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Treponema Pallido: le tragiche vicende di un ospedale di provincia episodio n. 2
Treponema Pallido: le tragiche vicende di un ospedale di provincia episodio n. 2
Treponema Pallido: le tragiche vicende di un ospedale di provincia episodio n. 2
E-book206 pagine2 ore

Treponema Pallido: le tragiche vicende di un ospedale di provincia episodio n. 2

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Info su questo ebook

Il Treponema pallido è un microbo del genere delle Spirocheta. È piccolissimo, sottile e arricciato, e, visto al microscopio può sembrare un serpentello. È responsabile della sifilide, malattia subdola ma anche grave se non adeguatamente trattata, fondamentalmente con la Penicillina. Il contagio avviene per via sessuale, ed è presente spesso nei teatri di guerra dove frequentemente si consuma lo stupro etnico. Il Dot. Roversi si trova ad operare una ragazzina rifugiata di guerra ospitata in un centro d'accoglienza, e deve rimuoverle dal polso una piccola formazione, presunta cisti. E scopre invece trattarsi di una gomma luetica, espressione di una sifilide al secondo stadio. È un periodo delicato per lui, si sta separando dalla moglie e ha in corso un trattamento psicoanalitico per cercare di risolvere gli incubi che lo fanno svegliare urlando tutte le notti. L'agente Angelina Carta invece incontra Guido, ragazzo geniale e vulcanico, bello come un angioletto leonardesco venuto male, e se ne invaghisce. I tre dovranno capire come la ragazza bosniaca s'è infettata e quando, e, soprattutto, chi continua ad abusarne.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2023
ISBN9791221499537
Treponema Pallido: le tragiche vicende di un ospedale di provincia episodio n. 2

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    Anteprima del libro

    Treponema Pallido - Franz König

    PSYCO 1

    Nei mesi successivi agli eventi raccontati nei capitoli precedenti, Roversi decise che doveva porre rimedio alla sua insonnia e agli incubi. L’insonnia, la incapacità cronica di dormire era un fatto antico, una patologia dell’adolescenza, lo considerava come ormai una caratteristica della personalità. Non sperava che si risolvesse da un giorno all’altro. Ormai si era cristallizzata nel suo ritmo giorno-notte e probabilmente sarebbe rimasta lì anche negli anni a seguire. Per cui si faceva poche illusioni. Prendeva pillole, gocce, estratti vegetali vari, melatonina, diazepine. Faceva cicli di associazioni di più farmaci , poi li cambiava, da anni, ottenendo sempre lo stesso risultato. Per qualche mese i farmaci funzionavano, poi inesorabilmente la loro efficacia si riduceva e il Doc doveva aumentare il dosaggio, fino a sentirsi rimbambito la mattina, con la testa fumosa, le gambe stanche, e anche il desiderio di stare al mondo ridotto. Ridotto anche il desiderio di coccole e affettuosità. Sara non era assolutamente insensibile a questo stato mentale, lo seguiva protettiva e piena di consigli da sempre, ma anche inconsciamente complice dell’insonnia e della stanchezza, che le lasciavano tutto lo spazio per espandersi con la sua bulimica iperattività cumulativa di oggetti, interessi, amiche, corsi… e non disprezzava anche il minor carico di gestualità sessuale che si realizzava. Il Doc era perennemente assente fra lavoro, libri, officina e insonnia con le sue conseguenze. Sara viveva serena in quel magma piatto dove non c’era la carica del gioco corporeo. Che, in fondo, a lei non era mai piaciuto. Fra le infinite attività che Sara aveva iniziato in quegli anni, da quando era uscita dal mondo del lavoro, ed era andata a vivere in campagna e Anna era uscita di casa per studiare in città, era partita anche una ricerca psicanalitica attuata con una dottoressa amica delle sue amiche, con la quale si incontrava settimanalmente, e che dichiarava di grande interesse, pur senza mai entrare nei dettagli dei contenuti sviluppati nelle sedute, cosa che al Doc sarebbe piaciuta molto, ma non era consentita. Sara dormiva bene, mangiava volentieri, si relazionava splendidamente con il resto del mondo, ma non era mai stata attratta dal desiderio o dalle sue fantasie. E comunque non erano questi i temi che sviluppava durante le sedute con la psicanalista. E copriva con un infinito e morbidissimo manto di cure il suo microcosmo, costituito dalla famiglia, i parenti, le amiche… e per tessere ogni giorno questa affettuosa coperta, lavorava con ferri da calza, lunghissimi chilometri di un filamento fatto di attenzioni, calore, morbidi vestiti e pasti dietetici, consigli, sorrisi e comprensione. Il lavoro del Doc, di trincea, carico di imprevisti e di sangue non le interessava. Difficilmente se ne parlava in casa. La passione di lui per l’officina a lei tornava utile, sia per l’oggettivo servizio effettuato sulla manutenzione della casa, sia per lo spazio che lui si era creato nell’officina, spazio neutrale, non condiviso, area di rispetto reciproco. Più difficile era condividere l’istinto che il Doc aveva per il disegno o le varie arti grafiche, che spesso esitavano in immagini troppo corporee e sensuali per essere accettate. E lui aveva con gli anni affinato la tecnica di dipingere fuori casa, presso amici e luoghi di fortuna, e se portava a casa i lavori completati, questi erano valutati positivamente solo se a tema neutro, fiori, paesaggi, oggetti inanimati. Gli altri disegni, quelli fatti di corpi, grovigli, caricature, membra annodate fra di loro, quelli rimanevano in una cartella archiviata in soffitta. Ma senza conflitti… era come un patto di non belligeranza, una specie di armistizio duraturo e consolidato. Senza farsi troppe domande. Tutto spolverato di una nevicata di zucchero a velo, come un pandoro per Natale. Però Roversi non dormiva e le conseguenze con il tempo diventavano più evidenti. Dimagriva, era perennemente di umore ombroso, spinoso. E gli incubi avevano peggiorato nettamente la situazione. Quelle poche notti di riposo fisico erano diventate impossibili, con risvegli improvvisi con l’urlo gutturale soffocato e la mano di Sara che lo scuoteva per la spalla per farlo risvegliare del tutto e fargli cessare il grido. Così Sara propose che anche lui iniziasse un percorso psicanalitico, e questa parve al Doc un’ottima idea. Sara trovò una collega della sua dottoressa-del-cervello disponibile e organizzò il primo incontro.

    La dottoressa Maria Grazia Cangini era una psicanalista freudiana. Era una donna coetanea con Roversi, castana, occhiali spessi da lettrice fanatica, fisico leggero, espressione severa ma intelligente. Il primo incontro fu a metà del pomeriggio di un giorno d’autunno inoltrato. Roversi suonò il campanello, salì le 6 rampe di scale antiche e aspettò paziente, all’ora concordata, all’ultimo piano di una vecchia casa della città, di fronte a un portone chiuso. Dopo 15 minuti la porta si aprì e uscì una ragazza piangente che infilò le scale di corsa come per nascondersi alla vista del nuovo arrivato. Dietro di lei la Dottoressa, con aria comprensiva e rassegnata.

    -il Dottor Roversi? Si… prego, si accomodi-

    Il doc entrò, e si sedette su una sedia di fronte a una piccolissima scrivania, la Dottoressa si mise al suo posto di direzione, prese un blocco per appunti e una penna, si strofinò gli occhiali con un fazzoletto, incrociò le braccia e disse:

    -prego… mi dica…. In cosa posso esserle utile?-

    -non so. Credo di aver bisogno di qualche consiglio-

    -non diamo consigli… può darsi che lei abbia un problema e che insieme si cerchi il sistema per risolverlo-

    -giusto. Credo di avere qualche problema-

    -me li racconti… se vuole…-

    -non dormo. Non riesco a dormire, e quando ci riesco arrivano gli incubi e passo il resto della notte a inseguirli-

    -interessante…. Vuole parlarmene?-

    -no… non adesso. Non li ho in mente. Però così non può andare avanti. Sono stanchissimo-

    -ci credo. Cosa ne pensa?-

    -penso che non ne posso più di essere quello che hanno deciso altri. Come se qualcuno mi avesse costruito e fatto così, e destinato a rimanere così per sempre, per suo volere, in eterno.-

    -interessante. Parliamone-

    Lo studio era una soffitta piccola e silenziosa, con alle pareti alcune copie di stampe piene di fantasia, Chagall, Zoran Music …… la Dottoressa fece sdraiare Roversi sul lettino freudiano e cominciarono a parlare. Da allora ogni settimana, in genere di mercoledì mattina e venerdì pomeriggio si sono incontrati per approfondire la questione dei sogni, divagando fra gli argomenti più disparati, dalla famiglia, ai genitori, all’arte, alla sessualità… ed è stata una delle più belle esperienze che il Doc dichiara di aver fatto nella vita.

    Guido 2

    L’agente scelto Angelina Carta, dopo la brillante soluzione del caso Dos Santos, era stata trasferita, per volere del Commissario Dal Monte, al dipartimento investigativo di città, anche se in attesa del titolo di studio definitivo. Si era allontanata dalla sede di polizia di provincia con una aureola di rancori e maldicenze, lei, che donna, piccolina, isolana della Sardegna, aggressiva e sola, aveva sputtanato tutto il gruppo dei colleghi più anziani facendo arrestare con prove inoppugnabili un famoso dottore locale, ottenendo una promozione sul campo che nessuno aveva mai osato sperare. Se ne era andata senza un brindisi di addio, anzi, il brindisi fu fatto, con uno spumante dolce comperato al supermercato, dai suoi colleghi, dopo la sua uscita dall’ufficio. Aveva vuotato la scrivania e la casa in affitto, aveva caricato tutto in un furgone preso a noleggio e se ne era andata in città, in un altro appartamentino da single vicino alla questura. Aveva ricostruito il suo angolo di riposo con il letto con la spalliera alta di legno e l’angolo tecnologico con il grosso PC collegato in rete. Aveva rimesso in funzione il vecchio frigorifero e l’aveva riempito di birra Ichnusa. Aveva ripreso a frequentare le palestre, il poligono di tiro, le esercitazioni di guida veloce, i corsi di informatica della Polizia Postale, e dopo una giornata intensa di preparazione fisica e mentale si chiudeva in casa a scrutare le strade più nascoste e difficili del deep. Aveva rivisto il Doc qualche volta dopo la soluzione del caso Dos Santos, avevano passato alcune serate a raccontarsi i dettagli dell’operazione, che lei voleva un giorno scrivere come tesi di diploma investigativo. Avevano messo in atto quei gesti fatti con le mani e con la bocca che esprimevano fiducia e complicità, ma si erano fermati, lei non voleva entrare nel mondo familiare, privato e turbato, di lui, e lui non desiderava niente di più di quello che poteva avere in quei rari momenti, che lo attraevano ma gli facevano anche paura per il contenuto trasgressivo ed esplosivo che percepiva.

    Un sabato mattina di tardo autunno Angelina (Nina per gli amici) era andata a fare la spesa nel negozio del pachistano di fronte a casa sua. Aveva in braccio un grande sacchetto di carta con dentro tanta frutta e bottiglie di birra Ichnusa. Attraversò la strada lontano dalle strisce pedonali, la sacca le pesava, e non si accorse di uno strano veicolo, mezzo furgone e mezzo fuoristrada che usciva da un vicolo laterale, e con uno scatto maldestro, nonostante la bassa velocità, la urtò facendola ruzzolare per terra. Il sacchetto si aprì e il contenuto si disperse sul pavé.

    Lei si rialzò furibonda, pronta ad aggredire il conducente e si vide di fronte un ragazzo sui 30 anni, piccolo, capelli biondissimi e ricci, enormi occhi chiari, la pelle rosea quasi trasparente, vestito di jeans e maglioncino con i gomiti lisi, che si sbracciava disperato chiedendo mille volte scusa, che era tutta colpa sua, non sapeva guidare quel mezzo balordo che usava da pochi giorni, gli era scappata la frizione, non l’aveva proprio vista attraversare la strada, chiedeva scusa diecimila volte. Il ragazzo la tastò per assicurarsi che non avesse nulla di rotto e lei lo lasciò fare, stupita da tutto quel gesticolare di scuse. Il ragazzo raccolse in fretta tutto quello che era caduto, corse nel negozio del pachistano e si fece rifare un pacchetto sostituendo i frutti ammaccati e le bottiglie rotte, pagando di nuovo tutto il pacchetto e chiedendo scusa mille volte anche a lui. Poi volle accompagnare Angelina su per le scale portando il pacchetto e lasciando il mezzo camion sulla strada. Arrivato in cima dovette chiedere ancora mille volte scusa perché in strada si era formata la fila delle macchine dietro al suo automezzo e si fiondò per parcheggiarlo meglio, ma aveva dimenticato la sua giacchetta di jeans dentro la casa di Angelina, per cui dovette risalire le scale di corsa, chiedere ancora scusa, offrirsi di risarcire la ragazza per i danni, pregandola di perdonarlo. Distrutto e pentito, quasi pronto a mettersi a piangere. Angelina aprì una bottiglia di Ichnusa , la lasciò schiumare, e la offrì al biondo

    ricciolino. Pensò che somigliava in modo accattivante a un angioletto leonardesco mal riuscito.

    Lui continuava ad agitarsi scusandosi. Lei lo prese per la spalla.

    -ok. Senti… o ti metti fermo o ti stendo. Ma subito, per favore, che mi fai venire mal di testa. Io sono Nina. Tu chi sei?-

    -Guido. Scusami.-

    -senti… ti calmi adesso o ti devo mettere in testa il sacchetto di carta fino che la CO2 aumenta e ti fa da sedativo?-

    -si, grazie, il sacchetto…. Però mi raccomando, che non oltrepassi i 45 mmHg se no non mi sveglio più. Grazie-

    -i 45 mmHg ?-

    -beh… equivale a un volume respiratorio di quattro litri, circa sei respiri profondi dentro il sacchetto, non oltre, per favore-

    La ragazza rimase sorpresa, sorrise e gli mise il sacchetto sulla testa. Lui respirò profondamente sei volte e lei lo tolse. Guido si era calmato, sorrideva felice come dopo una canna, aveva il volto roseo intenso, le pupille dilatate in mezzo a quell’iride chiara che sembrava d’acqua. Bruttino, pensò Nina, come un angiolotto leonardesco venuto male…. Però…. Trasparente, innocuo.

    -perché 45 ?-

    -perché verso i 50 vado in coma ipercapnico-

    -giusto. Ok. Ti sei calmato? Ce la fai a bere una Ichnusa?-

    -si…. Grazie-

    -sei un tecnico?-

    -no…. Sono ricercatore in bioingegneria. In attesa di concorso. Precario. Praticamente disoccupato. Scusa di nuovo-

    -ok. Scusato. Senti… faccio due malloreddus piccanti, ti va di mangiare?-

    -beh… certo! Io mangio quando capita… anzi, se ricordo bene sono due giorni che non mangio. Cioè… per la verità ieri ho mangiato della lattuga…. E del riso in bianco… mi pare… per cui, in effetti, due spaghetti… se vuoi faccio io… cosa sono quelli lì?-

    - gnocchetti sardi con salsiccia. Stai lì e bevi la birra. Parla…-

    Parlarono durante la preparazione dei malloreddus, tirati

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