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Tommaso Credici e la Via della Misura
Tommaso Credici e la Via della Misura
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E-book326 pagine4 ore

Tommaso Credici e la Via della Misura

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Info su questo ebook

Tommaso Credici ha sette anni, abita al Rifugio, la casa più in alto di tutta la Collina, e possiede una spiccata immaginazione, ma in famiglia nessuno pare capirlo. Tranne suo Zio che ogni estate, quando torna alla Collina, gli racconta tutte le avventure vissute. Finché una notte compare fuori dalla finestra della sua camera e gli dice che devono partire, destinazione: l'Isola delle Vocali. E in un viaggio nel quale Tommaso incontrerà l'isterica regina A, Colla, Forbice e l'imbranato dottor Sbianchettik, viaggerà in mongolfiera e farà persino la conoscenza di un asino, lo scopo ultimo di quell'avventura si rivelerà essere la Via della Misura, un triste posto che fa scordare la fantasia e ragionare solo con misure e numeri. Fino allo scontro con l'ultimo avversario, oltre il quale Tommaso imparerà come diventare davvero grande.

Federico Napoletano vive in provincia di Varese con la moglie Eleonora. Laureato in Lettere Moderne e con una Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali, lavora nel campo delle Risorse Umane. Appassionato di giardinaggio e sci, ama in particolar modo la narrativa per ragazzi. Questo libro rappresenta il suo esordio editoriale.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2024
ISBN9791222496306
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    Anteprima del libro

    Tommaso Credici e la Via della Misura - Federico Napoletano

    COLLANA

    Altri Mondi

    Federico Napoletano

    TOMMASO CREDICI E LA VIA DELLA MISURA

    MONTAG

    Edizioni Montag

    Prima edizione gennaio 2024

    TOMMASO CREDICI E LA VIA DELLA MISURA

    © 2024 di Montag

    Collana Altri Mondi

    ISBN: 9788868927509

    Copertina: Graphic M. PlayG

    Quest’opera è esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone esistite, esistenti o a fatti accaduti è

    puramente casuale.

    TOMMASO CREDICI E LA VIA DELLA MISURA

    PROLOGO

    Tommaso era solo all’inizio della salita e già cominciava ad ansimare. Le ultime pedalate e poi dritta fino a lassù. A lassù, in cima alla Collina, dove si trovava il Rifugio Gran Bellavista, casa della famiglia Credici da ormai tre generazioni. Suo bisnonno, Libero Credici, aveva costruito quella villetta quand’era arrivato al Villaggio. Immagino avesse scelto proprio quel posto per la sua stupenda vista. L’altura, rotonda come un cerchio disegnato da un bambino, dominava tutta la pianura attorno come un terrazzo. Ma non era solo questo il suo bello. La Collina aveva anche un sacco di animali: animali simpatici come i cani, animali pigri come i gatti, animali furbi come le volp

    Alt! C’era un animale ancora più furbo delle volpi. Anzi, due. Sto parlando degli asini della signora Renata, che abitava all’inizio del primo tornante della Collina. Perché i più furbi, vi state chiedendo? Beh, tutti pensiamo che gli asini siano un po' tonti. No? «Vuoi diventare un asino?», ti dicono a scuola. Ebbene, nessuno ha mai conosciuto quelli della signora Renata. Era infatti capitato un giorno che quei due furbacchioni avevano fatto finta di stare male. S’erano sdraiati nella stalla, con l’aria da moribondi, ed avevano smesso di mangiare. Non vi dico la preoccupazione della signora Renata. Veterinari, dottori, esperti: non uno che riuscisse a capire perché i suoi asini non avessero più fame. Fino a che qualche bambino non aveva provato con delle caramelle. Pensate: la medicina più potente al mondo non avrebbe avuto effetto migliore. Da allora, per quei due furbacchioni, era cambiato menù. E via di dolci, caramelle e dessert.

    Tommaso avvicinò la bici al recinto. Ormai la scena si ripeteva uguale ogni volta. I due asini sporgevano il muso, aprivano la bocca e si mettevano in attesa. Prese il pacchetto di liquirizia che gli aveva dato quel pomeriggio nonna Emma. In realtà, un po' gli pesava regalarne un pezzo a quei due. Non tanto per la liquirizia in sé, non certo la migliore delle caramelle. Quanto per tutta la fatica che quel dolciume gli era costato. Odiava studiare inglese. Innanzitutto perché non capiva come mai si dovesse imparare quella lingua. E poi perché non c’era una stramaledetta parola che gli rimanesse in testa. Meno male che c’era nonna Emma, professoressa severissima, che da ragazza aveva vissuto in Inghilterra. Un pomeriggio di compiti con lei equivaleva ad una delle fatiche di Ercole. Insomma, una liquirizia veramente sudata, da godersi fino all’ultimo pezzettino. Ma mamma Teresa diceva sempre che «a fare la carità si va in Cielo». Così Tommaso srotolò la striscia nera, ne strappò una metà e la mise in bocca ai due asini. Poi, balzato in sella, riprese a pedalare.

    Sapete, abitare sulla Collina aveva un grande vantaggio per gli amanti della bici: la discesa. Dal Rifugio in cima al Viale dei Tigli in fondo era tutta una strada da fare in picchiata in soli sessanta secondi. Il problema, però, erano i dieci minuti che servivano poi per tornar su. La stessa strada, in salita, diventava allora così lunga, ma così lunga, che a volte sembrava non finire mai. Per di più, il pezzo più ripido era proprio quello alla fine. Ma «senza fatica non c’è premio», diceva mamma Teresa. E così, gamba destra, gamba sinistra, gamba destra, gamba sinistra, su di gran pedalate. In fondo, era come scalare un monte in groppa ad un destriero.

    Ad essere onesti, c’era una cosa bella della salita in bici: stare in piedi sui pedali. Quanto era figo sentirsi più alti del normale? La famiglia Credici, infatti, non era famosa al Villaggio per essere gente alta. Papà Giuseppe raggiungeva a stento i 165 cm. Nonno Piero, nel fiore della sua età, era arrivato a ben 166 cm! In famiglia girava la leggenda che bisnonno Libero avesse raggiunto i 170 cm, ma nessuno ormai ne aveva le prove. A sette anni compiuti, Tommaso doveva essere circa 110 cm. Troppo poco per un ragazzino della sua età? A dir la verità, i centimetri non erano mai stati un grosso problema per lui, almeno fino all’inizio della prima elementare. Era stato allora che si era accorto di essere decisamente più basso degli altri. Tra l’altro, di quanto s’erano alzati i suoi compagni quell’estate? Meglio non pensarci, tanto lo avrebbe scoperto domani. Nel frattempo, tra una pedalata e l’altra, era bello guardare tutto da un po' più in alto, tutto da un po' più vicino al cielo. A proposito, che brutti nuvoloni si stavano avvicinando!

    Tommaso iniziò la salita del primo tornante della Collina, che per metà era occupata dai larici di Violetta l’Accetta, boscaiola di professione. Guai a entrare nel suo territorio, soprattutto se siete bambini. Non fatevi ingannare dal nome: Violetta non ha nulla di dolce. Ѐ la classica signora arcigna e acida che odia i marmocchi. Di quelle che bucano i palloni che finiscono nel suo giardino. Una volta il povero Davidino Quarti aveva osato avventurarsi tra i suoi boschi ma, dopo esser stato scoperto, era tornato a casa con le orecchie più lunghe del solito. Da allora nessun altro aveva avuto il coraggio di metter piede lì dentro. Ma per fortuna c’erano anche altre case sul primo tornante, come quelle dei Villari, dei Sella e dei Ferretti. Tutte famiglie con dei gatti, tutte famiglie di cui Tommaso non conosceva quasi nessuno. Tranne la signora Sella, che passava le sue giornate in veranda a rivolgere la parola a chiunque vedesse passare.

    «Forza ragazzo! Domani riinizia la scuola».

    «Lo so signora».

    «E sei pronto?»

    Ma a quella domanda Tommaso fece finta di non sentire. Al domani, era meglio non pensarci proprio.

    Accelerò la pedalata fino al secondo tornante, là dove c’erano le ville dei Rattazzi, dei Lanza e dei Siccardi. Tutte famiglie con dei cani, tutte famiglie di persone riservate. A parte l’anziano Siccardi. Da quando era andato in pensione, il vecchio non faceva che spiare la casa di Ugo Lanza. Nessuno sapeva il perché. E in ogni caso, sull’argomento, mamma Teresa aveva sentenziato: «Fatti i fatti tuoi e campi cent’anni».

    Come sempre, Tommaso arrivava stanco morto all’altezza dell’antico lavatoio. Già… un lavatoio su una collina. Una cosa piuttosto utile quando si doveva pedalare fino al Rifugio. No? Peccato solo per quelle tre maledette parole scolpite nella roccia: ACQUA NON POTABILE. Ma, dico io, come fa dell’acqua in cima a una collina ad essere sporca?

    Tommaso si fermò un secondo e scese dalla bici. Le gambe gli tiravano troppo. Da lì in poi avrebbe proseguito a piedi. Il tempo stava anche peggiorando e quelle nuvolacce sembravano sempre più nere. Meglio sbrigarsi. Mancava solo l’ultimo tornante. Lì abitavano i Nugent, famiglia di origine austriaca; i Quarti, che oltre a Davidino avevano anche due conigli; e i Costa, con la cui figlia Tommaso aveva parlato forse una volta sola. D’altra parte, a quale ragazzo di sette anni possono interessare le femmine?

    Ed ecco infine il cancello verde scuro del Rifugio con le sue alte sbarre. Quegli spuntoni gli avevano sempre fatto una certa impressione. Che brutto lavoro fanno i ladri. Tutte le notti a doversi scavalcare delle sbarre come quelle. Si avvicinò alla targa arrugginita del citofono, che era stata messa lì ancora da bisnonno Libero. Recitava: Rifugio Gran Bellavista numero 10. Fece per suonare ma… una sensazione di bagnato gli corse lungo la schiena. Una goccia doveva essere caduta sul collo, segno che un tipico temporale estivo era in arrivo. Allora allungò la mano e premette il pulsante tre volte.

    DRIIIN DRIIIN DRIIIN

    CAPITOLO 1

    Il ragazzo della Collina

    Dovete sapere che nella famiglia Credici esisteva da generazioni un segreto per aprire il cancello, una sorta di codice contro i ladri. O si suona tre volte il campanello o nessuno ti apre. Potrebbe essere la giornata più fredda dell’anno, o potrebbe esserci un branco di lupi alla porta. Non cambierebbe nulla. «Non c’è regola senza eccezione», direbbe mamma Teresa. Ma diciamo che in quel caso… di eccezioni non ce n’erano proprio.

    Al terzo suono le porte si spalancarono in automatico. Tommaso sfilò accanto agli alberi di vite sulla sinistra. Era settembre e, come ogni autunno che si rispetti, a breve nonno Piero avrebbe fatto la vendemmia. Passò di fianco anche ai larici sulla destra. Le potature di quei grandi alberi si facevano invece in febbraio, al freddo. Più in là delle viti e dei larici, poi, c’erano le recinzioni a protezione dai cinghiali. Un’intricata serie di reti metalliche che assomigliavano in tutto e per tutto al recinto di una prigione. Eh già, mi sono scordato di dirvelo: i cinghiali da quelle parti erano un bel problema. Scavavano una buca, entravano di notte in giardino e lo devastavano alla ricerca di radici, bacche e frutti. Non vi dico la rabbia di nonno Piero quando si trovava le sue viti tutte mangiucchiate. Tommaso percorse il viale alla velocità della luce e, arrivato alla fine, smontò dalla bici.

    Ed ecco il Rifugio. Primo piano, secondo piano, terzo piano. Quant’era alta la sua casa? Era tutta l’estate che si faceva quella domanda. Strano perché, prima di allora, non gli era mai capitato di chiedersi una cosa del genere. Beh, facciamo che ogni piano sono tre metri… tre metri per tre quanto faceva? Ma poi quant’era larga la casa? Beh, ogni piano aveva quattro stanze. Ed ogni stanza erano due metri… quattro metri per due quanto faceva? A tutte quelle domande avrebbe risposto un’altra volta. D’altra parte erano già le 19.00.

    E allora? E allora era in ritardo, perché in casa Credici si cenava tassativamente alle 19.00 in punto. Non un minuto prima, non un minuto dopo. Salì subito al secondo piano e, aperta la porta, trovò tutta la famiglia già seduta: la frigna, mamma Teresa e papà Giuseppe. Proprio papà stava finendo di condire qualcosa in pentola. Da qualche settimana era lui a preparare pranzo e cena. Cioè da quando la pancia aveva costretto mamma Teresa ad un riposo forzato. Non che questa fosse una brutta cosa. Papà cucinava molto bene. Ma c’era un problema. Una volta che aveva finito di preparare, la cucina assomigliava ad un campo di battaglia: pentole accatastate, barattoli aperti, condimenti fuori posto, schizzi sopra i fornelli. Fortuna che aiutare a pulire la cucina era compito della frigna.

    «A tavola Tommaso, c’è il risotto coi funghi», disse papà Giuseppe.

    Il risotto coi funghi? Wow!

    Alzò la forchetta e fece per assaggiar

    «Prima il dovere e poi il piacere».

    Era un messaggio in codice: in bagno a lavarsi le mani!

    Ecco mamma Teresa, chi veramente comandava in casa Credici. Una donna tutta d’un pezzo, figlia di contadini ed originaria dei campi. Mamma Teresa di solito faceva molto e parlava poco. Ma soprattutto, parlava per sentenze. Qualunque fosse la situazione, con chiunque stesse discutendo, aveva sempre pronta una frase ad effetto. E potete credermi che i suoi messaggi arrivavano dritti e chiari in tempo zero.

    Tommaso si alzò da tavola e si diresse in bagno. «Gli ordini non si discutono, si eseguono». E questo principio era diventato ancora più vero da quando mamma Teresa era rimasta incinta per la terza volta. Da allora il suo rigore s’era fatto di acciaio. Ma capitela, poveretta: papà Giuseppe impegnato col lavoro, il Rifugio da tenere in ordine, ora un nuovo bimbo in arrivo. Eppure, fino a pochi anni prima, mamma Teresa era sempre riuscita a trovare un momento per il suo Tommaso. Avete capito bene: ERA sempre riuscita a trovarlo.

    Perché ERA? Perché poi era arrivata lei: la peste delle pesti, la regina delle rompiscatole, la principessa delle gnegnegne. In due sole parole: la frigna. Ormai la storia era sempre la stessa. Là dove arrivava Cecilia, era lei a prendersi la scena. Così era stato col diritto di scartare per primi i regali di Natale, con la mousse al cioccolato di nonna Emma, con gli amici da invitare al Rifugio il giorno del compleanno. Sì perché, quando uno è sfortunato, è sfortunato davvero. Come si fa ad avere una sorella più piccola che nasce il tuo stesso giorno? E poi non una sorella qualunque, ma la più piccola, pestifera, pasticciona bambina che si potesse immaginare. Pensate che io stia esagerando? Allora state a sentire. Iniziamo col dire che la povera Cecilia, da piccola, aveva sempre avuto il brutto vizio di distruggere ogni costruzione del fratello. Dal fortino dei cowboys al castello dei cavalieri. Nulla poteva resistere alla furia distruttrice di Cecilia in preda alle crisi isteriche. La povera stazione dei pompieri era stata addirittura lanciata giù dalle scale ed era finita in mille pezzi.

    Ma a quelle crisi, almeno, Tommaso aveva trovato un rimedio: bastava lasciare le costruzioni sulle mensole più alte, così che Cecilia non ci potesse arrivare. Poi, però, era venuta fuori anche la storia della colazione, perché da quando la signorina era entrata in famiglia s’era cambiato registro. Ciao ciao biscotti buoni, benvenuti biscotti integrali. Ciao ciao croccanti fette biscottate, benvenute insipide gallette. I genitori gli avevano spiegato che Cecilia era celica, o qualcosa del genere. «Non è mica colpa sua», diceva la mamma. In ogni caso, Tommaso continuava a pensare che la colazione di una volta fosse molto meglio.

    E poi, in definitiva, la vera domanda era: ma le sorelle a cosa servono? Oggettivamente: non si interessano alle battaglie, non fanno le gare in bici, odiano gli sport. Il loro massimo divertimento è imitare le mamme. Cioè, fare le cose che fanno i grandi. Ma che bello c’è nel diventare subito adulti? Sotto sotto, comunque, la verità era che Tommaso si sentiva ormai come Napoleone dopo Waterloo, o come il Principe Giovanni al rientro di re Riccardo. In una sola parola: DETRONIZZATO. Perché il primogenito era sceso dal piedistallo e ormai mamma e papà avevano occhi solo per Cecilia. Che dico occhi? Occhi, orecchie, mani. Tutto! Comunque, «ride bene chi ride ultimo», aveva imparato dalla mamma." La vendetta sarebbe arrivata a breve. Di lì a poco, dal piedistallo, ci sarebbe scesa lei. Tra tre mesi sarebbe nato un fratellino.

    Tommaso uscì dal bagno e si sedette a tavola. Papà Giuseppe stava guardando soddisfatto la sua cena. E in effetti, aveva ragione. Quel risotto coi funghi era buonissimo. Tutti si misero a mangiare in silenzio, fino a che mamma Teresa non sciolse il ghiaccio:

    «Hai messo la colla in cartella, Cecilia?»

    «Sì, mamma».

    «E la forbice?»

    «Sì, mamma».

    «E lo sbianchetto?»

    «Sì, mamma».

    «E la sveglia l’hai messa?»

    «Tranquilla cara», si intromise papà, «domattina ci sveglieremo puntuali».

    Come tutto l’anno scolastico precedente. O no? Eppure, quando lui aveva iniziato la prima elementare, mica c’erano state tutte quelle scene. Comunque, meglio stare zitti e non ascoltare certe stupidaggini. Meglio osservare qualcosa di… simpatico.

    Tommaso alzò la testa verso la mensola e vide Wolfing, il suo druido di plastica, regalo dello Zio di tre anni prima. Ormai erano sere che lo lasciava lassù come conforto. Giusto per avere qualche faccia amica da guardare durante la cena.

    «In ogni caso, Cecilia…».

    «Sì, mamma».

    «Se stanotte hai attacchi di panico vieni a chiamarmi».

    «Sì, mamma».

    «Anzi, stasera dopo cena prenditi una bella camomilla».

    «Sì, mamma».

    Ma ti rendi conto, Wolfing? Lo senti che paturnie ha questa frigna? Povero te, che tutte le sere ti devi sentire questo strazio. Che poi mi chiedo cosa siano questi attacchi di paura. Voglio dire: ai tuoi tempi c’erano i draghi, le streghe malefiche o le invasioni dei romani. Quelle sì che erano cose di cui avere paura! Ma come si fa a temere una cosa che non è ancora iniziata?

    «Stai serena Cecilia, mi raccomando».

    «Sì, mamma. Però…».

    «Però cosa?»

    «Che succede se domani non trovo un’amica?»

    «Non succederà perché sei una bambina brava».

    «E che succede se non parlo con nessuno?»

    «Non succederà perché sei una bambina simpatica».

    «E che succede se alla maestra non sto simpatica?»

    «Non succederà perché sei una bambina dolce».

    Ma la senti Wolfing? Brava, simpatica, dolce? Sembra che debba compiere chissà quale impresa. Se prima di iniziare piange così, come arriveremo alla fine dell’anno? Io comunque, te lo dico, domani non mi faccio vedere in giro con lei. Ci pensi che figura farei a entrare a scuola di fianco a quella frigna?

    «E poi, Cecilia, ricordati di una cosa».

    «Sì, mamma».

    «Se domani ti viene da piangere, vai a cercare tuo fratello».

    Ecco la beffa, Wolfing. Lo sapevo! Lo sapevo!

    «Hai capito?»

    «Sì, mamma».

    «E tu invece hai capito?»

    Dimmi, Wolfing, dimmi! Cos’ho fatto per

    «Tommaso! Si può sapere cosa stai pensando?»

    Oh, porca miseria Wolfing!

    «Stai cavalcando su un drago?»

    Mannaggia, mi sono distratto.

    «Dove sei? Sul pero, sul melo o sul fico? Guarda che ne abbiamo già uno di strano in famiglia».

    «Stavo ripensando… ai compiti di inglese», rispose Tommaso.

    «Ah, bene. Hai fatto tutti gli esercizi per l’estate?»

    «Sì, mamma».

    «Li hai corretti con la nonna?»

    «Sì, mamma».

    «Bene, se li hai controllati con la nonna non possono essere sbagliati».

    Uh, che brivido. Scampata per un pelo, Wolfing.

    «Comunque», continuò la mamma con un’occhiataccia, «questo risotto è insipido!»

    «Ma ho messo lo stesso sale che metto sempre», ribatté papà.

    Ahia, qui sono dolori.

    «Ѐ impossibile! Ѐ così insipido».

    «Tu sei insipida. E hai pure i gusti sballati».

    Brutto colpo, questo, papà.

    «Io avrei cosa? I gusti sballati?»

    «Sì, da quando sei incinta!»

    Che brutta piega sta prendendo questa cena.

    «Da quando cosa, scusa?»

    «Hai capito benissimo, da quando sei incinta!»

    Esagerato papà, esagerato.

    «La mia cucina, intanto, è più sana della tua».

    «La tua cucina più sana della mia, intanto, fa schifo!»

    Cosa abbastanza vera ma, forse, era meglio non dirlo.

    «Che cosaaaaaaaaa?»

    «Se vuoi te lo ripeto un’altra volta».

    Oh, poveri noi.

    Quello era solo l’inizio. Il primo atto di una litigata che, forse, sarebbe finita la mattina dopo. Mamma Teresa e papà Giuseppe volevano sempre aver ragione e non accettavano mai di poter sbagliare. Sulla cucina soprattutto. Ma la cosa ridicola, è che ben presto a nessuno dei due sarebbe interessato più nulla della cucina. A breve si sarebbero persino scordati del sale nel risotto. Quando succedeva così, era meglio starsene in silenzio e finire la cena velocemente.

    «Guarda quante padelle che hai sporcato!»

    «Tanto non le devi pulire tu!»

    «E tutto questo casino solo per un risotto».

    «Scusami, se provo a fare qualcosa di buono».

    Poveri mamma e papà, Wolfing. Con quella figlia frignona, alla fine, sono così disperati che litigano per il sale nel risotto. Ora ti porto su in cameretta.

    «Io vado di sopra», disse Tommaso.

    «E poi sempre con questi risotti, con queste cotolette e con le pizze!»

    «Mentre le tue verdurine, guarda, sono di un buono!»

    Papà e mamma erano nel pieno della litigata.

    «Buonanotte a tutti», disse ancora Tommaso.

    «E sempre questa cucina pesante!»

    «E allora, io, cosa dovrei dire della tua?»

    Il momento per svignarsela era giunto.

    Si alzò da tavola, si avvinghiò alla mensola e prese Wolfing. Poi si diresse verso le scale a chiocciola. La sua cameretta, ricavata nel sottotetto, si trovava al terzo piano del Rifugio. Cosa di per sé non spiacevole. Una stanza così isolata era molto utile per fare i compiti in santa pace, senza sorelle frignone tra i piedi. E poi lo spazio per giocare era bello grande. Ci si poteva mettere in scena battaglie tra enormi eserciti, costruire coi Lego il castello dei Titani, la nave volante del pirata Hawkins, la casa del sonno eterno dei Druidi. A proposito, ecco da dove veniva Wolfing! Insomma, una stanzetta niente male. Con l’unico inconveniente che l’arredamento un po' antiquato faceva sembrare di notte che ci fossero degli spettri. Ma a parte questo, stare lassù era una pacchia. La cameretta era il luogo dove la mente di Tommaso poteva andare liberamente. Dove l’immaginazione non aveva freni. Con la fantasia si potevano fare un sacco di cose: scoprire le miniere assieme ad Alan Quatermain, combattere il terribile Suyodhana, aiutare Uncas a salvare le figlie del generale Munro. E poi, nella stanzetta, non c’erano confini. Né di spazio, né di tempo. Spesso a Tommaso capitava di ritrovarsi in una battaglia all’ultimo sangue tra cowboys e cavalieri medievali. Certo, di solito vincevano i cowboys perché avevano i fucili. Ma i cavalieri medievali sapevano vender cara la loro pelle. E poi c’erano le gare di velocità tra i velieri dei pirati e le piccole Ferrari in miniatura. Anche qui, spesso, non c’era storia. Ma quando i pirati usavano l’Olandese Volante, ecco che allora avevano qualche speranza in più. Ed infine c’erano tutte le costruzioni in Lego: il municipio della città, le stazioni dei pompieri, gli altissimi grattaceli. Insomma, con la fantasia si faceva di tutto. Anzi, tutto tranne salvare le principesse dai draghi. Quello proprio no. Chissenefrega delle principesse! Semmai quelle erano cose che potevano interessare alla frigna.

    La stanzetta era proprio la fine del mondo. Anche se, ogni tanto, a Tommaso sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui giocare lassù. Già… ma qualcuno chi? Papà Giuseppe una volta ci aveva provato, ma si era capito subito che i giochi di fantasia non erano fatti per lui. Tutta colpa del suo lavoro. Era sempre stato un consulente informatico. Per papà ogni cosa era progettata per uno scopo, ogni cosa doveva avere una precisa funzione. I computer funzionavano così, d’altra parte. Ed i giochi dei suoi figli non potevano essere da meno. Solo che… come si faceva a giocare con quelle regole? Volete un esempio? Ecco, una volta papà e figlio stavano esplorando assieme le piramidi dei Maia. All’inizio era andato tutto bene ma poi, scava scava, ecco che era spuntata dentro a un sarcofago una Ferrari nuova di zecca. Fantastico, no?

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