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Pearson House
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E-book284 pagine3 ore

Pearson House

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Info su questo ebook

Fulton, New York 1932 Gabriel Pearson è un uomo ricco e abita nella bellissima dimora di Pearson House. Maggie Dorsey fa parte del personale domestico della villa ed è alle dipendenze della famiglia Pearson da qualche anno. Le differenze sociali e l’odio del padre di Maggie non riescono a frenare il sentimento che nasce tra i due giovani. L’unica a conoscere il loro segreto è Kate, la sorella di Maggie. La forza dei due innamorati non frenerà gli eventi che, a causa di alcune scelte di Gabriel, innescano una serie di lutti anche quello di Gabriel…

Fulton, New York 2018Katryn Dorsey, pronipote di Kate Dorsey, lascia New York alla volta di Fulton, la cittadina tanto decantata dalla bisnonna. Il sindaco di Fulton Henry Wilbur le commissiona la ristrutturazione di Pearson House, che si trova in condizioni di decadenza. La villa ha un’infausta nomea e nessuno vuole avvicinarsi per paura del fantasma di Gabriel Pearson. Durante un sopralluogo Katryn s’imbatte nell’entità che riesce a vedere e sentire. Superato il primo sconcertante impatto, scopre così uno spirito triste, egocentrico e immerso in un passato doloroso. Il lavoro di Katryn porterà a galla molti segreti…
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita19 nov 2023
ISBN9791254584323
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    Anteprima del libro

    Pearson House - Mary Rotnan

    Pearson House

    Mary Rotnan

    Alle speranze, agli amori

    e alle amicizie .

    Prologo

    Prologo

    Fulton, New York 2018

    Gabriel Pearson era comodamente seduto sulla poltrona preferita di broccato rosso scuro, nella sua antica dimora in stile palladiano. La posa era rilassata e con le dita della mano sinistra tamburellava sul bracciolo, tenendo il tempo della pendola dell’orologio che era nel corridoio poco distante. Anche se la porta era chiusa, quel ticchettio era facilmente udibile, specie a un orecchio molto fine come il suo. Chi aveva avuto l’onore di conoscerlo, lo avrebbe descritto come un uomo alto, dagli occhi scuri come la notte che, a volte, incutevano soggezione; ma era anche una persona autoritaria, affidabile, irreprensibile e dal portamento elegante dato dai suoi discendenti londinesi. Suo padre gli aveva confidato che la famiglia Pearson era di nobile lignaggio, conti inglesi caduti in disgrazia.

    L’odore che aleggiava all’interno dell’abitazione non era dei più accoglienti e poco confaceva alla nobiltà, ma quando una struttura rimaneva chiusa per svariati decenni era quello che succedeva. A lui, comunque, andava bene così; ormai in quella casa non c’era più anima viva, se non la sua.

    Non si davano più feste ed era tutto ricoperto da lenzuoli ingrigiti e impolverati dal tempo, mentre Gabriel passava le giornate accomodato davanti l’enorme finestra, non propriamente pulita, a osservare la vita che scorreva all’esterno. L’enorme giardino, che riusciva a intravedere, necessitava di una buona squadra di giardinieri e manutentori. Le stupende fontane in marmo, che una volta erano l’orgoglio della villa, erano spente ricoperte di muschio, ingrigite dal tempo e dalle piogge; erano lontani i momenti di sfarzo. Gli alberi, che molto tempo prima erano rigogliosi, ora non avevano più forma. Erano cresciuti in modo indiscriminato e selvaggio, mettendo in ombra il salotto in cui soggiornava. Un sorriso stanco e avvilito sfiorò le labbra dell’uomo, mentre la mano destra stringeva il pomo del suo bastone da passeggio. Era un vezzo che, anche se aveva solo trent’anni, gli piaceva avere; lo faceva sentire un signore. In quel momento provava noia e ultimamente gli succedeva molto spesso.

    Una volta Pearson House era al centro della mondanità e della ricercatezza nella piccola Fulton, nello stato di New York. Con le loro ricchezze, date dalle molteplici attività imprenditoriali, i Pearson erano stati i signori della cittadina. Avevano vissuto egregiamente, superando anche la crisi economica del ’29 e avevano continuato a dare lavoro agli abitanti di Fulton fino alla tragedia che aveva investito la sua famiglia, qualche anno dopo.

    Da allora tutto era crollato, per poi disperdersi nel tempo. Con un sorriso malinconico Gabriel dovette correggersi, il patrimonio dei Pearson era stato congelato per volere di suo padre e affidato a uno studio di avvocati, i quali nel corso degli anni si erano dimenticati di quei vecchi documenti, perché ormai nessuno reclamava qualcosa che non poteva avere.

    Ora Pearson House era un luogo spettrale, abbandonato e faceva paura a molti. Era circondata da infauste leggende di spiriti, fantasmi e maledizioni. Con un moto di stizza, Gabriel smise di tamburale e le chiuse a pugno, si alzò e servendosi del bastone si avvicinò alla finestra. Qualche ragazzino curioso e intraprendente si era approssimato all’enorme vetrata e l’aveva pulita dalla polvere, così ora Gabriel poteva scorgere più nitidamente l’esterno.

    Sapeva che la sua casa era meta di iniziazioni giovanili; più di qualche volta si era seduto nella piccola serra, che c’era in giardino, e aveva assistito divertito a quelle assurde prove di coraggio. Ormai aveva smesso di provare nervosismo e risentimento nel vedere la sua casa trattata con così poco rispetto. Se una volta il suo cognome incuteva riverenza e considerazione, ora era usato per provocare paura.

    La famiglia Pearson aveva patito molto per causa sua, anche se era stata una sofferenza involontaria. Con la caparbietà che lo contraddistingueva, aveva ignorato gli avvertimenti dei suoi genitori e aveva fatto di testa sua, così aveva arrecato dolore a suo padre Harmon, a sua madre Julie, ma ancora di più alla sua amata Maggie.

    Era proprio Maggie che gli mancava come l’aria; penava per l’assenza della sua risata, del suo cipiglio sicuro e del suo amore puro. Ora era rimasto solo, imprigionato nella sua stessa dimora, confinato nei pochi ettari di giardino senza la possibilità di scavalcare quei confini.

    Con passo lento si avviò verso la cucina, passò davanti all’enorme specchio, ma non si guardò nemmeno. Era ben consapevole di che cosa non avrebbe visto. Non avrebbe visto se stesso, perché di Gabriel era rimasta solo l’anima che vagava nell’enorme casa di Pearson House.

    Così erano nate le leggende sulla casa stregata dal fantasma di Gabriel Pearson.

    1

    Fulton, New York 1932

    La musica dell’orchestra riusciva a ricoprire anche gli spazi più isolati dell’enorme giardino.

    Il ritmo allegro del charleston faceva ballare molti ospiti, mentre Gabriel stava amabilmente chiacchierando con alcune invitate che pendevano dalle sue labbra.

    Il giovane rampollo dei Pearson era una preda ambita tra le signorine della Fulton bene e non solo. Erano in un momento storico di passaggio; la grave crisi del ’29, che aveva causato la caduta della borsa di New York e nella quale molte facoltose famiglie avevano perso tutto, stava scemando. I Pearson si erano difesi bene dalla depressione, riuscire a imparentarsi con la famiglia di Gabriel era una conquista non da poco.

    Le risatine delle ragazze che lo circondavano iniziavano a urtarlo, sapeva di essere al centro dell’attenzione. Qualche anno prima avrebbe tratto giovamento da una simile situazione, ma negli ultimi mesi tutto quello lo innervosiva. Sapeva che a trent’anni avrebbe già dovuto essere sposato e con figli, ma non aveva trovato ancora la donna che riuscisse a catturare la sua attenzione per più di mezz’ora.

    Era a conoscenza del desiderio dei suoi genitori di diventare nonni; specie suo padre continuava a ripetergli che era ora di sfornare un’erede, il quale continuasse a portare avanti il cognome Pearson.

    Sua madre Julie non aveva potuto avere altri figli, così Gabriel si era ritrovato figlio unico; questo comportava che tutto il peso del suo cognome fosse sulle sue spalle. Spettava a lui la discendenza futura, un compito anche questo gravoso.

    Erano cinque anni che suo padre si era ritirato dalla dirigenza delle aziende Pearson, passando al figlio il testimone e le incombenze che quella scelta comportava. Gabriel aveva fatto un lavoro egregio salvandole dal disastro finanziario e preservando centinaia di posti di lavoro. A Fulton era visto come un salvatore e non si sprecavano le dimostrazioni di fiducia nei suoi confronti. Questo però non voleva dire che fosse pronto a sposare la prima ragazza che gli facesse gli occhi dolci. Certamente avrebbe evitato un matrimonio combinato, anche se quello dei suoi genitori lo era stato. Erano apparentemente felici, non significava che anche lui avesse la loro stessa fortuna. I tempi erano cambiati, come il patrimonio familiare ed era un fattore a cui non poteva non pensare.

    A salvarlo da quel chiacchiericcio ci pensò Carl, il maggiordomo di casa Pearson. «Signor Gabriel, è atteso nello studio» gli sussurrò vicino all’orecchio. Gabriel chinò solo il capo per fargli capire che si sarebbe liberato al più presto delle sue ammiratrici. Cinque minuti dopo, con abile maestria, ci riuscì.

    Per fortuna mi hanno dato una via di fuga considerò con un certo nervosismo, mentre chiudeva la porta dello studio. Era consapevole di quale fosse il problema del suo disinteresse verso il gentil sesso che gli sfilava sotto il naso. A dire il vero il suo cruccio aveva un nome e cognome.

    «Padre» esordì, salutando il genitore che in quel momento era seduto dietro la scrivania.

    «Gabriel, eccoti finalmente» lo accolse l’uomo, indicandogli la poltrona in velluto rosso scuro.

    «C’è qualche problema?» domandò il giovane, osservando l’espressione preoccupata di Harmon.

    «Sembrerebbe di sì» rispose, spingendo le carte che aveva davanti a lui. «Mi è arrivata questa richiesta.»

    Gabriel si alzò e prese i fogli iniziando a leggerli, quando ebbe finito alzò la testa e guardò l’uomo che era un po’ agitato. «Non capisco perché si sono rivolti a te? Sono io a capo della Pearson Company.»

    «Lo sanno» ribatté, consegnandogli un altro foglio stropicciato. Gabriel lesse pure quello; conteneva una minaccia di morte verso il figlio, se i due genitori non lo avessero convinto a collaborare.

    «Da quando la mafia è interessata a Fulton?»

    «Pare che gli serva una strada sicura verso il Canada per commercializzare le bevande alcoliche, alcune nostre proprietà sono sulla traiettoria.»

    A causa del proibizionismo tutto si era complicato e molte famiglie pretendevano dei favori.

    «Quindi Pearson House diventerebbe una buona copertura e una valida base» concluse Gabriel comprendendo le manovre che c’erano dietro.

    «Così pare.»

    «Puoi rispondere che non cediamo ai ricatti. Domani chiamerò l’ FBI, loro sicuramente verranno in nostro aiuto.»

    Harmon fissò il figlio consapevole che avrebbe risposto così. «Hai letto quello che hanno scritto, ne va della tua vita.»

    «Noi non cediamo a ricatti, padre» esclamò alzandosi. «Le nostre aziende sono solide e in mano a certa gente cadranno come birilli. Tutto il nostro lavoro e il buon nome dei Pearson verranno travolti e spazzati via.»

    «Devi ragionare, questa è gente che non accetta un no come risposta» replicò Harmon, alzandosi a sua volta.

    Gabriel lo guardò sconcertato, suo padre non poteva essere impazzito tutto un tratto. «Vuoi dire che lasceresti la Pearson Company in mano a dei mafiosi?»

    «Certo che no» tuonò l’uomo. «La richiesta è di chiudere un occhio nel momento che passeranno sulle nostre terre o per l’uso di qualche magazzino.»

    «Padre, ti sei ritirato, le aziende sono nelle mie mani e faremo come dico io» decretò non ammettendo repliche.

    «Almeno chiama un’agenzia investigativa che ti protegga» ribatté l’uomo sconfitto.

    «Questo lo farò sicuramente, ora torniamo dai nostri ospiti o la mamma si preoccuperà» lo rassicurò Gabriel, usando un tono più dolce.

    La festa procedeva molto bene; la gente si divertiva e lo champagne, che erano riusciti a procurarsi, scorreva.

    Una cameriera si lisciò il piccolo grembiule bianco candido che portava sopra la divisa nera; con fare titubante si avvicinò a Gabriel, poi si piazzò vicino al muro e aspettò che il padrone finisse di parlare.

    Gabriel si accorse immediatamente della ragazza, anzi doveva ammettere che si accorgeva sempre di Maggie Dorsey e se non l’avesse vista, l’avrebbe cercata con lo sguardo. L’unico inconveniente era il fatto che faceva parte del personale della cucina. Con un cenno della mano Gabriel fermò l’uomo con cui stava dialogando e si accostò alla donna, il tutto sotto l’espressione sbigottita del suo interlocutore.

    Si leggeva in faccia che era seccato di essere stato messo da parte a causa di una cameriera.

    «Dimmi pure, Maggie» esordì Gabriel con un tono dolce.

    «Mi dispiace disturbarla, signor Gabriel, ma dalla cucina mi mandano ad avvertirla che rimangono poche bottiglie di champagne» mormorò Maggie con un lieve sorriso, cercando di non guardarlo negli occhi.

    Quell’uomo popolava i suoi sogni da ben undici mesi, cioè da quando aveva iniziato a lavorare a Pearson House.

    «Va bene, per fortuna siamo alla fine» la rassicurò, ricambiando il sorriso; non trattenendosi posò la sua mano sulla spalla della ragazza, la quale arrossì. Sapeva che il suo gesto non idoneo alla posizione che ricopriva, ma a lui non interessava.

    «Riferisco a Miss Betty, signor Gabriel» rispose lei, riferendosi alla cuoca e governante di casa Pearson, con un leggero rispettoso inchino se ne andò.

    Gabriel la seguì con gli occhi, pensando che si sarebbe volentieri messo a chiacchierare con Maggie invece di riprendere il noioso discorso che aveva interrotto con Benjamin Carter, l’avvocato di famiglia.

    «Gabriel, noto che sei distratto» l’apostrofò l’uomo con tono scherzoso. «Certamente la cameriera ha delle gambe stupende e non solo quelle.»

    Il rampollo di casa Pearson strinse i pugni per evitare di commettere qualche stupidaggine, come prendere a sberle il suo interlocutore.

    Era comprensibile l’ammirazione per la giovane, anche lui era succube della sua delicate bellezza. Gli occhi celesti, i capelli castano ramato e l’incarnato color porcellana, certamente dovuto a qualche discendente irlandese, facevano girare più di qualche testa maschile.

    «Non sono interessato al personale che lavora per me» ribadì con tono freddo e secco per evitare congetture gratuite. Non si accorse che la diretta interessata era tornata nella sala per conferire nuovamente con lui.

    Maggie rimase ferma immobile, senza dare segni di cedimento, anche se dentro di lei tutti i suoi sogni stavano crollando miseramente. Mai illudersi le disse la vocina dentro la sua testa.

    «Mi scusi nuovamente, signore» esordì, attirando l’attenzione di entrambi gli uomini e attendendo che il suo principale si avvicinasse per poi spiegargli il nuovo problema. «Anche la birra sta terminando.»

    Gabriel intuì, dal tono con il quale gli parlò, che Maggie aveva sentito tutto. Maledisse Carter per averlo istigato a esternare pensieri che non gli appartenevano. Per Gabriel la serata poteva ritenersi conclusa, era anche mezzanotte passata; perciò poteva tranquillamente mandare tutti a casa; ed è proprio quello che fece.

    «Signore e signori, possiamo dire che champagne e birre hanno decretato la fine della nostra piacevole serata» avvertì a gran voce con un sorriso, questo provocò qualche risolino imbarazzato. Nessuno avrebbe detto qualcosa contro questa decisione, se ne sarebbero guardi bene. «Vi ringrazio tutti, a nome mio e dei miei genitori, per essere venuti a questo piccolo galà di inizio estate che le aziende Pearson organizzano ogni anno.» Fu interrotto da un applauso mentre lui elargì sorrisi a tutti. Da bravo padrone di casa quale era strinse mani ed elargì parole di apprezzamento. Quando finalmente chiuse la porta alle spalle dell’ultimo invitato, Gabriel disfò il nodo del papillon e si sbottonò la giacca.

    Il personale aveva già iniziato a rassettare la dimora, passando velocemente nell’atrio gettò uno sguardo verso la sala e vide Maggie con le altre cameriere che stavano raccogliendo i piatti ponendoli sul carrellino.

    Gabriel avrebbe voluto chiamarla e dirle che quello che aveva sentito prima era stata solo una battuta infelice, ma poi decise di lasciare stare. Era meglio non dare spiegazioni e non era tantomeno conveniente trovarsi a tu per tu con la ragazza; la situazione era troppo delicata.

    Maggie Dorsey aveva percepito gli occhi scuri di Gabriel su di sé, quando si era fermato sulla porta; questo pensiero la mise in difficoltà, tanto che rischiò di fare cadere alcuni bicchieri di cristallo, i preferiti della signora Pearson.

    «Attenta, Maggie» bisbigliò Clara, mentre si apprestava ad aiutarla.

    «Scusami, stasera sono proprio stanca» replicò sempre sottovoce.

    «O forse hai la mente altrove» la prese in giro l’amica.

    «Macché, ho solo bisogno di riposare» tagliò corto Maggie tornando alle sue faccende.

    Nessuno era a conoscenza del suo amore segreto per Gabriel Pearson e doveva essere così per svariati motivi, tra i quali il fatto che quel lavoro le serviva. Era ben pagato e le dava la possibilità di sostenere la sua famiglia.

    Suo padre, David Dorsey, lavorava in una delle aziende Pearson che producevano componenti per i motori delle auto. A causa della crisi Gabriel Pearson non aveva licenziato nessuno, ma aveva ridotto gli orari facendo in modo che gli operai lavorassero a turni di quattro ore.

    Quando all’inizio aveva proposto quella soluzione, nessun lavoratore era stato contento, c’erano state delle rimostranze e una richiesta di altre soluzioni. Gabriel, imperterrito, aveva avvalorato le sue parole con dei dati, i quali testimoniavano che un’altra soluzione sarebbe stata il licenziamo di molti uomini. La riduzione dell’orario poteva considerarsi provvisorio, fintanto la crisi non fosse passata e le aziende americane avrebbero ripreso a lavorare a pieno ritmo. Davanti a tanta sicurezza tutti gli operai delle aziende di famiglia avevano sottoscritto le nuove direttive e nessuno aveva perso il proprio impiego. Certamente il salario era diminuito, ma almeno esisteva e garantiva il pane sulla tavola.

    Maggie aveva sempre pensato che Gabriel fosse un freddo capitalista, invece aveva lo ammirato per quella decisione, che lo aveva reso come uomo accorto verso i suoi dipendenti. Lo aveva visto con occhi nettamente diversi, quella scelta aveva svelato un lato umano a lei ignoto.

    Giorno dopo giorno i sentimenti della ragazza erano aumentati, fino a sfociare in un innamoramento non ricambiato e se doveva dar retta alle parole che aveva sentito prima, le speranze erano definitivamente morte.

    Sogno troppo, poi la realtà mi ferisce rimuginò, continuando il suo lavoro.

    «Signorina Dorsey» si sentì chiamare alle sue spalle. Avrebbe riconosciuto la voce autoritaria di Gabriel ovunque. Per un attimo pensò di aver rotto qualcosa o di essersi dimenticata di pulire un angolo.

    Le altre cameriere si erano fermate e la guardavano incuriosite. Non era consuetudine che Gabriel Pearson chiamasse una di loro, la gestione della casa era compito della signora Pearson.

    «Sì, signore?» domandò alzandosi e girandosi verso l’uomo che era stagliato sulla porta della sala. Sembrava un angelo vendicatore, sperava solo che non si scagliasse su di lei.

    «Mi segua, prego» ordinò, indicando lo studio.

    Quella era una stanza in cui il personale domestico poteva solo entrare per pulire e doveva farlo sempre in tempi molto brevi, perché era il luogo personale di Harmon e Gabriel. Lì discutevano affari, ricevevano i soci, programmavano assunzioni e licenziamenti.

    Maggie, con la testa leggermente china si avviò verso lo studio; Sicuramente con me non dovrà parlare di affari, sono già assunta quindi la scelta è solo il licenziamento elaborò con avvilimento. Non immaginava cosa potesse aver fatto per ricevere tale trattamento. Forse il fatto che lo avesse interrotto, mentre discuteva con il suo avvocato, era punibile con l’allontanamento da Pearson House.

    Maggie iniziò a torturarsi le mani, quando la porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo assordante.

    Non sapeva dove guardare e nemmeno cosa dire. Magari se si fosse scusata la situazione sarebbe migliorata, anche se aveva fatto solo il lavoro per cui era pagata. Devo ingoiare il mio orgoglio, devo pensare al salario considerò, ben sapendo che non era il solo motivo.

    «Signor Pearson, mi scuso profondamente per averla interrotta durante la festa» sussurrò, guardando il pavimento. Lo stupendo tappeto persiano era sotto i suoi piedi, ma i colori si confondevano a causa di alcune lacrime che le stavano riempiendo gli occhi. Era già difficile amarlo rimanendo in quella casa, ma la consolava con il fatto che lo poteva vedere. Se l’avesse cacciata non avrebbe più avuto nemmeno quel piccolo dono.

    «Di cosa parla, Maggie?» domandò lui, la cui voce ora era bassa e tranquilla.

    La ragazza alzò la testa pensando di aver interpretato male. «Mi vuole licenziare per averla interrotta mentre parlava con il signor Carter.»

    L’uomo la guardò sgomento, non aveva idea di cosa stesse parlando e lo stava per dire quando la giovane con coraggio continuò recitando tutto d’un fiato: «Ho solo eseguito degli ordini, signore. Inoltre, mi sono sempre impegnata nel mio lavoro nel migliore dei modi. Vorrei che mi concedesse un’altra possibilità.» Era risaputo che Gabriel Pearson volesse il meglio dai suoi salariati e se questo non fosse avvenuto non avrebbe pensato due volte a

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