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Le Presenze di Hawke's Moor
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E-book313 pagine4 ore

Le Presenze di Hawke's Moor

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Info su questo ebook

Una donna a cui Londra volta le spalle, una tenuta abbandonata nelle campagne dell'Inghilterra vittoriana circondata da strane leggende, un'atmosfera affascinante dalle tinte gotiche. 

LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2019
ISBN9781547574452
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    Anteprima del libro

    Le Presenze di Hawke's Moor - Camille Oster

    Capitolo 1:

    Londra, 1873

    Anne Kinelly era in piedi sulla piattaforma rialzata accanto al podio del giudice - o era un pulpito?... No, sicuramente non veniva chiamato così. Un brusio riecheggiava in tutta la sala del tribunale, mentre lei stava ritta, cercando di essere forte. Forse il suo cognome non era più Kinelly. Suo marito sedeva all’altro lato della sala, evitando il suo sguardo. La sua bocca era stretta in una linea sottile, i suoi capelli pettinati con cura.

    Tutti gli occhi erano puntati su di lei, giudicandola inadeguata e manchevole. Stanford viveva con la propria amante, ma quella accusata di adulterio era lei, Anne. Non era mai stata adultera, eppure un uomo che conosceva a malapena, in accordo con Stanford, l’aveva accusata, dichiarando davanti a tutti quanto lei si fosse dimostrata disponibile alle sue avances.

    La sua rovina era completa.

    Aveva trovato alloggio in una pensione modesta, ma i pochi soldi che aveva stavano per finire. Suo marito le aveva tagliato i fondi e non aveva modo di mantenersi in futuro.

    Signore e gentiluomini vestiti finemente bisbigliavano tra di loro, alcuni divertiti dalla sua disperazione, altri invece con aria apparentemente dispiaciuta. Non si poteva tornare indietro da quello. Era benvenuta nella società quanto un lebbroso, temuta come se potesse contagiare tutti con chissà quale devianza, pecca di carattere o qualunque altra cosa avesse spinto suo marito a compiere un gesto tanto drastico.

    In realtà lui voleva sposarsi di nuovo, visto che la sua amante era stanca di nascondersi, soprattutto in quel momento in cui avrebbe potuto godere pienamente della sua ricchezza e della sua posizione a Londra. Anne sarebbe stata spazzata via come polvere vecchia di anni, sarebbe stata ignorata e infine dimenticata. Ora la sua sola compagnia era un’unica cameriera, una ragazza scontrosa che era tutt’altro che felice delle circostanze poco propizie che ovviamente coinvolgevano anche lei.

    Forse se non si fosse più chiamata Kinelly, sarebbe potuta tornare al suo nome da nubile, Sands. Almeno i suoi genitori non erano più in vita e non sarebbero stati devastati da questo destino. Poteva risparmiare loro questo dolore.

    Il giudice batté il martelletto e il divorzio divenne effettivo. Il mormorio crebbe d’intensità e Anne poté sentire la disapprovazione, emanata da chi aveva assistito, bruciarle la pelle. Le persone iniziarono a uscire, ma c’erano ancora domande senza risposta. Stanford fu il primo ad andarsene, ignorando la domanda che lei aveva già sulle labbra. Non gli importava; non gli era importato per molti anni, la vedeva solo come una scocciatura che gli infestava la casa. Harry, suo figlio, era stato l’unica cosa che avevano in comune, ma la sua disapprovazione era tanto profonda quanto quella di suo padre. Non lo vedeva da mesi, da quando lui era tornato a Oxford per la propria educazione. Pensare a quel giovane uomo alto e allampanato le scaldò un poco il cuore che sentiva spezzato e congelato. Ma le lettere che gli mandava stavano ora ritornando, ancora chiuse, e probabilmente era quello che le faceva più male tra tutta la follia che la inondava ora.

    Nessuno le parlò mentre scendeva lentamente dalla pedana e attraversava le grandi porte sul retro della sala d’udienza. Non era più nessuno, era diventata una persona senza la minima importanza. Gli uomini la trattavano maleducatamente, uno di loro le venne addosso e non si scusò nemmeno. Massaggiandosi il braccio dolorante attraversò l’enorme corridoio cupo e uscì in strada, sentendosi stordita.

    La povertà incombeva ormai su di lei, inevitabile. Per lei non era stata prevista nemmeno una minuscola rendita. Le salirono le lacrime agli occhi mentre guardava i venditori ambulanti che urlavano le lodi dei propri prodotti ai passanti. Doveva trovare una maniera per potersi mantenere, sennò sarebbe finita in un ospizio di mendicità. Il mondo come lo conosceva era crollato, ma la città attorno a lei continuava a mandare avanti i propri affari senza prestarvi la minima attenzione.

    Era più che probabile che Stanford si fosse autoconvinto che lei fosse colpevole; sperava che ciò fosse vero, in maniera da sollevare da sé ogni responsabilità e senso di colpa. Non era mai stato un uomo generoso, ma lei aveva fatto del suo meglio per cercare di amarlo durante quegli anni, nell’ultimo dei quali lui non aveva voluto da lei altro che la sua assenza.

    Tenendo stretta la borsetta camminò lungo strade che diventavano sempre più scure e irregolari. Odiava vivere in quella parte della città, ma non poteva permettersi molto altro. Era meglio far durare il più possibile i pochi spiccioli che aveva invece di spenderli tutti in una volta a Mayfair. Sentì un’altra ondata di disperazione assalirla, ma la cosa che continuava a ferirla di più era l’abbandono da parte di Harry.

    Le donne divorziate tendevano a non vivere a lungo e adesso ne capiva il motivo. Ora si trovava davanti a una montagna insormontabile di incertezza e non era abituata ad avervi a che fare. Da lei ci si era sempre aspettati che fosse solo una moglie, e non lo sarebbe mai più stata d’ora in poi. Non aveva capacità specifiche o competenze particolarmente utili, ma avrebbe magari potuto fare qualche lavoro di cucito. Un tipo di impiego pagato miseramente con cui probabilmente non si sarebbe potuta mantenere. Il suo stato di disgrazia, però, non permetteva di svolgere mansioni più onorevoli, come per esempio la dama di compagnia o la governante. Sembrava tutto così impossibile...

    Sembra che tu ti sia persa, tesoro, le disse un uomo sudicio, sorridendole con i suoi denti neri e marci, e la sua puzza la raggiunse in una zaffata. Era abbastanza intelligente da sapere che nessuno l’avrebbe aiutata in quella città e che quell’uomo voleva solo rubarle le poche monete che le rimanevano.

    No, proprio no. rispose, col tono più duro che le riuscì.

    Sicura che non possa darti una mano?

    Vattene! C’è un gendarme proprio dietro l’angolo da cui sono arrivata.

    L’uomo socchiuse gli occhi e per un momento sembrò dubbioso su cosa fare, poi finalmente la paura della legge ebbe la meglio e si allontanò controvoglia.

    Avrebbe dovuto guardarsi le spalle, pensò, per controllare che lui non la seguisse per spingerla magari in un qualche vicolo scuro, visto che chiaramente l’aveva scelta come vittima per le sue azioni contorte. Si disse che non doveva far vedere agli altri quanto si sentisse abbattuta, perché avrebbe attratto chiunque fosse intenzionato ad approfittarsi delle persone più deboli e smarrite. Raddrizzò la schiena e prese un’andatura più svelta e sicura, ma era ancora davvero lontana dalle sue due squallide stanzette che puzzavano di cavolo bollito.

    *

    Anne si sedette nel salottino del suo nuovo alloggio, la stanza dove Lisle dormiva la notte, accanto all’unica camera da letto. Non c’era la cucina, quindi tutto quello che mangiavano doveva essere stato comprato in strada. Ogni giorno la sua misera scorta di monete diminuiva e sarebbe presto arrivato il momento in cui non avrebbe potuto pagare l’affitto.

    Quali opzioni aveva? Avrebbe dovuto scrivere a Stanford o addirittura a Harry per farsi mandare qualcosa. Sentendo le lacrime e l’angoscia pizzicarle il naso, lo strinse leggermente alla radice nel tentativo di non piangere ancora.

    La porta dietro di lei si aprì ruotando su cardini che non vedevano un goccio d’olio da anni. C’è una lettera per lei, signorina. Anche Lisle ormai non si faceva scrupoli a farle notare la regressione del suo stato interiore. Sicuramente anche lei l’avrebbe abbandonata, per andare a vivere e lavorare in una grande casa, invece di rimanere in quel luogo con il neonato con le coliche al piano superiore e il continuo rumore delle persone che salivano o scendevano le scale proprio fuori dalle loro stanze.

    Ma c’era una lettera, la prima comunicazione che riceveva dal divorzio. Notò il sigillo di Mr. Charterham, il suo notaio, un uomo sempre pronto a disapprovare e biasimare ogni cosa, che suo marito aveva assunto per rappresentarla durante il divorzio. Perché, sicuramente con grande disappunto di Stanford, una donna non poteva divorziare senza qualche forma di rappresentanza.

    Ruppe il sigillo, scoprendo che si trattava di un biglietto con cui lui la convocava nel suo studio. Non diceva altro. Attraversare la città fino agli uffici di Charterharm sembrava un compito estremamente gravoso, quasi impossibile da compiere, ma non aveva nient’altro da fare a parte passare un’altra giornata guardando la carta da parati sbiadita e strappata. Magari questa lettera era arrivata a portare un po’ di speranza. Magari Stanford aveva deciso di ammettere di aver orchestrato la sua fine e si sentiva almeno un po’ in colpa, abbastanza da non farla finire in uno di quei temuti ospizi di mendicità.

    Mi serve il cappotto,  dichiarò Anne.

    Esce, oggi? domandò Lisle in un modo troppo diretto per una cameriera. Il suo riguardo era cambiato insieme alla rispettabilità del loro indirizzo, e ora la ragazza sembrava faticare a trattenersi dal deriderla.

    Così sembra, disse Anne, più per il bisogno di parlare che per effettivo interesse a discutere con Lisle dei propri affari.

    Anne fissò il cappello ai capelli con una lunga spilla, guardandosi nello specchio rotto vicino alla porta, ed accettò il cappotto che Lisle le aveva portato. Lo abbottonò e si accorse che risultava più largo sulla sua figura rispetto a qualche settimana prima. L’incertezza e l’ansia le avevano tolto l’appetito, che non era agevolato nemmeno dal cibo insipido e di dubbia provenienza che compravano per strada.

    In tutta quella tristezza, quella missiva del suo notaio era l’unico spiraglio di speranza all’orizzonte. Di sicuro non l’avrebbe fatta andare fino al suo ufficio se non ci fosse stata una qualche ragione. Forse Stanford aveva deciso di spedirle qualcuno dei suoi effetti personali, che lei avrebbe potuto rivendere. In quel momento ogni cosa era utile, quantomeno per interrompere il suo sprofondare nell’abisso oscuro, un abisso che minacciava di ingoiarla se non si fosse fatta forza.

    Le strade erano un guazzabuglio di attività, carrozze e cavalli, carretti e persone. I venditori ambulanti si trovavano in ogni spazio disponibile e cercavano di piazzare le loro merci, mentre il fumo di carbone sembrava avvolgere tutto.

    Anne passò davanti ad una caffetteria ed il profumo di caffè le fece stringere lo stomaco per quanto ne sentisse il bisogno, ma si rifiutò di sprecare anche solo una moneta per un mero capriccio. Ne avrebbe mai bevuta un’altra tazza? Avrebbe mai potuto provare di nuovo i piccoli piaceri della vita? Aveva trentaquattro anni e probabilmente non avrebbe più assaggiato dei pasticcini o del buon vino.

    Imboccò Fleet Street e venne mancata per un pelo da una carrozza, che però le aprì un brutto strappo nel cappotto. Sapeva di essere fortunata ad essere viva, ma quello strappo non aiutava di certo. Si supponeva che i vestiti che aveva dovessero durarle per molto tempo. Sentì di nuovo l’istinto di girare sui tacchi e andare a barricarsi nelle sue stanze, ma la speranza si trovava alla fine di quel viaggio e le serviva più di quanto avesse bisogno di nascondersi.

    Per raggiungere gli uffici di Mr. Charterham si doveva salire una rampa di scale, passare per un corridoio buio rivestito in mogano, fino ad arrivare ad una porta con il suo nome scritto in lettere dorate.

    Un impiegato era seduto a una scrivania, annotando qualcosa su un grosso tomo. Ah, Mrs. Kinelly, disse con un sorriso che sembrava sincero. Prego, si sieda.

    Fu quello che fece, senza prendersi il disturbo di correggerlo su come l’avesse indirizzata. Cosa importava? Magari lui l’aveva fatto appositamente per evitare di porre l’accento sulla sua attuale misera condizione. Se fosse stato così, sarebbe stato davvero gentile da parte sua. E non aveva visto molta gentilezza, negli ultimi tempi.

    Un’altra porta si aprì ed apparve Mr. Charterham. Miss Sands, la prego entri. Charterham non si prese la briga di essere gentile quanto il suo impiegato. Lei gli sorrise rigidamente e si alzò, sperando che Mr. Charterham non si aspettasse di essere pagato per quella visita, perché a quel punto per lei sarebbe stato devastante quanto il divorzio stesso. Era strano come cose sempre più piccole potessero determinare la rovina di una persona.

    Si sieda pure, disse l’uomo, tornando alla propria sedia. C’erano documenti sparpagliati su tutta la superficie del tavolo. La sedia scricchiolò mentre lui si sedeva squadrandola spudoratamente. Non si era mai sentita a proprio agio in sua presenza. Non è bello quello che le è successo, e ho provato compassione nei suoi confronti.

    Grazie, rispose lei, non sapendo bene dove tutto questo stesse andando a parare.

    Per questo ho pensato a cosa avrei potuto fare per lei, disse lui in tono più allegro, inforcando un paio di occhiali. Prese un foglio. E abbiamo avuto successo.

    Anne batté le palpebre, sentendo la speranza crescere.

    In effetti, le abbiamo trovato una casa.

    Una casa, ripeté Anne in un sussurro.

    Una casa padronale, per la precisione, ma non se ne rallegri troppo. È vecchia e disabitata. Non sono sicuro che ci si possa vivere.

    Non suona molto peggio di dove sto adesso... ammise lei, in un raro slancio di sincerità su quanto fosse davvero disastrosa la sua situazione attuale.

    Mr. Charterham sorrise con indulgenza. Èstata lasciata in eredità da una sua prozia, ma nessun parente l’ha voluta, quindi è rimasta vuota da quando la donna è morta. Anche il luogo è desolato quanto la casa, temo. Lo Yorkshire. Ma è già qualcosa.

    Una casa. Aveva una casa, una casa che Stanford non poteva toccare, lui che aveva tenuto per sé tutto il resto. Si trattava di un colpo di fortuna a cui faticava a credere.

    Charterham prese una busta, impolverata e macchiata, e la aprì. E questa, apparentemente, è la chiave; è rimasta ad aspettare per anni che qualcuno la reclamasse. Tirò fuori una chiave nera di ferro. Era grossa e pesante, fabbricata in un’era ormai lontana. Anne la strinse tra le mani e sentì il freddo tocco del metallo penetrarle attraverso la pelle. La speranza era ora in mano sua. Una casa; poteva coltivarvi delle verdure, magari tentare anche con l’allevamento di qualche bestia. Non sarebbe morta di fame, e l’oscuro spettro dell’ospizio si dissolse.

    Non so come ringraziarla, Mr. Charterham, disse, con le lacrime che le pizzicavano gli occhi, ma questa volta per la gioia...

    Sono semplicemente contento che sia stato trovato qualcosa per lei. Non mi piace vedere delle signore ridotte in ristrettezze. Trovo che queste cose si riflettano negativamente su tutta la nostra società. Quindi sono soddisfatto. Le auguro il meglio per il suo futuro. Probabilmente Mr. Charterham era una delle poche persone che aveva incontrato che non credeva davvero nel marchio del divorzio. Lei non era una persona differente rispetto ad una settimana prima, ma lui aveva comunque cercato un modo per aiutarla, e ora lei aveva un futuro grazie a quell’uomo.

    Lo ringraziò ancora parecchie volte, sentendosi molto più leggera mentre usciva, la chiave ancora saldamente stretta in mano. Quella casa era sua e nessuno poteva portargliela via. Ora aveva un posto dove Harry sarebbe potuto andare a trovarla, in caso avesse scelto di accettarla di nuovo nella sua vita; ma aveva solo diciassette anni, erano altri i problemi che lo preoccupavano.

    Capitolo 2:

    Il treno si fermò alla loro stazione e Anne si alzò, scusando sé stessa e Lisle mentre faceva passare la propria ampia gonna attorno alle ginocchia dell’uomo seduto di fronte a loro. Girò la maniglia, aprendo lo sportello del vagone; prese poi l’ombrello. Aveva iniziato a piovere e i finestrini si erano appannati, impedendo ad Anne di vedere fuori per un’ora, ma finalmente uscì all’aria aperta.

    Un facchino arrivò e prese i loro bauli, affrettandosi poi sotto la pioggia mentre loro si riparavano nel piccolo edificio in ardesia della stazione. C’erano passeggeri che salivano sul treno e ingegneri ferroviari impegnati a riempire la locomotiva di acqua. Si alzò quasi subito un pennacchio di vapore e iniziarono a sentirsi i profondi sbuffi del treno mentre quello ripartiva, con la sua scia di fumo che veniva trasportata dal vento. Lo sferragliare della carrozze aumentò man mano che il treno acquistava velocità, poi diminuì lasciando un ronzio nelle orecchie di Anne per l’improvvisa assenza di rumore.

    Benvenute alla stazione di Goathland, disse il vecchio facchino, mentre l’acqua gli colava dal cappello. Sono David Canning,

    Miss Sands, disse Anne, con un cenno della testa. Potrebbe dirci se c’è un modo per trasportare noi e nostri bagagli?

    Certamente, signorina, disse l’uomo. Dove dovete andare?

    Hawke's Manor, rispose lei, dovendo parlare forte a causa della pioggia battente.

    L’uomo batté le palpebre e per un momento rimase in silenzio, limitandosi a guardarla.

    Sa dove si trova?

    Si, disse lui infine. È un po’ fuori, vicino alla fattoria dei Turner.

    Oh, disse Anne, contenta di sentire che ci fosse qualcuno che abitasse vicino a lei. Per un momento, aveva avuto il timore che si trattasse di un posto completamente isolato, giudicando dallo sguardo assente sul volto di Mr. Canning.

    Dobbiamo attraversare quel ponte, disse, indicando una struttura arcuata che passava sopra i binari attraversandoli. Jonah, chiamò verso l’interno dell’edificio della stazione, e un ragazzino corse fuori mettendosi il cappello in tutta fretta. Insieme presero i bauli e precedettero Anne. Fate attenzione. Può essere scivoloso con il bagnato.

    Anne si tenne alla ringhiera e iniziò ad attraversare il ponte, intravedendo un fiume che scorreva poco lontano. Era difficile spingere lo sguardo oltre a causa della pioggia. Il calore accumulato durante il viaggio si stava dissipando e lei iniziava a sentire il freddo umido che risaliva dall’orlo della sua gonna.

    Oltre alla stazione, Goathland, c’erano soltanto un emporio, una sala da tè, un pub e poche case per le persone che vivevano nel villaggio.

    Vedo se Tom può portarvi,   disse Mr. Canning. Il pastore ha un carro che potrebbe prestarvi, visto il brutto tempo. Lì c’è una sala da te, se volete rinfrescarvi.

    Potremmo comprare qualce provvista, disse Anne, indicando l’emporio.

    Mr. Canning si portò una mano al cappello e si allontanò, lanciando un ultimo sguardo indietro. Lisle aveva l’aria infelice a causa del maltempo e teneva il proprio cappotto sopra la testa, quasi correndo mentre raggiungevano l’emporio. Una campanella suonò mentre la porta si apriva, e Anne vide un uomo in piedi dietro il bancone, con un grembiule bianco e dei baffi molto curati. Lui le guardò impassibile mentre si avvicinavano. Anne sorrise, ma l’uomo non rispose al suo sorriso; i suoi occhi, invece, scrutarono il mantello di raso blu che lei indossava. Le persone attorno erano tutte vestite di lana grigia, quindi i suoi vestiti dovevano identificarla subito come straniera da quelle parti. Così come il suo accento di Londra...

    Della farina, forse. Cinque libbre? si guardò attorno e scorse del prosciutto sotto un panno. E una libbra di prosciutto. Ha delle sementi?

    Che tipo di sementi? La voce dell’uomo era aspra e aveva un forte accento tipico dello Yorkshire.

    Piselli? disse Anne allegramente. Cipolle. Per un orto.

    Là dietro, disse lui senza nemmeno muoversi per assisterla, e Anne si avvicinò al luogo indicato, con la gonna che strusciava sulle assi impolverate del pavimento. I semi erano contenuti in pacchettini di carta e lei ne prese qualcuno di diversi tipi. Non aveva mai coltivato verdure prima. Il suo interesse era di solito per i fiori, ma ora aveva necessità differenti, soprattutto pensando che avrebbe vissuto così lontano da altre persone. Ad eccezione dei Turner, per i quali non poteva che sperare in bene.

    L’atteggiamento dell’uomo non migliorò e Anne iniziò a sentirsi di troppo nel suo negozio. Pagò e portò fuori i pacchetti, aspettando sotto una tettoia chiunque potesse aiutarle a raggiungere la loro destinazione. Se Mr. Canning avesse deciso che erano di disturbo, non avrebbe saputo cosa fare, ma dopo un po’ arrivò un uomo, con un cappotto e un cappello oleati, alla guida di una modesta carrozza che sarebbe stata adatta in realtà per un solo passeggero. Dovettero stringersi per entrare, mentre il vetro ovale sul retro si appannava per l’umidità.

    Lisle si addormentò, ma Anne guardò fuori mentre la campagna cambiava, diventando sempre più desolata. Sembrava che tutto fosse bagnato, compresi i suoi vestiti, e si sentì gelare, anche se all’interno della carrozza si era creato un tepore appiccicaticcio.

    Passarono davanti ad alcune fattorie, ma erano poche e parecchio lontane tra loro. Controllando l’orologio che teneva nella borsetta, che era appartenuto a suo marito prima che lui ne comprasse uno migliore, scoprì che avevano viaggiato per circa due ore. Non sarebbe stato semplice raggiungere la ferrovia o anche soltanto un luogo per approvvigionarsi. Avrebbero dovuto imparare a essere autosufficienti, quantomeno per il momento.

    Il conducente non disse una parola per tutto il tempo, mentre il cavallo manteneva un’andatura costante lungo la strada ghiaiosa. La pioggia si fermò, poi riprese a cadere. Il cielo era di un grigio uniforme.

    Nonostante il tempo fosse tetro, Anne si sentiva speranzosa. Tutto sommato, era comunque fortunata. Magari sperduta nella brughiera non avrebbe avuto molta compagnia, ma come donna divorziata non ne avrebbe avuta comunque, da quel momento fino al giorno della sua morte. Avrebbe dovuto abituarsi a una vita più solitaria, indubbiamente piena di lavoro dall’alba al tramonto, e che nell’immediato avrebbe comportato approntare l’orto. Se nessuno aveva vissuto in quella casa per parecchio tempo, era probabile che fosse invaso dalle erbacce, forse addirittura irriconoscibile.

    In verità, non aveva idea di cosa aspettarsi. Si trattava di una casa padronale, quindi sicuramente più grande di un cottage. Probabilmente era costruita con la stessa pietra grigia con cui erano costruiti tutti gli edifici della zona. Con un po’ di fortuna avrebbe avuto un tetto. Se questa casa fosse stata in rovina, le cose sarebbero diventate infinitamente più dure. Ma se avesse dovuto imparare come mettere un tetto, l’avrebbe fatto. Non aveva assolutamente altra scelta.

    Alla fine, la carrozza girò in una strada più stretta – era più corretto chiamarla sentiero - che portava, tortuosa ed invasa dalla

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