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Nike e la scelta della morte
Nike e la scelta della morte
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E-book788 pagine12 ore

Nike e la scelta della morte

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Info su questo ebook

E adesso, Nike... Che cosa farai?
Adesso che sai, dovrai scegliere...
Il momento non puo' più essere rimandato...
Capisco le tue paure, capisco la tua frustrazione...
Rinunciare alla cosa che hai di più importante...
In cambio del potere...
Ma è necessario...
Potrai scegliere una sola volta, una soltanto...
O tenere ciò che più desideri...
O vivere per la Morte...
Dimmi, Cavaliere di Scadia... Cosa scegliarai?
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2020
ISBN9788835831426
Nike e la scelta della morte

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    Anteprima del libro

    Nike e la scelta della morte - TIZIANO BARONI

    Lis-Odra

    CAP 1 - IL RISVEGLIO -

    Endeth cercava in tutti i modi di non pensare al freddo pungente, mentre incitava la sua cavalcatura a non arrendersi alle gelide correnti d’alta quota. Aveva le mani intirizzite attorno alle briglie, le labbra violacee e screpolate. Ogni suo muscolo si ribellava, e a poco serviva il pesante mantello, o gli svariati incantesimi per difendersi dalle intemperie. Solo la sua determinazione impediva al ritorno a casa di farsi strada nei suoi pensieri, la stessa determinazione che cercava di scacciare ogni dubbio in merito a ciò che andava a fare.

    Aveva lasciato il Faldenor tre giorni addietro, ed era montato in sella a uno dei tanti Grifi allevati dal popolo di suo padre. Aveva preso tutto l’occorrente per un viaggio faticoso, ed era partito senza remora alcuna, ma la sua convinzione vacillava sotto i colpi del vento e della bufera di neve che lo martoriava da ogni direzione. Devo farlo... È l’unico modo. si disse per l’ennesima volta, pulendosi le lacrime congelate.

    Cacciò una mano in una delle tante tasche della mantella e ne trasse fuori un’ampolla. Fissò a lungo il suo contenuto: Un liquido biancastro e vischioso. Grugnì frustrato. In quell’ampolla vi erano mesi e mesi di studio degli Scritti di Zanthor, mesi di fallimenti e rabbia, mesi di solitudine. Sapeva del pericolo che correva, ogni fibra del suo corpo ne era consapevole, ma non era solo quello a dargli indicibili fitte di passioni: Un’ancestrale sensazione nostalgica che solo il luogo che stava sorvolando poteva arrecargli.

    Ras-Anor non esisteva più da millenni, e ciò che ne restava era solo un freddo deserto di ghiaia e sassi, dove ogni forma di vita aveva riposto le armi ai tentativi di ripiantare radici. L’impervia catena montuosa che separava l’antico luogo della capitale Anorhin dal resto del mondo scorreva rapida sotto la sua cavalcatura. Endeth cercava di figurarsi l’abnorme boato di luce dello Shura, la terra che si rialzava e creava quelle montagne, la luce che distruggeva tutto ciò che di Anorhin aveva, ma non ci riusciva. Eppure la prova inconfutabile di tutta quella potenza era sotto i suoi occhi: Una ferita profonda, un monito antico impresso nella terra. Se solo fossi stato più forte! mormorò tra sé e sé, costringendo il riluttante grifo a scendere di quota.

    Oltre le montagne spaziava il nulla a perdita d’occhio. Un’immensa distesa bianca, granelli della civiltà Anorhin. Era bastato un attimo d’irreparabile superbia per far concludere un’Era. Ras-Anor era stata trasformata in un freddo deserto di ricordi, che erano svaniti nelle menti delle razze più effimere, ma che erano ancora impressi a caratteri d’odio in quelle delle razze più longeve. Endeth ringhiò, combattuto da millenni di passioni che divoravano il suo cuore.

    Il gelido vento attenuò la presa, e il grifo riuscì a planare pian piano a una ventina di metri dal suolo. Endeth sentì le labbra e le dita ravvivarsi dello scorrere del sangue, e tornare alla vita con dolore, il suo corpo si rinvigorì di colpo, e gli incantesimi protettivi fluirono più forti di prima, ma nonostante tutto non riusciva a togliersi di dosso l’ansia e il dubbio. Scacciò le voci detrattrici, e avvistò il punto esatto dove l’antica Torre del Concilio restava millenni prima, chiuse gli occhi, e immaginò di ritrovarsela di fronte ancora intatta, con le sue guglie di pietra blu, le punte ricamate d’intarsi magnifici e potere, i colori, l’imponenza che incuteva timore e rispetto. Cercò di ricordare la superbia che solo gli architetti Anorhin potevano imprimere nelle loro creazioni, ma quando riaprì gli occhi potè solo sentire il fluire dell’etere che gli segnalava il punto esatto. Un singulto involontario di gola. Inspirò a fondo, e ordinò alla sua cavalcatura di scendere di quota.

    Gli artigli del grifo ghermirono manciate di sassolini, prima che potessero piantarsi ben saldi, e consentire a Endeth di smontare. L’uccello pigolò esausto e si accoccolò a terra. Nonostante la stanchezza e la durezza del tragitto compiuto, il grifo mantenne intatta fierezza e portamento regale, che solo gli allevatori di Gilnar potevano imprimere.

    Endeth lo fissò per qualche secondo, regalandogli una prolungata carezza sul collo pennuto e sul becco adunco. Tirò fuori dalle bisacce un pezzo di carne, divorato poi dall’animale in poche boccate. Bene. Di nuovo qui disse Endeth voltandosi. Di nuovo a casa, madre. Spalancò le braccia alla fredda brezza che spirava sin dentro ai sassi, e una lacrima solitaria si congelò lungo la guancia. Non era mai stato a Ras-Anor durante la sua infanzia, ma solo in età adulta, e non ne aveva piacevole ricordo: Ras-Anor rappresentava l’inizio della sua lunga e tormentata prigionia, ma era il suo luogo natio, e nulla poteva impedire al suo sangue di scorrere e riportargli all’animo una nostalgica sensazione.

    A Esphira aveva imparato a sopire il lato Anorhin ereditato dalla madre, ma non a sentirsi a casa. Gli sguardi ambigui e malevoli degli Elfi di Laura non erano mai cessati, nonostante il suo impegno per la loro causa. Blen’Athan gli era stato vicino, come un padre e un maestro, ma nemmeno il leggendario drago aveva potuto fare granchè per lenire le sue pene, anzi, in qualche modo lo aveva tradito.

    Il buio dell’Endiness lo aveva abbracciato e coccolato per più di seimila anni. In quel buio supremo e vischioso aveva atteso, gridato, lottato e sperato, ma il suo mentore e maestro non aveva fatto nulla per liberarlo, nemmeno quando la guerra aveva avuto una fine. Lo aveva lasciato nel suo tormento, ben sapendo cosa comportasse lo stare in un luogo senza tempo né spazio, circondato dal buio più assoluto, e cosciente di se stesso. Questo Endeth non glielo poteva perdonare.

    Con un gesto quasi istintivo trasse dalle tasche il meccanismo a mulino che Blen’Athan aveva lasciato nel pennacchio dell’ascia d’oro degli Ordokh. Sapeva benissimo cos’era, e a cosa serviva. Blen’Athan aveva forgiato l’ascia d’oro per un preciso scopo: Suggellare un’alleanza duratura con gli Ordokh, e dar loro modo di chiedere aiuto ai Draghi in caso di bisogno, sfruttando quel meccanismo che emanava un richiamo che solo i Draghi potevano sentire. Endeth era stato tentato più volte di utilizzarlo per trovarsi faccia a faccia con il suo antico maestro e chiedergli spiegazioni, ma aveva desistito. Avrebbe usato quella risorsa in futuro, quando più gli sarebbe tornato comodo. Adesso aveva ben altro a cui pensare.

    Blen’Athan lo avrebbe tradito ancora, lo sapeva. Lo sapeva da come si era alleato con Nike, Laura e Primo, da come si era mosso in quei mesi. Blen’Athan aveva paura di lui, così come Laura e Primo. Temevano di perdere la posizione acquisita con l’andare dei secoli, si erano fatti scudo delle loro distorte idee, per non vedere ciò che il futuro aveva in serbo per l’intero mondo. Stolti e ciechi, immeritevoli di compassione.

    Endeth scosse il capo, scacciando i pensieri negativi e ricordandosi del perchè si era recato alle rovine di Ras-Anor: Aveva sempre combattuto per la vita e i suoi valori, ma in quel momento non vi era altra alternativa che rinnegare quei valori per un bene superiore.

    Aveva solo metà degli scritti di Zanthor e, per adempiere ai suoi piani, doveva recuperare anche l’altra metà. Troppe variabili di mezzo, impossibili da controllare tutte assieme. Aveva bisogno d’aiuto.

    Per settimane aveva pensato e ripensato, scartato idee e vie alternative, ma alla fine si era arreso. E sia. disse al vento gelido, guardando l’ammasso di ghiaia scricchiolante sotto i suoi piedi. Si concentrò e spalancò le braccia, con i palmi verso l’alto. Recitò a bassa voce una litania antica, richiamando a sé il potere. Si sollevò da terra. I sassi cominciarono a vibrare, a sollevarsi, a vorticare. Persino il grifo dovette spiccare il volo e allontanarsi, per non venir coinvolto in quella manifestazione di potere.

    Una volta raccolto la forza necessaria, Endeth la concentrò sotto di sé, e i sassi obbedirono ai suoi voleri: Sembrò che un terremoto si fosse scatenato in quel deserto.

    Non seppe quanto tempo stette a recitare l’incantesimo, né quante tonnellate di sassi e ghiaia ebbe spostato, ma quando aprì gli occhi si ritrovò sospeso sopra una voragine larga almeno mezzo chilometro e profonda dieci volte tanto. Sorrise per quel poco che la situazione gli concesse, e cominciò a scendere, controllando che il suo planare non venisse influenzato dalle rinvigorite folate di gelo.

    Scese in profondità, e poggiò i piedi su un lastrone di fredda roccia, l’unica cosa che lo Shura non aveva potuto raggiungere, forse per via del potere che in essa ristagnava da millenni: Le fondamenta.

    Con un altro sforzo d’etere cercò l’entrata per quella che poteva sembrare una catacomba e, una volta trovata, la liberò con un incantesimo da tonnellate e tonnellate di detriti: Un’imponente porta di pietra e metallo, su cui spiccavano tre simboli contornati da cerchi e glifi d’avvertimento, che rafforzarono ancor di più la sua convinzione.

    Per un poco stette a rimirare l’entrata, combattendo con la voce che lo ammoniva di tornare indietro. No si convinse. Non sono venuto sin qui per tornarmene indietro. E impose una mano sulla porta.

    L’entrata si aprì verso l’interno, facendo cadere quintali di polvere e sassi. Nemmeno millenni d’inattività avevano intaccato l’intricato meccanismo Anorhin, né il potere che lo alimentava. Endeth rimase in attesa della completa apertura. L’oscurità ghermiva l’antro scavato nelle fondamenta della terra, come monito per chiunque osasse anche solo pensare di entrare. Grugnì irritato contro la sua indecisione e fece un passo avanti. Si ritrovò in un lugubre corridoio, di cui non riusciva a vedere la fine. "Uni-Enis!" recitò, e la luce sviluppata dal suo palmo rischiarò tutto.

    Nemmeno millenni d’isolamento avevano risparmiato quel luogo dal tempo e dalle intemperie. Le pareti del corridoio dovevano essere ricche di fregi e decorazioni, glifi di potere e sigilli incisi dagli architetti Anorhin, ora incrostate e ricoperte da strati e strati di lercio, polvere e calcare. Un tempo luogo curato, intriso di bellezza, ora regno di decadimento, saturo d’un indefinibile e venefico odore.

    Nell’antico passato quel luogo era stato il pilastro portante di Ras-Anor, il fulcro che la sorreggeva, alimentandone la fame di brama e di progresso. Già Endeth sentiva vibrazioni terrificanti d’energia che lo richiamavano a proseguire.

    Endeth camminò a lungo, proseguendo per il corridoio che scendeva pian piano nelle viscere della terra, seguendo un percorso a spirale. Non seppe dirsi quanto era sceso, né quante spire aveva sorpassato. Le pareti che lo accompagnavano nel cammino non gli davano alcuna indicazione. Sebbene sentisse ancora attivi gli Incanti di protezione che impedivano al potere contenuto in quella catacomba di uscire, non poteva non chiedersi se fosse inerte o meno.

    Scese ancora, arrivando a un vicolo cieco: Un calcareo muro grigiastro, levigato dal tempo e dagli spifferi. Impose una mano in avanti e si concentrò. "Rinu-Snabe!" La parete calcarea cominciò a disgregarsi pian piano, come grattata da alacri unghie affilate. Endeth voleva assicurarsi di non essere sepolto vivo da eventuali crolli, e utilizzò tutta la prudenza possibile. Senza spazientirsi riuscì in un’ora a liberare l’entrata per l’ala principale della struttura. La porta che era stata nascosta dal lercio per millenni, adesso si stagliava fiera in tutta la sua minacciosa autorità. Su ogni centimetro del metallo di cui era fatta spiccavano antiche incisioni di pericolo e ammonimento, che invitavano al non entrare senza le dovute precauzioni.

    Endeth impose il palmo sulla lastra di metallo, e le ordinò di farsi da parte. Questa obbedì, e si inabissò nel pavimento, in un sinistro e terrificante scricchiolio di povere frantumata. Eccomi. mormorò infine, sorridendo a mezza bocca.

    Oltre l’entrata vi era una stanza circolare, larga poco più di venti metri di diametro, al cui centro spiccavano tre piedistalli in pietra. Sui piedistalli restavano sospese tre sfere di materiale vetroso, che illuminavano la stanza con opachi sfrigolii magici di viola, grigio e arancione. Endeth rimase con i nervi tesi e i sensi allertati. Le tre sfere pulsavano come cuori, emanando riflessi macabri di potere e sofferenza. Ogni piedistallo era rinchiuso da un campo d’energia magica, generato da sigilli di potere ancora intatti. Sopra di essi, tre antichi glifi pronunciavano tre nomi. Akeron. Trabio. Saga. lesse Endeth.

    I tre Demoni Originali, la nemesi degli Anorhin, erano rimasti rinchiusi in quelle sfere da più di cinquantamila anni. Il loro potere aveva alimentato Ras-Anor sin dalla sua fondazione, continuando a sfavillare anche dopo la sua caduta, disperdendosi negli intricati meccanismi d’assorbimento ancora attivi.

    Quelle tre potenti entità erano per Endeth la soluzione a molti dei suoi problemi. Fece due passi verso i piedistalli, ma si bloccò. Risate lontane e altisonanti lo raggiunsero da ogni dove, e il suo corpo fu scosso da folli fremiti di dannazione. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, ma non si aspettava che le tre entità potessero manifestare il loro potere ancora confinate. Un brivido d’eccitazione lo percosse, al solo pensiero di sfruttarle a suo favore. Le risate folli continuarono a riecheggiare nel suo cranio, e un sibilo serpentesco gli parlò nell’Antica Lingua Anorhin. "Chi... Chi sei?" La sfera che emanava bagliori arancioni si accese più delle altre. Quella sopra cui spiccava il glifo di Trabio.

    Endeth non rispose, rimanendo immobile. Le folli urla nel suo cervello smisero di gridare, facendo posto a un’impenetrabile oscurità, in cui rimase senza battere ciglio. In quel buio poteva vedere solo la sfera grigia su cui spiccava il glifo di Akeron. "Sento in te parte del nostro antico nemico La sfera grigia sfavillò potente. Ma anche parte d’un qualcosa che non riesco a decifrare."

    "Chi sei?" Il buio si dileguò, ed Endeth si ritrovò a fluttuare sopra a quella che riconobbe come la spirale di Prufunda, il regno delle anime eteree dopo la morte. Era stata la sfera viola di Saga a parlare minacciosa. La sua parte razionale sapeva che ciò che stava vedendo e sentendo non faceva parte del Piano Materiale, doveva solo convincere il resto del suo corpo: I tre Demoni non potevano nuocere, finchè la loro essenza fosse stata rinchiusa. La spirale di Prufunda scomparve, e la stanza tornò a essere ciò che era prima. Endeth lanciò un lieve sospiro di sollievo.

    "Chi sei? Perchè sei venuto qui?" chiese ancora Saga, mentre la sua sfera sfavillava d’un violaceo insistente.

    Il mio nome è... Endeth disse, esprimendosi nell’Antica Lingua. Le tre sfere baluginarono un poco e stettero in silenzio. E sono venuto qui... Per sottomettervi al mio servizio!

    Il potere dei tre Demoni si scatenò con violenza: Endeth venne investito da devastanti visioni d’oscurità, grida folli d’agonia e sensazioni di puro terrore. Ancora una volta la sua parte razionale venne messa a dura prova, e lui rimase fermo a farsi dilaniare l’anima. Quasi sorrise, nel vedere i loro vani tentativi di passare oltre il Piano Astrale per raggiungerlo in quello Materiale. Sapeva che non avrebbero mai potuto ucciderlo. Non esistevano, quindi non potevano. I vostri poteri sono ben poca cosa, in quelle condizioni disse. La mia tempra è stata forgiata da seimila anni di Endiness e solitudine! I tre Demoni desistettero, e di nuovo Endeth si ritrovò nella stanza con le tre sfere. Voglio solo parlare con voi, poi deciderete cosa fare dei vostri destini.

    "Che cosa vuoi?" sibilò Trabio. Porti voce di discordia, e io ti lacererò nella follia!

    Io posso offrirvi la tanto bramata libertà disse Endeth. E i corpi che vi sono stati distrutti poco dopo la vostra nascita!

    Le tre sfere si spensero per qualche attimo, e la stanza cadde nell’ombra. La luce viola di Saga sfavillò. Parla!

    Endeth sorrise, e tirò fuori l’ampolla con il liquido biancastro. Frugò con l’altra mano, e trasse un piccolo seme. Tolse il tappo dall’ampolla e poggiò per terra il seme, e fece in modo che una sola goccia di liquido vi cadesse sopra. Fece tre passi indietro, e ammirò il risultato delle sue fatiche.

    Il seme vibrò e si mosse. Un tentacolo vischioso di materia organica spuntò dal seme e lo avviluppò come un lombrico avido di cibo. In pochi attimi il seme raddoppiò di volume, decuplicò, diventando una massa di materia viscida e informe. Tentacoli bianchicci cercavano di ghermirsi a vicenda, mangiandosi l’un l’altro, in un fragore di risucchio e sinistri sibili sbuffanti. La massa crebbe, alimentandosi del seme.

    Endeth sorrise, e si preparò all’inevitabile: Non appena la ‘cosa’ fu grande quanto un neonato, si avventò su di lui con tutti i suoi tentacoli. Endeth non dovette fare altro che imporre una mano. "Hira!" recitò, e il fuoco purificò la creatura.

    Il silenzio calò nella stanza, interrotto solo dal lieve scricchiolio della carcassa carbonizzata. "Che... Che cos’era?" chiese Akeron. La sua sfera grigiastra sembrò quasi sporgersi in avanti.

    "Un senz’etere spiegò Endeth calmo. La base con cui riformerete i vostri corpi."

    I tre Demoni tacquero per qualche attimo. Poi la sfera di Saga si illuminò. "Noi Demoni Originali... Dovremo divenire come quella massa informe!?" La voce distorta dall’ira.

    Gli altri due Demoni erano in procinto di ribattere, ma Endeth parlò per primo. Tramite la materia contenuta in quest’ampolla potrete riformare i vostri corpi come più vi aggrada. Non è il problema della forma, ma dell’essenza disse. Le vostre essenze senza corpo sono imprigionate nel Piano Astrale dall’incantesimo che i primi Anorhin vi inflissero. Tutte e tre le sfere gorgogliarono irate, al ricordare la loro sorte. Endeth frugò ancora nelle sue bisacce, e trasse fuori tre dischi di metallo dorato ricchi di fregi e incisioni, poi aggiunse: Con questi potremo ovviare alla cosa.

    "Che... Che sono?" sibilò Trabio.

    Sigilli disse Endeth. Quando le vostre essenze entreranno in contatto con la materia, si legheranno a doppio filo con essa, riportandovi sul Piano Materiale. Con l’ausilio di questi sigilli potrete controllare i vostri nuovi corpi, impedendo alla materia di degenerarsi al consumo della vostra energia. Otterrete dei corpi solidi e dei poteri nuovi, come duplicare e contaminare la materia stessa, diventando sempre più forti.

    "È possibile un simile prodigio!? chiese Akeron. Come sei potuto giungere a una simile conclusione?"

    Non è questo il punto, Akeron lo seccò Endeth. Io so cosa vi succederà una volta tornati liberi, ma non vi spiegherò in che modo ho ottenuto questo potere.

    "E allora dicci, creatura tagliò corto Saga, che tra i tre sembrava essere quello più interessato. Dicci cosa voi da noi."

    Quando sarete materia, dovrete sottostare alle leggi del Piano Materiale Endeth giunse le mani dietro la schiena, e spostò il peso da un piede all’altro. Sarete immortali, certo, ma se i vostri nuovi corpi andranno distrutti... Le vostre essenze finirebbero dissolte nell’etere e, quindi, morirete!

    "Morire... Che significa?" chiese Trabio.

    Endeth glissò la domanda e proseguì: La materia composta da questo incantesimo è completamente priva d’etere. Necessita d’etere per potersi sfamare, per esistere e crescere. L’essere che avete appena visto bruciare mi ha attaccato perchè ero l’unica fonte d’etere presente. Una volta assorbita tutta l’etere del seme, ne pretendeva di nuova per crescere!

    "E noi dovremo sottostare a quest’obbligo!? Cercare etere come vermi per sopravvivere!?" disse Akeron, facendo risplendere la sua sfera.

    No disse Endeth. Voi avrete questi. Mostrò ancora i tre dischi e continuò: Questi sigilli impediranno alla materia d’aver fame. Potrete sfruttare i vostri corpi come meglio credete. Il vostro potere alimenterà di per sé la crescita della materia. Diverrete reali e legati al Piano Materiale. Capaci di muovervi, agire e adempiere ai compiti che vi darò.

    "Perchè... Perchè ci proponi la libertà, creatura? disse Saga. Troppo a lungo siamo stati imprigionati in confini troppo stretti... La libertà ci è cara, ma a che prezzo?"

    Sottomissione disse Endeth, in uno sguardo sottile. Ho un mio scopo... E voi mi aiuterete a raggiungerlo.

    "Quale scopo?" insistette Saga.

    Ne sarete presto al corrente continuò Endeth. Allora... Accettate? Un rivolo di sudore freddo solcò la sua guancia, mentre i tre Demoni restavano silenti a pensare, se il suo piano avesse fallito, non sarebbe uscito vivo da lì.

    Trabio lasciò partire una tenue e folle risata.

    "Accettiamo." dissero tutti e tre assieme.

    Endeth dispose i tre sigilli dorati per terra, dentro a tre contenitori di vetro. Poi versò parti eguali di liquido nei contenitori, e fece due passi indietro. La sostanza non reagì, ed Endeth annuì soddisfatto. I tre Demoni lo osservavano senza dire una parola.

    All’interno dei sigilli disse Endeth. Vi è anche la conoscenza del mondo per come è adesso, inclusa la conoscenza della lingua corrente.

    "C-cosa?" sussurrò Trabio.

    Il mondo è mutato parecchio dall’ultima volta che lo avete percepito. spiegò Endeth.

    "C’è del vero nelle tue parole disse Akeron. Da tempo non sentiamo più la sozza presenza dei nostri eterni rivali."

    "Il baratro li ha inghiottiti!" ruggì Trabio. "Inghiottiti!"

    "Un cataclisma ha sconvolto il mondo sopra di noi, ma non abbiamo potuto che sentire lievi bagliori d’energia in questo luogo" continuò Saga. Vuoi forse dire che gli Anorhin si sono estinti?

    Nuove creature camminano e respirano spiegò Endeth. È vero: Gli Anorhin non esistono più, e la lingua che stiamo usando adesso è solo un riflesso lontano del ricordo di ciò che era. Entrando in contato con i sigilli, voi saprete tutti i cambiamenti che sono avvenuti in millenni e millenni di storia. Saprete la lingua corrente e la parlerete come se fosse sempre stata vostra. Conoscerete tutto ciò che vi occorre per muovervi nel nuovo mondo, così da potermi servire al meglio Inspirò a fondo. Era giunto il momento più delicato. Adesso toglierò l’Incanto che lega i vostri involucri ai piedistalli, poi vi farò entrare in contatto con la materia. A quel punto starà a voi rigenerare i vostri corpi come meglio credete. Si avvicinò al piedistallo di Trabio, e cominciò a recitare una nenia armoniosa. Impose le mani su di esso, e sprigionò dai palmi un’aura lucente.

    Il glifo di Trabio si disfece, mentre la luminescenza protettiva svaniva a poco a poco. La sfera di Trabio si poggiò sul piedistallo e rotolò fino al centro. Bene. disse Endeth, andando a ripetere gli stessi gesti sugli altri due piedistalli.

    Endeth raccolse le tre sfere. Erano così piccole, troppo piccole per contenere simili poteri. Poteva sentire il riverbero dell’essenza dei tre Demoni nelle sue mani. Erano lontane vibrazioni di potere riflesso dal Piano Astrale, ma abbastanza forti da farlo fremere. Poteva sentire la smania dei tre salirgli lungo la schiena, e i loro pensieri sfiorargli la mente. Andò verso i contenitori, e vi pose le sfere una a una.

    Il liquido reagì all’istante, mentre i sigilli cominciavano a brillare come piccoli soli. Endeth si fece da parte e ammirò il prodigio: Il liquido avviluppò sfere e sigilli, formando palle di bianca materia in continuo mutamento. Endeth aveva osservato innumerevoli volte i suoi esperimenti, ma mai aveva visto una crescita tanto rapida. È compiuto mormorò tra sé e sé. Ora non si torna indietro.

    Akeron crebbe in statura fino a due metri, per poi allargarsi e solidificare il suo essere in una forma che ricordava un’armatura ricca di punte e spigoli. La sua testa si allungò, formando un elmo appuntito e ghignante. Gli occhi si illuminarono, sfavillando luce oscura. Tutto il suo corpo sembrava ricoperto d’ombra solida, lucente e opaca allo stesso tempo. Un’aura d’oscurità terrificante. Le sue mani di metallo ghermirono l’aria, e dal suo palmo destro si formò un’enorme pendice, che prese forma d’una mazza chiodata. Nella sinistra si allargò uno scudo, che sembrava fatto di null’altro che ombre. Il Demone dell’Oscurità era tornato ad essere ciò che era sempre stato.

    Trabio, il Demone della Follia, si allargò così tanto che Endeth pensò che stesse per scoppiare, poi ridusse le sue dimensioni e divenne cosa vera. Peli marroni comparvero in ogni parte del suo corpo, mentre un muso ferino si faceva strada nella parte superiore. Muscoli e tendini si tesero a nuova vita, e lunghi artigli spuntarono da ogni arto. Ingobbì la sua postura, e le braccia si allungarono oltre il corpo, tanto che le mani toccarono terra. Zanne bavose e occhi bianchi componevano un’espressione bestiale. Il suo naso inspirò aria dopo tanto tempo, e le sue fauci ringhiarono d’urla antiche. Sembrava un enorme orso, la cui voce poteva provocare pazzia in chi la udiva.

    La trasformazione di Saga avvenne quasi in silenzio. La materia si prese il suo tempo per formare un corpo molto simile a quello d’un Umano. Un’aura violacea lo circondava a ogni piccolo cambiamento. Formò le gambe, poi le braccia, toniche e muscolose, che si concludevano con mani dalle lunghe dita affusolate. Un corpo slanciato, sormontato da una testa ovale e proporzionata. Il viso apparve con zigomi perfetti, e occhi sottili, intelligenti, neri. I capelli fino a metà schiena, d’un viola opaco. Un’armatura leggera lo ricopriva, composta da sottili spallacci e piastre sul petto. Saga si guardò le mani e sorrise. Aprì la mano destra avanti a sé, e un’asta si allungò fino a terra e ben oltre la sua testa. All’estremità alta si formò una lunga lama ricurva. Saga strinse la sua falce con un sorriso famelico. Il Demone della Terrore fu l’ultimo a ritornare. Ah! La vita! disse Saga, senza nemmeno rendersi conto d’aver parlato nella lingua corrente.

    Gli altri due Demoni lo guardarono straniti.

    Endeth non si stupì affatto nel rivedere le loro forme così come le aveva viste nella Pietra del Mondo. Avevano ricostruito i loro corpi nell’esatta sembianza d’un tempo. Lanciò loro uno sguardo glaciale, come se si aspettasse qualcosa di previsto.

    Quel qualcosa, infatti, venne da Trabio.

    Il Demone della Follia ringhiò, e spalancò le enormi e sproporzionate braccia. Akeron fissò Endeth con un sorriso invisibile, nascosto dall’elmo, mentre Saga se ne rimaneva sulle sue, con la fronte corrugata e la sottile bocca contratta in una smorfia di sufficienza.

    Endeth allargò la bocca in un sorriso che poteva rivaleggiare con il ghigno di Trabio. Il Demone balzò su di lui, pronto a dilaniarlo, ma a Endeth bastò un sussurro.

    Trabio si fermò a mezz’aria, come bloccato da una mano invisibile. Ruggì furioso, mentre gli altri due Demoni guardavano la scena con espressioni disarmate.

    Endeth sollevò la mano destra verso il Demone sospeso per aria, e lo mandò a sbattere contro la parete. Scatenò una devastante furia di elementi congiunti, e Trabio urlò per un dolore che mai in tutta la sua esistenza aveva provato. Endeth lo fissava deciso, mentre a poco a poco smembrava il suo corpo appena rinato. Aumentò la potenza dei suoi incantesimi, e la pelle del Demone si lacerò, scoprendo ossa e polpa. Le grida riecheggiarono per l’intera catacomba. Le pareti tremarono, mentre pezzi di intonaco e polvere cadevano dal soffitto.

    Akeron e Saga non ebbero il coraggio di intervenire, come se già sapessero la loro sorte se ci avessero provato.

    Endeth si voltò e smise gli incantesimi. Trabio cadde a terra con un tonfo scricchiolante, e rimase lì ad ansimare. Il suo aspetto da orso era stato cancellato, sostituito da un corpo mutilato e scarnificato. Era ancora vivo. Adesso sai cosa si prova disse Endeth, voltandosi di nuovo verso i Demoni. Volevi sapere cos’era la morte!? Ci sei andato vicino Fissò gli altri due, poi quel poco di occhi che a Trabio rimanevano. Ora rigenerati! ordinò.

    Il corpo di Trabio venne scosso da fremiti, e cominciò a ricomporsi. In pochi minuti riebbe il suo aspetto terrificante, ma nel suo sguardo non vi era più la determinazione omicida, ma solo un terrore che nemmeno lui riusciva a capire.

    Ma cosa hai... Tu, creatura inferiore... Come hai potuto avere il potere di... sussurrò Akeron, venendo interrotto da una risata altisonante di Saga.

    Lo trovi divertente, Saga? disse Endeth.

    Tu hai... I sigilli Saga smise di ridere, mentre Akeron e Trabio lo fissavano senza capire. Ci hai ingannati Endeth dischiuse la bocca in un mezzo sorriso. Saga continuò: Avevo supposto sin dall’inizio che avevi un piano, Endeth, creatura sconosciuta. Per questo non ti ho attaccato. Non potevo credere che una creatura inferiore credesse che noi, i Demoni Originali, ci sottomettessimo con tanta facilità.

    Esatto disse Endeth. I sigilli con cui ho legato i vostri corpi ai vari Piani Magici, servivano allo scopo che vi ho detto. I vostri poteri non sono cambiati, siete gli stessi potentissimi Demoni che terrificavano gli Anorhin, e che porteranno il caos in questo mondo bisognoso! Solo che i vostri corpi si rifiuteranno di nuocere a me, e ai miei scopi!

    Quindi... Se togliamo i sigilli... fece Akeron.

    Endeth lo bloccò con un gesto. Fate pure, se tenete alla morte disse. I sigilli tengono assieme i vostri corpi e le vostre essenze. Se li togliete in qualche modo... Le vostre essenze verranno disperse nell’etere, e morirete. Se non mi credi, Akeron, non hai che da provare. Se ci riesci, naturalmente.

    I tre Demoni non dissero nulla. Erano stati imprigionati per troppo tempo. Non erano avvezzi. I loro esseri non potevano comprendere a pieno. Endeth era la prima creatura che vedevano dopo millenni e millenni, un mistero indecifrabile. Perchè dovremmo obbedirti, creatura? disse Trabio, dopo aver ripreso un poco di coraggio. A che serve la nostra esistenza, se non possiamo mescolarci nei nostri canali di preferenza? Cosa sono io, senza la follia che provoco con il mio potere? Perchè esisterei, se non per questo? Le parole di Trabio furono accolte dagli altri due con gesti del capo.

    Endeth sorrise. Ma io non ho mai accennato al fatto che non dobbiate essere ciò che siete nati per essere!

    E allora cosa vuoi da noi? sibilò Akeron.

    Una piaga disse Endeth. Io voglio che voi prendiate possesso del mondo, che lo sconvolgiate! Dovrete impregnare il mondo della vostra furia e della vostra essenza, nulla più! Io vi dirò dove e quando agire, ma per il resto sarete liberi di fare i vostri comodi, a patto che non disturbiate i miei piani. E, inoltre... Sorrise famelico. Avrete l’occasione di vendicarvi di colei che vi tradì millenni fa!

    Albion! gridarono i Demoni.

    Ella cammina su questo mondo, ed è un impedimento ai miei piani. Ella ha preso possesso del corpo d’una creatura, regalandogli poteri pari ai vostri! Albion sarà una delle priorità di cui dovrete occuparvi.

    La traditrice! disse Trabio.

    Cinquantamila anni di prigionia per il suo tradimento! sibilò Akeron.

    Cosa vuoi che facciamo? chiese infine Saga.

    Endeth allargò le braccia. Il suo piano si era concluso al meglio: Ora aveva i tre potenti Demoni Originali al suo servizio. Non doveva fare altro che guidarli là dove più gli serviva. "Avete il potere di plasmare la materia senz’etere. Alghess. Così sono chiamati gli esseri senz’etere! Voglio che ognuno di voi crei una legione. Voglio che le razze di questo mondo siano sconvolte da un cataclisma di proporzioni epiche! Contaminate i loro corpi, e nuovi Alghess rinasceranno al vostro servizio! Solo voi avrete il potere di controllare gli Alghess che creerete! Diffondetevi! Voglio vedere questo mondo bruciare!" Li fissò tutti e tre negli occhi, e vide le sue parole fare presa come fiamme sulla carta.

    Qual è il tuo scopo, Endeth? chiese Saga.

    Questo non vi deve interessare. disse Endeth.

    Saga si passò un dito sulle labbra Ma se non ce lo dici, come possiamo capire che con le nostre azioni non lo intralceremo?

    Se farete qualcosa che mi intralcerà, sarete i primi a saperlo. rispose Endeth.

    Saga ridacchiò sarcastico, mentre i suoi occhi neri indugiavano sulla faccia di Endeth.

    E poi... Quando il tuo scopo sarà concluso disse Akeron. Che ne sarà di noi?

    Sarete liberi dalla mia influenza rispose Endeth. Liberi di mischiarvi nel vostro essere come meglio credete.

    Però... Una volta liberi continuò Saga. Cosa ci impedirà di torturarti in eterno per ciò che ci hai fatto!? Gli altri due trasalirono, come se Saga avesse colto i loro pensieri più nascosti, per spiattellarli all’unica creatura che poteva distruggerli.

    Endeth sorrise, e lo fissò di rimando. Questo non sarà un mio problema, Saga. disse. Passò qualche minuto di silenzio, prima che Endeth tornasse a parlare. Vi porterò in luoghi a me congeniali, e lì comincerete. Tu, Trabio, sarai il primo.

    Trabio sollevò il capo ferino. Dì ciò che devo fare, Endeth. Io lo farò. rispose.

    Bene. disse Endeth. Poi s’immerse nell’oscurità del corridoio d’uscita. I Demoni lo seguirono, senza che riuscissero a vedere la sua espressione, rosa dalla paura.

    CAP 2 - RISPETTARE LE PROMESSE -

    Nike non si sarebbe certo aspettato di passare un compleanno del genere, ma almeno era stato un modo come un altro per uscire dalla monotonia. Il vento gelido di Novembre gli scompigliava i lunghi capelli corvini, e gli solleticava l’incolta e sparuta barba sulle guance. I suoi occhi, d’un intenso azzurro, spaziavano per le alte creste dei monti Norannici, come se cercassero qualcosa. I suoi sensi erano allertati, induriti e allenati da mesi e mesi d’addestramento. Cercava una qualsiasi minaccia nell’aria, anche un piccolo accenno di pericolo, ma alla fine decise che non era il caso d’essere tanto teso. Maledisse Blen’Athan per quella costante sensazione di pericolo e si rilassò.

    Minna volava rapida e decisa sopra le nubi, portandolo verso l’Ecaron. Le potenti ali membranose sbattevano senza sosta, spostando l’enorme corpo della dragonessa. Ai fianchi volavano Hempius ed Edric, con i loro carichi: Arian se ne stava sdraiato sulla groppa di Edric, immerso nei suoi pensieri. Le mani dietro la testa e le catene-sigillo penzoloni ai lati del collo del drago. Faceva oscillare la gamba accavallata, come se stare a chilometri di quota non fosse un problema. Roxanne, invece, se ne stava dritta e impettita tra le scapole di Hempius, assaporando ogni metro di quel volo, e pregustando il motivo per cui erano fuggiti da Esphira di nascosto.

    Nike fissò Roxanne, e scosse il capo. Erano più di sei mesi che stavano insieme giorno e notte, ma ancora non ne era venuto a capo. Roxanne riusciva sempre a fargli fare le cose più improbabili. - Una promessa è una promessa. - si ripeteva, giustificando la fuga da Blen’Athan, Thiladoras, Atlas, e gli altri Antichi Protettori di Esphira.

    Per mesi e mesi si era addestrato a Esphira, e i suoi progressi avevano inorgoglito non poco l’antico drago e la regina degli Elfi, Laura. Aveva organizzato quella piccola fuga con Roxanne e Arian da settimane, e ora si pregustava quella tenue e breve libertà con tutto se stesso. Edric, Minna e Hempius si erano offerti di accompagnarli. Senza di loro avrebbero fatto ben poca strada. I tre cuccioli di drago sapevano bene che Blen’Athan li avrebbe puniti, ma a loro non importava granchè. In quei mesi l’amicizia con Nike si era rafforzata a tal punto da indurli a non temere più alcuna rappresaglia del re dei cieli.

    Nike si accorse che Roxanne lo stava fissando a sua volta, con uno sguardo malizioso e intrigante. Il vento gelido le muoveva la chioma riccioluta come tante onde, e il freddo la costringeva a stare chiusa a braccia conserte, diritta come un palo. Il suo sorriso era radioso come sempre. Nike scosse il capo e tornò a guardare avanti. Inspirò a fondo, e si sporse per guardare di sotto. - Sarà ancora vivo? - si chiese, fissando un fagotto che penzolava dagli artigli di Minna. - Bah... Poco male. - Scrollò le spalle e indicò avanti. Siamo arrivati! disse a Minna, che scese rapida di quota.

    L’Ecaron se ne stava imponente in mezzo all’enorme fossa tra i monti Norannici settentrionali, con il suo piedistallo di pietra sospeso nel vuoto da due fili di roccia bruna. Arian si alzò in piedi. Cominciò a gesticolare. "La barriera!" gridò.

    Minna stava già scendendo in picchiata verso il piazzale formato dalle mura pentagonali dell’Ecaron e la torre, quando Nike cominciò a gridarle di rallentare e atterrare altrove. La dragonessa obbedì, e planò leggiadra verso il crostone di roccia da cui partiva il ponte roccioso sud. Atterrò, facendo ben attenzione a non schiacciare il fagotto sotto il suo peso. Hempius ed Edric fecero altrettanto. Che t’è saltato in mente? inveì Arian. Non ti ricordi delle protezioni?

    Nike lo liquidò con un gesto della mano. Ero sovrappensiero. Scese da Minna, e andò a raccogliere il fagotto, mentre Roxanne scendeva da Hempius e lo ringraziava per il volo.

    Ma mi spiegate perchè siamo venuti qui? chiese Roxanne. Non abbiamo tempo per allungare il viaggio! Non potete ignorare i richiami di Blen’Athan troppo a lungo. Come se avesse chiamato lei stessa il drago, la tasca di Nike prese a fischiare.

    Che fai? Non rispondi nemmeno stavolta? chiese Arian sorridendo.

    No disse Nike, ignorando per l’ennesima volta il fischio della sfera di comunicazione. Dammi una mano a portarlo. Arian e Nike si caricarono sulle spalle il fagotto.

    Dovremmo cercare lo Sciacallo! inveì Roxanne. Che ci facciamo qui?

    È per questo che siamo qui. Non parlare e seguici! la seccò Arian.

    Aspettateci qui, non ci metteremo molto. disse poi Nike ai draghi.

    L’Ecaron spalancò le sue porte al comando di Arian, e i tre incedettero spediti verso la torre centrale. La fortezza era deserta, poiché Nike aveva ucciso a suo tempo ogni suo abitante. Nike aveva sempre provato un timore reverenziale per quella struttura, ma in quel momento non sentiva alcunchè. Non aveva più la stessa attrattiva d’un tempo. Non era più l’antica e sacra tomba di Omis, primo Imperatore, e suo antenato da parte di madre.

    Ora che Nike sapeva aveva cominciato a rivalutare ogni sua conoscenza su tutto ciò che riguardava l’Impero e le sue leggende, la sua storia e i suoi miti. Adesso per Nike l’Impero era qualcosa di lontano, fasullo, un miraggio creato per menti deboli, per gli stolti. Lui, che era il legittimo e unico erede al trono, era quello che meno credeva in ciò che doveva essere suo per diritto di nascita. Quella nuova consapevolezza gli aveva creato un’armatura d’indifferenza, un’ovattata sensazione di disinteresse. Per Nike, adesso, l’Ecaron era il luogo dove le razze erano state create. Il luogo dove Zanthor aveva cominciato i suoi esperimenti sull’etere. Il luogo dove tutta l’attuale storia del mondo era cominciata.

    Entrarono nel corridoio illuminato da lanterne magiche verdognole e si diressero verso la stanza della colonna rotante. Il ronzio, che tanto aveva infastidito Nike durante la sua permanenza in quel luogo, tornò a martellargli le orecchie. Muoviamoci... O giuro che abbatto quella dannata colonna!

    Arian ridacchiò. Primo ti bollirebbe nell’olio, se lo facessi.

    Al solo sentire quel nome Nike sentì un fremito lungo la schiena: Primo. Lord Primo. Il consigliere dell’imperatore. Colui che credeva l’uomo più carismatico e importante dell’intero Impero. Un Anorhin. Suo padre. Lo aveva scoperto per caso, grazie alle parole velenose di Exan. Non riusciva a crederci, né a provare un benchè minimo sentimento di perdono o affetto. Non lo vedeva da mesi, e la cosa non gli dispiaceva affatto. Gli era già stato difficile perdonare Blen’Athan e Laura per non averglielo detto.

    Eccoci. disse Arian. La sala centrale dell’Ecaron era tale e quale a come Nike se la ricordava, con le sue aperture poste su due livelli, la scala discendente che portava verso le varie sale sotterranee, e quella colonna pentagonale in perenne rotazione, che ronzava come un’ape ad ogni spostamento.

    Nike guardò Roxanne. La ragazza era rimasta a bocca aperta. Mai stata in questo posto? le chiese.

    No, mai. disse lei.

    Beh... non ti auguro di starci per più di dieci minuti. Andiamo.

    Nike e Arian presero a salire le scale che portavano al piano superiore, diretti verso la sala di Reblivio. Roxanne al seguito. Ma cosa stiamo facendo qui? Avanti, dimmelo e almeno non domando più! disse Roxanne.

    Qui dentro c’è un modo infallibile per sapere dove si trova lo Sciacallo disse Arian asciutto. "Vieni e lo vedrai presto. Noath Sacèrna!" Arian aprì la porta della sala e lo specchio d’acqua di Reblivio fu subito visibile. I due ragazzi gettarono a terra il fagotto e si massaggiarono le spalle anchilosate dal freddo e dalla fatica.

    Ma che roba è? chiese Roxanne.

    Non avevi detto che non avresti domandato più!? rispose Arian acido. Roxanne grugnì irritata e guardò Nike per chiedere aiuto, ma Nike era troppo impegnato a slegare i lacci del fagotto per badarle. È ancora vivo? chiese poi Arian.

    Nike scoprì il contenuto del fagotto, e un uomo dall’aspetto malandato ne uscì fuori. Gli tastò il collo e annuì. Roxanne, sei sicura che questo qui conosce il vero nome dello Sciacallo!? chiese.

    Sì. I messaggeri sanno i nomi di tutti gli assassini al soldo dell’organizzazione... ma cosa ci facciamo col nome dello Sciacallo? Dobbiamo trovarlo, non perdere tempo!

    Nike le sorrise comprensivo e si rivolse ad Arian. Sveglialo. disse.

    L’uomo era uno dei tanti messaggeri delle Lame d’Ombra, un galoppino che doveva portare messaggi ai vari assassini sparsi per tutto il Duriel. Roxanne aveva spiegato in quei mesi il funzionamento delle Lame d’Ombra, e Nike aveva pianificato il rapimento sulla base delle sue informazioni. Trovare lo Sciacallo sarebbe stata cosa impossibile, o quantomeno dispendiosa in termini di tempo, dato che poteva usufruire di centinaia di nascondigli, perciò erano stati costretti a prendere uno dei messaggeri. Lo avevano da poco prelevato nei pressi di Aijryn – su informazione di Roxanne –, e lo avevano addormentato e infagottato, per poi portarlo lì. Nike sperava che quell’uomo potesse essere d’aiuto per ritrovare lo Sciacallo, in modo da arrivare al capo delle Lame d’Ombra, così da liberare Roxanne dal suo più grande problema.

    "Belemiathon!" recitò Arian.

    Gli occhi dell’uomo si aprirono di scatto. Il suo sguardo saettò a destra e sinistra, frastornato. Lo avevano trovato in riva al fiume nei pressi di Aijryn, e Arian lo aveva addormento senza nemmeno dargli il tempo di rendersene conto. Il suo risveglio, infatti, non fu affatto piacevole. C-che... Chi... Siete... Io... D-dove sono? balbettò, rendendosi conto di essere con il busto dentro a un sacco. L-liberatemi subito, o... I suoi occhi si posarono su Roxanne, e subito la sua espressione cambiò. Tu!? Roxanne lo fissò seria, senza parlare. Tu hai fatto questo!? Cagna! Puttana! Cosa volete?

    Nike lo zittì subito, agguantando per il sacco e sollevandolo in piedi. L’uomo caracollò un poco, ma riusci a starsene ritto. Che volete da me? Che posto è questo? Era nel panico e non riusciva a capire. Nike ed Arian avevano uno sguardo minaccioso, ma l’uomo non poteva fare altro che guardare Roxanne. Ti uccideranno per questo! Ti troveremo e ti spelleremo viva! La tua pelle verrà messa sul pavimento della casa del capo!

    Ma quanto parla questo! Nike lo colpì con un ceffone e lo zittì.

    Senti, amico continuò Arian. Noi vogliamo solo un nome, un nome di un uomo che lavora per le Lame d’Ombra.

    L’uomo sbiancò come un cencio, poi balbettò qualche parola incoerente. Nei suoi occhi c’era il panico, ma non disse una parola.

    Vogliamo sapere il vero nome dell’assassino chiamato Sciacallo. disse Nike, sbattendolo contro il muro della sala.

    I-io... non lo so! Non conosco questo Sciacallo inveì l’uomo.

    Bugiardo! intervenne Roxanne. Tu sai i nomi di tutti noi! Sputalo!

    Arian disse Nike. Puoi leggergli dentro il nome, no!?

    Roxanne scosse il capo. Ha una protezione mentale parecchio efficace disse. Caveresti ben poco.

    Per la prima volta l’uomo ebbe un abbozzo di sorriso e riprese un poco di colore. Cani! Liberatemi subito! Non avrete nulla da me!

    Stettero un poco in silenzio a pensare, mentre l’uomo respirava affannoso e li guardava con odio. Alla fine Arian sospirò ed allargò le braccia. E va bene disse. Nike, Roxanne... potete uscire dalla sala?

    Nike lo guardò di traverso, Roxanne un poco stupita. Che hai in mente? gli chiese Nike. Arian non rispose, sorridendogli famelico. L’uomo non comprese e si irrigidì sul posto. Nike annuì. Come vuoi. Roxanne, andiamo!

    Nike e Roxanne uscirono dalla sala di Reblivio in silenzio. Appena fuori, Roxanne tirò la mantella di Nike. Ehi, ma si può sapere cosa stiamo facendo? gli chiese dura. Poniamo il caso che quello sputi fuori il vero nome dello Sciacallo, cosa faremo poi?

    Nike non si scompose. Lo andremo a prendere e gli faremo dire tutto ciò che volgiamo sapere. Roxanne sembrò parecchio scettica. Si stiracchiò la schiena, costringendo Nike a guardare altrove. Beh... dato che dobbiamo aspettare, vieni! La invitò a seguirlo, e la scortò davanti alla porta dove una volta dormivano i Cavalieri Grigi. Un brivido freddo gli percosse la schiena. "Noath Sacèrna!" disse e la porta si aprì.

    Roxanne e Nike entrarono nelle sale dormitori e Nike si immaginò di rivedere le carcasse dei Grigi bramare vendetta. Nella stanza c’erano letti in ogni dove, e scrittoi sparsi su ambo i lati. Tutto era in perfetto ordine, come se quelle sale fossero pronte ad accogliere nuovi ospiti. Sediamoci e aspettiamo. disse Nike, cercando di scacciare dalla testa i volti senza vita delle sue vittime.

    Tu credi che Arian riuscirà a cavargli quel nome? chiese la ragazza. Nike annuì, sicuro di sé. Non mi piace la piega che ha preso.

    In che senso?

    Quel demone... Sei sicuro che Arian sia sempre se stesso? Ricordi a Middlend?

    Nike la guardò storto, come se rivangare quel discorso gli arrecasse fitte di dolore. Non preoccuparti, Arian è stato addestrato bene. Passò qualche secondo di silenzio. Roxanne non gli staccò gli occhi di dosso. Che c’è?

    Sei strano disse lei. Ultimamente penso che tu mi stia evitando.

    Nike sgranò gli occhi. E-evitando!? Stai scherzando spero! si difese lui. Come potrei evitarti, dato che dormiamo sotto lo stesso tetto... Anzi... Sotto lo stesso albero!

    È una sensazione mia.

    Rose... Non so se te ne sei accorta, ma... Siamo qui per risolvere i tuoi problemi!

    Lo so benissimo questo! inveì lei. Io dicevo in un altro senso!

    Quale?

    Nel senso che... Non mi... Roxanne guardò per terra, mentre Nike la fissava senza capire. Bah! Lascia perdere! concluse stizzita, voltandosi dall’altra parte.

    Nike inspirò a fondo e cercò di calmarsi. - Io questa non la capisco... È voluta venire lei, e ora fa così. - si disse. Se non mi spieghi, come faccio a capirti? disse poi.

    Infatti non pretendo che tu capisca! rispose lei acida e fredda.

    Nike stava per replicare a tono, ma una vibrazione strana gli salì lungo la schiena, fermandosi sul marchio alla spalla destra. Una gelida sensazione abbracciò entrambi, che si guardarono a vicenda con stupore. C-cos’è? rabbrividì Roxanne.

    Nike lo sapeva, ma non osò dire nulla. La risposta giunse da sola, con un urlo proveniente dalla sala di Reblivio: Ragan! Ragan Polter!

    Nike e Roxanne si precipitarono nella sala di Reblivio. Appena la porta si aprì, videro Arian seduto a gambe incrociate, e il messaggero delle Lame d’Ombra tremante in un angolo. Se ne stava rannicchiato a balbettare un nome: Ragan Polter. Aveva i capelli bianchi, e gli occhi vitrei di chi ha appena visto in faccia la morte. Il suo viso era ricoperto di graffi, che le sue unghie continuavano a scavare a ogni respiro. Arian se ne stava bello tranquillo a meditare, come se cercasse di contenersi. Un’aura scura lo circondava, anche se andava pian piano sparendo. Arian!? disse Nike.

    Arian aprì gli occhi e accennò un flebile sorriso. Nike intravide il riflesso di Albion dentro ai suoi occhi, ma il demone sembrava essere sotto controllo. Ragan Polter disse Arian, richiudendo gli occhi. Datemi ancora qualche minuto... Se intanto Roxanne lo visiona nello specchio, guadagneremo tempo.

    Roxanne non comprese. Non poteva smettere di guardare il messaggero. Non sembrava più lui. Non sembrava nemmeno vivo, ma una sorta di spettro di ciò che era stato. C-che gli hai fatto? chiese.

    Meglio non saperlo disse Nike, prendendola per un braccio e portandola sul ciglio dello specchio d’acqua. Ora fai come ti dico... Nike le spiegò cosa doveva fare.

    Roxanne continuò ad avere un’espressione incredula, ma alla fine decise di dargli retta. "R-Reblivio... Ragan Polter!" recitò sullo specchio, stupendosi poi degli effetti. Lo specchio d’acqua turbinò e rimandò un’immagine. Roxanne sgranò gli occhi e lasciò andare un’esclamazione. Lo Sciacallo apparve nello specchio, seduto su una specie di panca in un luogo scuro e lugubre. Stava mangiando del pane con avidità.

    Nike si sporse e lo vide tale e quale lo ricordava: La stessa faccia animalesca, lo stesso portamento ferino, ma non più un essere pericoloso e temibile. La sua mano destra mancava di due dita – che Roxanne gli aveva tagliato via nel loro ultimo incontro – e con quella teneva una brocca d’acqua da cui tracannava copiosi sorsi. Nike lasciò che Roxanne smettesse di balbettare, prima di chiedere. Dov’è? Riconosci il posto?

    Roxanne lo guardò allibita, poi sembrò ritornare in sé. Ma... Ma cosa è?

    Non fare troppe domande... Sai dov’è lo Sciacallo? Riconosci il posto?

    Roxanne rimise gli occhi alla scena e cercò di analizzare i dettagli. Il luogo che attorniava lo Sciacallo sembrava una caverna, ma Nike sapeva che Roxanne poteva riconoscere ogni nascondiglio che le Lame d’Ombra mettevano a disposizione per i loro assassini. Glielo aveva detto, ed era per quel motivo che aveva escogitato quel piano. La ragazza stette a pensare per qualche minuto, poi sembrò illuminarsi di comprensione. Ci sono! esclamò. So dov’è! Ne ho la certezza!

    Nike si sporse verso lo specchio, facendo comparire la sua faccia sulla spalla sinistra della ragazza. Da cosa lo vedi?

    Roxanne si volse verso di lui e lo fissò per qualche attimo a pochi centimetri. Nike si accorse di starle guardando la bocca, e imbarazzato si ritrasse. Roxanne sbuffò dal naso. I riflessi disse, con un tono di voce scocciato. Quarzo. Vedi quei riflessi giallognoli?

    Nike cercò di focalizzare e vide dei riflessi giallognoli appena accennati sul muro. Annuì e grugnì.

    Quel tipo di quarzo si forma solo in presenza di una sorta dei riscaldamento del ferro... O almeno così ricordo da ciò che mi hanno insegnato Roxanne si fermò un attimo per pensare. Gli unici luoghi dove si trova del ferro sono i Colli Grigi di Middlend, e i Colli Manor di Speona.

    E quindi? chiese Nike.

    Lo Sciacallo si trova sui Colli Grigi. C’è solo un nascondiglio. Sorrise famelica.

    Nike annuì. Bene... Adesso sappiamo dov’è. Toccò lo specchio d’acqua e lo increspò, facendo scomparire l’immagine. Si rimise dritto e si volse ad Arian. Che ne facciamo di questo qui?

    Devi chiederlo a me? rispose Arian senza scomporsi.

    Nike annuì deciso e sfilò Ascalon dalla nuova fodera che Laura gli aveva regalato. Si avvicinò all’uomo, che ancora se ne stava tremante in un angolo. Nemmeno alzò gli occhi per guardarlo, tant’era terrificato da chissà quali pensieri. Non era certo la morte a spaventarlo in quel momento, ma qualcosa di più terribile. Nike lo fissò per qualche secondo negli occhi, poi gli conficcò la spada nel petto senza pensare a niente. Sentì Ascalon risucchiargli via la vita, e un fremito lo percosse da capo a piedi, come se l’energia vitale dell’uomo fosse entrata a far parte della sua. Ritrasse la lama ancora linda e pulita e la ripose al suo posto. L’uomo cadde a terra senza vita, e Nike lo prese per una caviglia. Roxanne lo aveva guardato per tutto il tempo senza dire una parola, né inorridita, né toccata da quella scena.

    La porta dell’Ecaron si spalancò ancora, e i tre uscirono sul ponte di pietra. Nike si trascinava dietro il corpo dell’uomo, mentre Roxanne e Arian lo seguivano a ruota. - E ora? - pensò Nike. - Andare ai Colli Grigi è un altro paio di maniche... Non possiamo stare fuori da Esphira troppo a lungo. - Endeth lo preoccupava, così come tante altre cose. Per sei mesi non era successo nulla, e incominciava a maturare l’idea che Endeth avesse in mente un piano terribile. La metà degli Scritti di Zanthor erano al sicuro nel Gildèrion, e Nike sapeva bene che Endeth li voleva, ma fino a quel momento non v’era stato nemmeno un accenno di battaglia, nemmeno un Elfo reietto in vista. Niente di niente. Doveva solo aspettare, ma la pazienza non era mai stato il suo punto forte. Avrebbe tanto voluto sapere cosa Endeth aveva in mente, ma nemmeno Laura e Blen’Athan avevano una piccola idea in proposito. Sapevano solo che Endeth sarebbe venuto a riprendere l’altra parte degli Scritti di Zanthor, ma non sapevano se il suo piano finale comprendeva anche altri passaggi, che magari stava compiendo proprio in quei momenti a loro totale insaputa. Quel pensiero lo faceva fremere come una foglia al vento: Il pensiero d’essere impotente e ignorante, messo in mezzo a un grande gioco.

    La sua tasca prese a fischiare ancora, ma stavolta Nike non la ignorò. Si fermò in mezzo al ponte e trasse fuori la sfera di comunicazione. Il nome di Blen’Athan galleggiava in mezzo alla nebbia. Lo chiamò. "Si può sapere dove sei!?" Il grido del drago arrivò con prepotenza.

    Dovevo rispettare una promessa. rispose Nike placido e indifferente.

    "Sentimi bene, Nike" continuò Blen’Athan con faccia arcigna. Posso capire che sei sconvolto da ciò che ti ho detto, ma non devi mai e poi mai lasciare Esphira senza il mio permesso! E portando con te Edric e gli altri, per giunta!

    Non è per quello che mi hai detto che sono andato via... Dovevo rispettare una promessa fatta a Rose ribadì Nike. E ti pregherei di non parlare di certe cose in presenza d’altri. Occhieggiò Roxanne e fece una smorfia infastidita.

    "Torna immediatamente qui!"

    Dobbiamo concludere il lavoro.

    "Ci sono grandi novità di cui devi venire a conoscenza! Sbrigati e torna subito qui! È un ordine!"

    Nike fissò la faccia Umana di Blen’Athan per qualche secondo, poi annuì. Che genere di novità? Guardò Arian e Roxanne. I due stavano di sicuro sentendo ogni parola. Roxanne aveva una faccia rassegnata. Sapeva bene che la sua libertà dalle Lame d’Ombra aveva una minore priorità rispetto alle faccende di Endeth.

    "Torna il prima possibile e le saprai!" Così com’era apparsa, la faccia di Blen’Athan tornò a essere nebbia.

    Tsè! Nike si ricacciò la sfera in tasca e guardo i compagni. Dobbiamo tornare a Esphira. Ci sono novità. Arian annuì, così come Roxanne, anche se meno convinta. Rose... riprenderemo il lavoro più avanti. Adesso sappiamo dov’è lo Sciacallo.

    Già rispose lei. Se sarà ancora lì, quando lo cercheremo. Abbassò il capo e lo superò, dirigendosi verso Minna e gli altri due draghi, che li stavano aspettando dall’altra parte del ponte.

    Arian si fece vicino a Nike, e gli pose una mano sulla spalla. Non prendertela gli disse. Non è detto che gli Scritti di Zanthor siano la verità assoluta. Ci sarà un altro modo per ottenere il pieno potere del Marchio di Scadia.

    Nike fece per dirgli che non era quella la sua preoccupazione, ma non poteva mentire al suo migliore amico. Girò la faccia verso la schiena di Roxanne e sospirò. Lo spero, Arian... lo spero.

    Arian indicò verso il corpo del messaggero, che Nike si stava trascinando da quando erano usciti. Quello viene via con noi? chiese ironico.

    Nike si ravvide e fissò il cadavere di rimando. Già... meglio di no Con un gesto rapido e noncurante, gettò il corpo di sotto dal ponte. Chissà quanto fondo sarà quest’abisso. disse poi, fissando il corpo sparire nelle tenebre.

    CAP 3 - IL FLAGELLO D’ARLEONIAN -

    Lo schieramento era pronto, il morale alto. Ogni soldato sapeva che la vittoria era a un passo dall’essere raggiunta, e nessuno sentiva l’ansia dell’imminente battaglia. Migliaia e migliaia di soldati appiedati e a cavallo se ne stavano impettiti e ridenti ai loro posti, pronti a eseguire qualsiasi ordine. Arleor si stagliava di fronte a loro, pronta per essere conquistata. Dopo mesi e mesi di battaglie furiose, chilometri di terra macchiata da sangue e morti, la meta era giunta, e le terre d’Arleonian stavano per essere spinte ben oltre l’orlo del baratro. Senes Ablevus Feranold aveva preparato a lungo quel momento, e i suoi gelidi occhi calcolatori spaziavano lungo la linea di soldati per verificare che tutto fosse in ordine. Sei mesi gli erano occorsi per giungere a quel punto, sei mesi di parsimoniosa gestione delle risorse, e strategie impeccabili, ma ne era valsa la pena. L’esercito Arleoniano era stato messo in rotta già nella battaglia di Middlend, e non ci erano voluti molti sforzi per rastrellare le terre nemiche alla ricerca di altri focolai. Sotto il suo comando l’esercito Imperiale aveva ottenuto più vittorie che in secoli di inutili guerre. La fiducia nelle sue capacità era riflessa negli occhi d’ogni soldato e comandante.

    Senes inspirò a fondo l’aria gelida del primo mattino, mentre un pallido sole novembrino riscaldava a malapena le terre gelide d’Arleonian. Se ne stava in contemplazione sul suo destriero bianco, affiancato da Eberon, Lugo, Branemon e Sarinen. Molto del suo futuro era in gioco in quel momento, e il suo piano doveva essere perfetto. La linea era silente e in attesa, mentre lui guardava le mura e i bastioni della capitale Arleoniana. Là, avrebbe fatto i conti con il suo passato e doveva far sì che non interferisse con il suo futuro. Sapeva che ogni cittadino e soldato di Arleor li stava guardando e stava tremando alla vista dell’esercito Imperiale al completo.

    I Marroni schierati nel loro consueto muro d’armature ocra, i Bianchi in una perfetta formazione a cuneo, i Rossi nelle retrovie, i Neri a fare da ombra con le loro vestigia, e gli Azzurri a disporre delle loro conoscenze belliche, con macchine d’assedio, trabucchi e catapulte, pronte a distribuire morte al primo accenno. Infine i Regolari, in prima linea a formare un muro umano che si estendeva per chilometri lungo l’orizzonte. Ogni uomo era stato piazzato per dare l’impressione d’essere invincibile, e a occhi nemici non doveva essere solo un’impressione.

    Un cavaliere Bianco galoppò in sua direzione, e si fermò al suo cospetto. Era il capo della truppa d’esplorazione che aveva mandato in ricognizione attorno ai confini della città. Già dalla sua espressione gioviale si evinceva cosa aveva da dire. Mio signore disse il cavaliere. Non vi sono eserciti nascosti nei dintorni, né alle spalle della città, né ai suoi lati. Tutto l’esercito Arleoniano rimasto deve essere all’interno di Arleor. Non hanno riserve. Se tutto è come abbiamo previsto... Dovremmo essere in vantaggio numerico di cinque ad uno!

    Senes annuì compiaciuto. Ti ringrazio, soldato. Puoi andare.

    Che la luce di Omis guidi il vostro comando! rispose il soldato, voltando il cavallo e andandosene. Senes accolse la frase con un sorriso radioso, che gli servì a nascondere ciò che pensava.

    Che facciamo? fu Eberon a parlare. Potremo spazzarli via solo col numero.

    Non voglio spezzare troppe vite quest’oggi rispose Senes. Se vogliamo avere una pace duratura... Dobbiamo agire in maniera differente.

    E come? chiese Branemon. Con i miei Rossi potremo scardinare le loro difese e radere al suolo quella blasfema città!

    Senes lo calmò con un gesto della mano. Mio caro Branemon disse. Il tuo apporto in questa guerra è stato impeccabile, come sempre. Branemon sembrò gonfiarsi, e Senes continuò: Ma non voglio che sia sparso troppo sangue inutilmente. Dobbiamo già porci nell’ottica che Arleor sia già una città Imperiale, e che gli Arleoniani siano cittadini dell’Impero. Uccideresti degli Imperiali senza motivazione alcuna?

    Branemon chinò il capo e stette in silenzio.

    E allora cosa proponi? Vuoi per caso andare a bussare ai Galar e sederti al loro tavolo!? disse Eberon. Non eri proprio tu che dicevi di non avere pietà!?

    Per i Galar, non per il popolo rispose Senes. Ci sono mille modi per vincere una guerra, anche senza combattere.

    Cosa!? disse Eberon. Senes, stai pensando di entrare in città senza combattere, o ho capito male?

    Più o meno. asserì Senes tranquillo. Gettò un’occhiata rapida a Sarinen, e i due si fecero l’occhiolino ridendo.

    Come fai a dire ciò? continuò Eberon adirato. Ho sempre avuto fiducia in te e nelle tue capacità, e lo hai dimostrato ampiamente in questi mesi! Ma questa è la panzana più grossa che tu abbia mai sputato! Pensavo che avessi finito le panzane già a Ibenon, ma evidentemente mi sbagliavo!

    Panzane!? ironizzò Senes, guardandolo tranquillo. Mi pare che a Ibenon, la mia... Panzana abbia funzionato a meraviglia, no!?

    Eberon grugnì, tra l’irritato e il divertito. A volte mi chiedo a cosa serva un addestramento decennale. si limitò a dire, quasi mortificato. Senes gli sorrise come un bambino, ed Eberon dovette distogliere lo sguardo.

    Feranold, non ci hai ancora detto cosa hai in mente intervenne Adreas Lugo, senza scomporre la sua posa statuaria. Hai qualche piano in proposito? Gli uomini sono disposti e pronti alla battaglia, ma ancora non ci hai detto cosa fare.

    Beh bofonchiò Senes, dando di briglie. Lo vedrete presto. Fidatevi di me.

    Senes! gridò Eberon, intuendone le

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