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Càmidis e la casta dei protettori
Càmidis e la casta dei protettori
Càmidis e la casta dei protettori
E-book427 pagine5 ore

Càmidis e la casta dei protettori

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Info su questo ebook

A tre anni dalla scomparsa del nonno, Lena vive immersa in un mare di nebbia grigiastra, in grado addirittura di appannare la bellezza del Golfo di Napoli e del Vesuvio, suo guardiano.
A rompere la monotonia che l’ha imprigionata sarà un incontro all’apparenza casuale con cinque giovani ragazzi che la trascineranno su Càmidis, isola a ovest di un magico arcipelago e patria sicura del popolo dei maghi.
Lì scoprirà che quattro maghi sono stati rapiti da umani fanatici, tutto è in pericolo e lei potrebbe essere l’unica disposta ad aiutarli.
Al fianco della Casta dei Protettori, Lena intraprenderà un viaggio all’insegna dell’amicizia, della rinascita e dell’amore per se stessa.
LinguaItaliano
Data di uscita18 set 2023
ISBN9791281590038
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    Anteprima del libro

    Càmidis e la casta dei protettori - Renata De Santis

    Prologo

    Ciò che gli alberi raccontano

    Davanti a un cielo che prometteva l’alba, il mago chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente si aprisse alla voce degli alberi. Le foglie si muovevano in gruppo, ondeggiavano e frusciavano sui rami carichi di verde della bella stagione che aveva abbracciato Càmidis.

    Arash prese un lungo respiro e sentì il naso pizzicare per il profumo di salsedine che giungeva dal mare. Lo colse una vertigine che conosceva bene, simile a quella di un volo nel vuoto. Strinse le mani attorno ai braccioli della sua sedia; gli occhi, dietro le palpebre, si muovevano frenetici.

    Il guscio umano del suo corpo si schiuse e, d’improvviso, Arash non era più uno, non era più se stesso, ma tanti. Piano, i fruscii divennero sospiri e, i sospiri, sussurri echeggianti. Voci lontane e vicine si unirono in un canto antico, viaggiando sulla brezza che, curiosa, gli sfiorava i lunghi capelli di pece, tra cui il tempo aveva già passato le sue dita screziate di bianco.

    Arash li ascoltò, esseri centenari che affondavano le loro radici nella terra da ben prima della sua nascita. Alcuni vicini, come gli alberi che crescevano nei giardini reali, altri lontani, ai margini dell’isola, e poi ancora di più, fino a un mondo che molti, ormai, rifuggivano. Rimase ad ascoltare avvolto nel silenzio, commensale a una tavola che sentiva sempre come un dono immeritato.

    Un’ondata di brividi gli punse la schiena e lui sobbalzò. Le radici della sedia si ritrassero sul pavimento del balconcino. Arash strinse di nuovo le mani attorno ai braccioli e le disse di restare ferma.

    Si azzardò a domandare e gli fu risposto. Il battito infuriato del suo cuore si fece sentire al pari di una musica che cresce di intensità minuto dopo minuto, fino a quando non rimase che lui.

    Il salice piangente non sbaglia mai pensò, strofinando l’indice al centro della fronte. La trovò disseminata di rughe e bitorzoli che non riusciva a distendere, mentre lo stomaco gli si torceva come in preda al peggiore dei veleni.

    Gli occhi lattiginosi tornarono a vedere la balconata che aveva davanti. Si rilassò contro lo schienale coperto dal cuscino blu notte e la mente andò alla deriva in un mare di pensieri. Le dita disegnarono ghirigori sul bracciolo, mentre l’amuleto appeso a un apice della sedia tintinnava mosso dal vento. Arash lasciò andare un sospiro e chiese alla sedia di riportarlo all’interno del palazzo reale.

    Ormai, non potevano più sperare in un fraintendimento. Il loro popolo camminava sull’orlo del precipizio e doveva essere salvato.

    ***

    «Dobbiamo trovare una soluzione».

    Nella Sala della Quercia, i passi ritmati del Mentore rimbombavano come all’interno di una vecchia cattedrale. Le mani, unite dietro la schiena, si torcevano in preda a una smania sempre crescente. Aveva l’impressione di essere lì ad aspettare da tutta la vita.

    Lo schiocco delle grosse porte in legno fece trasalire la regina, che si voltò in fretta verso l’entrata.

    Sull’onda di un lungo sospiro, Zachary, che tutti chiamavano il Mentore, spostò lo sguardo su Arash, l’Indovino, e poi giù, lungo la tunica scura, fino al riflesso appena accennato delle radici sulle mattonelle lucide. Rigirò attorno al dito medio un massiccio anello di bronzo: «Dunque? Vi hanno parlato?»

    L’Indovino, con un unico cenno del capo, annuì.

    La regina si fece avanti, gli occhi fissi sulle labbra di Arash. Udì nuovamente la voce di suo padre suonare una dolce melodia nella sua mente, facendole tremare le pareti del petto. Ricorda bambina mia, il cuore di un guerriero non deve temere gli ostacoli.

    «Lo hanno confermato: i maghi del Conforto sono stati rapiti»

    «Dobbiamo agire!» la regina Dräièl artigliò il braccio di Zachary e i ruscelli nelle sue iridi presero a mulinare, «Non possiamo più aspettare, lo sapete. Dobbiamo salvare la nostra gente e mettere al sicuro l’intero Arcipelago».

    Il Mentore le sorrise intenerito: «Mia regina, ciò che dite è vero, ma anche più difficile di quanto si potrebbe supporre. Quello degli umani non è un mondo che conosciamo, non più perlomeno» sentì un sasso ostruirgli la gola nel pronunciare ad alta voce quei pensieri, ma era vero. Distogliere lo sguardo davanti alla realtà non avrebbe portato a nulla di buono.

    Con i gomiti puntati sui braccioli, Arash aveva unito le mani all’altezza del mento. Doveva esserci una soluzione, un modo per far sì che i combattenti del loro regno potessero portare a termine la missione correndo meno pericoli possibile. Una via per… Arash si rianimò e le radici della sua sedia fremettero. «Nel corso dei secoli, gli umani hanno sostenuto molti pensieri errati, ma tra quelli corretti si annovera di sicuro conosci il tuo nemico» disse.

    Le prime luci dell’aurora tinsero d’ambra il cielo, all’inizio sfiorandolo appena e poi stringendolo in un abbraccio senza fine. La regina si prese qualche istante per contemplarne lo spettacolo. Ne aveva bisogno per ricordare a se stessa che al buio segue la luce e che nulla resta immutato per sempre. La Natura era il miglior libro dal quale imparare.

    «Cosa cercate di dire, Indovino?» parlò piano, come se le lettere non desiderassero lasciare le sue labbra rosee. I suoi occhi riflettevano lingue di cielo splendente.

    Zachary non distolse lo sguardo dal viso di Arash. Oltre la sua espressione imperturbabile, era certo di veder mulinare qualcosa di scuro e torbido. Una brutta sensazione gli pizzicò lo stomaco.

    L’Indovino abbassò il capo. Nell’aria si udiva l’eco di antichi sortilegi e per alcuni attimi lasciò che la sua mente viaggiasse verso tempi lontani, seguendone l’ammaliante ondeggiare: «Abbiamo bisogno di qualcuno che conosca bene gli umani e chi meglio di uno di loro?»

    Dräièl fu attraversata da una scossa e, con le sopracciglia sollevate, fece saltare lo sguardo da Arash a Zachary: «Tutto questo è…» prese un respiro forzato e chiuse gli occhi, poi strofinò i palmi sull’abito celeste che indossava, «Non… non sarà pericoloso?»

    Sopra le loro teste, le foglie lobate della quercia danzarono sul soffio del vento che entrava da una finestra aperta.

    L’Indovino storse la bocca, l’indice che ricalcava i ghirigori del legno della sua sedia: «Lo è, sì. Purtroppo, però, mia regina, non abbiamo altra scelta».

    Dräièl provò a parlare, ma la sua mente si era svuotata. Era dagli umani che stavano cercando di proteggersi e le sembrava assurdo dover chiedere aiuto proprio a loro. Forse, era una follia. Un sussurro lontano rimbombò nella sua mente: può funzionare, deve funzionare.

    Immersi nel pantano di silenzio che pervadeva il palazzo reale, Zachary vide un’ombra attraversare il volto di Arash e un vapore bollente gli ustionò il collo.

    L’Indovino distolse lo sguardo e chiese: «C’è dell’altro che dovete sapere, vostra maestà».

    Capitolo 1

    Fra lapidi e bugie

    Lena si strinse nel giubbino che aveva indosso quando una folata di vento la fece rabbrividire. Per una eccessivamente freddolosa come lei, spostarsi a piedi per Napoli, anche se era solo metà ottobre, non era esattamente la migliore delle idee, ma preferiva camminare piuttosto che prendere l’autobus. Osservava la punta delle sue scarpe, che colpiva i sassolini disseminati sul marciapiede, come se fosse il miglior passatempo. Per lei non c’era nulla di più bello di sciogliere le redini della mente e immaginare scenari da sogno con la musica delle cuffie in sottofondo. Il suo sguardo si inerpicò su per i cancelli color catrame del cimitero. Abbassò ancora di più l’orlo del cappuccio, fino a nascondere gli occhi, e li superò a passo deciso. L’aria di quel luogo le era sempre risultata strana, un miscuglio tra i dolci ricordi pieni di affetto e la tristezza struggente della perdita. Nelle cuffie risuonava Umbrella, cantata da Rihanna, il suo guscio di protezione dal mondo esterno.

    Giunta a una successione di tombe sospirò e tolse le cuffie assieme al cappuccio, sedendosi davanti a una lastra di granito nero più in basso. Sulla lapide c’era un nome inciso con lettere dorate: Carmine Amati.

    «Ciao nonno» salutò una foto di un elegante color seppia, come una cartolina ritrovata sul fondo di un baule. Suo nonno era morto da soli tre anni, ma a Lena pesavano sul cuore quasi fossero stati un’eternità, «Oggi posso stare poco tempo, papà torna a casa prima dal lavoro e sai che sono guai se mi scopre qui».

    Con la manica del giubbino pulì il vetro che proteggeva l’immagine e iniziò a giocare con una foglia secca, mordicchiandosi l’interno della guancia: «Lo so, ero già venuta ieri, ma mi mancavi» la sua voce andò via via scemando e Lena si vide costretta a prendere una profonda boccata d’aria per anestetizzare il dolore. Sentì la gola e la lingua coprirsi di una pellicola fredda. Scrollò le spalle, i capelli castani ondeggiarono mentre puntava lo sguardo negli occhi del nonno, in cerca del conforto che sempre riusciva a trovare sul suo viso dagli zigomi appena sporgenti e i capelli bianchi.

    «Comunque» riprese, raddrizzando la schiena, «veniamo alle informazioni generali: papà sta bene, anche se la nuova promozione lo tiene molto impegnato. Anche mamma non se la cava male, il suo hobby preferito continua a essere darmi ordini travestiti da consigli, ma di tanto in tanto riesco a sottrarmi alle sue volontà» fece l’occhiolino al nonno che, anche se fatto solo di carta, sembrava molto interessato al suo discorso. Il vento si era calmato e gli uccellini avevano deciso di lasciare i loro rifugi sicuri per girovagare nel cielo.

    «Quanto a me, beh…» sollevò le sopracciglia alla ricerca delle parole giuste; le dita, incapaci di restare ferme, giocherellavano con una ciocca di capelli, «È tutto piatto, nonno. Mi sembra di vivere sempre la stessa giornata, ancora e ancora. Quando provo a fare qualcosa che possa spezzare la monotonia, sento che mi mancano le forze».

    L’umidità di quel luogo rendeva il freddo ancora più difficile da sopportare e Lena rabbrividì. Sbuffò guardandosi intorno: poche altre persone avevano avuto la sua stessa pazza idea di recarsi al cimitero con quel tempaccio.

    «Magari è una maledizione» ridacchiò, colpendo delicatamente con le nocche la lapide nera, come a tirare un pugno scherzoso. Si riscoprì rapita dal volto del nonno e perse il conto dei minuti che trascorse a osservare la sua immagine, stretta nelle spalle e con le labbra che diventavano violacee. Incrociò gli avambracci sul sottile davanzale di marmo che sporgeva da sotto la lapide e vi appoggiò sopra un lato del viso.

    Anni prima, ciò che le dava davvero gioia era passare un pomeriggio a casa insieme a lui. Ricordava ancora che una sua compagna di liceo l’aveva presa in giro quando l’aveva detto ad alta voce e Lena era stata così sciocca da vergognarsene.

    Tirò su col naso e tamponò gli occhi con i palmi delle mani, «Devo andare ora, ma prometto che resterò di più la prossima volta» si alzò e spolverò con le mani il retro dei jeans, che era stato a contatto con le mattonelle ingrigite. Mandò al nonno un bacio volante e si voltò. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora immaginarlo alle sue spalle, mentre la salutava con il braccio alzato e un grande sorriso sul volto, proprio come faceva quando da piccola andava via da casa sua. Proprio come aveva fatto l’ultima volta.

    ***

    «Sono tornata».

    Anna aveva le mani sporche di pane grattugiato e i crocchè di patate erano posizionati in fila su un piatto, pronti per essere fritti.

    «Dove sei stata?» domandò, mentre la figlia le dava le spalle per prendere una bottiglia d’acqua dal frigo.

    «In giro, da un po’ di giorni volevo vedere dei negozi che mi sembravano interessanti» per gli istanti seguenti, Lena trattenne il fiato e rimase come pietrificata nella speranza che la madre le credesse.

    «E hai trovato qualcosa?»

    Lena rilassò le spalle e portò il bicchiere alla bocca, poi parlò: «No, nulla».

    Il gomitolo che in fretta le aveva ostruito la gola, si sciolse sempre più a ogni nuovo sorso d’acqua.

    La madre la guardò scettica, pulendosi le mani con un pezzo di carta prima di sciacquarle sotto il rubinetto: «Dovresti essere meno esigente nell’abbigliamento» l’ammonì, scuotendo la testa.

    «Papà a che ora torna?» Lena cercò di cambiare argomento. In realtà, non era esigente come diceva sua madre. Con i vestiti che aveva addosso doveva sentirsi a suo agio, cosa parecchio difficile dato che già di suo non lo era mai, perciò finiva sempre per scegliere felpe abbondanti e jeans anonimi.

    «Tra circa mezz’ora».

    Lena prese una mela dalla fruttiera sull’isola della cucina, pronta a dirigersi in camera sua, ma dovette fare dietrofront quando sua madre la incenerì con uno sguardo che la costrinse a tornare indietro e sciacquare il frutto. Tirando un morso, si avviò poi verso le scale. Si sentì chiamare di nuovo e si girò in tempo per vedere sua madre scuotere la testa e udire quello che le parve un sospiro sconfitto.

    «Nulla, va’ pure» le disse alla fine.

    Non se ne meravigliò: la sua famiglia non se la cavava bene nell’arte di comunicare.

    Capitolo 2

    La Casta dei Protettori

    Sotto la punta delle sue dita affusolate scorreva il legno ruvido della corteccia. La regina Dräièl aveva gli occhi color ruscello rivolti all’ampia finestra, che mostrava uno scorcio della vita del suo popolo. Ogniqualvolta pensava a quelle parole, il suo popolo, sentiva un fremito scuoterla dall’epidermide fino in profondità. Non amava definirli così perché ne era la sovrana, per amore del potere o per il desiderio di sentirsi superiore, ma perché era come loro. Se rovistava abbastanza a fondo nella sua memoria, poteva ancora rivedere i giorni in cui la magia non era parte di lei. O meglio, in cui non era ancora consapevole che lo fosse.

    Un rumore di passi appena strascicato la fece riemergere dalle sabbie mobili che erano i suoi pensieri. Davanti a lei il Mentore stringeva in mano un plico disordinato di fogli.

    «Dovreste prendervi più cura di voi stesso, sembrate essere invecchiato di cent’anni».

    Zachary Urij espresse il suo ringraziamento con un sorriso benevolo, chinando appena il capo e celando così il volto smagrito e pallido.

    Sulla stanza calò un velo di pesante silenzio: la regina temeva di chiedere e il Mentore di rispondere. Dräièl sedeva con la schiena appoggiata al tronco della maestosa quercia, attorno alla quale era stato costruito il palazzo. I rami si estendevano poco più in basso del soffitto che le foglie verdi tingevano di vita, mentre il tronco scendeva sino all’antro dell’Indovino, dove l’albero affondava le sue radici. Reclinò il capo all’indietro e sospirò, consapevole che non avrebbero potuto restare in silenzio in eterno: «Ci siete riuscito?»

    La tensione accumulata nella stanza iniziò ad affievolirsi. Che l’albero millenario fosse in grado di depurare l’aria dai malumori per alcuni restava solo una credenza popolare, mentre per altri era una verità ormai appurata.

    Il Mentore sorrise di nuovo, questa volta in modo più vistoso, e salì i lunghi gradini che lo separavano dalla regina. Le porse i fogli di papiro che aveva tenuto in mano fino a quel momento e le lasciò alcuni minuti per leggere le informazioni che contenevano. Quando pensò che fosse sufficiente, parlò: «Ho riflettuto molto prima di scegliere i maghi che avrebbero riformato la Casta dei Protettori. All’inizio non tutti sembravano convinti dell’idea, ma…»

    «Hai trovato i Gemelli di Vita e Morte?» Dräièl lo guardò con occhi sbarrati, le labbra che continuavano a rimanere schiuse anche se non pronunciavano più parole.

    Con un moto d’orgoglio che gli riscaldava il petto, Zachary confermò.

    La regina impiegò diversi minuti per tornare a concentrarsi sui profili dei futuri Protettori, che necessitavano anche della sua approvazione.

    Nell’attesa, Zachary si perse a fissare i suoi anelli. Se la regina avesse saputo… sentì un brivido freddo corrergli per tutta la spina dorsale. Aveva passato due notti insonni, riflettendo se fosse giusto o meno mentirle. Dopotutto, ciò che stava facendo era assimilabile a un tradimento, ma aveva accettato che non c’era altra possibilità oltre quella. Quando la regina, sfogliando i vari profili dei possibili Protettori, arrivò a leggerne uno in particolare, lui trattenne il fiato. In alcun modo poteva accorgersene, ma la morsa che gli attanagliava lo stomaco pareva di tutt’altro avviso.

    «Credete che ce la faranno?» disse lei riconsegnandogli le carte e, con un ultimo sospiro, tornò a guardare fuori dalla vetrata. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe accaduto se avessero fallito.

    Il Mentore nascose un sospiro con il frusciare dei fogli prima di risponderle: «Non mi è dato di conoscere il futuro, ma sono certo di una cosa: dobbiamo avere fiducia nei nostri giovani. Se c’è qualcuno in grado di salvarci, quelli sono loro».

    Il volto della regina si distese, ritrovando una serenità che ebbe la stessa durata di una goccia che si perde nel mare: «E tacendo tutta la verità, invece? Stiamo facendo la cosa giusta?» il suo sguardo era rivolto in direzione della città. Assaporando un’ultima volta il forte contatto con la quercia dietro di lei, Dräièl si alzò e raggiunse il Mentore in pochi passi.

    A lui parve difficile deglutire. Accennò un inchino e stroncò sul nascere qualsiasi tentativo di approfondire l’argomento: «Vado a comunicare all’Indovino le ultime novità».

    La regina annuì, gli occhi ruscello ora scuriti e tempestati dalla pioggia. Mentre Zachary lasciava la sala, lei passò accanto al trono e tornò a sedersi sotto la quercia, abbracciandone il tronco.

    ***

    E tacendo tutta la verità, invece? Stiamo facendo la cosa giusta? Come una vecchia ninna nanna, le parole della regina continuavano a ripetersi nella sua mente. Quella domanda stava diventando talmente assillante che temeva gli avrebbe fatto scoppiare la testa.

    I suoi piedi macinarono gli scalini con urgenza, ma più aveva bisogno di raggiungere le profondità del palazzo e più la scala a chiocciola sembrava allungarsi.

    Quando vide davanti a sé la porta in legno massiccio, illuminata dai bagliori dei fuochi fatui che gli danzavano a lato, tirò un sospiro di sollievo. Protese la mano in avanti ancora prima di aver raggiunto l’ultimo scalino e, quando toccò la maniglia, la aprì con foga.

    «Stai cercando di demolire il palazzo?» Arash parlò adagio, un ghigno giocoso sulle labbra e gli occhi intenti a osservare con minuziosa attenzione l’espressione di Zachary.

    Sulle prime, il Mentore si guardò attorno come se si aspettasse di essere divorato da una grande bestia feroce. Si sentì rinascere, quando constatò che le torture della sua mente erano rimaste fuori dalla soglia. Lo sguardo si fece sorridente e chinò il capo per nascondere una risata accennata. L’attimo dopo, però, era di nuovo serio: «La Casta dei Protettori è stata riformata».

    L’Indovino indugiò con il calamaio sulla scheda che stava compilando.

    «Quest’oggi, nel pomeriggio, i Protettori verranno qui per l’ufficializzazione» aggiunse Zachary.

    Senza che Arash potesse fare nulla per fermarle, vecchie immagini gli tornarono alla mente scorrendo in tanti piccoli fotogrammi: le spade lucenti, gli incendi che divampavano, i suoi vecchi compagni.

    Neanche quella volta rispose, non a parole almeno. Il suo volto contratto diceva già tutto quello che il Mentore aveva bisogno di sapere.

    Zachary gli si avvicinò passandogli dietro le spalle per raggiungere il lato opposto del tavolo: «Suvvia, lo sai che per loro sarebbe un grande onore averti lì presente». Con l’indice percorse la linea bianca arcuata ricamata sul cuscino dello schienale, parte di un sigillo del potere.

    Arash sbuffò, roteando gli occhi: «E ci pensi tu a mettere a posto i nuovi tomi inviati dal bibliotecario? Ne ha mandati così tanti che potrei creare una strada galleggiante da qui fino a Polaris».

    Il viso di Zachary si contrasse e lui mimò un brivido: «Tutti quei libri… in acqua… sei terribile!» Accompagnato dalla risatina soffocata dell’Indovino, si alzò: «Ai ragazzi servirà la Concessione per utilizzare le loro capacità nel mondo degli umani, verrò a prendere la pozione tra qualche ora» così dicendo volse lo sguardo alle possenti radici della quercia che in quell’area del palazzo formavano un intreccio labirintico. Sentì nel petto una gioia profonda, silenziosa e allo stesso tempo esplosiva.

    Quando si riprese dalla sua distrazione, tornò a posare gli occhi sull’Indovino. Se non lo avesse conosciuto tanto bene, avrebbe pensato di non essere stato neppure sentito. Tamburellò con le dita sul tavolo, con lo sguardo rivolto alla porta. Fece un lungo sospiro al pensiero di ciò che lo aspettava là fuori e si avviò verso l’uscita.

    ***

    Lunghi drappi bianchi adornavano i rami della quercia e i raggi del sole li facevano brillare. Nella sala si respirava un miscuglio di emozioni che si andavano ad aggrovigliare strette l’una all’altra e l’agitazione era ovattata solo dall’intenso profumo emanato dall’albero.

    Il Mentore era in piedi alla destra della regina; i suoi vestiti dai colori scuri cozzavano con il lungo abito bianco di lei.

    Cinque ragazzi, all’apparenza poco più che adolescenti, se ne stavano allineati ai piedi degli scalini. Erano forti, ognuno a proprio modo, per questo lui li aveva scelti. A quel pensiero, gli occhi virarono da soli verso uno in particolare, fino a posarsi sul viso contornato da folti ricci. Il Mentore sentì i muscoli delle spalle contrarsi e il buonsenso dibattersi con rabbia nella gabbia in cui lui l’aveva chiuso. Se avesse sbagliato? Oh, non c’era ombra di dubbio. In nessun modo mentire alla loro regina e al suo amico di infanzia poteva non essere considerato un deplorevole errore, ma dovevano accaparrarsi anche la più piccola possibilità di riuscita. Affilato come la punta di una spada, Zachary sentì sulla sua schiena lo sguardo vigile della guardia della regina. I suoi occhi glaciali mettevano a nudo qualsiasi anima e dovette tenere stretto a sé il controllo che gli impediva di tremare.

    «Protettori, ciò che siete chiamati a fare da quest’oggi vi condurrà lungo un cammino tortuoso. Ma con l’appoggio reciproco, e con quello che vi offrirà il vostro popolo, sono certa che riuscirete a portare a termine la missione» la regina aveva parlato con una dolcezza striata di forza, ogni sillaba pronunciata era un’iniezione di coraggio nelle anime, per certi versi ancora acerbe, dei ragazzi davanti a lei. Si voltò in direzione del Mentore: era il momento di concludere. Dopotutto, non si trattava di una cerimonia o di una festa: la Casta dei Protettori era stata formata la prima volta in tempi di crisi, nel disperato tentativo di tamponare i fiumi di sangue fraterno che scorrevano; e, in tempi di crisi, non c’è spazio per le cerimonie.

    Il Mentore si diresse verso l’altare che era stato posizionato al lato, una semplice colonna sulla cui sommità risaltava una ciotola in legno e un timbro dall’impugnatura tinta di bianco. Le venature scure, però, erano ancora ben visibili e fu su quelle che il Mentore si concentrò mentre porgeva i due oggetti alla regina; poi, ridiscesero assieme gli scalini che li separavano dai ragazzi.

    «Questo vi permetterà di fare uso delle vostre capacità anche nel mondo degli umani» spiegò loro, mentre intingeva il timbro nel liquido color porpora all’interno della ciotola.

    La prima davanti alla quale la regina si fermò era una ragazza sulla cui pelle i raggi del sole si riflettevano come luce sull’ossidiana. La Protettrice voltò la testa di lato, in modo da lasciare scoperto il collo. Le lame del timbro incisero sulla pelle il disegno stilizzato di un albero di quercia, lasciando che la Concessione si mischiasse al sangue della maga. Il liquido color porpora venne assorbito e, pochi istanti dopo, la ferita si era già cicatrizzata. Mentre la regina passava al ragazzo successivo, il Mentore riservò un sorriso rassicurante alla Protettrice. Vedeva nei suoi occhi la caparbietà di centinaia di combattenti, tutti rinchiusi all’interno di iridi bronzee.

    Il secondo ragazzo doveva essere più piccolo degli altri, col suo viso tondeggiante e i centimetri che gli mancavano per raggiungere l’altezza degli altri maghi. Zachary non faticò a riconoscerlo, poiché aveva stampati sul volto i lineamenti di suo padre, che tutto il popolo aveva conosciuto bene come membro della prima Casta dei Protettori.

    Gli bastò spostare di poco lo sguardo affinché venisse rapito da coloro che si era tanto penato per trovare. I Gemelli di Vita e Morte erano l’una accanto all’altro, con la schiena dritta e gli occhi che nascondevano il disagio grazie a un velo di compostezza.

    Anche la regina non rimase indifferente e le sue labbra si schiusero per la meraviglia: «È un onore poter contare su di voi».

    Mentre la ragazza ringraziava con un sorriso e un inchino prolungato, il suo gemello rimase impassibile.

    Il Necromante, pensò la regina, quando avvicinò il timbro al suo collo. Guardò nelle sue iridi scure, ma il nero dei suoi occhi non rimandava alcuna immagine di ciò che aveva di fronte, nessun riflesso.

    Il ragazzo fu rapido ad abbassare lo sguardo.

    Quando passò avanti, una zazzera di riccioli allontanò la sensazione di freddo che quel contatto le aveva causato. Dräièl sorrise all’ultimo ragazzo e, come aveva fatto per tutti i precedenti, si apprestò a donargli la Concessione. A pochi centimetri dalla sua pelle, le parve di avvertire una resistenza, una forza che voleva a tutti i costi spingerla via. Osservò il volto del giovane e su di esso colse qualcosa, come l’ombra rapida di un corvo che sorvola un prato. Dopo, la sua mano non trovò altri impedimenti.

    Quando anche l’ultimo accolse la Concessione, la regina ringraziò Zachary e risalì gli scalini. Per tutto il tempo, gli occhi della guardia reale non avevano lasciato la sua figura. Lei gli sorrise.

    «Il Mentore vi informerà riguardo al primo compito che vi sarà assegnato. È a lui che farete capo per tutto ciò che riguarderà la vostra missione e potrete usufruire anche del prezioso aiuto di Arash Shasbow, Indovino di corte ed ex membro dell’originale Casta dei Protettori» per l’ultima volta passò lo sguardo su ognuno di loro e poi, sorprendendoli, fu lei ad accennare un inchino elegante, «Avete la mia fiducia, Protettori».

    Il Mentore sentì un moto di fierezza e, nella sua mente, si riconfermò il pensiero che non avrebbero potuto avere un regnante migliore. Come attirato da un filo invisibile, si girò verso la navata destra della stanza. Lì, nascosti dall’ombra degli archi, due occhi luminosi del colore delle chiome degli alberi e del cielo limpido lo stavano osservando.

    Il Mentore schiuse le labbra in un sorriso tanto luminoso quanto fugace. Se quello era l’inizio, allora forse c’era ancora speranza.

    Capitolo 3

    Brutte sorprese

    «Per essere una casa abitata mi sembra un po’ vuota».

    Azriel lanciò un rapido sguardo a Elias. Non poteva dargli torto, in effetti: dall’erba incolta che aveva invaso il giardino ai vetri delle finestre sporchi e offuscati, dalle tegole mancanti alla panca sulla veranda il cui legno era ornato di crepe, tutto sembrava indicare che nessuno ci mettesse piede da tempo.

    Fara controllò la cassetta della posta: vuota e senza alcun nominativo sopra: «Ragazzi, qui davvero non ci abita nessuno» tirò via le dita dall’apertura della cassetta. Infastidita, cercò di sbarazzarsi della vernice verde che le era rimasta attaccata ai polpastrelli.

    Noa, accompagnata dal fratello, tornò verso gli altri: «La casa è tutta recintata, non c’è modo di entrare».

    Azriel sospirò, avvolgendo le mani attorno ai sottili tubi di metallo che andavano a formare le sbarre del cancelletto. Doveva pur esserci una spiegazione, il Mentore non li avrebbe mandati tra gli umani alla ricerca di una casa vuota e abbandonata.

    «Cosa pensate sia successo?» Elias allontanò dal corpo un lembo della giacca a vento, tirandola dall’orlo. Non vedeva l’ora di tornare a casa e liberarsi di quei vestiti umani. D’altra parte, però, fallire nel primo compito che era stato loro assegnato suonava tanto ridicolo da fargli venire il voltastomaco.

    «Potrebbe essersi trasferito» ipotizzò Fara.

    Azriel si limitò a sbuffare, passando una mano tra i ricci scuri per sfogare la tensione.

    Giona afferrò il polso della sua gemella e, dopo aver ottenuto la sua attenzione, indicò con un cenno del capo un uomo che proprio in quel momento stava uscendo dalla casa accanto.

    Gli altri seguirono la direzione dei loro sguardi ed Elias si concentrò a fondo sulla sua mente. Captò i suoi pensieri, lasciando che le vibrazioni emesse gli si palesassero davanti agli occhi, creando nuvole incorporee. Pochi attimi dopo, queste si tinsero agli antipodi in prevalenza di grigio e bianco, colori che si diffusero in sottili diramazioni fino a fondersi tra di loro. Elias scrollò le spalle e si imbronciò: «Magari non sarà la persona più amichevole dell’universo, ma è buona».

    Bastò un solo sguardo affinché i ragazzi si intendessero: Noa si incamminò verso l’abitazione del vicino, mentre gli altri si allontanarono nella direzione opposta.

    «Buongiorno, mi scusi, mi sa dire se il signore che abitava qui accanto si è trasferito?»

    Il vicino guardò prima la casa e poi la ragazza che aveva davanti: «No, non si è trasferito. Perché ti interessa?»

    Noa poteva avvertire la palpabile ostilità del suo tono, così tentò di richiamare alla mente le lezioni del Mentore: «Insegno catechismo ai bambini della chiesa e stiamo chiedendo in giro se qualche persona sola desideri passare del tempo con i ragazzi» aspettò a prendere il respiro successivo fino a quando non ricevette in risposta dall’uomo un sorriso appena accennato e un’espressione più morbida.

    Elias, nel frattempo, teneva d’occhio l’umano e la sua compagna senza perdersi neanche un attimo della conversazione. «Pensate che stia funzionando?» chiese agli altri.

    Giona annuì: aveva piena fiducia nelle capacità di sua sorella, nessuno era in grado di ispirare fiducia alle persone, maghi o umani che fossero, meglio di quanto facesse lei.

    Per ingannare l’attesa, Fara spostava il peso da una gamba all’altra cercando qualcosa attorno a sé che potesse stimolare

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