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Con cuore di donna: Alcesti - Teti - Atena
Con cuore di donna: Alcesti - Teti - Atena
Con cuore di donna: Alcesti - Teti - Atena
E-book138 pagine1 ora

Con cuore di donna: Alcesti - Teti - Atena

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Info su questo ebook

Sono storie di dee, donne, femmine, ciò che le accomuna supera le loro distanze. Sono loro a narrarle, esperienze che irrompono dal racconto mitico e insieme lo capovolgono, dando voce al mancante, attraversandolo con occhi nuovi, dando spazio alle loro parole.
«Imparare a leggere il mito è un’avventura di tipo particolare; presupposto di quest’arte è una progressiva trasformazione di sé» scrive Christa Wolf.
Le storie che compongono questa raccolta seguono un preciso filo del pensare e del sentire, riprendendo tre miti e i loro personaggi proprio dove i drammaturghi ateniesi e il racconto antico li hanno “lasciati”: Alcesti che ritorna dall’Ade dove era giunta accettando di morire al posto del marito Admeto; Teti, il cui splendore traluce dai versi di Omero senza tuttavia esaurirsi in essi, voce sapiente e sofferta che unisce l’umano e il divino disvelando legami e genealogie dimenticati; il tribunale di Atene che assolve Oreste assassino della madre e vendicatore del padre reinterpretato da Atena in un percorso di riflessione e di crisi, sino a una rivelazione che cambia il senso della sua stessa esistenza.
Una rivisitazione in cui Giuseppina Norcia riscrive il patrimonio mitico guardando altrove, guardando dentro, ora rimescolando le fonti, ora ponendo nuove domande. Soprattutto, un’esperienza il cui segno e senso è d’essere vissuta con cuore di donna.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2024
ISBN9788868995119
Con cuore di donna: Alcesti - Teti - Atena
Autore

Giuseppina Norcia

Giuseppina Norcia è nata a Siracusa nel 1973. Ama la musica, il mare, la buona cucina e i racconti intorno al fuoco. Da anni si occupa di divulgazione culturale, con particolare riferimento al teatro antico, alla cultura classica e alle sue “persistenze” nella contemporaneità. Ha realizzato progetti didattici con università italiane e straniere e ha lavorato per oltre dieci anni presso la Fondazione INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico). Negli ultimi anni ha tenuto corsi di drammaturgia antica e coordinato laboratori per ragazzi sul teatro classico, la lingua italiana e la trasformazione creativa dei conflitti. È autrice di contributi, di taglio sia scientifico sia divulgativo, relativi alla storia di Siracusa e alla messinscena contemporanea della tragedia greca, pubblicati su riviste specializzate (tra cui Dioniso), e di articoli sulla filosofia e sulla religione buddista. Con Giovanni Di Maria ha realizzato l’audiovisivo Le Ragioni di Antigone (Videoscope, 2006), monografia dedicata all’Antigone di Sofocle e ad alcune “riscritture novecentesche” del mito; è autrice del libro L’Isola dei miti. Racconti della Sicilia al tempo dei Greci (VerbaVolant, 2013).

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    Anteprima del libro

    Con cuore di donna - Giuseppina Norcia

    Prima avventura

    Alcesti se ne va

    Nota al testo

    L’Alcesti di Euripide è stata rappresentata nel 438 a.C.

    Qui Admeto, sovrano di Fere, può sottrarsi alla morte a condizione che un’altra persona scenda agli inferi al suo posto. Nessuno tra gli amici e i congiunti si presta allo scambio, eccetto la sua sposa, Alcesti, disposta a sacrificarsi per lui.

    Il dramma si conclude con il ritorno della donna, ricondotta da Eracle, imprevisto ospite di Admeto, nel mondo dei vivi. La troviamo sulla scena dapprima velata, poi muta, poiché, come dice Eracle, fino all’alba del terzo giorno «non è lecito ascoltare le sue parole prima che sia stata liberata da ogni legame con le divinità degli inferi.»

    Alcesti se ne va ritrova Alcesti nel punto in cui la lascia Euripide, e le restituisce voce esplorando le dinamiche del sacrificio e l’esperienza della libertà.

    Una riscrittura che gioca con il mito contaminandolo con la storia della regina degli inferi Kore-Persefone, dal rapimento della dea ragazza, da parte di Ade, ai suoi infiniti ritorni alla luce e alla madre Demetra.

    Tra le fonti di ispirazione, María Zambrano e la sua rilettura imprevista di Antigone che ne ribalta il mito: «E come poteva, Antigone, darsi la morte, lei che non aveva mai disposto della sua vita? Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di sé stessa. (…) Le si diede una tomba; bisognava darle anche tempo. E, più che morte, transito».

    Soprattutto, non avrei riletto il mito di Alcesti con questi occhi e queste parole senza Labodif, Laboratorio della Differenza, Istituto di ricerca, Scuola di indomità, e le sue maestre fondatrici, Giovanna Galletti e Gianna Mazzini. A loro, a Gianna e Gio, dedico con gratitudine questo scritto.

    E sono tornata a essere

    una persona che non sono mai stata.

    Clarice Lispector

    Non sapevo che il buio

    non è nero

    che il giorno

    non è bianco

    che la luce

    acceca

    e il fermarsi è correre

    ancora

    di più.

    Goliarda Sapienza

    I

    Il velo volli tenerlo ancora un po’. Nascondermi il viso e il nome, e vederlo piangere da quella trasparenza nera che in fondo mi avrebbe separato da lui per sempre, anche se ero miracolosamente ritornata.

    Volevo metterlo alla prova, forse.

    «Non ci sarà nessun’altra»: mentre mi lasciava scivolare negli inferi al posto suo Admeto mi aveva promesso che mai più una donna, sua sposa, avrebbe varcato la soglia della reggia, avrebbe condiviso il nostro letto. Che nessun’altra – ma questo non fui io a chiederglielo – nostro figlio avrebbe chiamato madre, dimenticandosi man mano di me nel calore di nuove carezze.

    Me lo doveva. Anche se in fondo, sempre più lo sentivo, non me ne importava. Mi era rimasta la curiosità.

    Studiavo i passi e i singhiozzi di mio marito per misurarne l’autenticità, cercando i segni inconsapevoli della simulazione, il gesto mancante o quello di troppo da cui traluce la scintilla di ciò che è vero.

    Admeto, somigli così poco al tuo nome!

    Ti volevano indomabile, per chiamarti così. E invece nel gioco ironico della vita sei nato timoroso di ogni ombra, così accurato nel disegnare le apparenze perché niente smargini dai contorni prestabiliti, dalla misura prescritta, la giusta posa per farti chiamare gentile, ed elegante, un brav’uomo davvero, il principe ospitale.

    Tuttavia, niente riusciva ad accendere il mio sposo quanto un uomo capace di muoversi nel mondo come se fosse stato creato per lui. Admeto era fatalmente attratto da ciò che non poteva, né sapeva, essere.

    Forse per questo aveva accolto quel mandriano venuto dal nulla con uno zelo che era apparso eccessivo persino al suo popolo. L’unica sbavatura nella posa del principe gentile.

    A quel giovane dallo sguardo lucente che aveva fatto irruzione nella sua vita era concessa ogni cosa: entrava nella reggia e si muoveva come se la conoscesse da sempre, con passi da re più che da servo. Ma Admeto preferiva andare nella stalla a incontrarlo, alla fine di un giorno di pascolo, chiudendo alle sue spalle la grande porta di legno affinché nessuno vedesse, e ascoltasse.

    «Admeto non è più lo stesso» dicevano. C’era come una dismisura in lui, il respiro di un rischio che non avrebbe mai più osato.

    Desiderare. Vivere. Somigliare, forse un po’ di più, al suo nome.

    Aveva persino smesso di raccogliersi dietro la nuca i capelli di spiga, che adesso brillavano al sole scarmigliati e pieni di vento come quelli del suo mandriano. Forse furono davvero amanti, in quei mesi densi come anni, quando la porta si chiudeva alle spalle del futuro re di Fere e strani bagliori accendevano le stalle scivolando sotto le fessure come frecce d’oro.

    Eros prende alle spalle. Travolge. Oppure non è.

    Anche così, tuttavia, quello sarebbe stato solo uno dei loro segreti, e non il più rilevante.

    Che il mandriano fosse un dio si sarebbe scoperto dopo; allora gli indizi che al momento sembravano stranezze, prodigi beffardi, avrebbero preso tutta un’altra luce. Le ragazze, così incuranti del costume e della reputazione, cedevano alle sue avance, in pieno giorno, come menadi tra le boscaglie. O l’inspiegabile abbondanza di parti gemellari tra le greggi, come se una forza sovrannaturale volesse rendere fiorente e felice quella terra. Nessuno sapeva dire di no, alle sue carezze, alle sue richieste; nei crocicchi persino gli uomini più potenti gli cedevano inspiegabilmente il passo, irretiti da lui che sorrideva come un dio.

    Soltanto quando Apollo – sì, era proprio lui l’ospite – concluse il periodo di servizio – a dire il vero di espiazione, per un’offesa che non amava nominare – tutto fu chiaro, ogni segreto si sciolse. Era tempo di andare, tornare a rifulgere nei cieli.

    «Apollo sta andando via» ripetevano tutti facendosi eco ad ogni crocicchio, nelle case, nei lavatoi. «Apollo è stato qui» dicevano ancora increduli, salutando a modo loro il prodigio che troppo tardi avevano percepito, senza mai veramente capire. Forse il cuore di Admeto si spezzò, nessuno sa di quell’uomo così incline alla simulazione e al silenzio.

    Il dio non poté ricambiare la sua ospitalità aprendo per lui le porte dell’Olimpo, ma gli diede due doni che lui colse con il cuore di chi calcola e s’accontenta.

    II

    Quando vidi Admeto la prima volta ero ancora una bambina.

    È allora, quando i capezzoli sono appena due boccioli di rosa e la traccia di sangue scoperta d’improvviso tra le gambe ci sembra più vicina alla sventura che al cerchio della vita, che veniamo promesse spose dal padre che governa il nostro destino. E se quel padre è un re, il meccanismo si complica, diviene un rischioso gioco di equilibri in cui il corpo e il nome della figlia, della bambina, sono la posta ambita, il premio, l’oggetto da scambiare.

    Pelia non voleva offendere nessuno, non voleva che la sua Iolco, il suo trono ad ogni costo desiderato al punto da rubarlo, fosse insidiata da nuovi nemici, dal rancore che un rifiuto fa crescere nel cuore di un uomo.

    Così indisse una gara. Per avere in sposa la figlia Alcesti, la sua bellissima primogenita, bisognava compiere l’impresa impossibile: legare al giogo di una biga un cinghiale e un leone e guidarla fino alla meta senza esserne disarcionati.

    Admeto rideva come un ragazzo felice mentre guidava il suo cocchio trainato dagli animali prodigiosi: il giovane pretendente parve davvero indomabile e potente anche a mio padre, che non vedeva Apollo dietro di lui, a rendere possibile il prodigio, a instillare

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