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Il progetto atman: Una visione transpersonale dello sviluppo umano
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E-book361 pagine12 ore

Il progetto atman: Una visione transpersonale dello sviluppo umano

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Wilber, nel suo libro Il progetto Atman, riprende il modello tibetano secondo cui la psiche individuale o coscienza è composta da due essenze distinte: quella che si sviluppa durante una vita specifica, ma muore dopo la morte del corpo, e, all'interno di questa, l'essenza eterna, che dura finché non viene raggiunta l'Illuminazione, reincarnandosi vita dopo vita. Questa parte eterna corrisponde allo psichico profondo o anima. Ci svela tutte le tappe del nostro sviluppo: la storia della coscienza umana, dai suoi primi vagiti fino al suo ricongiungersi con Dio, con l'Atman.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2017
ISBN9788871835181
Il progetto atman: Una visione transpersonale dello sviluppo umano

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    Anteprima del libro

    Il progetto atman - Ken Wilber

    1

    PROLOGO

    Il filosofo Jan Smuts diceva che ovunque rivolgiamo lo sguardo, in natura, non vediamo altro che interezza.³⁵⁴ Un’interezza che è anche organizzata secondo un preciso principio gerarchico: ogni intero è parte di qualcosa di più grande, che a sua volta è parte di qualcosa di più grande ancora. Campi dentro campi dentro campi, che si estendono attraverso l’universo, e intrecciano ogni singola cosa con ogni altra cosa.

    Smuts diceva anche che l’universo non è qualcosa di statico e inerte, non è pigro, bensì energeticamente dinamico e persino creativo. Esso tende (ora diremmo teleonomicamente) a produrre sistemi di livello sempre più alto, sempre più inclusivi e organizzati. Complessivamente, il processo cosmico, via via che si compie nel tempo, altro non è che evoluzione. Smuts chiamò olismo la tendenza verso unità sempre più alte.

    Se continuassimo con questa linea di pensiero, potremmo dire che poiché la mente umana o psiche è un aspetto dell’universo, ci aspetteremo di trovare, in essa, la medesima struttura gerarchica di sistemi compresi in altri sistemi, passando dal più semplice e rudimentale al più complesso e inclusivo. In linea di massima, è proprio questa la scoperta della psicologia moderna. Nelle parole di Werner: Ovunque si attui un processo evolutivo, si va da uno stato di globalità relativa e di scarsa differenziazione a uno stato di crescente differenziazione, articolazione e integrazione gerarchica.³⁹⁴ Jakobson parla di quei fenomeni stratificati che la moderna psicologia rivela nelle diverse aree del regno della mente,¹⁹⁶ dove ogni strato è più integrato e più inclusivo di quello precedente. Bateson osserva che anche l’apprendimento avviene in modo gerarchico, dato che include diversi livelli principali, ognuno dei quali supera quelli che lo precedono.²³

    Come approssimazione generale quindi, potremmo concludere che la psiche, così come l’universo in generale, è stratificata (pluridimensionale), composta cioè da una serie di sistemi, unità e integrazioni di ordine sempre più elevato.

    L’evoluzione olistica della natura, si manifesta nella psiche umana in forma di sviluppo o crescita. La stessa forza che ha prodotto gli esseri umani a partire dalle amebe trasforma i bambini in adulti. Ciò vale a dire che la crescita di una persona, dalla prima infanzia all’età adulta, è semplicemente una versione miniaturizzata dell’evoluzione cosmica. Oppure potremmo dire che la maturazione o sviluppo psicologico degli esseri umani non è altro che un riflesso, a livello microcosmico, della crescita universale nel suo insieme, ed ha lo stesso scopo: la manifestazione di unità e integrazioni di ordine sempre più elevato. E questa è una delle ragioni principali per le quali la psiche è effettivamente stratificata. In modo del tutto simile alla formazione geologica della terra, lo sviluppo psicologico avviene strato dopo strato, passo dopo passo, e ogni livello successivo si sovrappone al precedente in modo tale da includerlo e al tempo stesso trascenderlo (inglobandolo, come direbbe Werner).

    Ora, nello sviluppo psicologico, un sistema di qualsiasi livello diventa semplicemente parte del sistema successivo, che a sua volta diventa parte del sistema successivo e così via, attraverso tutta l’evoluzione della coscienza. Prendete, come un esempio fra i tanti, lo sviluppo linguistico: in un primo tempo il bambino impara a emettere dei suoni, poi ad articolare più vocali e consonanti, poi impara alcune semplici parole, poi alcune brevi espressioni, poi delle semplici frasi, e infine frasi più lunghe. In ogni fase dell’apprendimento, alcune semplici parti del linguaggio (per esempio le parole) vengono integrate in sistemi superiori (le frasi) e, come osserva Jakobson, i nuovi elementi si sovrappongono a quelli precedenti, e negli strati più alti ha inizio il dissolvimento.¹⁹⁶

    La moderna psicologia dello sviluppo, nel suo insieme, si è semplicemente dedicata all’esplorazione e alla spiegazione dei vari livelli e delle diverse fasi e stratificazioni che costituiscono l’essere umano: la mente, la personalità, la psicosessualità, il carattere, la coscienza. Gli studi cognitivi di Piaget²⁹⁴ e Werner,³⁹³ i lavori di Loevinger,²⁴³ Arieti,⁷ Maslow²⁶² e Jakobson,¹⁹⁶ gli studi di Kohlberg²²⁹ sullo sviluppo morale, sottoscrivono tutti, interamente o in parte, il concetto di fasi stratificate di crescente differenziazione, integrazione e unità.

    Stando così le cose, siamo automaticamente autorizzati a chiedere: Qual è, dunque, il massimo livello di unità al quale possiamo aspirare? Oppure, forse, non si dovrebbe formulare la domanda in termini tanto netti, ma chiedere semplicemente: Qual è la natura di alcune delle fasi più avanzate dello sviluppo? Quali forme di unità si rivelano alle anime più evolute del genere umano?

    Noi tutti sappiamo come sono gli stadi e i livelli inferiori della psiche (sto semplificando e parlando in generale): fatti di istinto, impulsività, libidine, dominati dall’id, quasi animaleschi. E tutti noi sappiamo anche come sono alcuni degli stadi intermedi, caratterizzati da adattamento sociale, efficienza mentale e integrazione dell’ego, sintatticamente organizzati e concettualmente avanzati. Ma ci sono stadi ancora più alti? Un ego integrato o l’autonomia individuale sono forse la conquista più alta per la coscienza degli esseri umani? L’ego individuale è un meraviglioso sistema di ordine superiore, ma se lo si paragona all’Unità dell’universo in generale, non è che una misera fetta dell’intera realtà. Possibile che la natura abbia lavorato per miliardi di anni solo per produrre questo topolino che è l’ego?

    Il problema, con questo genere di interrogativi, sta nel trovare esempi di personalità che siano veramente di ordine superiore, e nel decidere innanzitutto in cosa consistano esattamente. La mia sensazione è che più l’umanità proseguirà nella sua evoluzione collettiva, più diventerà facile stabilirlo, perché dai dati relativi alla popolazione emergerà un numero sempre maggiore di persone illuminate, e gli psicologi saranno costretti, sulla base delle loro stesse analisi statistiche, a includere dei profili di ordine superiore tra gli stadi dello sviluppo. Nel frattempo, l’idea che ciascuno può avere di cosa costituisca una personalità di ordine superiore o altamente evoluta rimane piuttosto una questione filosofica. Tuttavia, le poche anime dotate che si sono date la pena di considerare questo problema, hanno suggerito che i più grandi saggi e mistici del mondo abbiano rappresentato e rappresentino alcuni degli stadi più alti, se non i più alti in assoluto, dello sviluppo umano. È esattamente ciò che sosteneva Bergson; e dello stesso avviso erano Toynbee, Tolstoy, James, Schopenhauer, Nietzsche e Maslow.

    Supponiamo allora, semplicemente, che il vero saggio rappresenti gli stadi più alti dello sviluppo umano, tanto al di là della normale media dell’umanità quanto questa è superiore alle scimmie. Ciò, di fatto, ci fornirebbe un esempio (campione) che si avvicina al più alto stato di coscienza, una sorta di stato supercosciente. Inoltre, la maggior parte dei saggi e mistici ha lasciato resoconti dettagliati relativi alle fasi delle trasformazioni che li hanno portati nel regno della supercoscienza. Questo significa che non solo ci raccontano del più alto livello di coscienza, ma anche di tutti i livelli intermedi che hanno attraversato. Mettendo insieme questi stadi superiori e i livelli inferiori e intermedi puntualmente descritti e studiati dalla psicologia occidentale, potremmo costruire un modello complessivo e abbastanza equilibrato dello spettro della coscienza. E proprio in ciò sta la natura e il fine del presente volume.

    L’ARCO ESTERNO E L’ARCO INTERNO

    Una volta messi insieme tutti gli stadi e i livelli dell’evoluzione della coscienza, si arriva a qualcosa che assomiglia a un ciclo di vita completo. Inoltre, è possibile vedere che, se i livelli superiori di cui ci hanno riferito i mistici sono reali, questo ciclo di vita procede dalla sub-coscienza (dominata dall’istinto, dagli impulsi, dall’id) alla coscienza di sé (egoica, concettuale, sintattica) alla super-coscienza (trascendente, transpersonale, trans-temporale). Per convenienza, possiamo dividere l’intero ciclo in due parti, ottenendo così l’Arco Esterno, che rappresenta il passaggio dal subconscio alla coscienza di sé, e l’Arco Interno, ossia il passaggio dalla coscienza di sé alla super-coscienza (vedi Fig. 1).

    Il ciclo completo è stato chiaramente descritto da Ananda Coomaraswamy:

    Possiamo considerare la vita o le vite dell’uomo come parti di una curva, un arco di tempo-esperienza sostenuto dal perdurare della Volontà individuale di vivere. Il movimento della curva verso l’esterno (il Sentiero del Conseguimento, della Ricerca, il Pravritti Marga), è caratterizzato dall’autoaffermazione. Il movimento verso l’interno (il Sentiero del Ritorno, o Nivritti Marga) è caratterizzato da una crescente realizzazione del Sé. La religione degli uomini che percorrono il sentiero verso l’esterno è la Religione del Tempo; quella degli uomini che ritornano è la Religione dell’Eternità.⁸⁶

    Fig. 1 – Il ciclo di vita generale

    La storia dell’Arco Esterno è quella dell’Eroe; è la storia della terribile battaglia che si deve sostenere per uscire dal sonno del subconscio, dall’immersione nella matrice primordiale della pre-differenziazione. Ma è anche la storia dell’ego, perché l’ego è l’Eroe; è la storia del suo emergere dall’inconscio, con tutti i conflitti, i momenti di crescita, il terrore, le ricompense e le ansie che ciò comporta. Una storia che ha luogo sul terreno della differenziazione, della separazione e della possibile alienazione, come su quello della crescita, dell’individuazione e dell’emersione.

    L’Arco Esterno però, il passaggio dal subconscio alla coscienza di sé, non è che una parte della storia dell’evoluzione, indubbiamente necessaria, ma pur sempre parziale. Al di là dell’autocoscienza dell’ego, secondo i mistici e i saggi, si trova il sentiero del ritorno, la psicologia dell’eternità, ovvero l’Arco Interno. Il nostro compito, quindi, è quello di cercare di spiegare l’intera storia dell’evoluzione della coscienza, includendo non solo il passaggio Esterno dal subconscio alla coscienza di sé, ma anche quello Interno dalla coscienza di sé alla super-coscienza (come punto di riferimento futuro abbiamo uno schema completo in Fig. 2).

    Il subconscio è una sorta di unità pre-personale, il super-conscio un’unità trans-personale, e l’incredibile viaggio tra questi due estremi coincide con l’argomento del presente volume.

    L’APPROCCIO

    Lo studio dell’evoluzione psicologica dall’infanzia all’età adulta, vale a dire l’intero processo di ontogenesi, è stato generalmente collocato, in Occidente, sotto il titolo assai vago di psicologia dello sviluppo. Da un punto di vista storico, tale campo ha di per sé incluso gli elementi più disparati, come lo sviluppo cognitivo, la maturazione morale, le teorie sull’apprendimento, le fasi psicosessuali, lo sviluppo motivazionale, affettivo e intellettivo, l’assunzione di un ruolo: tutti, in linea di massima, riguardanti il solo Arco Esterno.

    Lo stesso studio dell’Arco Esterno è ormai talmente vasto, e racchiude in sé un numero così grande di approcci teorici e metodologici diversi, che per il momento se ne possono trarre solo conclusioni molto generiche. Come minimo possiamo avvalerci delle importanti opere di Baldwin, Dewey, Tufts, G. H. Mead, Broughton, Jung, Piaget, Sullivan, Freud, Ferenczi, Erikson, Werner, Hartmann, Arieti, Loevinger, Kohlberg ecc. Nomino tutti questi studiosi solo per poter dire che non è mia intenzione discutere i meriti di nessuno di loro rispetto agli altri; vorrei invece, semplicemente, discutere del significato dell’Arco Esterno nel suo insieme. Perciò, mi limiterò a presentare una traccia di alcune delle fasi dello sviluppo del senso di sé sulle quali in genere tutti concordano, attingendo liberamente alle più importanti scuole evolutive, in un modo che potrebbe talvolta apparire piuttosto arbitrario. Inoltre, non distinguerò assolutamente tra le diverse linee di sviluppo, quali la cognitiva, morale, affettiva, conativa, motivazionale, emotiva e intellettiva, dato che non sempre è possibile stabilire se e quanto queste sequenze sono tra loro parallele e indipendenti l’una dall’altra o se invece si equivalgono, e desidero evitare sin dall’inizio di addentrarmi in una questione tanto intricata.

    Fig. 2 – Il ciclo completo di vita

    Lo stesso discorso vale, in sostanza, anche per l’Arco Interno: adotterò lo stesso tipo di metodo improntato a una visione d’insieme, attingendo liberamente alle scuole mistiche d’Oriente e d’Occidente, all’induismo, al buddismo, al taoismo, al sufismo, al cristianesimo, al platonismo ecc. Sono consapevole del fatto che scegliendo questo approccio morbido e neutrale verso ciascuna delle varie scuole, alta o bassa, psicologica o religiosa che sia, rischio di essere disconosciuto da tutte, ma in nessun altro modo potrei raccogliere tutti i dati necessari per costruire un modello completo e ben definito.

    Cominceremo, dunque, dall’inizio. O meglio, dal momento della nascita…

    2

    LE RADICI PRIMITIVE DELLA CONSAPEVOLEZZA

    IL SÉ PLEROMATICO

    Per quanto ne sappiamo, la coscienza di sé non è presente né nel feto nel grembo materno né nel neonato. Per quest’ultimo non esiste alcuna reale separazione tra dentro e fuori, tra soggetto e oggetto, tra corpo e ambiente. Sarebbe inesatto dire che il bambino nasce in un mondo di oggetti materiali che non è in grado di riconoscere; è vero piuttosto che dal punto di vista del neonato letteralmente non esiste ancora alcun oggetto. Ci sono degli eventi, certo, ma non degli eventi oggettivi. Il neonato, cioè, ne è sì consapevole, ma non li vive come separati da sé. La realtà oggettiva e la consapevolezza soggettiva sono per lo più ancora indifferenziate: il neonato non distingue il mondo materiale dalle proprie azioni su di esso. E quindi, in un certo senso, il suo sé e l’ambiente fisico che lo circonda sono la stessa cosa.

    Il sé è pleromatico, come direbbero gli alchimisti e gli gnostici, il che significa essenzialmente che il sé e l’universo materiale sono indifferenziati. Lo stesso Piaget dice esattamente la stessa cosa: Durante le prime fasi, il mondo e il sé sono tutt’uno; nessuno dei due termini è distinguibile dall’altro… il sé è materiale [il corsivo è mio], per così dire.²⁹⁷ Il sé si trova quindi immerso nella materia primordiale, che è sia il caos originale della materia fisica, sia la matrice materna o Prakriti, da cui l’intera creazione ha preso forma.

    Al momento della nascita – sostiene Loevinger – non si può dire che il neonato possieda un ego. Il suo primo compito è quello di imparare a distinguere se stesso dall’ambiente circostante.²⁴³ O anche, nelle parole di Bertalanffy, nello stadio più primitivo [della coscienza], la differenza tra il mondo esterno e l’ego non viene apparentemente percepita… il bambino non fa ancora distinzione tra sé e gli oggetti esterni; solo un po’ alla volta imparerà a distinguerli.³⁴ E Koestler, dal canto suo, sintetizza molto bene dicendo che Freud e Piaget sono tra coloro che hanno enfatizzato il fatto che il neonato non distingue tra l’ego e l’ambiente esterno. È consapevole di ciò che accade, ma non di se stesso come entità separata… L’universo si focalizza sul sé, e il sé è l’universo, una condizione, questa, che Piaget chiamava coscienza protoplasmica o simbiotica.

    Dato che questa fase è caratterizzata dall’adualismo, oceanico e autistico, essa tende ad essere anche pre-spaziale e pre-temporale. Non esiste lo spazio reale per il neonato, nel senso che non c’è divario, distanza o separazione tra il sé pleromatico e l’ambiente circostante. Così, analogamente, non esiste neppure il tempo, perché non c’è la capacità di riconoscere una successione di oggetti nello spazio. La consapevolezza del neonato è senza spazio, senza tempo, senza oggetti (ma non senza eventi). E per tutte queste ragioni, alcuni studiosi (come Ferenczi), riferendosi a questa fase, amano definirla di incondizionata onnipotenza, aggiungendo che perdura finché non vi è cognizione degli oggetti (Fenichel¹²⁰). Questo significa che fino a quando non si è acquisito il senso dello spazio, del tempo e degli oggetti non si avrà neppure la percezione dei propri limiti. Da qui, l’onnipotenza dell’ignoranza. Nelle parole del ricercatore junghiano Neumann, si tratta della fase pleromatica della perfezione paradisiaca del feto, dello stato embrionale dell’ego, che in seguito la coscienza contrasterà con le sofferenze di un ego non autarchico.²⁷⁹

    Va sottolineato che si tratta di una perfezione pre-personale, e non trans-personale. È un tipo di paradiso primordiale, in cui regnano però l’innocenza e l’ignoranza, lo stato che precede la Caduta nella coscienza di sé. E, come vedremo, non va confuso con il paradiso transpersonale o supercoscienza. L’uno è pre, l’altro trans, e la differenza tra i due è semplicemente l’intero ciclo di vita della coscienza.

    IL SÉ PLEROMATICO

    L’UROBORO ALIMENTARE

    Uno dei primi compiti del bambino sta nel costruirsi qualche tipo di mondo al di là di se stesso, un atto attraverso il quale comincia anche a strutturare il suo senso di sé soggettivo. Questo problema, però, non è di risoluzione immediata, e tra la fase del completo adualismo e quella di un rudimentale senso di sé localizzato nel corpo individuale, la consapevolezza del neonato fluttua in quello che Neumann definì un regno uroborico extrapersonale. Ecco le sue parole: Penso a questo strato del campo archetipico come a qualcosa di extra-personale, oltre che al di là delle polarità psichica e fisica determinate dalla coscienza. Io preferirei il termine pre-personale, là dove lo psichico e il fisico non sono ancora stati differenziati, ma il punto è che nello sviluppo dell’individuo, inizialmente prevalgono fattori uroborici [pre-personali o extra-personali], e solo durante lo sviluppo il regno personale si evidenzia e raggiunge una propria autonomia.²⁷⁹ L’uroboro è collettivo, arcaico e ancora prevalentemente oceanico: lo stesso termine uroboro deriva dal mitico serpente che, mangiando la propria coda, dà luogo a una forma pre-differenziata e inconsapevole, chiusa in sé, in un cerchio.

    Lo stadio iniziale simboleggiato dall’uroboro – scrive Neumann – corrisponde a uno stadio anteriore all’ego, è il momento della primissima infanzia, quando comincia a nascere il germe dell’ego… Naturalmente, allora, le prime fasi dell’evoluzione sono dominate dall’uroboro. Sono le fasi di una coscienza egoica infantile che, nonostante non sia più totalmente embrionale [vale a dire non completamente pleromatica] e possieda già un’esistenza propria, continua a vivere nel cerchio [uroboro], non essendosi ancora staccata da questo e avendo solo iniziato a differenziarsene.²⁷⁹ Come osserva Neumann, esiste una differenza tra il sé pleromatico e quello uroborico. Secondo il nostro punto di vista, il sé pleromatico è assolutamente non duale, del tutto privo di limiti significativi; il sé uroborico, invece, possiede già qualche tipo di delimitazione, comincia già a spezzare il vecchio stato oceanico in due termini globali, ovvero il sé uroborico e una sorta di altro (o ambiente) uroborico, entrambi pre-personali.

    A questo punto, quindi, il sé del bambino non è più il caos della materia, perché egli comincia a riconoscere qualcosa che è esterno, qualcosa di altro da lui: chiamiamo altro uroborico questo ambiente globale, indifferenziato e pre-personale. Questa fase è dunque caratterizzata da una diffusa indifferenziazione, ma non (come nella fase precedente) da una totale assenza di dualità. Questo però significa anche che, seppur in misura minore rispetto alla fase pleromatica, quasi non esistono nella consapevolezza del bambino distinzioni di tempo e luogo, modalità percettiva che Sullivan definì prototassica e nella quale tutto ciò che il bambino conosce sono stati momentanei: le sue esperienze sono cosmiche, nel senso di indefinite e illimitate,⁴⁶ uroboriche.

    Dato che questo stadio si colloca verso l’inizio di quella lunga fase dell’infanzia in cui il più significativo legame del bambino con il mondo è di tipo orale, Neumann, a questo punto, definisce il sé anche come uroboro alimentare e, per certi versi, lo fa corrispondere alla fase orale pre-ambivalente (pre-personale) della psicoanalisi. Viene definito alimentare anche perché l’intero uroboro è dominato dalla psicologia viscerale, dalla natura inconscia, dalla fisiologia, dall’istinto, dalla percezione rettile e dalle espressioni emotive più rudimentali. Nelle parole di Neumann, nello stato uroborico l’organismo continua a muoversi nel mare dei suoi istinti come un animale. Protetto dalla grande Madre Natura, cullato dalle sue braccia, le viene consegnato nel bene e nel male. Niente è riconducibile a lui; tutto è il mondo [il sé è ancora più o meno materiale e pleromatico]. Il mondo lo accoglie e lo nutre, mentre egli, privo di volontà, quasi non agisce. Non fare nulla, giacere inerte nell’inconscio, limitandosi a esistere nell’inesauribile penombra del mondo, dove tutti i bisogni vengono soddisfatti senza sforzo dalla grande nutrice: questo è il beatifico stato originale.²⁷⁹ Ed è beatifico in quanto pre-personale e quasi pre-esistenziale: il sé ancora non soffre molto, perché non è ancora completamente formato.

    Per certi versi, quindi, lo stato uroborico rimane un periodo di beata ignoranza e di inconsapevolezza anteriore alla Caduta. Il germe dell’ego continua a dimorare nel pleroma… e, poiché la coscienza non è ancora nata, continua a dormire nell’uovo primordiale, nella beatitudine del paradiso.²⁷⁹ Secondo la psicoanalisi, questa è la fase dell’onnipotenza allucinatoria e magica, che corrisponde al periodo immediatamente successivo alla nascita, in cui il neonato sente che gli basta desiderare qualcosa perché appaia.¹²⁰ Vedremo poi che questa beatitudine pre-personale, l’euforia di non essere ancora un ego, cederà il passo all’ananda e al mahasukha, la gioia suprema di non essere più un ego: la beatitudine della trascendenza.

    Chiaramente, sostenere che l’uroboro dorme nella beatitudine del paradiso, non significa affermare che è privo di paure, di tensioni sia pure rudimentali, o di dispiaceri. Nonostante alcuni ricercatori ritengano questa fase avvolta in una sorta di beata ignoranza, non dobbiamo dimenticare che vi si trovano anche le radici della paura primordiale. Nelle parole delle Upanishad, ovunque ci sia l’altro, c’è la paura. Il sé uroborico del bambino comincia a percepire l’umore opprimente e primordiale della paura per il semplice fatto che comincia a riconoscere l’altro, l’altro uroborico. Si potrebbe sottolineare che i seguaci di Jung, di Freud e della Klein sono tutti concordi nel considerare questa paura primordiale come una paura di tipo orale, la paura cioè di essere fagocitati, soffocati e annientati dall’altro uroborico (che spesso coincide con il seno cattivo).¹²⁰, ²²⁵, ²⁷⁹ Dato che gli urobori possono inghiottire l’altro, temono a loro volta di subire la stessa sorte.¹²⁰ Ed è riferendosi a questo stato, a questa paura primaria di essere annientati per mano dell’altro uroborico, che Neumann parla di castrazione uroborica.

    Per concludere questa indagine sull’uroboro, potremmo sottolineare il fatto che lo sviluppo cognitivo dell’organismo non è che allo stadio iniziale per quanto concerne il campo sensoriale e motorio (nelle fasi 1, 2 e 3, che nell’insieme, in base al lavoro di Piaget, chiamiamo forme o schemi uroborici).²⁹⁷ Si ritiene che questo stato sia completamente privo di causalità,⁷ caratterizzato dai riflessi e dall’elaborazione degli stessi,⁴⁶ basato su un orientamento pre-temporale.⁹⁷

    L’uroboro alimentare, seppure sperimentato nella sua forma più pura in questa fase orale che precede ogni ambivalenza, continuerà in ogni caso a esercitare una profonda influenza almeno per tutta la durata, per dirla in termini psicoanalitici, dei successivi stadi sadico-orale e anale, anche se verrà via via trasceso a favore di una sempre più forte consapevolezza personale e individuale. L’uroboro alimentare, tuttavia, rimane rigorosamente pre-personale, collettivo, arcaico e rettile. Si tratta sicuramente di una delle strutture più primitive della psiche umana e, insieme al pleroma basico, potrebbe regredire a forme di vita inferiori, addirittura fino all’inizio dell’universo stesso.

    IL SÉ UROBORICO

    3

    IL SÉ TIFONICO

    Man mano che il senso di sé del bambino inizia a passare dall’uroboro pre-personale all’organismo individuale, si assiste all’emergere e al formarsi del sé organico o corporeo. Il sé o ego corporeo, in un certo senso, rappresenta il passaggio dallo stadio del serpente uroboro a quello effettivamente umano dell’ego mentale, e perciò spesso ci riferiamo a tutto questo regno (con tutte le sue fasi, principali e secondarie) come al regno del tifone, che nella mitologia è per metà umano e per metà serpente.

    Dividerò questa fase dello sviluppo tifonico in tre fasi secondarie: quella del corpo assiale, quella del corpo pranico e quella dell’immagine corporea, tenendo sempre presente che tutte hanno varie zone di ampia sovrapposizione.

    IL CORPO ASSIALE E IL CORPO PRANICO

    Quando parlo di corpo assiale mi riferisco essenzialmente al corpo fisico avvertito come qualcosa di distinto dall’ambiente circostante. Fin dalla nascita il bambino possiede un corpo fisico, ma egli non sa riconoscere il corpo assiale prima dei 4-6 mesi di vita (e non è in grado di differenziare il sé dall’altro da sé fino intorno ai 15-18 mesi).²¹⁸ Immagine assiale non è che un termine generico con cui indicare le prime immagini stabili che aiutano a differenziare il soggetto che percepisce dall’oggetto percepito. Le immagini assiali attengono al mondo delle sensazioni e percezioni presenti. Tutti gli oggetti che in questo momento si trovano nel campo della vostra consapevolezza, sono oggetti o immagini assiali: sono oggetti esterni (e anche sensazioni interne). Dunque, le immagini assiali si riferiscono sì agli oggetti (che in qualche modo sono diversi dal sé), ma solo a quelli presenti.

    Le immagini assiali dominano la terza, quarta e quinta fase dell’intelligenza senso-motoria. Nella fase 5 – come sintetizza Gardner – il bambino ha già raggiunto un efficace e agile rapporto con il mondo degli oggetti. Tuttavia, egli rimane confinato nel mondo degli oggetti presenti: quando le cose spariscono dalla sua vista, gli riesce difficile includerle nello spazio del suo pensiero.¹⁴⁹ Il suo mondo è ancora prevalentemente (anche se non del tutto) assiale, e si limita alle cose semplici e immediate, ad un presente che continua a essere piuttosto vago. In ogni caso, sotto l’influsso di sistemi di immagini assiali, il bambino costruisce sia un tipo di realtà esterna, sia un senso fisico o corporeo del sé interiore.²¹⁸

    Col formarsi di un sé organico definito, cominciano ad emergere le emozioni fondamentali. La componente emotiva di base (che si contrappone ai più grezzi riflessi istintivi dell’uroboro) è ciò che chiamiamo livello pranico o corpo pranico (sull’esempio degli indù e dei buddisti), ma in questa fase le emozioni sono ancora piuttosto primitive ed elementari.

    Autori come Werner³⁹³ e Arieti⁷ hanno evidenziato come

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