Bartleby lo scrivano
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Bartleby è il nome di un grigio, "invisibile" impiegato di Wall Street che, senza fornire spiegazione alcuna, man mano rinuncia al suo lavoro di copista e rimane immobile in silenzio a fissare un muro, imperturbabile a ogni tentativo di persuasione, mite e rispettoso ma graniticamente risoluto. In questo straordinario racconto (fra i più belli dell'intera letteratura americana) Melville dimostra da grande maestro di saper trattare con sottile humour e felice leggerezza anche temi angosciosi e ossessionanti come la follia, la predestinazione, l'incomunicabilità, l'alienazione.
«Un libro triste e veritiero»: come ebbe a dire Jorge Luis Borges di Bartleby lo scrivano.
Herman Melville
Herman Melville was an American novelist, essayist, short story writer and poet. His most notable work, Moby Dick, is regarded as a masterpiece of American literature.
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Bartleby lo scrivano - Herman Melville
Herman Melville
Bartleby lo scrivano
Maree
KKIEN Publishing International
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www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2015
Titolo originale: Bartleby the scrivener. A story of Wall Street (1856)
Traduzione dall’inglese di Bruno Valli
In copertina: foto di Herman Melville, 1857.
ISBN 978-88-99214-364
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Indice
Bartleby lo scrivano
Una storia di Wall Street
Bartleby: un libro triste e veritiero
Bartleby lo scrivano
Una storia di Wall Street
Sono un uomo piuttosto anziano. La natura della mia professione, durante gli ultimi trent’anni, mi ha messo in rapporto abbastanza diretto con una categoria di individui interessanti e alquanto singolari, sui quali finora, almeno per quanto ne so io, non si è mai scritto nulla: alludo agli scrivani, copisti degli avvocati. Ne ho conosciuti moltissimi, sia per motivi professionali che privatamente, e se volessi potrei narrare parecchie storie, che farebbero sorridere le persone allegre e piangere quelle sentimentali. Ma io rinuncio a ogni biografia di scrivano per pochi frammenti della vita di Bartleby, che fu il più bizzarro copista che mai abbia visto, o di cui abbia sentito parlare. Mentre di altri scrivani potrei facilmente narrare la vita intera, nulla del genere è possibile con Bartleby. Credo che non esista il materiale per una biografia completa e soddisfacente di questo individuo, ed è certo, questa, una perdita irreparabile per la letteratura. Bartleby fu uno di quegli esseri, su cui non si riesce a saper nulla di preciso, se non rivolgendosi alla fonte originale che, in questo caso, si mostrò sempre assai avara. Ciò che i miei occhi stupiti videro è tutto ciò che sono riuscito a sapere di Bartleby, oltre a una vaga voce, che verrà riferita a suo luogo.
Prima di introdurre lo scrivano, quale per la prima volta mi apparve, è forse opportuno che parli di me e dei miei impiegati, della mia professione, del mio ufficio e dell’ambiente in generale, poiché una descrizione del genere è indispensabile a un pieno intendimento del personaggio principale, che sta per essere presentato. E per cominciare: io sono un uomo che, a partire dalla sua giovinezza, è sempre stato profondamente convinto che nella vita la via più facile è la migliore. Perciò, sebbene appartenga a una categoria di professionisti proverbialmente considerati energici e nervosi, tanto da rasentare certe volte la turbolenza, per conto mio non ho mai permesso che nulla del genere venisse a turbare la mia placidità. Io sono uno di quegli avvocati privi di ambizione, che non si rivolgono mai a dei giurati, che mai corteggiano il pubblico applauso, ma nella riposante pace di un comodo studio si occupano tranquillamente di obbligazioni, ipoteche e dividendi delle persone facoltose. Tutti quelli che mi conoscono mi considerano un uomo eminentemente posato. Il defunto John Jacob Astor, individuo poco portato agli entusiasmi poetici, non esitava a dichiarare che la mia virtù capitale era la prudenza e, subito dopo, il metodo. Non per spirito di vanità, ma per semplice accuratezza storica, devo a questo punto ricordare che venni talvolta ricercato, per la mia capacità professionale, dal defunto John Jacob Astor, un nome che, lo confesso, non mi spiace ripetere, poiché possiede un timbro sonoro e squillante, da lingotto d’oro. Per scrupolo di verità aggiungerò spontaneamente che non ero insensibile alla buona opinione che il sullodato John Jacob Astor nutriva di me.
Poco prima del tempo in cui ha inizio questo breve racconto, il mio lavoro era aumentato in modo notevole. Mi era stata conferita la nobile e antica carica, ormai purtroppo soppressa nello stato di New York, di giudice all’Alta Corte di Giustizia. Non si trattava di una carica molto gravosa, ma era piacevolmente remunerativa. Assai di rado io perdo la calma, e ancor meno mi abbandono a una perniciosa indignazione quando subisco torti o vengo offeso, ma a questo punto dovete permettermi di essere temerario e di dichiarare che io considero l’improvvisa e violenta abrogazione della carica di giudice all’Alta Corte di Giustizia, perpetrata dalla nuova Costituzione, come un atto ... ecco, un atto prematuro, tanto più che io avevo calcolato di godermene i benefici vita natural durante, mentre invece ne potei usufruire solo per pochissimi anni. Ma questa è una digressione.
Il mio ufficio si trovava al primo piano del N ... di Wall Street. Da un lato le stanze davano sul bianco muro di un cavedio piuttosto spazioso, che attraversava tutta la casa dalle fondamenta al tetto.
Questa veduta può essere considerata piuttosto monotona, e certo priva di ciò che i paesisti definiscono «pittoresco». Ma, se così era, la visuale che si godeva dal lato opposto offriva, se non altro, un contrasto. Da quella parte, infatti, le mie finestre davano