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Il minimalismo nel business: Eliminare il lavoro superfluo per dedicarsi a ciò che conta davvero. E ottenere più felicità, libertà e profitti.
Il minimalismo nel business: Eliminare il lavoro superfluo per dedicarsi a ciò che conta davvero. E ottenere più felicità, libertà e profitti.
Il minimalismo nel business: Eliminare il lavoro superfluo per dedicarsi a ciò che conta davvero. E ottenere più felicità, libertà e profitti.
E-book289 pagine4 ore

Il minimalismo nel business: Eliminare il lavoro superfluo per dedicarsi a ciò che conta davvero. E ottenere più felicità, libertà e profitti.

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E se la chiave per una carriera più soddisfacente e appagante non fosse fondare un’impresa con lo scopo di farla crescere a dismisura, bensì lavorare per se stessi, decidere i propri orari lavorativi e realizzare un business a misura d’uomo, più sostenibile (e altamente redditizio)? E se la soluzione migliore - e più scaltra - fosse quella di restare piccoli? Questo libro spiega esattamente come riuscirci.

Il minimalismo nel business è un approccio nuovo e stimolante, basato sull’idea di rimanere piccoli e mettere in discussione la crescita a tutti i livelli imprenditoriali. Non come libero professionista, pagato a progetto, né come startup che ha in previsione di espandersi il più in fretta possibile, bensì come piccola azienda che si impegna deliberatamente a fare di meglio anziché di più. L’autore spiega come restare piccoli possa assicurare la libertà di dedicarsi a ciò che davvero conta nella vita, evitando i mal di testa causati dallo stress inevitabilmente associato alla ricerca di una crescita senza fine. Questo libro introduce il rivoluzionario approccio minimalista al lavoro e spiega come farlo funzionare in maniera efficace, in modo da generare un reddito duraturo nel tempo.

Paul Jarvis abbandonò il convenzionale mondo degli affari quando si rese conto che dedicare il proprio tempo a un lavoro stressante in una grande azienda di prestigio non corrispondeva alla sua idea di successo. Oggigiorno, al contrario, lavora autonomamente in un ambiente molto più gratificante e produttivo. Ha scoperto l’incommensurabile vantaggio di abbandonare l’obsoleta mentalità aziendale, che richiede incessantemente più produttività, più risultati e una crescita ossessiva.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mar 2020
ISBN9788885783560
Il minimalismo nel business: Eliminare il lavoro superfluo per dedicarsi a ciò che conta davvero. E ottenere più felicità, libertà e profitti.

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    Il minimalismo nel business - Paul Jarvis

    PARTE 1

    COMINCIARE

    1

    DEFINIZIONE DI AZIENDA MINIMALE

    Nell’autunno 2010 Tom Fishburne abbandonò la sua promettente carriera, si dimise dal ruolo di vicepresidente del settore marketing di una importante azienda alimentare e cominciò a disegnare fumetti. Decidere di seguire questa vocazione si sarebbe rivelata una scelta vincente, emotivamente e, sembra incredibile, anche economicamente.

    Tom non si limitò ad assecondare l’impulso della passione, né divenne una sorta di hippie anticapitalista. Studiò con cura il suo progetto e lo tradusse in pratica, assicurandosi, tanto quanto era possibile, che andasse a buon fine.

    Fin da bambino aveva avuto una passione per i fumetti, al punto da sviluppare l’abitudine di utilizzare come album da disegno il ricettario del padre.

    Successivamente, mentre studiava per il master in gestione aziendale ad Harvard, i suoi colleghi lo esortarono a presentare i suoi lavori al giornale del campus, l’Harbus, cosa che fece e continuò a fare fino a quando non completò il suo corso di studi. Dopo il master, cercò lavoro nel campo aziendale, perché gli sembrava la cosa più logica da fare. Inoltre, siccome aveva un pesante mutuo da pagare, pensava fosse saggio assicurarsi un’occupazione stabile. Nel frattempo, tuttavia, anche se solo per hobby, continuò a disegnare vignette satiriche che prendevano di mira il mondo del marketing, di cui faceva ormai parte, condividendole con i colleghi.

    Col tempo, man mano che si diffondevano fra gli amici e, poi, fra gli amici degli amici e, infine, anche al di fuori della loro cerchia, le sue creazioni cominciarono ad attrarre molta attenzione. Tom cominciò allora a lavorare, di sera e nei weekend, per aziende ben felici di pagarlo per i suoi disegni. Quando fu sicuro di aver accumulato un numero sufficiente di clienti e di aver messo da parte abbastanza risparmi, si sentì pronto a fare il grande passo, lasciò l’azienda e si lanciò nella sua nuova avventura.

    Nei sette anni passati da allora, Tom ha guadagnato due o tre volte di più di quanto aveva guadagnato precedentemente come dirigente d’azienda, e non perché avesse creato una grande agenzia, assunto personale o fondato filiali in tutto il paese. La sua azienda, Marketoon, ha due dipendenti, lui e sua moglie, oltre a un gruppetto di freelance, che si occupano di singoli progetti. Entrambi lavorano da casa, in uno studio luminoso affacciato sul giardino posteriore della loro villa di Marin County in California, dove anche le figlie, di pomeriggio, si uniscono a loro per disegnare fumetti.

    La crescita, in genere, è considerata un prodotto collaterale del successo, ma non da Tom. Le leggi dell’imprenditoria gli erano note, perché aveva studiato in uno degli istituti più prestigiosi al mondo, e aveva messo in pratica le competenze acquisite in una grande realtà aziendale. A lui, però, non importava seguire le regole convenzionali.

    Di solito, quando un’azienda ha successo, assume più personale, costruisce più infrastrutture e cerca di rafforzarsi in tutti i modi. L’idea di fondo è che la crescita sia sempre positiva e non debba aver limiti – un ingrediente indispensabile del successo. Tutto il resto viene trascurato in quanto non è considerato prioritario. Se Tom, per accontentare i suoi tanti committenti in lista d’attesa, avesse espanso la sua azienda, non avrebbe avuto tempo per disegnare (perché troppo impegnato a gestire i suoi dipendenti) e per stare con la sua famiglia nello studio affacciato sul giardino. Quel tipo di crescita non sarebbe stato né congeniale né logico per lui, perché contrario a tutto ciò che egli apprezza della vita e del lavoro.

    La cultura consumistica ci induce a pensare che di più è sempre meglio. La pubblicità è disegnata per spingerci a comprare una messe di prodotti che ci è richiesto di amare fino a quando non arriva sul mercato una versione più nuova o più grande. Case più spaziose, auto più veloci, più roba da infilare negli armadi, nei garage, e poi, inevitabilmente, in soffitta. Dietro queste campagne pubblicitarie che creano feticci di cui sembra di non poter fare a meno, si nascondono vuote promesse di felicità, destinate a non avverarsi mai. A volte, abbastanza, o anche meno, è tutto ciò che ci serve. Troppo spesso il più corrisponde a più stress, problemi e responsabilità, sia nella vita sia nel lavoro.

    Un’attività si può facilmente gestire con meno, anche se questo può sembrare controintuitivo. Tom non deve preoccuparsi delle risorse umane, dell’affitto per gli uffici, degli stipendi, e non ha neppure la responsabilità di gestire il personale. Solo quando lo richiede un progetto remunerato, assume dei freelance che, a loro volta, hanno altri clienti e altri lavori, che permettono loro di andare avanti anche quando non collaborano con Marketoon.

    Tom è riuscito a creare un’attività stabile abbastanza snella da reggere qualunque clima economico, abbastanza resiliente da non aver bisogno di affidarsi a un singolo progetto/cliente, e abbastanza autonoma da consentirgli di mettere la sua vita al centro del lavoro (e non il contrario). È riuscito a guadagnare di più evitando le trappole che questo spesso comporta. È un brillante imprenditore di se stesso, che trascorre ogni giorno in famiglia disegnando, assieme alle figlie, fumetti commissionati da aziende che lo pagano molto più della maggior parte degli altri illustratori.

    In poche parole, Tom è l’esempio perfetto di ciò che intendo per un’azienda a misura d’uomo.

    DEFINIZIONE DI AZIENDA MINIMALE

    Un’azienda minimale è semplicemente un’attività che mette in discussione il mito della crescita. Si oppone ad alcune forme tradizionali di crescita non per principio, ma perché essa non è sempre la strategia migliore o finanziariamente più conveniente. Un’azienda a misura d’uomo può essere costituita da un piccolo imprenditore o da un ristretto gruppo di soci. Anche impiegati, manager, consiglieri e amministratori delegati possono adottare i suoi principi, se vogliono lavorare con più autonomia e autosufficienza. Di fatto, le grandi imprese che vogliano tenere al loro servizio le menti più brillanti, dovrebbero adottare almeno in parte questo modello.

    Personalmente, i maggiori successi della mia vita li ho avuti ogni qual volta sono riuscito a trovare soluzioni che non rientravano nelle convenzionali strategie d’impresa: assumere più personale, investire più denaro o costruire complesse infrastrutture per accogliere i nuovi dipendenti. In sostanza, non m’interessa affrontare i problemi investendo di più nella loro soluzione. Scegliere questa strada comporta più complessità, più costi, più responsabilità e, di solito, più spese. Il più, in genere, è la risposta più facile, ma non la più brillante. Ho sempre ottenuto grandi soddisfazioni personali e significativi benefici economici elaborando soluzioni che non ricorressero alla crescita. Come me, molti altri amano affrontare i problemi con le risorse a loro disposizione. Occorre un po’ d’ingegno in più, certo, ma risolverli in questo modo, a lungo termine, rende l’azienda più solida, perché basta meno per sostenerla.

    Nell’ottobre 2016 scrissi un post sul mio blog, in cui affermavo che non mi interessava che la mia azienda crescesse esponenzialmente. Inizialmente, mi sentivo un po’ come un pesce rosso in mezzo a un branco di pesci verdi, ma poi successe una cosa interessante: cominciarono ad arrivare numerosissimi commenti. Persone che svolgevano lavori esaltanti – venditori di caramelle equo-solidali, collaboratori di importanti società tecnologiche, commercianti di abiti… – mi scrivevano per dirmi che anche loro la pensavano come me: tutti si opponevano al modello tradizionale traendone grande beneficio. Da quando ho cominciato a sviluppare le mie idee personali intorno al concetto di restare piccoli e mettere in dubbio la crescita a tutti i costi, ho scoperto un numero sempre maggiore di ricerche, storie ed esempi di persone che avevano fatto ciò che stavo facendo io. Ho scoperto l’esistenza di un movimento silenzioso che gestisce gli affari in questo modo e di cui non fanno parte soltanto le startup a corto di liquidi o gente che stenta a tirare avanti, ma coinvolge individui e attività con utili a sei e sette cifre, più felici della maggior parte degli imprenditori tradizionali. Possiamo affermare, ironicamente, che la scuola del pesce rosso sta crescendo.

    L’ASCESA DELLE AZIENDE MINIMALI

    Tecnicamente, chiunque potrebbe operare come un’azienda minimale.

    Anche se lavorate in una grande azienda, siete essenzialmente voi quelli che hanno più a cuore i vostri interessi e la vostra stabilità professionale. Nessun altro ci tiene quanto voi a conservare il vostro posto di lavoro, ed è vostra la responsabilità di definire e raggiungere il successo, anche all’interno di una struttura complessa.

    Operare come un’azienda a misura d’uomo all’interno di una più grande struttura può risultare difficile, ma non è impossibile. Se ci si riesce, si può prosperare individualmente, contribuendo anche al progresso dell’intera struttura. Questo è già successo in passato, quando a dipendenti autonomi e creativi sono stati riconosciuti grandi meriti, come è capitato, per esempio, nel caso dell’invenzione dei biglietti post-it o dello sviluppo della Playstation Sony.

    Il termine intraprendenza¹ esprime bene la qualità principale di un’azienda a misura d’uomo all’interno di una più ampia organizzazione. Esso si applica a quei dirigenti che stabiliscono i propri obiettivi e riescono a raggiungerli. Si tratta di individui che non hanno bisogno di guida o di supervisione, perché godono di una totale autonomia, sanno ciò che va fatto e lo fanno. Sono consapevoli dei bisogni dell’azienda e sanno come possono contribuire a soddisfarli mettendo a disposizione il proprio talento.

    La differenza fra un dipendente intraprendente e un’azienda a misura d’uomo è che la principale responsabilità del primo è creare nuovi prodotti e curarne la vendita – vale a dire, creare qualcosa di nuovo utilizzando le risorse della’organizzazione di cui fa parte. La seconda, invece, non ha bisogno di creare nuovi prodotti o di svolgere funzioni manageriali, le è solo richiesto di migliorare e diventare più produttiva senza assorbire maggiori risorse.

    Le aziende a misura d’uomo inserite in realtà più grandi hanno la fama di poter contribuire in modo sostanziale all’innovazione delle organizzazioni di cui fanno parte e alla loro affermazione sul mercato. Dave Myers, che lavorava per W.L. Gore and Associates, la casa produttrice del Gore-Tex, ottenne un periodo di pausa dal lavoro per riflettere su come introdurre delle innovazioni nell’azienda e, alla fine, ebbe l’idea di applicare alle corde di chitarra un tipo di rivestimento già in produzione. Il risultato fu il popolare marchio di corde per strumenti acustici Elixir (quelle che uso sulle mie chitarre, di gran lunga superiori a tutte le altre). A volte le aziende a misura d’uomo nascono per caso. Il dottor Spencer Silver, ricercatore della 3M, stava lavorando a un adesivo per l’industria aerospaziale, quando, giocando con una formula, creò un tipo di colla più leggera, che non lasciava residui. Scoprì presto che non era adatta agli aerei, ma era perfetta per i prodotti cartacei: così nacque il post-it.

    Alcune grandi aziende, come Google, concedono ai loro dipendenti del tempo personale in cui sperimentare idee che non rientrano nei loro ruoli tipici. Facebook usa i cosiddetti hackathons, maratone che in genere durano vari giorni, in cui diversi programmatori informatici collaborano a qualche progetto innovativo. Fu proprio un hackathon a portare all’invenzione del pulsante Like, che consente al popolare social di collegarsi al resto della rete.

    In un recente studio², Vijay Govindarajan, professore a Dartmouth, ha scoperto che ogni 5.000 dipendenti almeno 250 sono degli innovatori e che 25 sono innovatori realmente intraprendenti (o aziende a misura d’uomo).

    Molte grandi realtà imprenditoriali hanno aziende a misura d’uomo nascoste al loro interno. Se il talento e la passione di questi paladini dell’innovazione e dell’autonomia sono coltivati, l’intera organizzazione può trarne beneficio. Se, al contrario, la loro creatività e la loro libertà di pensiero sono soffocate, essi tendono a spostarsi verso altri impieghi e forme imprenditoriali. A spingerli, infatti, non è solo il guadagno, ma il desiderio di reinventare il loro lavoro e il loro ruolo adattandoli alla propria personalità.

    Costruire un’azienda a misura d’uomo significa organizzare il lavoro intorno alla propria vita, e non viceversa. Per me, per esempio, vuol dire non preoccuparmi di crescere all’infinito, perché questa non è mai stata la mia priorità. Mi impegno, invece, a massimizzare l’efficienza del mio lavoro rendendolo funzionale alle mie esigenze, il che a volte può significare anche fare di meno. Il mio ritmo di lavoro deve essere tale da tutelare la mia salute, non devo sentirmi in dovere di accelerarlo per sostenere onerosi costi accessori, spese e stipendi. Per quanto mi piaccia guadagnare di più, mi rendo conto che esiste un punto in cui i benefici diminuiscono se non mi prendo cura di me stesso e del mio benessere.

    La società ci ha inculcato un’idea molto particolare di cosa significhi aver successo negli affari. Si lavora il più possibile e, quando le cose cominciano ad andare bene, si cerca di far crescere l’azienda a trecentosessanta gradi. Ancora oggi è questa la strategia considerata vincente: i problemi si risolvono aggiungendo di più. Chiunque rimanga piccolo, secondo questa linea di pensiero, non è stato abbastanza bravo ad aggiungere di più. E se provassimo, invece, a mettere in discussione questo modo di pensare? E se restare piccoli fosse quello che accade naturalmente quando un’azienda scopre che i problemi si possono risolvere anche senza aggiungere sempre di più?

    La crescita, specialmente se avviene alla cieca, non è sempre la soluzione migliore ai problemi che un’azienda può trovarsi ad affrontare; anzi, in ultima analisi, optare per la crescita potrebbe essere la peggiore delle soluzioni in termini di sopravvivenza dell’azienda.

    In tal senso, un’azienda a misura d’uomo non è di per sé anti-crescita o anti-profitto, né è necessariamente una società con un unico socio (anche se potrebbe esserlo). Né alla sua base deve esserci per forza una mentalità tecnologica e da startup, anche se automazione e connettività possono decisamente facilitarla. Un’azienda a misura d’uomo innanzitutto mette in discussione la crescita, e poi le resiste se trova un modo migliore e più brillante di andare avanti.

    Passiamo ora a esaminare le quattro caratteristiche distintive di tutte le aziende minimali: resilienza, autonomia, velocità e semplicità.

    Resilienza

    Danielle LaPorte, autrice di successo e imprenditrice che si è fatta da sé, raggiunge ogni mese milioni di persone a cui parla dell’importanza di stabilire consapevolmente i propri obiettivi e le forme da far prendere alle proprie iniziative imprenditoriali. Oggi è una delle Super Soul 100 di Oprah (sì, quella Oprah). Ma all’inizio era stata licenziata dallo stesso CEO che aveva assunto qualche mese prima.

    Convinta che la crescita esponenziale fosse necessaria per la sua attività (ne riparleremo al capitolo 2), raccolse 400 mila dollari da investitori privati con l’idea di assumere un CEO "enfant prodige" per gestire l’azienda. Così ingaggiò quella che sarebbe dovuta essere una promettente superstar.

    Sei mesi più tardi, tuttavia, gli investitori e il CEO decisero di cambiare il modello aziendale, le ridussero drasticamente lo stipendio e ridimensionarono il suo ruolo che divenne quello di scrivere pochi post al mese sul blog. Si noti che l’impresa, che portava il suo nome, era un marchio basato sul suo stile personale, unico e inconfondibile.

    Una volta superato lo choc dell’accaduto, anche grazie a tantissimo yoga, molte lacrime e tanti amici, Danielle partì al contrattacco: raccolse una nuova squadra di prim’ordine, creò un sito web e nel giro di poche settimane escogitò il modo più veloce di far soldi in autonomia, con una nuova attività che controllava completamente. Cominciò a offrire servizi di consulenza, che ben presto diventarono tanto popolari da costringerla a creare una lista d’attesa, e scrisse perfino un bestseller.

    Riflettendo sul successo del nuovo sito, si rese conto che i soldi ricevuti dagli investitori sono sempre accompagnati dalle loro opinioni su come il progetto debba essere realizzato. Le difficoltà incontrate l’aiutarono a trovare il modo di costruire la sua azienda a misura d’uomo. L’esempio di Danielle ci fa capire che il primo ingrediente di questo tipo d’azienda è la resilienza, cioè la capacità e la forza di riprendersi in fretta dalle avversità: un drastico cambiamento nel mercato del lavoro, un licenziamento, una modifica della strategia aziendale, la necessità di adattarsi alle nuove tecnologie o di evitare che un robot prenda il nostro posto. (No, questo libro non sta virando verso la fantascienza… riprenderemo questo discorso tra qualche pagina).

    Dean Becker, CEO di Adaptiv Learning Systems, ha fatto ricerche sulla resilienza fin dal 1997. La sua società ha scoperto che il livello di resilienza di una persona determina il suo successo negli affari molto più dell’istruzione, della formazione o dell’esperienza. Contrariamente a quanto si crede comunemente, la resilienza non è una dote innata di pochi eletti, ma può essere acquisita. Le persone resilienti possiedono tre caratteristiche che possono essere apprese.

    La prima è l’accettazione della realtà. Le persone resilienti non hanno bisogno che le cose stiano in un certo modo e non si abbandonano a pie speranze. Non pensano: Se solo le cose stessero in un altro modo, tutto andrebbe bene. Sono convinti, invece, che la realtà, per la gran parte, è fuori del nostro controllo e che quel che possiamo fare è governare la barca al meglio, mentre navighiamo sul fiume della vita. Per esempio, se il mio vicino sta utilizzando la sua assordante motosega, io non smetterò di scrivere; piuttosto, chiuderò la finestra, metterò su un po’ di musica elettronica e tornerò al lavoro. Danielle LaPorte non ha subito gettato la spugna dopo il licenziamento; si è fermata per un po’, si è riorganizzata e poi è ripartita.

    Spesso è più facile accettare la realtà con una giusta dose di humour nero. Mia moglie, vigile del fuoco e membro del gruppo di primo intervento, è abituata a scherzare con i colleghi, costantemente esposti, come lei, al peggio che possa accadere nella vita di una persona: incendi domestici, infarti, persino incidenti con motoseghe. L’umorismo, anche se sfocia nel macabro, è la via d’uscita, e il loro capo lo incoraggia, non per non prendere sul serio le sventure, ma per aggiungere ad esse un tocco di leggerezza. La capacità di esorcizzare il male è importante tanto quanto quella di salvare vite e domare il fuoco. Per quanto possa sembrare irriverente a un profano, questa forma di esorcismo aiuta i pompieri e i soccorritori ad accettare la realtà, rendendoli resilienti in un lavoro prezioso e cruciale.

    La seconda caratteristica della resilienza è la presenza di un senso di scopo – la consapevolezza che ciò che si sta facendo ha un significato che va al di là del semplice guadagno. Sebbene senso di scopo e danaro non si escludano a vicenda, è più probabile che si sia resilienti quando, affrontando una situazione difficile e stressante, si sa di stare lavorando per un bene maggiore e più elevato. Questo senso di scopo scaturisce da valori immutabili e fondamentali sia per gli individui, sia per le imprese di cui fanno parte. Chi opera in un’azienda a misura d’uomo sa di poter godere del proprio lavoro pur senza apprezzarne necessariamente tutti gli aspetti. Così, anche se a volte pesa, la fatica viene comunque accettata di buon grado, purché sia al servizio di un tutto più vasto o di un obiettivo più elevato. Per esempio, il lancio di un nuovo prodotto o l’acquisizione di un nuovo cliente possono essere fonte di grande stress, che però viene ben tollerato se il prodotto o il cliente sono allineati con la missione dell’azienda, anche perché si è consapevoli del fatto che esso non durerà a lungo.

    L’ultima caratteristica di chi è resiliente è la capacità di adattarsi quando le circostanze cambiano, come inesorabilmente accade. In Canada, secondo la Ryerson University, i progressi nel campo dell’automazione hanno messo a rischio il 42% dei posti di lavoro³; e in America, secondo il Council of Economic Advisers della Casa Bianca, il 62% degli impieghi sarà in pericolo entro i prossimi dieci o vent’anni. Possiamo anche scherzare e dare il benvenuto ai nostri padroni robot (memorabile citazione di un film del 1977, L’impero delle termiti giganti tratto dall’omonimo racconto di H.G. Wells), ma la minaccia è reale. McDonald’s ha un robot, in grado di girare un hamburger ogni 10 secondi, che potrebbe rimpiazzare un’intera squadra di cuochi nel giro di pochi anni. Tesla e altre aziende stanno progettando grandi autoarticolati con guida automatica per fare a meno dei camionisti nei trasporti a lungo raggio. Anche le professioni altamente specializzate sono a rischio: Watson di IBM, per esempio, può suggerire i trattamenti medici per disturbi particolari, attingendo al corpus delle ricerche cliniche e a grandi banche dati sulle malattie.

    Tuttavia, ciò che rende grande un’azienda minimale è proprio quello che è più difficile da automatizzare: la capacità di risolvere in maniera creativa e originale i problemi, senza dover investire di più. Se è possibile sostituire con robot o altro personale chi svolge compiti ripetitivi, l’abilità di risolvere questioni complesse con creatività e fantasia dipende molto dalle capacità che solo individui insostituibili posseggono. A prescindere dalla moltiplicazione dei nostri padroni robot, è qui che sta la forza delle aziende costruite a misura d’uomo.

    Queste possono prevedere trasformazioni come quelle appena indicate e cambiare rotta per tempo. Per esempio, un arredatore d’interni può passare meno tempo a misurare e ordinare mobili per dedicarsi a creare soluzioni innovative adatte a soddisfare i particolari bisogni del cliente. Oppure, un consulente finanziario può dedicare meno tempo all’analisi della situazione economica di un cliente e concentrarsi sui suoi bisogni specifici, individuando il modo migliore di gestire il suo denaro.

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