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Noi
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E-book290 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Un antidoto al totalitarismo - (versione aggiornata 2023)
Esiste un autore che ha anticipato Orwell, Huxley, Bradbury e tutti gli altri grandi scrittori distopici del Novecento. Esiste un autore che, appena all’alba della società comunista, ha ipotizzato un futuro tragicamente totalitario. Un autore che ha aperto le danze della distopia totalitarista senza essere ricordato dai più; che, colpito dalla censura, dovette trasferirsi in Francia a causa dei suoi romanzi sgraditi in patria. Si tratta di Evgenij Zamjatin(1884-1937) e il libro incriminato è Noi.
Il romanzo narra, sotto forma di diario, le vicende del protagonista D-503, un giovane ingegnere impegnato a costruire una navicella, affinchè lo Stato Unico possa diffondere le leggi e le ideologie ovunque. La città dove si svolge la vicenda, infatti, è delimitata da un muro di color verde che separa il regno animale e vegetale al suo esterno. In questa realtà i cittadini sono costantemente sorvegliati, mentre svolgono qualsiasi attività, in quanto devono rispettare un rigido orario di lavoro e di riposo.
La vita descritta è perennemente controllata, le case sono interamente di vetro, persino l’atto sessuale è regolato da tagliandi rosa, una sorta di “prenotazioni sessuali”.
Non c’è da meravigliarsi che in questo posto non ci sia spazio per i sentimenti o emozioni, poiché lo Stato Unico mira all’annullamento dell’individuo e crede che grazie alla mancanza di libertà di scelta, allora nessuno potrà essere infelice. Non esiste “l’Io” ma solo il “Noi”.
Cosa potrebbe succedere allora se il protagonista, un rigoroso matematico e fedele allo Stato Unico si innamorasse di I-330, una ragazza ribelle pronta a tutto pur di soverchiare il sistema? Da questo momento i dubbi cresceranno velocemente e lo porteranno a rivedere le sue posizioni su tutto ciò che considerava certo.
Evgenij Zamjatin è stato rivoluzionario sia nei suoi scritti in cui miscelava realismo e fantascienza, sia nella vita in cui ha lottato contro la soppressione della libertà e poi non vedendosi più riconosciuta la possibilità di pubblicare, ha deciso di scrivere una lettera a Stalin, implorandogli di poter fuggire da un paese che incatenava la sua creatività. Tutto ciò è accaduto dopo la pubblicazione di Noi – avvenuta in Inghilterra nel 1924 e nell’Unione Sovietica solo negli anni 80 – il suo più famoso e emblematico romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2019
ISBN9788833260600
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    Noi - Evgenij Zamjatin

    cover.jpg

    Evgenij Zamjatin

    NOI

    Distopie젍KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Titolo originale, Мы, 1919-21

    Traduzione dal russo di Gregorio Solina

    Prima edizione digitale: 2019

    ISBN 9788833260600

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    Table Of Contents

    NOTA PRIMA

    Sommario: Un avviso. La linea più saggia. Un poema.

    NOTA SECONDA

    Sommario: Il balletto. L’armonia quadrata. L’X.

    NOTA TERZA

    Sommario: La giacchetta. Il muro. Le tavole della legge.

    NOTA QUARTA

    Sommario: Il selvaggio col barometro. L’epilessia. Se...

    NOTA QUINTA

    Sommario: Il quadrato. I sovrani del mondo.

    NOTA SESTA

    Sommario: L’occasione. Il maledetto È chiaro. 24 ore.

    NOTA SETTIMA

    Sommario: Il pelo di ciglio. Taylor. Il giusquiamo e il mughetto.

    NOTA OTTAVA

    Sommario: Una radice irrazionale. R-13. Il triangolo.

    NOTA NONA

    Sommario: La liturgia. I giambi e i trochei. La mano di ghisa.

    NOTA DECIMA

    Sommario: La lettera. La membrana. L’io villoso.

    NOTA UNDICESIMA

    Sommario:... No, non posso, può restare così, senza sommario.

    NOTA DODICESIMA

    Sommario: Limitazione dell’infinito. L’angelo. Riflessioni sulla poesia.

    NOTA TREDICESIMA

    Sommario: La nebbia. Tu. Un avvenimento del tutto assurdo.

    NOTA QUATTORDICESIMA

    Sommario: Mio. Impossibile. Il pavimento freddo.

    NOTA QUINDICESIMA

    Sommario: La campana. Il mare come uno specchio. Devo bruciare eternamente.

    NOTA SEDICESIMA

    Sommario: Il giallo. L’ombra a due dimensioni. Un’anima incurabile.

    NOTA DICIASSETTESIMA

    Sommario: Attraverso il vetro. Sono morto. Corridoi.

    NOTA DICIOTTESIMA

    Sommario: Labirinti logici. Ferite e cerotti. Mai più.

    NOTA DICIANNOVESIMA

    Sommario: L’infinitamente piccolo di terzo ordine.

    NOTA VENTESIMA

    Sommario: La scarica. La materia d’un idea. La roccia zero.

    NOTA VENTUNESIMA

    Sommario: Il dovere di un autore. Il ghiaccio si gonfia. L’amore più difficile.

    NOTA VENTIDUESIMA

    Sommario: Le onde incatenate. Tutto si perfeziona. Io sono un microbo.

     NOTA VENTITREESEMA

    Sommario: I fiori. La dissoluzione di un cristallo. Se soltanto...

    NOTA VENTIQUATTRESIMA

    Sommario: Il limite della funzione. Pasqua. Cancellare tutto.

    NOTA VENTICINQUESIMA

    Sommario: La discesa dal cielo. La più grande catastrofe della storia. Fine di quel che è noto.

    NOTA VENTISEIESIMA

    Sommario: Il mondo esiste. L’esantema. 41°.

    NOTA VENTISETTESIMA

    Sommario: Nessun sommario - Impossibile farlo.

    NOTA VENTOTTESIMA

    Sommario: Ambedue. Entropia ed energia. La parte non trasparente del corpo.

    NOTA VENTINOVESIMA

    Sommario: Fili sul viso. I germogli. Una compressione contro natura.

    NOTA TRENTESIMA

    Sommario: L’ultimo numero. L’errore di Galilei. Non sarebbe meglio?

    NOTA TRENTUNESIMA

    Sommario: La grande operazione. Ho perdonato tutto. Lo scontro dei treni.

    NOTA TRENTADUESIMA

    Sommario: Io non ci credo. I trattori. Una scheggia umana.

    NOTA TRENTATREESIMA

    Sommario: (Senza sommario. L’ultima scritta in fretta)

    NOTA TRENTAQUATTRESIMA

    Sommario: Gli esentati. La notte solare. Radio-Valchiria.

    NOTA TRENTACINQUESIMA

    Sommario: Nel cerchio. La carota. Un omicidio.

    NOTA TRENTASEIESIMA

    Sommario: Pagine vuote. Il Dio dei cristiani. A proposito di mia madre.

    NOTA TRENTASETTESIMA

    Sommario: L’infusorio. Il giudizio universale. La sua stanza.

    NOTA TRENTOTTESIMA

    Sommario: (Non so quale. Forse tutto il sommario è questo: una sigaretta gettata via.)

    NOTA TRENTANOVESIMA

    Sommario: fine.

    NOTA QUARANTESIMA

    Sommario: Fatti. La campana. Ne sono sicuro.

    NOTA PRIMA

    Sommario: Un avviso. La linea più saggia. Un poema.

    Trascrivo semplicemente — parola per parola — quel che è stato pubblicato oggi nel Giornale Statale:

    "Tra 120 giorni sarà portata a termine la costruzione dell’Integrale. È vicino il grande momento storico, in cui il primo Integrale si lancerà nello spazio dei mondi. Mille anni fa i vostri eroici antenati piegarono al potere dello Stato Unico tutta la sfera terrestre. Un’impresa ancor più gloriosa vi attende: integrare la sconfinata equazione dell’universo per mezzo dell’Integrale elettrico di vetro, dal respiro di fuoco. Toccherà a voi piegare al benefico giogo della ragione gli esseri ignoti che abitano sugli altri pianeti, forse ancora nel selvaggio stato di completa libertà. Se essi non comprenderanno che noi portiamo loro la felicità matematicamente esatta, è nostro dovere costringerli ad essere felici. Ma prima dell’arma noi sperimentiamo la parola.

    "In nome del Benefattore si portano a conoscenza di tutti i numeri dello Stato Unico:

    "Chiunque se ne senta in grado è tenuto a comporre trattati, poemi, manifesti, odi o altre opere sulla bellezza e grandezza dello Stato Unico.

    "Sarà questo il primo carico che l’Integrale trasporterà.

    Evviva lo Stato Unico, evviva i numeri, evviva il Benefattore!

    Lo scrivo — e sento: mi ardono le gote. Sì: integrare la grandiosa equazione universale. Sì: raddrizzare la selvaggia curva, raddrizzarla secondo la tangente — asintote — seguendo la linea retta. Perché la linea dello Stato Unico è quella retta. La grande, divina, precisa saggia linea retta — la più saggia delle linee...

    Io, D-503, costruttore dell’Integrale, io sono soltanto uno dei matematici dello Stato Unico. La mia penna, abituata alle cifre, non è in grado di creare la musica delle assonanze e delle rime. Io cerco soltanto di annotare ciò che vedo, ciò che penso — più precisamente ciò che noi pensiamo (appunto: noi e che Noi sia il titolo delle mie note). Ma essendo appunto un prodotto della nostra vita, della vita matematicamente perfetta dello Stato Unico, non sarà già di per sé, a prescindere dalla mia volontà, opera di poesia? Lo è — ci credo e lo so.

    Lo scrivo — e sento: mi ardono le gote. Probabilmente ciò assomiglia a quel che prova una donna quando per la prima volta sente dentro di sé il battito di un nuovo uomo — ancora minuscolo e cieco. Sono io e nello stesso tempo non sono io. Per lunghi mesi àncora dovrò nutrirlo con la mia linfa, col mio sangue e poi con dolore staccarlo da me e metterlo ai piedi dello Stato Unico.

    Ma io sono pronto, come ognuno — o quasi ognuno di noi. Sono pronto.

    NOTA SECONDA

    Sommario: Il balletto. L’armonia quadrata. L’X.

    Primavera. Dalle invisibili pianure selvagge al di là del Muro Verde, il vento porta il polline giallo e mielato di chissà quali fiori. A causa di questo polline dolce le labbra si seccano — ad ogni istante ci passi sopra la lingua — e probabilmente tutte le donne che si incontrano hanno le labbra dolci (e ovviamente anche gli uomini). Il che disturba un po’ il pensare logico.

    Ma in compenso che cielo! Azzurro, non deturpato da alcuna nuvola (fino a che punto avevano gusti selvaggi gli antichi, se i loro poeti riuscivano ad ispirarsi a questi disordinati, assurdi ammassi di vapore che si urtano l’un l’altro stupidamente). Io amo — e sono sicuro di non sbagliarmi se dico: noi amiamo — soltanto questo cielo sterile e puro. In giorni simili tutto il mondo sembra fuso dello stesso vetro eterno e impassibile del Muro Verde e di tutti i nostri edifici. In giorni simili si scorge la profondità azzurra delle cose e le loro stupefacenti equazioni, ignote fino ad ora — e lo si scorge anche in ciò che vi è di più usuale, quotidiano. Ecco un esempio. Stamattina mi trovavo sul cantiere dove stanno costruendo l’Integrale, e ad un tratto ho visto le macchine: le sfere dei regolatori giravano ad occhi chiusi con totale abnegazione; i pistoni, luccicando, oscillavano a destra e a sinistra; il bilanciere dondolava le spalle con superbia; seguendo la cadenza di una musica impercettibile strideva lo scalpello del banco d’intaglio. Improvvisamente scorsi tutta la bellezza di questo grandioso balletto di macchine, inondato da un leggero sole azzurro.

    E più avanti mi sono chiesto: perché è bello? Perché la danza è bella? Risposta: perché è un movimento non libero, perché il senso profondo della danza è appunto nell’assoluta dipendenza estetica ad una costrizione ideale. E se è vero che i nostri antenati si abbandonavano alla danza nei momenti più ispirati della loro vita (i misteri religiosi, le parate militari), ciò significa una cosa sola: che questo istinto di costrizione è sempre ed organicamente esistito nell’uomo, e noi, nella nostra vita attuale, ne abbiamo la consapevolezza...

    Dovrò finire più tardi: il numeratore è scattato. Alzo gli occhi: O-90, ovviamente. E tra mezzo minuto lei sarà qui: viene a prendermi per una passeggiata.

    Cara O! — mi è sempre sembrato che somigliasse al suo nome: 10 centimetri in meno rispetto alla Norma Materna — e per questo è tutta rotondetta e un O roseo — la bocca — s’apre in attesa di ogni mia parola. E ancora: una piega rotonda, paffuta ai polsi — come quelle dei bambini.

    Quando lei entrò, in me rombava ancora il volante della logica e per inerzia parlai della formula che avevo appena fissato, nella quale rientravamo tutti noi, le macchine e la danza.

    Meraviglioso, vero? domandai.

    Sì, meraviglioso. È primavera, mi rispose con un sorriso roseo O-90.

    Ah, è così: la primavera... Lei parla della primavera... Le donne... E tacqui.

    In basso. Il viale era pieno: con un tempo simile di solito trascorriamo l’ora personale del dopo pasto, in una passeggiata supplementare. Come sempre, l’Officina musicale con tutte le sue trombe cantava la Marcia dello Stato Unico. In file regolari, per quattro, segnando con entusiasmo il tempo, i numeri marciavano — centinaia, migliaia di numeri, in uniformi azzurrognole, con sul petto le placche d’oro — il numero statale proprio di ognuno e di ognuna. Anch’io — o meglio noi quattro — formavamo una delle innumerevoli onde di questo torrente impetuoso. Alla mia sinistra c’era O-90 (se questo lo scrivesse uno dei miei pelosi antenati di mille anni fa, probabilmente la chiamerebbe con la ridicola parola la mia); a destra due numeri sconosciuti, uno femminile e uno maschile.

    Il cielo beatamente azzurro, i piccoli soli infantili in ognuna delle nostre placche, i volti non offuscati dalla follia dei pensieri... I raggi — capite: tutto era come di un’unica, raggiante, sorridente materia. E i ritmi bronzei: Tra-ta-ta-tam. Tra-ta-ta-tam, questi gradini bronzei luccicanti al sole e ad ogni gradino vi alzate sempre più in alto, in un azzurro da capogiro...

    Ed ecco, proprio così, come stamattina nel cantiere, ho di nuovo visto, come per la prima volta nella vita — ho visto tutto: le vie irrimediabilmente dritte, il vetro delle carreggiate spruzzante raggi, i divini parallelepipedi delle abitazioni trasparenti, l’armonia quadrata dei ranghi grigio-blu. Come se non si trattasse di intere generazioni, ma dì me, — appunto soltanto di me — ad aver vinto il vecchio Dio e la vecchia vita e ad aver creato tutto questo, come una torre avevo paura che muovendo il gomito crollassero giù in frantumi muri, cupole, macchine...

    E poi un istante — un salto attraverso i secoli con + su —. Mi ricordai (evidentemente un’associazione per contrasto) — mi ricordai ad un tratto di un quadro in un museo: un viale del ventesimo secolo, di allora, così variopinto da far girare la testa, pieno di una confusa folla di persone, di ruote, di animali, di manifesti, di alberi, di colori, di uccelli. E si dice che ciò sia esistito davvero, che ciò abbia potuto essere. Tutto questo mi sembrò tanto inverosimile, tanto assurdo, che non mi trattenni e improvvisamente scoppiai a ridere.

    E immediatamente un’eco — una risata — a destra. Mi voltai e davanti ai miei occhi c’erano dei denti bianchi, straordinariamente bianchi e aguzzi, un volto femminile sconosciuto.

    Scusatemi, mi disse lei, ma voi avete guardato tutto in un modo così ispirato — come un tale dio mitico nel settimo giorno della creazione. Ho l’impressione che voi siate convinto di aver creato anche me, e che non sia stato qualcun altro. Ne sono molto lusingata...

    Tutto ciò — senza un sorriso, direi quasi con un certo rispetto (forse lei sapeva che io ero il costruttore dell’Integrale). Ma non so se negli occhi o nelle sopracciglia, vi fosse una certa strana e irritante X — che non mi riesce in nessun modo di comprendere, di darle un’espressione cifrata.

    Non so perché mi turbai e, leggermente confuso, cercai di motivare logicamente il suo riso. Era del tutto chiaro che questo contrasto, questo insuperabile abisso tra quelli di oggi e quelli di allora...

    Ma perché dunque insuperabile? (Che denti bianchi!). Attraverso un abisso si può gettare un ponte. Provate solo ad immaginare: i tamburi, i battaglioni, i ranghi, tutto ciò c’era già allora, e perciò...

    Ma sì: è chiaro! esclamò lei (fu un sorprendente incrocio di pensieri: lei aveva detto — quasi con le mie stesse parole) - ciò che io avevo annotato prima della passeggiata). Capite: perfino i pensieri. Questo, perché nessuno è ‘uno’, ma ‘uno dei’. Noi siamo così simili...

    Lei:

    Ne siete sicuro?

    Io vidi le sopracciglia sollevate verso le tempie ad angolo acuto — come gli acuti cornetti della X e di nuovo, chissà perché, mi turbai; gettai uno sguardo a destra, a sinistra — e...

    Alla mia destra, lei, sottile, tagliente, dritta e pieghevole come un frustino, I-330 (vedo adesso il suo numero); a sinistra, O — completamente diversa, tutta fatta di curve, con l’infantile piega al polso; e all’estremo della nostra fila di quattro un numero che ignoravo, un tale ripiegato due volte su se stesso, come la lettera S. Eravamo tutti diversi..

    Quella di destra, I-330, colse, evidentemente, il mio sguardo smarrito e con un sospiro: Sì... ahimé!

    In sostanza, questo ahimé era del tutto a posto. Ma di nuovo qualcosa sul suo viso o nella voce...

    Con inconsueta asprezza dissi;

    Niente ahimè! La scienza cresce ed è chiaro che se non subito, almeno fra cinquanta, cento anni.

    Perfino i nasi di tutti quanti...

    Sì, i nasi, gridai quasi. Dal momento che c’è ugualmente una base per l’invidia,.. Dal momento che io ho il naso come un bottone, mentre un altro...

    Beh, il vostro naso, se permettete, è perfino ‘classico’, come dicevano nei tempi antichi. Ma le mani, ecco... Su, via, mostrate, mostrate dunque le mani!

    Non posso sopportare che mi si guardino le mani: sono tutte pelose, irsute — un assurdo atavismo. Tesi la mano e con una voce più estranea possibile dissi:

    Da scimmia.

    Lei guardò le mani, poi la mia faccia:

    Sì, c’è un accordo molto curioso, ella mi pesò con gli occhi, come su di una bilancia, e si disegnarono di nuovo i cornetti della X negli angoli delle sopracciglia.

    Egli è iscritto per me, aprì la rosea bocca O-90.

    Avrebbe fatto meglio a tacere — era del tutto fuori luogo. In generale, questa cara O... come dire... Ha una rapidità di lingua mal calcolata; la velocità della lingua calcolata a secondi deve essere sempre minore di almeno un secondo alla rapidità del pensiero, e non il contrario.

    Alla fine del viale, sulla torre degli accumulatori, la campana batté sordamente le 17. L’ora personale terminò. I-330 andò via con quel numero maschile simile ad una S. Egli aveva un viso che ispirava rispetto e comincio a credere che mi fosse perfino noto. Dovevo averlo già incontrato in qualche posto — ma adesso non ricordo.

    Salutandoci, I — sempre come una X — mi sorrise: Passate dopodomani all’auditorium 112.

    Io mi strinsi nelle spalle.

    Se sarò convocato — proprio nell’auditorium che avete indicato..,

    Lei con un’incomprensibile sicurezza rispose: Lo sarete.

    Questa donna agiva su di me in modo sgradevole, come un dato irrazionale irriducibile introdottosi in un’equazione. E fui contento di restare, sia pure per breve tempo, con la cara O.

    Tenendoci per mano passammo quattro linee di viali. All’angolo ella doveva andare a destra, io a sinistra.

    Come vorrei venire oggi da voi ed abbassar le tende. Proprio oggi, subito... O alzò timidamente su di me i suoi occhi tondi di un azzurro cristallino.

    Buffa. Che cosa potevo dirle? E stata da me solo ieri e sa bene quanto me che il nostro prossimo giorno sessuale sarà dopodomani. Non è altro che un pensiero in anticipo, così come (talvolta con danno) una scintilla può scoppiare in anticipo in un motore.

    Separandoci io baciai due... no, sarò preciso, tre volte i suoi meravigliosi occhi azzurri non offuscati da nessuna nuvola.

    NOTA TERZA

    Sommario: La giacchetta. Il muro. Le tavole della legge.

    Rileggendo quanto ho scritto ieri, mi accorgo di non aver scritto con sufficiente chiarezza. Cioè, tutto questo è del tutto chiaro a ciascuno di noi. Ma chissà: forse, voi, sconosciuti, a cui l’Integrale porterà le mie note, forse voi avete letto il grande libro della civiltà solo fino alla pagina a cui arrivarono i nostri 900 anni fa. Forse voi non conoscete nemmeno certi elementi come la Tavola delle ore, le Ore Personali, la Norma Materna, il Muro Verde, il Benefattore. Mi sembra comico, e nello stesso tempo molto difficile parlare di tutto questo. È come se uno scrittore, mettiamo del ventesimo secolo, avesse dovuto spiegare che cos’è una giacchetta, un appartamento, una moglie. Ma d’altronde, se il suo romanzo fosse Stato tradotto per dei selvaggi, sarebbe stato concepibile non fare una nota a proposito della giacchetta?

    Io sono convinto che il selvaggio guardando la giacchetta pensava: Beh! a che serve. E soltanto un fardello. Credo che guarderete allo stesso modo anche voi quando vi dirò che nessuno di noi, a partire dai tempi della Guerra dei Duecento Anni, è stato fuori del Muro Verde.

    Ma, miei cari, bisogna pur pensare che questo aiuta molto. È chiaro: tutta la storia dell’umanità, per quanto la conosciamo, è la storia del passaggio dalle forme nomadi a quelle sempre più sedentarie. Non ne consegue forse che la forma più sedentaria di vita (la nostra) è nello stesso tempo anche la più perfetta (la nostra)? Se gli uomini si sono sparpagliati da un capo all’altro della terra, ciò si è verificato solo nei tempi preistorici, quando vi erano le nazioni, le guerre, i commerci, le scoperte delle varie Americhe. Ma a che serve ora tutto questo?

    Lo ammetto: l’abitudine

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