmo. Un dito di donna s’immerse oltre il bordo, uscì carico di crema bianca e s’infilò tra le labbra carnose di Valentina.

    La frequenza cardiaca di Alex si alzò; sentì il caldo partire dai lombi e arrivare alla testa. Il corpo nero si appiattì contro il finestrone, la guancia aderì al vetro. So che mi ami., fiatò a occhi chiusi. Il bacino dentro il jeans ondeggiò; il bottone di metallo graffiò il vetro con uno stridìo.

    L’ombra si staccò dalla finestra di colpo. Guardò dentro: nessuno aveva notato la sagoma scura schiacciarsi contro la lastra imbiancata. Si appostò di nuovo alla finestra dietro al tavolo da lavoro, il vento aveva già asciugato le due righe di lacrime sul suo viso. Una spatola di plastica lisciava la crema sulla torta.

    La lingua di Alex uscì tra le labbra screpolate e andò ad accarezzare il vetro. Un filo di saliva scese dall’angolo della bocca e scivolò verso il basso seguito da un altro, e un altro ancora. La mano dell’ombra accarezzò il serramento e il cemento bianco della struttura, poi scese ad asciugarsi sulla coscia. Chiuse gli occhi, aprì la bocca e ansimando si lasciò andare contro lo stipite di marmo. Valentina…, gemette.

    Quando riaprì gli occhi, il matterello era tornato a rullare sulla pasta di zucchero. Alex appoggiò la guancia e sospirò. Strinse forte le dita sul legno e lasciò che un singhiozzo salisse dalla gola. Amore mio., articolò senza emettere suoni. Fissava le mani della designer attraverso un velo di lacrime, l’occhio che seguiva i movimenti era stanco. Si sfregò i muscoli rigidi sotto il colletto della giacca di pelle e strofinò le guance arrossate.

    Le dita artritiche modellarono una rosa, la tennero in alto, verso la luce e le labbra carnose si strinsero. Il fiore di zucchero cadde sul tavolo e le dita passarono dentro la folta chioma color mogano di Valentina. Gli occhi verdi erano lucidi.

    Alex si staccò dal vetro e tirò il berretto fin sulle sopracciglia. Un miagolìo salì dall’angolo buio nell’aiuola secca. L’ombra emise un sibilo e un gomitolo di peli schizzò fuori dal buio per darsi alla fuga.

    Alex picchiò con il pugno sul legno scheggiato.

    Riprova cazzo!, ringhiò a denti serrati.

    Gli occhi di Valentina si spalancarono nella direzione in cui si era prodotto il rumore sordo contro il serramento. Dopo qualche secondo una voce acuta chiamò: Colette… micia? Sei tu?. Ci fu movimento nel laboratorio, le mani sparirono da sopra il bancone e si udì il rumore della serratura.

    Alex sfregò l’occhio arrossato e stanco. Si spostò di una vetrata per vedere un gatto soriano, con il pelo tigrato sul dorso e la gola bianca, essere raccolto dalle mani di Valentina.

    Colette, amore. La gatta strusciò il muso contro il mento della padrona.

    Improvvisamente i vetri vibrarono con un brontolìo cupo sotto un colpo di vento.

    Alex si appoggiò al serramento ed ebbe di nuovo la visione di spalle della donna, le sue mani che modellavano rose, ciclamini e gardenie con le dita impacciate. Restò a guardarle per un po’.

    L’ispirazione…, mormorò.

    Alex scosse il capo. Sfregò energicamente il naso aquilino e sistemò una ciocca di capelli sfuggita al berretto. Guardò in alto, verso i lunghi ballatoi che davano il nome a quel tipo di case, dove il vento faceva lo slalom tra le ringhiere. Sogghignò, salì fino al ballatoio del piano più alto e guardò giù, sul tetto di vetro della serra che s’infilava sotto il balcone del primo piano. L’ombra di Valentina al tavolo da lavoro era intuibile attraverso lo strato sottilissimo di vernice applicato a spruzzo sui vetri del tetto.

    Alex si spostò lungo il balcone tastando e frugando lungo la ringhiera. Quando ebbe trovato ciò che cercava, tornò sopra la palazzina bianca tese le braccia all’esterno e mollò la presa.

    Il fragore del vetro infranto si perse in parte tra i fischi e gli schiocchi del vento.

    Alex guardò attraverso il foro nel vetro: tre piani più sotto giaceva un vaso di terracotta rosso, la zolla che lo riempiva era schizzata tutt’intorno, e sul pavimento beige restava un gruppo di ciclamini scuri dentro il letto di foglie verdi screziate di bianco.

    Vale… guarda…

    2.

    Nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, il traffico serale ingombrava le strade che correvano dritte tra i palazzi popolari. Le aree verdi presentavano già i colori autunnali e le prime foglie morte volteggiavano sulle siringhe lasciate dai tossicomani.

    Nel bilocale al terzo piano di un edificio uguale a tanti altri, Alex accese il computer e la stampante a colori, nell’angolo della cucina. L’ultima luce diurna entrava dai vetri sporchi della finestra. Il led verde della stampante si accese e Alex digitò alcuni comandi. Guardò l’orologio, sospirò e mentre la macchina pescava la carta fotografica dal suo cestino, aprì il frigorifero due passi più in là. Afferrò una bottiglia di birra da una confezione di sei pezzi in offerta speciale, e tolse la capsula facendo leva nell’apribottiglie appeso al muro.

    Alex prese un sorso e guardò di nuovo l’orologio. Si massaggiò il collo girando attorno al tavolo col piano in formica. Posò la bottiglia vuota e si sedette sullo sgabello da ufficio davanti alla tastiera. Cliccò un tasto sulla barra degli indirizzi preferiti, denominato ‘terapia’, e attese il collegamento.

    Sul browser comparve l’indirizzo www.animaterapia.it/chat/stanza.2.html/ e poco dopo un’icona e la scritta on-line. Alex cliccò sull’icona e sullo schermo del monitor le lettere dell’alfabeto s’inseguirono: Stanza 2 - Zuccala - seduta n. 6.

    # Ciao Alex, com’è andata da mercoledì scorso? –

    Ciao doc bn xkè? –

    Non ci provare, niente abbreviazioni, solo emoticon. –

    Alex alzò il dito medio verso il computer e digitò la risposta:

    Lei mi ama, lo so per certo <3 –

    Te l’ha detto? –

    Ieri abbiamo \o/ tra i vetri io stavo dietro e lei dentro si leccava le dita piene di crema poi le ho mandato i fiori dall’alto –

    Non capisco.–

    Alex sorrise mentre batteva la tastiera con due dita. Il pollice serviva la barra spaziatrice.

    Sei 1 strizzacervelli 1 mentalista no? Indovina –

    Sii serio, la terapia non è un gioco. –

    Lo decido io cos’è così devi essere 1 po’ paziente anke tu ti piace il gioco di parole? –

    Va bene, vuoi dirmi qualche cosa di più? Cerca di usare la punteggiatura. –

    Ero là fuori al freddo c’era un vento gelido ma io nn avevo in mente altro ke lei la mia vale ke faceva lo show per me ha giocato con la mia ombra sapeva ke c’ero le piaceva… ^-^–

    Cos’è l’ombra per te? –

    Il mio alterego 1 cosa ke sta con me è dentro di me e lavora per mantenere tutti –

    Come un altro te stesso? –

    Esatto io sono io… ma sono anke l’ombra… –

    Ti senti più l’uno o l’altra? –

    La mano di Alex si fermò in aria. Quindi scese decisa sulla tastiera.

    Sono entrambe le cose e anke di + –

    La tua ombra si stacca da te? –

    :-? –

    Si muove da sola? –

    Per forza come jack lo squartatore stai attento doc –

    Chi è qui in terapia con me? –

    L’ombra nn lo sapevi? hahahahah –

    Se Alex è l’ombra, l’io chi è? –

    Alex si appoggiò allo schienale dello sgabello con le rotelle. Si strofinò il naso e andò alla finestra.

    Sullo schermo s’illuminò un’altra scritta:

    Ci sei Alex? Ti ho chiesto chi è l’io. –

    Alex vide da lontano le parole sfarfallare sul vecchio monitor. Guardò ancora una volta in basso, sulle strisce di luci gialle e rosse, poi tornò sui tasti neri illuminati dal monitor.

    Nn è importante adesso accontentati di quello ke ti dico –

    Credo invece che sia importante. Dimmi, c’è qualcun altro? –

    Sei troppo furbo doc –

    Non rispondi? –

    La penombra c’è solo la penombra –

    Vuoi dire che c’è qualcuno che non è né ombra né luce? –

    È solo 1 larva in fondo alla scala ma la svolta è laggiù e voglio tornarci –

    La psicoterapia online è già difficile di per sé. Non posso aiutarti se parli per indovinelli. –

    Nn sai fare il tuo lavoro mi devi capire altrimenti cosa ci sto a fare qui nn mi capisce mai nessuno devo sempre sembrare qualc1 altro per far piacere a qualc1 ma sono stuf –

    Non mi aiuti se non metti qualche virgola ogni tanto. –

    ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,

    Non sei divertente. Hai scelto di non usare la videochat, per favore almeno scrivi in modo comprensibile. –

    Sei tu che nn capisci 1 cazzo! –

    Ci sto provando da qualche settimana, Alex, ma non so se questo genere di terapia va bene per te. –

    Mi stai dicendo ke sono 1 caso troppo difficile per te

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