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Il volo del cigno
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E-book197 pagine3 ore

Il volo del cigno

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Info su questo ebook

La biografia di Cecilia Silvestri apre il sipario sulla realtà del secondo dopoguerra in Sicilia, ad Agrigento. Terra meravigliosa, ma distrutta dagli esiti del conflitto e dalla povertà che imperversava tra le vie, dove tra i suoi abitanti c’era la necessità continua di raggranellare il necessario per vivere.
È la storia di Cecilia. La racconta con molta lucidità, mettendoci il cuore, descrivendo i moti della sua anima.
Trovarsi improvvisamente senza la sua mamma è un dolore immenso al quale non sa reagire.
Il suo papà, Alfonso, molto sensibile al fascino femminile, è in una condizione di indigenza, il suo lavoro di arrotino non gli permette di vivere dignitosamente. Contestualmente la relazione con Eleonora, una vedova con una bambina dell’età di Cecilia, lo appaga ma non fino al punto da rimanere accanto a lei: si fa strada nel suo animo il sogno americano.
Lascia sua figlia con Eleonora e parte all’avventura.
Intanto gli anni trascorrono tra alti e bassi ed Eleonora, in perenne attesa di Alfonso, vive nella difficoltà con due bambine a cui provvedere.
Cecilia avverte di continuo il vuoto lasciatole dai suoi genitori, l’assenza che non riesce a metabolizzare; ma l’incontro con Pina, che rappresenterà per lei quella madre che ha perso, e il grande amore di Andrea, saranno i punti saldi della sua vita e le daranno tutto l’affetto di cui necessita.
E, come un cigno, prende il volo; vola ormai libera dagli affanni, con la consapevolezza che il dolore le ha permesso di diventare quel che è ora.
Il volo del cigno, di Mario Piro.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2023
ISBN9791255371182
Il volo del cigno

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    Anteprima del libro

    Il volo del cigno - Mario Piro

    LQpiattoPiro.jpg

    Mario Piro

    Il volo del cigno

    (La storia di Cecilia)

    © 2023 Vertigo Edizioni s.r.l., Roma

    www.vertigoedizioni.it

    info@vertigoedizioni.it

    ISBN 979-12-5537-089-5

    I edizione novembre 2023

    Finito di stampare nel mese di novembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Il volo del cigno

    (La storia di Cecilia)

    I ricordi non sono altro che dei frammenti di intonaco che si staccano dalle pareti della nostra mente e ci consentono di vedere e di giudicare il nostro passato.

    Prefazione

    L’idea di scrivere questo libro è affiorata nell’ultima settimana del mese di febbraio 2020, quando la città della Madonnina fu contagiata dal diffondersi del virus Covid 19, unitamente a molte altre regioni nazionali e ad altri Stati del globo terrestre, la quale provocò milioni di contagi e migliaia di decessi.

    I vari decreti nazionali (legge numero 19 del 25 marzo 2020 art.1 e 2) e regionali, imposero l’obbligo ai cittadini di non uscire da casa, se non per comprovati motivi urgenti, di salute o comprovate esigenze di particolari attività lavorative, di cui all’art.1, comma 1, lettera b, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri numero 220 del 22 marzo 2020. Per usufruire di dette agevolazioni bisognava munirsi di una autocertificazione, ai sensi degli artt. 46 e 47 del

    d.p.r

    . numero 445/2000, al fine di evitare eventuali sanzioni pecuniarie.

    La stagione, l’entrata in vigore dell’ora legale e l’improvvisa emergenza, prolungarono le giornate contribuendo a renderle molto noiose e monotone, tali da ostacolare il disbrigo di molte faccende indispensabili come: ogni forma di svago, libertà, disbrigo pratiche personali, visite sanitarie, incontri, convegni e quant’altro potesse essere necessario.

    Possedendo una smaniosa passione per la scrittura, pensai di trovare un rifugio valido per dare sfogo alla mia ispirazione e rendere meno oziosa l’atmosfera casalinga; sfruttando l’occasione che apriva la porta al mio tanto sognato progetto: scrivere un libro creando dei personaggi e avvenimenti partoriti dalla mia fantasia e altri rinverditi dal parco della mia infanzia. Privo di ogni titubanza, spolverai la mia preziosa macchina da scrivere: una Olivetti, Lettera 22, da molti anni custodita negli archivi del tempo, ed iniziai, lentamente, a battere i tasti del suo meccanismo.

    L’inizio è stato timido; sino a quando non riuscii a penetrare nell’atmosfera del mio personaggio e a dare una maggiore consistenza al ritmo letterario. Il dado era tratto: la fame di scrivere si apprestava a fare il suo esordio e mi dava un’ampia serenità. Solamente così potevo trovare il modo di remare per combattere e annientare l’angoscia e la noia che apparivano nel pianerottolo del mio desiderio.

    Così, pagina dopo pagina, iniziai a concretizzare il mio istinto passionale di aspirante narratore.

    La coatta permanenza casalinga, condotta tra la paura e la speranza, mi suggeriva di non abbandonare il sogno intrapreso, qualunque fosse stato l’esito. D’altronde, conoscendo le mie modeste doti creative, non potevo pretendere di comporre un capolavoro, ma volevo narrare una storia semplice, vissuta rasoterra, tra la fame e la miseria, che poteva permettermi di esternare tutto il mio vigore. Quello che mi premeva era dare sfogo al mio istinto e far trascorrere il tempo della stressante e pericolosa pandemia che, nella sua logica, imponeva il: Restate a casa.

    Riconosco di aver trascurato alcuni oneri casalinghi e, di ciò, sono grato ai miei familiari che hanno dovuto accollarsi degli aggravi specifici. Sono stati anche loro che mi hanno incoraggiato a proseguire e a non oscurare quell’opaco fascio di luce proiettato dalla mente, anche se non è altro che un granello di sabbia esposto all’onda del mare dei numi letterali. Certamente la critica, proveniente dal lettore, non mancherà di esprimere il proprio giudizio; che, qualunque esso sia, lo accetterò dignitosamente comprendendo la loro emotività.

    Cenni biografici dell’Autore

    Mario Piro nasce ad Agrigento il 14 ottobre 1940, città fondata nel 581 a.

    c

    . da coloni rodioti, dissidenti, provenienti da Gela, situata nella parte sud-occidentale della Sicilia, bagnata dal mare Mediterraneo, famosa per la sua Valle dei Templi. All’interno del sito archeologico un grande parco e la Villa Aurea sono di grande attrazione turistica per buona parte dell’anno.

    Inoltre, per i valori archeologici dei templi dorici, dove annualmente, si svolge la Sagra del mandorlo in fiore; è anche la città natale del Premio Nobel (1934) Luigi Pirandello (1867-1936).

    Mario è il settimo e penultimo figlio di un’umile famiglia (il papà era bigliettaio presso una nota società di autolinee extraurbane, mentre la mamma faceva la sarta a livello amatoriale).

    Al termine della scuola primaria frequenta l’Istituto di Avviamento Professionale Nicolò Gallo, dove consegue la licenza, e chiude, per esigenze economiche, la parentesi con lo studio. Subito dopo lo stop scolastico apre il sipario ai vari lavori artigianali, al fine di contribuire al mantenimento famigliare, e progettare la sua futura indipendenza.

    L’8 marzo del 1962, all’età di circa ventidue anni, viene precettato dal Ministero della Difesa per svolgere il servizio militare di leva e destinato al 48° Reggimento Fanteria Ferrara

    C.a.r

    . (Centro Addestramento Reclute), di stanza nella città di Bari. Due mesi dopo, ultimato il periodo istruttivo, riceve, dal predetto Comando, la comunicazione di assunzione nel Corpo delle Guardie della Pubblica Sicurezza (a seguito di un precedente concorso e iter selettivo) e quindi viene congedato, anticipatamente e inviato nell’omonima Scuola Allievi di Caserta; città nota per la sua storica famosa e stupenda Reggia del re Carlo di Borbone (progettata dall’architetto Luigi Vanvitelli). Un anno dopo, al termine del corso professionale, ottenuta la nomina di Agente della Pubblica Sicurezza, viene trasferito al 3° Reparto Celere di Milano.

    Nella città dei Navigli, Mario conosce la ragazza che il 21 giugno del 1969 sposerà a Siracusa.

    Milano e la zona di Corvetto saranno le sue dimore definitive.

    Nel 2018, tramite la Casa Editrice milanese

    edb

    , gli viene pubblicato il libro di poesie "Le ali del cuore e, successivamente, a cura della Casa Editrice romana Vertigo dà vita al suo primo romanzo Il rumore del tempo".

    Il volo del cigno

    (La storia di Cecilia)

    Prima di dare corso alla narrazione di questa mia autobiografia meditai molto. Interpellai il mio cuore per sapere se anche lui era d’accordo: la risposta affermativa non tardò molto a farsi attendere. Così, un tardo pomeriggio d’una domenica, trovandomi sola in casa, la mia mente fu colta da un improvviso pensiero: rientrare nella casa dei ricordi. Decisa, mi sedetti davanti alla scrivania e rispolverai la mia preziosa macchina da scrivere: Olivetti, Lettera 22, da molti anni accantonata in un angolo del ripostiglio a consumare la sua storia. Iniziai, così, a battere delicatamente i tasti e a trasferire sul foglio di carta vergine tutto quello che la mia mente, da molti anni, aveva accumulato e custodito gelosamente nel suo dedalo dei ricordi; pur rendendomi conto del percorso delicato e intimo che stavo per affrontare con ampia dedizione. Ora, finalmente, svegliata dagli anni trascorsi – in modo straordinario –, quel lungo silenzio otteneva la sua tanto ambita esternazione: come il soffio del vento che trasferisce lontano le foglie appassite cadute dagli alberi per poi essere raccolte e poste nel cassonetto della mia vita.

    Mi chiamo Cecilia Silvestri. Sono nata ad Agrigento il 12 agosto del 1940, in un vicolo di un rione semidistrutto dalla guerra e dal conseguente depauperamento urbano, dove per tornare a casa bisognava salire una lunga, tediosa e ripida scalinata, simile a quella di un palazzo di dieci piani, e quando si arrivava, ci volevano almeno dieci minuti per riprendere fiato. Eravamo una famiglia indigente. Vivevamo al primo piano di una palazzina restaurata, dove si accedeva da una rampa esterna. L’appartamento, preso in locazione, era composto da una camera soggiorno/pranzo, una stanzetta centrale che conduceva alla camera da letto dei miei genitori, da un bagno piccolissimo, simile a quello di un treno, da un cucinotto dotato di un fornello a carbone, in muratura. Vivevamo con i pochi soldi che mio padre Alfonso riusciva a portare a casa, che erano i proventi del suo mestiere ambulante di arrotino. A tavola il secondo piatto, il contorno e la frutta, erano dei lussi che, raramente, potevamo permetterci di gustarli, ad eccezione nelle festività importanti e con modeste spese. Tutto quello che rimaneva lo si consumava la sera o il giorno successivo; insomma divoravamo tutto il cibo residuo se non eccessivamente avariato. Il mestiere di mio padre lo costringeva a stare fuori casa per parecchie ore al giorno, a girovagare per le strade della città, dove ancora si potevano notare molti ruderi e macerie che la guerra ci aveva lasciato in eredità insieme alla carestia che regnava sovrana. Sebbene aitante, era affetto da una lieve otite cronica contratta in tempo di guerra, ma il suo fisico, la sua età e il vigore che possedeva gli consentivano di procedere tranquillamente per il suo cammino. Andava in giro, sfidando le condizioni climatiche, trascinando il suo carrettino dotato dalla mola e da altri utensili specifici. la sua voce squillante – che inondava la strada – e la frase: «Arrotino, arrotino, passa l’arrotino. Donne, affilate le vostre forbici, i vostri coltelli» era il suo slogan professionale. Con molta frequenza aveva necessità di farsi risuolare le scarpe consumate dal continuo uso e dallo stressante cammino. Quando rincasava, esausto, si lasciava cadere pesantemente sul letto, dove rimaneva silenzioso per alcuni minuti. Una volta, guardando il suo viso appesantito, pensai che oltre alla stanchezza qualcos’altro lo impensieriva, ma la mia indagine si concluse lì. Papà era un uomo che godeva di un’ottima reputazione per il suo carattere serio e riservato; era anche molto intransigente nel suo lavoro. Era un uomo attraente e possedeva una grande cultura e un’ampia creatività sebbene avesse frequentato la scuola sino alla quinta elementare. Avrebbe preferito proseguire gli studi per darsi una migliore possibilità, per esaudire i suoi sogni, ma le condizioni economiche in cui versava la famiglia, specialmente dopo la morte di suo padre dal quale aveva ereditato il mestiere, non glielo avevano permesso, per cui aveva dovuto archiviare ogni suo progetto e accettare, con un’ampia rassegnazione, il suo destino. Così i suoi sogni svanirono e rimasero chiusi nel cassetto delle sue ambizioni.

    Durante la sua infanzia, da sportivo, amava frequentare con assiduità l’oratorio Salesiano, dove, con caloroso impegno, partecipava attivamente ai tornei calcistici indetti in quella sede.

    Come ogni maschio siciliano, quando si presentava l’occasione di ammirare le grazie femminili, da un buon donnaiolo, non se la faceva sfuggire guardandole intensamente, anche con la coda dell’occhio durante il suo lavoro. Da ragazzo si era innamorato di una picciotta che frequentava, da adèpta, la Chiesa Cristiana Avventista, dove egli, durante le funzioni religiose, si recava spesso ad assistere: non per vocazione, perché era cattolico, ma esclusivamente per incontrarla e trascorrere qualche ora in sua compagnia. Anche qui il destino gli voltò le spalle perché tutto il sentimento che provava per lei non era ricambiato. Questo me lo disse, un giorno, in età adulta, un suo carissimo e inseparabile amico d’infanzia. Il calice dell’amore poté sollevarlo quando conobbe mia madre durante una piccola festicciola tenutasi in un’abitazione del vicinato. A quei tempi le discoteche non esistevano per cui ogni ricorrenza veniva festeggiata in casa.

    Mia madre, come tutte le donne dell’epoca, era sempre indaffarata nelle faccende domestiche. Era molto riservata e anche parsimoniosa nello spendere; era anche una fervente cattolica e tutte le domeniche mi portava alla messa, nella chiesa del nostro quartiere. La sua fede, nel tempo, è diventata anche la mia. Lei è stata la luce del faro che mi ha attratta nel porto della religione e che ho ereditato con un’intensa passione.

    Negli anni Cinquanta, con la città che finalmente faceva riemergere dalle macerie il suo patrimonio urbano, la gente cercava di dare una nuova svolta a tutto ciò che le era stato asportato dalla famelica guerra e, durante l’estate, riprendeva un graduale possesso del suo mare, lungo il litorale di San Leone, servendosi, con priorità, dei mezzi del sevizio pubblico che collegavano la città all’amato e frequentato lido.

    Io, in quel periodo, frequentavo la quinta classe elementare, in una zona centrale e lussureggiante della città: il viale della Vittoria, dove era ubicato l’istituto protetto dall’ombra di un lungo duplice filare di alberi: Ficus Benyamin, che faceva anche da cornice. Un luogo molto panoramico e affascinante da dove, dall’alto del colle, si poteva scorgere tutta la Valle dei Templi e la costa abbracciata dal suo mare africano. La maestra diceva sempre a mia madre, che mi accompagnava a scuola tutte le mattine, che il mio impegno nello studio era lodevole e promettente; come, difatti, i voti riportati sulla pagella davano ampia conferma. Non avevo mai perso un giorno di scuola e mai mi ero presentata in ritardo; uscivo da casa sempre alla stessa ora; anche se per alzarmi dal letto la mamma mi sollecitava continuamente urlando: «Dai, sbrigati, se no facciamo tardi!» mi diceva sempre porgendomi il grembiulino per indossarlo, e mi faceva trovare la colazione pronta sul tavolo. Ammiravo molto la sua solerzia e la cura che aveva sempre nei miei confronti. Erano un affettuoso riparo e una protezione concreta. Mi ritenevo fortunata ad avere una mamma come lei e godevo della sua costante attenzione nei miei riguardi; al confronto di altre che, avendola persa durante la guerra, non potevano beneficiare di tanta cura e di tanto amore.

    Una mattina, dopo un brusco temporale abbattutosi durante la notte, eravamo appena uscite da casa, dirette al plesso scolastico, quando, ultimata la discesa della lunga scalinata, ad un tratto i suoi piedi si arrestarono paralizzati da un improvviso malore e il suo viso impallidì. Con immenso stupore sollevai la testa e la guardai: vidi il suo volto sbiadirsi e la sua fronte inumidirsi di un lieve sudore.

    «Mamma, cosa ti senti? Non stai bene?» l’interrogai premurosa, tenendo stretta la sua mano.

    «Non so, non è niente! Un lieve capogiro non preoccuparti, passerà presto» rispose mogia scuotendo la testa. Improvvisamente la sua mano si staccò dalla mia, come se qualcuno l’avesse strattonata, e lei cadde di colpo collassata sull’asfalto reso fangoso dalla pioggia. Nel cielo il sole faticava a farsi spazio tra le nuvole che non davano alcun segno di resa. In quel momento mi sentii sconvolta, ma ebbi la forza di reagire con gli occhi lacrimanti. Anche a casa l’avevo vista spesso, pallida, accasciarsi improvvisamente sulla sedia per alcuni minuti sino a quando le sue forze riprendevano il suo vigore; ma mai aveva manifestato una crisi così intensa.

    «Mamma, mamma, mamma!» urlai girandomi di scatto, colta da una grande disperazione «Alzati! Alzati!» le dissi con sgomento, vittima di uno shock violento che oscurò la mia faccia. Di colpo le afferrai con le mani la testa e, guardandola negli occhi, provai a sollevarla implorando Dio di aiutarla. Alcune persone, che stavano poco distanti da noi, udite le mie urla, dettate dalla disperazione, e notato ciò che stava avvenendo, intervennero in aiuto provando a rianimarla. Cosa, questa, che avvenne qualche minuto dopo. Il suo respiro sembrò riprendere fiato e il suo fisico ritrovare lentamente i movimenti perduti. Gli occhi lasciarono che le palpebre ritornassero al loro posto e il volto ripristinasse la sua vitalità. Con lo sguardo abbassato lei provò ad incoraggiarmi: «Non temere, piccola mia, è stato un momento di debolezza» sostenne provando ad rialzarsi «adesso sto

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