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Come cani randagi
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E-book242 pagine3 ore

Come cani randagi

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Info su questo ebook

Ci sono una cittadina inglese dei primi del Novecento e i suoi abitanti. E poi l’America e i suoi abitanti.

C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che si è messo a scrivere un libro sulle storie che ha sentito raccontare. Storie di un paese lontano: l’America.

C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che, nelle giornate nevose d’inverno, racconta a Jody le storie del loro paese, Anywhere, Inghilterra.

Ci sono uomini alla perseverante ricerca del loro sogno e c’è chi, invece, sogna anche ad occhi aperti.

C’è uno che vende i colori delle farfalle, per dire, e uno che cerca la tomba di Alessandro Magno.

C’è il signor Mod che impazzisce nell’astruso concetto delle Musiche Parallele e ci sono due fabbriche di vasellame e simulacri perse tra le fosche nebbie d’autunno.

E c’è un posto chiamato Maryliwood che nessuno sa esattamente dove sia.

C’è chi imbottiglia aria in ogni parte del mondo, e chi di bottiglie ne ha scolate troppe e c’è rimasto secco.

A un certo punto, c’è uno che ha trovato il sistema di fermare il tempo, oppure di farlo correre a rotta di collo. C’ha passato su notti intere, e mesi, e anni… poi c’è riuscito. A suo modo, ma c’è riuscito.

Ci sono le mani della signorina Pochette e gli occhi, tristi, di Elise.

C’è uno che si fa rinchiudere dentro una campana di vetro, e uno che fa riattaccare la campana al campanile di una chiesa di un villaggio sperduto nel west.

C’è uno che un giorno ha messo un soldo dentro una fottuta scatola di latta, e poi ci ha tirato su una banca.

C’è la società di ieri, e quella di oggi. Gli stessi illusi sognatori perdenti. Perché ognuno può sognare e realizzare ciò che vuole: la musica più sublime o le parole più belle, poi, di quel che sarà delle nostre opere, be’, quello è compito del destino, e con questo non ci si discute mica tanto.

Grandi sparatorie non ce ne sono. Ma si muore lo stesso. E i treni passano proprio a un niente dalla casa del vecchio Sly Grass, pittore di insegne. Ci sono gli indiani, ma solo raccontati, di quello che hanno subito nei secoli qui non se ne parla. E c’è un posto dove piove ogni santo giorno. E nessuno ha mai capito davvero perché.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2014
ISBN9788868855680
Come cani randagi

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    Come cani randagi - Gabriele Cordovani

    salish

    Nota

    Ci sono una cittadina inglese dei primi del Novecento e i suoi abitanti. E poi l’America e i suoi abitanti.

    C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che si è messo a scrivere un libro sulle storie che ha sentito raccontare. Storie di un paese lontano: l’America.

    C’è un vecchio macchinista di locomotive a vapore che, nelle giornate nevose d’inverno, racconta a Jody le storie del loro paese, Anywhere, Inghilterra.

    Ci sono uomini alla perseverante ricerca del loro sogno e c’è chi, invece, sogna anche ad occhi aperti.

    C’è uno che vende i colori delle farfalle, per dire, e uno che cerca la tomba di Alessandro Magno.

    C’è il signor Mod che impazzisce nell’astruso concetto delle Musiche Parallele e ci sono due fabbriche di vasellame e simulacri perse tra le fosche nebbie d’autunno.

    E c’è un posto chiamato Maryliwood che nessuno sa esattamente dove sia.

    C’è chi imbottiglia aria in ogni parte del mondo, e chi di bottiglie ne ha scolate troppe e c’è rimasto secco.

    A un certo punto, c’è uno che ha trovato il sistema di fermare il tempo, oppure di farlo correre a rotta di collo. C’ha passato su notti intere, e mesi, e anni… poi c’è riuscito. A suo modo, ma c’è riuscito.

    Ci sono le mani della signorina Pochette e gli occhi, tristi, di Elise.

    C’è uno che si fa rinchiudere dentro una campana di vetro, e uno che fa riattaccare la campana al campanile di una chiesa di un villaggio sperduto nel west.

    C’è uno che un giorno ha messo un soldo dentro una fottuta scatola di latta, e poi ci ha tirato su una banca.

    C’è la società di ieri, e quella di oggi. Gli stessi illusi sognatori perdenti. Perché ognuno può sognare e realizzare ciò che vuole: la musica più sublime o le parole più belle, poi, di quel che sarà delle nostre opere, be’, quello è compito del destino, e con questo non ci si discute mica tanto.

    Grandi sparatorie non ce ne sono. Ma si muore lo stesso. E i treni passano proprio a un niente dalla casa del vecchio Sly Grass, pittore di insegne. Ci sono gli indiani, ma solo raccontati, di quello che hanno subito nei secoli qui non se ne parla. E c’è un posto dove piove ogni santo giorno. E nessuno ha mai capito davvero perché.

    "Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero.

    Non si sa niente della vera storia degli uomini"

    Céline - Viaggio al termine della notte

    Prologo

    La notte che Judas Priest venne al mondo in quelle quattro baracche lì intorno nessuno chiuse occhio, e fu solo grazie a Lord Tramp se quella notte al mondo ci rimase, e se poi visse la sua vita.

    Fuori infuriava un domineddio di tormenta, nevicava fitto, nevicava pesante, nevicava a vento… A vederlo da fuori, quello spicchio di mondo sembrava ficcato dentro a una palla di vetro che qualcuno aveva appena girato e rigirato e poi rimessa al suo posto, ma solo a vederlo da fuori, perché se, invece, te ne stavi lì dentro, dentro a quel dannato spicchio di mondo, la cosa era diversa, e potevi vedere che in quelle quattro baracche c’erano persone, persone che si dannavano l’anima e tutto e che l’acqua bollente appena messa nel secchio dalla levatrice del villaggio si congelava in un batter d’occhio.

    La levatrice era Rosie Anderson: settantun’anni, vedova da trenta, madre di sette figli: quattro femmine tre maschi, tutti partiti da tempo per chissadove con il solo obiettivo di non rimanere un minuto di più in quel posto di merda.

    Mac Priest, nell’attesa di capire se sarebbe diventato padre, quella fottuta sera, fumava come un turco, sbrodolava parole incomprensibili, preghiere miste a qualche moccolo, stava lì che sembrava un’anima in pena… agli ordini del comandante della baracca, la vecchia Rosie Anderson, s’era messo a fare la spola dalla pignatta messa lì sul fuoco al secchio, con l’obiettivo di fornire sempre acqua calda, bella bollente, alla vecchia Rosie Anderson, che non vedeva l’ora di capire se anche quella volta ce l’avrebbe fatta a portare a termine, in qualche modo, il parto di quella bella donna, Minna, che da più di tre ore non aveva smesso di sbraitare un attimo ch’è uno.

    Roger McCarmy viveva nella baracca a fianco a quella dei Priest, e non aveva chiuso occhio nemmeno lui. Non aveva chiuso occhio per via di quella stramaledetta porta che non c’era verso di farla star chiusa: quella notte, con quella bufera micidiale, non c’era stato verso: quella porta non voleva saperne, di stare chiusa… oramai c’aveva più neve dentro la baracca che fuori... il vecchio McCarmy tentava di arginare l’invasione con un badile vecchio di cent’anni, ma la presa definitiva della sua malandata dimora pareva cosa di poco tempo. E lui ci smoccolava l’anima.

    Minna sentì l’acqua gelata colargli lungo le cosce, e d’istinto spinse quel peso che da un bel pezzo se ne stava lì a metà, tra il pavimento e il suo sesso sbracato… spinse forte, spinse fino a non poterne più, e Judas Priest venne fuori come un proiettile!

    L’acqua nella pignatta sul fuoco era ancora gelata, roba da ammazzare mamma e figlio, a usarla, e allora si cominciò a temere che quel pallettone schizzato fuori dal sesso sbracato di Minna avesse i minuti contati… Rosie Anderson scosse il capo... Mac Priest affogava un dito dentro la pignatta, appena il tempo di sentire che l’acqua era ancora un gelo e poi smoccolava dio e la madonna… Tutto sudore buttato, pensò, tra sé, la titubante Rosie Anderson… Tutto sudore buttato, Cristo!, entro tre minuti di quel ranocchio non sarebbe rimasta viva nemmeno una mezza speranza…

    Roger McCarmy era arrabbiato con dio.

    Mac Priest con il fuoco e con l’acqua, e poi con dio e la madonna.

    Rosie Anderson con sé stessa, e con quella puttana della vita.

    Ma c’era poco da dannarsi, la legna era ghiacciata, per una fiamma decente si avrebbe dovuto aspettare almeno una mezz’ora… cosa impensabile!... il proiettile, a quell’ora, sarebbe stato già bell’e che svezzato!... Rosie Anderson scosse il capo... Tutto sudore buttato, Cristo!... Mac Priest riattizzò il fuoco... Minna gridava qualcosa, ma nemmeno riuscivano a capire cosa... il virgulto sembrava lo stessero scannando!... C’era poco tempo da perdere, Rosie Anderson chiamò il cane, là muto nell’angolo dov’era stato tutta la notte, e lo fece accucciare vicino al fuoco che sfrigolava neve… gli mise addosso il germoglio, e Lord Tramp lo abbracciò… davvero, lo abbracciò e Judas smise di piangere di botto... così fece anche Minna... Rosie Anderson sorrise appena, appena appena, ma sorrise… Mac Priest non sapeva più che fare, se continuare a smoccolare o se cominciare a sorridere … il fuoco prese a scoppiettare, vivo, davvero, vivo come non mai, allora Mac Priest tirò su con la gola, tirò su tutta la rabbia messa via in quella notte impossibile e, alla fine, prese bene la mira e ci sputò sopra, a quel dannato fuoco.

    Roger McCarmy sfidò la bufera per tutta quella dannata notte. Solo al mattino riuscì a chiudere alla meglio, finalmente, la porta.

    Appena smette di nevicare, da qui ce ne andiamo, disse Mac Priest.

    Non è mica un posto dove si può pensare di crescere un figlio!, disse Roger McCarmy. Senza quel bastardo d’un cane sarebbe già bell’e che morto.

    La neve è una dannazione, in questa parte di mondo.

    Basterebbe nevicasse meno.

    Bisognerebbe rifare le porte, invece…

    Bisognerebbe rifare le baracche…

    Bisognerebbe dargli fuoco, alle baracche…

    Per tagliare legna non c’ho più fiato.

    Nemmeno tanta voglia.

    Morta Rosie Anderson come lo metti al mondo un marmocchio da queste parti…

    Morto Lord Tramp come lo salvi un ranocchio…

    Morto il virgulto ti danni una vita!

    Bisognerebbe dargli fuoco, alle baracche…

    Infatti. Vengo via anch’io, magari… non è mica più vita questa!

    Con quella porta, poi!

    Infatti...

    Sono anni che c’hai il solito problema alla porta...

    E’ il vento...

    E’ la porta. Una volta o l’altra ci rimani secco!... Morto per una porta!

    Tom ci morì, per via di una porta…

    Be’, in quel caso la porta gli cadde addosso… Ed era un domineddio!...

    Non si dovrebbero fare porte così grandi... Tom sarebbe ancora vivo!

    Su questo non ci scommetterei… quando gli cadde addosso la porta aveva già ottant’anni e… quando sarà successo?… venti? venticinque anni fa?... fai un po’ tu il conto…

    Smise di nevicare quarantasette giorni dopo. Le strade si cominciarono a liberare dopo settanta. Il settantasettesimo giorno, di mattina, tirarono via la porta di McCarmy e la caricarono sopra un carro che si reggeva in piedi per puro miracolo tirato da un cavallo smagrito, rubato da Roger McCarmy l’autunno precedente nel villaggio di Uppersee. Poi Mac Priest, Minna, Judas, Lord Tramp, Roger McCarmy e quella stramaledetta porta lasciarono quel posto dove erano vissuti per sei anni filati. Rosie Anderson: settantun’anni, vedova da trenta, madre di sette figli: rimase lì, da sola, in quel niente… Che ci vengo a fare con voi?, disse soltanto, chiudendosi la porta alle spalle.

    Uppersee non era un villaggio. Uppersee era il nome di quel tizio a cui avevano fregato il cavallo. Uppersee c’aveva tre case e sette stalle, era lui, da solo, tutto il villaggio… Il cavallo rubato stava nella settima stalla e si chiamava Dan, ma loro non lo potevano sapere, così lo chiamarono sempre e solo Theft.

    Viaggiarono dei bei giorni, prima di arrivare in un posto decente. Tentarono di barattare la porta per mezzo cervo, ma da quelle parti gli dissero che per avere mezzo cervo dovevano almeno lasciare lì Minna! Fecero a meno del cervo. La porta la usarono qualche giorno dopo per cuocere un paio di lepri che Mac Priest aveva ammazzato dopo averle intrappolate. Judas succhiò latte finché Minna ne ebbe, poi le sue tette smisero di sprizzare e si cercò una mucca. La mucca la portò Lord Tramp. Un giorno s’era allontanato e non s’era fatto rivedere fino a quando non c’aveva una mucca che gli correva davanti!... Il terzo giorno una tetta di Minna zampillò di nuovo un po’ di latte... Il quarto la mucca venne macellata.

    Di questo passo il ragazzo non crescerà nemmeno lontano dalle baracche, disse Roger McCarmy.

    Il carro si spezzò in quattro una sera di primavera inoltrata. A un certo punto non ce la fece più a reggere quelle strade. A Deppersee per un carro mezzo sfatto chiesero in cambio il cane.

    Lord Tramp non si tocca, disse Minna.

    Lasciarono sul posto due giacconi e presero il carro mezzo marcio.

    Prima o poi ci toccherà darlo via, quel cane, disse Roger McCarmy.

    Judas Priest la sfangò solo perché in paradiso non c’avevano posto per un marmocchio come lui.

    Il posto lo trovarono una notte di settant’anni più tardi, settant’anni esatti. Quella notte Judas Priest salì sul suo calesse, percorse lentamente la strada che lo separava dal cimitero, scese, impastoiò il cavallo, si guardò intorno a lungo, andò alla piccola tomba della vedova Morris… Non pioveva a Rainville, e fra le nuvole faceva capolino un niente di luna... Si legò un capo della corda attorno al collo e l’altro sul ramo più alto di una quercia meravigliosa… Il suo fardello doveva aver raggiunto un peso insopportabile, e la vita aver perso il suo significato... Le tante cose fatte e tutti gli anni passati, evidentemente, non erano stati sufficienti a giustificare un’esistenza… o l’esistenza era stata ben giustificata da tutti gli anni vissuti e da tutte le storie sentite raccontare... Si lasciò cadere nel vuoto… Rimase appeso a quell’albero fino alla sera del giorno successivo. Lo stesso giorno in cui il sindaco Diapason Fall prese in moglie Suze Blood, sorella di Jack. Lo trovò Nick Pooploose detto Novantaquattro, e per poco non gli venne un accidente.

    Quei sette anni gli saranno sembrati settanta, o settemila…, disse il sindaco Diapason Fall. Non so cosa diavolo gli sia accaduto, in quei dannati sette anni!... Guardò dritto negli occhi di Silla Jeen Non so se sia stata la maledetta storia del Jack, comunque il Jack è morto… e anche Judas…

    Sette anni mica sono pochi per non dare notizie!, disse Nick Pooploose detto Novantaquattro.

    Sette anni mica sono pochi per non dare notizie!... A Rainville lo avevano già dato bell’e che spacciato! Avesse avuto una moglie si sarebbe già trovata un altro marito, ma Judas Priest non aveva una moglie. Solo con la vedova Morris c’era arrivato vicino... E la vedova Morris poteva essere la donna giusta per Judas Priest. Ma accadde che lei invecchiò d’improvviso, in una sola notte… e il giorno dopo era già fredda come un serpente… Tzutzù, il beccamorto di Fablestown, andò a prendere le misure per la cassa e costruirono la cassa più piccola che fosse mai stata costruita... Avresti potuto scambiarla per un regalo… invece, lì dentro c’era lei: la vedova Morris, l’ombra della vedova Morris, l’ombra ripiegata in quattro… un niente… davvero… un niente ripiegato in quattro... Judas la mise sopra il calesse e la portò al cimitero… Tzutzù aveva già preparato la fossa... la fossa più piccola che fosse mai stata scavata... Ci potevi nemmeno mettere un cane, lì dentro... troppo grande, per un cane... Fu così che Judas Priest non ebbe mai una moglie… Gli venne portata via dal destino... Da un giorno all’altro… E quella notte pioveva più del solito…

    Ha sempre piovuto più del solito da queste parti. Siamo nati e invecchiati sotto l’acqua. Come cani randagi…, disse Nick Pooploose detto Novantaquattro.

    Cascasse il mondo alle cinque di sera Joey era sempre qui. Lo vedevo arrancare su dalla salita e tempo un attimo era dentro casa. Aveva undici anni, allora, e veniva ad ascoltare le storie di una terra lontana: l’America. Erano cose che avevo sentito raccontare, faccende su cui in tanti ci avevano ricamato sopra e aggiunto un niente in più. Come erano davvero non lo so, forse alcune vennero aggiunte di sana pianta, ma a me piaceva raccontarle e a Joey ascoltare.

    Ho viaggiato sui treni per una vita, e ne ho sentite di tutti i colori. Molte cose le ho vissute, tante altre origliate. In quei giorni, approfittando della mia vecchiaia, stavo scrivendo un libro su quello che ho avuto modo di conoscere di persona, e così alternavo la sua stesura ai racconti che facevo a quel ragazzo. Scrivevo di un posto chiamato Anywhere dove io c’ho vissuto tutta la mia vita, e della gente che allora ci viveva. Gente matta e geniale. Non so dire in quanti altri posti del mondo sia esistita tanta gente sbottata come lì, tutta insieme, intendo, ma è stato bello esserci a quei tempi. Le cose poi cambiarono e niente rimase come prima. La fine di tutto fu il falò che venne appiccato una sera a Villa Oh Mercy! di proprietà di lord Bottle. Delle ragioni per cui venne bruciata scrissi ogni particolare, e ci legai intorno tutte le figure meravigliose che conoscevo. Lo scrissi come se a raccontare fosse in prima persona il signor William Thomas, allora contabile di Villa Oh Mercy!

    1. Me ne andai solo alla fine

    E infatti, me ne andai solo alla fine. Proprio quando non c’era altro da guardare, altro da fare. La mia vita cambiò di botto la sera che Villa Oh Mercy! finì in cenere. Poi il treno fischiò e Anywhere scomparve assieme ai giorni e alle notti e a tutte le persone che avevo conosciuto.

    Non morirò a Anywhere, questo è sicuro!... Gli eventi mi hanno portato lontano, e di corsa, anche!... Me ne sono venuto via con l’amaro in bocca, e con il fuoco al culo!... Cos’altro poteva fare un contabile senza più conti da sbrigare?... Senza più rogne da sbrigare?... Il giorno avanti ero il signor William Thomas… quello dopo, quello dopo l’incendio, intendo, ero solo un viaggiatore senza biglietto!... In viaggio verso un posto che ancora non aveva un nome.

    Poi, ho scaricato navi e trascorso notti a cavallo. Bevuto tè con gente che s’ingozzava. Sorseggiato pernod con dame dal portamento elegante e con la velina calata sul volto. Corretto bozze in una tipografia. Incontrato mezzi santi e altri che smoccolavano giorno e notte. Quell’idiota del signor Bottle m’ha rovinato la vita. Scappavo, dio cristo, e non so nemmeno da cosa, a dire il vero. C’aveva ragione Mack: se scappi da qualcosa fallo per bene, altrimenti te la porterai dietro tutta la vita!... Mack era stato a Maryliwood e da lì, con la testa, non ne era più uscito.

    Ma dov’è Maryliwood, Mack?, gli dicevo.

    Troppo lungo da spiegare, ribatteva. Quante dita sono queste?

    Cinque. Che domande fai?

    Due, sono due.

    Come sarebbe a dire?

    In questa mano ho solo due dita, le altre mi sono rimaste a Maryliwood, che tempi quelli, ragazzi. Maryliwood era una pacchia…

    Ma ti hanno scucito tre dita, a Maryliwood.

    Quella è un’altra storia. Maryliwood era piena di donne, di belle donne.

    Sbornia triste.

    Quante donne a Maryliwood, quante.

    Quante, Mack?

    Maryliwood era piena di locande, birra a volontà e donne… Quante belle donne a Maryliwood.

    Dov’è, Mack? Dov’è Maryliwood?

    Troppo lungo da spiegare, l’ha già detto, troppo lungo da spiegare. Maryliwood era piena di mucche.

    Di mucche, Mac? Hai detto mucche, per caso, Mack?

    Sì, le più belle mucche che abbia mai visto. Che tette. Le mucche.

    E le donne, Mack?

    Anche loro, belle, ma meno delle mucche.

    Sfido, io!

    Sfido, Mack!

    Mack! Mack! E dài, racconta.

    C’è poco da raccontare, bisogna esserci stati a Maryliwood.

    Io non ci sono mai stato, Mack, ma con una mano sola conto fino a cinque.

    Anch’io.

    Come si fa a contare cinque con due dita, Mack?

    "Maryliwood era piena di verdi pascoli, piena di colline e

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