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OSMOSI: Nati dalla parte sbagliata
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OSMOSI: Nati dalla parte sbagliata
E-book268 pagine4 ore

OSMOSI: Nati dalla parte sbagliata

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Osmosi è una tetralogia narrativa che si apre con questo Primo Volume, Nati dalla parte sbagliata. Brigid e Jeny sono come il giorno e la notte: riservata e generosa la prima, sfrontata e impaziente la seconda. Eppure una sorta di legame indissolubile le tiene unite fin dalla prima infanzia sulle scogliere delle coste scozzesi. Negli Stati Uniti, ad Atlanta, sembreranno trovare entrambe la propria dimensione. Accanto alla casetta ai margini della foresta che Brigid ristruttura per farne la propria piccola attività e fattoria vive Charles, affascinante e misterioso vicino che dopo averla soccorsa in un momento di bisogno si sente grato e incredulo di ogni minuto di estrema beatitudine vissuto insieme a lei.  È solo col passare del tempo che Brigid realizza quanto non riesca più a fare a meno di quell’uomo sempre pronto a infonderle autostima e coraggio. Così come Charles sentirà presto che il piacere indescrivibile scaturito da quella loro fusione alchemica di corpo e anima è ormai per lui qualcosa di irrinunciabile, che va oltre a qualsiasi suo precedente credo. Rincasando dalle sue lunghe giornate di assenza, Charles condivide con Brigid alcuni degli aspetti più dolorosi e inquietanti del suo segretissimo lavoro: la squadra che guida ha il delicato compito di salvare da fine certa o atroci sofferenze e ingiustizie bambini e adolescenti cui in diverse zone del mondo, fin dalla nascita, non è stato riservato altro che violenza. L’incondizionato coinvolgimento di Brigid nelle disavventure e sfide professionali e umane di Charles durante le sue missioni finirà però per mettere in serio pericolo la loro vita, oltre che l’operato di Charles e dei componenti della sua squadra.
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2024
ISBN9791223004036
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    Anteprima del libro

    OSMOSI - Emanuela Lusuardi

    SULLA SCOGLIERA

    Non avrebbe dovuto trovarsi lì, in piedi, su quella scogliera. Ma quello era il posto dove lei si sentiva meglio, quasi a casa. Lì poteva lasciar fluire tutti i suoi pensieri e respirare quel senso di libertà che per molto tempo le era stato negato. Lì era sé stessa.

    Il pomeriggio prima era salita fin lassù per portare le sue pietre più importanti. Perché quella notte ci sarebbe stata la luna piena, e questo era un elemento fondamentale per farle rigenerare. Le aveva disposte in cerchio, alternandole con delle candele. Si era fermata per ammirare il paesaggio e poi era rientrata.

    La mattina seguente si era alzata presto. Voleva vedere l’alba e chiamare a sé le forze della natura, e quello era il punto giusto. Era uscita di nascosto per evitare troppe domande. Quelle scogliere trasmettevano energia, qualcosa che entrava nel corpo, come se propagassero il loro potere, e lei dio solo sa se ne avesse bisogno: quante forze doveva mettere in campo ogni giorno per arrivare a sera! Il sole stava sorgendo e c’erano appena un paio di nuvole: si prospettava una buona giornata. L’aria era frizzante ma lei si era coperta per evitare che la sensazione di freddo rovinasse l’attesa.

    Trovò il punto giusto, entrò nel cerchio, divaricò le gambe, allargò le braccia verso il mare, alzò la testa al cielo e chiuse gli occhi. Respirò profondamente, una, due, tre volte, e liberò la mente da ogni pensiero. Sentiva il vento spingerla dolcemente procurandole una piacevole sensazione, quasi non avesse peso. Si sentì leggera e sicura di sé, tanto che ebbe come l’impressione di non toccare più l’erba e il muschio sulla riva della scogliera. In questi momenti diverse emozioni si avvicendavano: istanti di felicità che disegnavano un sorriso sulle sue labbra e poi subito dopo sensazioni tristi, cariche di dolore, in cui le lacrime le rigavano il viso e la sofferenza avanzava a grandi falcate, interrotta subito dopo da altri attimi di beatitudine. Anche il petto partecipava a questa meditazione, alternando battiti regolari a fremiti accelerati e ravvicinati.

    Quando sentì di essere pronta e rigenerata, riaprì gli occhi e, sempre con lo sguardo puntato al cielo, si fermò a osservare una nuvola: il cuore si riempì di gioia ma le lacrime ripresero a scendere… Sapeva di essere nei suoi pensieri, ne era certa, ma più di così non si poteva fare. Prima di uscire dalla meditazione chiese alla Natura di essere sempre propizia al suo fianco e di scortarlo sempre, in modo che mai niente di male potesse accadergli. Si mise in ginocchio con le mani nella terra per alcuni interminabili minuti, poi con la Grande Madre si scusò per il disturbo e per il suo pensiero egoista, e cioè di aver avuto la presunzione di poter cambiare l’essere umano, di potergli far capire che con la violenza non si sarebbe andati da nessuna parte se non nella direzione sbagliata. Altri minuti di silenzio assoluto, concentrata a vuotare la sua mente da tutti i pensieri, perché sicuramente durante il rientro a casa sarebbero arrivati tanti nuovi propositi. Raccolse le pietre infilandole nello zaino a una a una e lentamente si preparò a tornare.

    Camminare le piaceva molto, le faceva bene, ma doveva stare attenta perché le sue condizioni di salute non erano ancora al massimo e sarebbe bastato poco per avere delle ricadute. Eppure sentiva il bisogno di camminare da sola per affrontare le sue paure, e soprattutto abituarsi alla propria ombra. Solo in mezzo al bosco e alla natura sarebbe riuscita a superare tutto. Le prime volte non fu facile: a ogni rumore l’istinto era quello di controllare cosa fosse. Poi, a forza di insistere e perseverare, la passeggiata sotto sera divenne un’abitudine.

    Rientrò mentre ancora tutti stavano dormendo. Il silenzio sovrastava il centro e la fattoria. Gli animali erano ancora sopiti, e questa pace temprava l’animo che si preparava ad affrontare un nuovo giorno. Andò in camera. Aveva sudato e faticato per rincasare: ciò che ci voleva era una lunga doccia e un buon caffè. Infilatasi la tuta, provò una piacevolissima sensazione di tepore e si accoccolò sulla poltrona, che dalla vetrata della sua stanza permetteva di scorgere un angolo di mare e le scogliere. Assaporò il suo caffè e lasciò che la sua mente sognasse ancora un po’… almeno finché non l’avrebbero chiamata per fare colazione con i suoi ragazzi.

    Da lontano sentì bussare e pronunciare il suo nome. Appoggiò la tazza: Due minuti e ci sono! Si cambiò veloce indossando i jeans e un maglioncino carico di ricordi. Per una decina di secondi si fissò allo specchio. Sorrise per farsi animo, tentando di reprimere ciò che sentiva dentro, quindi uscì dalla stanza e varcò solare l’ingresso della sala colazioni: Una splendida giornata a voi tutti!

    Davanti ai suoi ragazzi si sarebbe sempre presentata serena, sincera e sicura di sé, perché era di questo che avevano bisogno. Lavorava e al tempo stesso si curava in un centro di recupero per adolescenti che provenivano da qualsiasi tipo di violenza sui minori. Collaborava con medici, psicologi, insegnanti e altre persone specializzate in casi difficili. Lavori impegnativi e struggenti sotto alcuni aspetti, ma meravigliosi e ricchi di gratificazioni sotto altri. Si sentiva orgogliosa di essere con loro, nonostante fosse costretta a tenere per sé il suo vero stato d’animo, quel dolore che l’accompagnava quotidianamente.

    Non a caso, lì al centro, il suo soprannome era la Fuggitiva. Sfuggiva a chiunque indagasse sul suo passato, chiedendole da cosa fosse scappata. A ognuna di quelle domande accennava un sorriso, al che le palpebre le si socchiudevano tradendo tutta la sua sofferenza. Si voltava, si alzava in piedi e se ne andava. O, se proprio non poteva allontanarsi, semplicemente cambiava discorso. Era sempre pronta ad aiutare e a lavorare sodo. Non appena la sua presenza non era necessaria, tuttavia, si defilava per restare sola. Da tempo aveva perso la fiducia nell’uomo, ma la sua era pronta a donarla a chi le viveva accanto. Il dolore era suo e di nessun altro.

    Ogni ragazzo a turno, nel centro, svolgeva mansioni diverse che cambiavano quotidianamente. Prima di tutto venivano istruiti e imparavano le faccende domestiche: a cucinare, cucire, tagliare il prato, ad accudire gli animali da cortile e anche a coltivare l’orto. Tutto veniva ripartito a seconda dell’età. Gli psicologi li aiutavano a superare le paure cresciute con le violenze subite, ma soprattutto tutti gli adulti facevano loro capire quanto fossero importanti. Ognuno di loro. A guardarli da fuori sembravano una grande famiglia felice, ma tra le mura del centro non erano pochi i momenti difficili, carichi di sofferenza, che dovevano affrontare. A ognuno di quei bambini era stata tolta e distrutta l’infanzia, eppure dovevano considerarsi fortunati per il fatto stesso di essere ancora vivi.

    Anche quella fu una giornata lunga, faticosa ma piena di soddisfazioni. Visto che avevano organizzato una festa con musica da discoteca per quella sera, lei si sarebbe ben guardata dal parteciparvi: ancora i rumori forti e gli schiamazzi le davano fastidio. Così verso le 17, appena cominciarono i preparativi, salutò il gruppo e si congedò. Salì nell’ultima stanza della torre, la sua preferita: le sue vetrate giganti permettevano dal divano di godere della fantastica vista delle scogliere sull’oceano. Amava rinchiudersi lì per leggere e ritrovare i suoi pensieri. Prese in mano un libro e si sedette comoda. Rimase a contemplare l’immensità della natura prima di aprirlo, anche perché si sentiva stremata, le si chiudevano gli occhi, ma… la sua attenzione fu attirata dall’arrivo di una berlina bianca: ne vide scendere una persona, un’elegante figura femminile, e prima di abbandonarsi al sonno si domandò curiosa il motivo del suo arrivo.

    NEL BOSCO

    Jeny bussò ripetutamente alla porta, con una forza tale da farla quasi spaventare. Brigid sì alzò di scatto dalla sedia della cucina e, avviandosi verso la porta, scherzò supplicando di non buttargliela giù. Non fece in tempo ad aprire che le era già addosso e la stava abbracciando e baciando, elettrizzata per quello che le aveva proposto la sera prima, chiedendole però di pensarci bene prima di prendere una decisione. Adesso era lì per comunicarle la sua risposta.

    Sì fissarono negli occhi. Jeny non stava nella pelle dall’entusiasmo: sembrava una bambina a cui fosse stato promesso un giocattolo nuovo. Erano amiche dalla nascita, amiche per la pelle. Da piccole ognuna di loro non desiderava altra compagna di gioco. Andavano a scuola insieme. Avevano sempre condiviso tutto. Vivevano in un piccolo villaggio scozzese, e non si erano mai allontanate più di tanto da quelle zone. Giusto qualche gitarella in giornata nelle città più vicine.

    Jeny era davvero bella. D’indole brillante, furba, maliziosa e sfrontata. Amava il dinamismo e la confusione dei centri urbani. E appena ne aveva l’occasione era pronta a mettersi in gioco con gli uomini, usando la sua avvenenza come arma per stuzzicarli e divertirsi un po’. Quelli che aveva frequentato dalle loro parti li aveva sempre trovati poco interessanti, e si sentiva annoiata dalla vita priva di emozioni che avrebbe continuato a condurre in quel luogo fuori dal mondo. Lei sognava di camminare coi tacchi a spillo sulle terrazze dei grattacieli di Manhattan, sorseggiando drink con interlocutori dell’alta finanza e società. Era stufa marcia di questi contadinotti.

    Brigid era il giorno quanto lei la notte. Solare, empatica, sincera, pura. Una persona aperta e genuina. E queste erano le carte con cui si presentava agli altri. Non avrebbe mai ammaliato gli uomini con la sua bellezza, sebbene non la si potesse certo considerare una brutta ragazza. Ma, certo, su questo piano rispetto a Jeny non avrebbe retto il confronto. All’esatto opposto dell’amica, le piaceva passare inosservata, condizione che le permetteva di essere lei a osservare il prossimo e di coglierne fragilità e bisogni. La sua passione erano gli animali, i cristalli e la natura. Il suo sogno quello di farne il proprio lavoro, mettendo a disposizione del benessere altrui i profondi aspetti terapeutici che aveva imparato a trarne.

    Da bambine avevano fatto un semplice giuramento: nulla e nessuno le avrebbe divise.

    La trascinò di corsa sul divano e cominciò a parlarle col fiatone, quasi avesse corso per diversi chilometri. Le disse di essere pronta a intraprendere quel viaggio: si sentiva carica per affrontare quella nuova avventura ed era sicura che avrebbe cambiato per sempre il loro destino. Eh, sì! L’America sarebbe stata, anche per loro, non solo la più stimolante delle destinazioni, ma il vero e proprio inizio di una nuova vita!

    Jeny, eccitatissima, già visualizzava i suoi obiettivi: solo uomini svegli, scaltri, divertenti e… ricchi.

    Brigid, allegra ma titubante, si chiedeva cosa avrebbero davvero trovato oltreoceano. Per un po’ avrebbero vissuto in simbiosi, ma lei sentiva il bisogno di mantenere degli spazi tutti suoi: i libri, i suoi animali, le pietre e quel bosco che spesso la aiutava con i cristalli a ordinare i suoi contorti pensieri. Guarda che se ti tiri indietro io ci andrò comunque, anche da sola se ne venne fuori Jeny con il suo irresistibile musetto provocatorio. Ma come avrebbe potuto abbandonarla, dopo essere stata proprio lei a farle quella proposta? Eppure, temeva fosse un mondo troppo diverso, frenetico, ben più complicato della loro realtà, in cui non avrebbero trovato gli stessi valori tra le persone. Jeny era sempre in cerca di guai con gli uomini, e quella sua spavalda determinazione la preoccupava un po’. Al contempo era preoccupata per sé stessa: forse sarebbe stata lei la prima a sentirsi un pesce fuor d’acqua.

    Si era presa ancora qualche giorno di tempo. Era andata nel bosco, aveva vagato per raccogliere le forze e percepire dove l’avrebbe portata quel viaggio.

    Poi, una notte ventosissima, la luna piena enorme sbucò dalle nubi scure caricandosi di luce immensa, e i suoi cristalli si accesero indicandole la via.

    NEL NUOVO MONDO

    Finalmente venne il giorno della partenza. Sarebbe stato un soggiorno lungo, almeno qualche mese. Vita nuova, lavori nuovi, amici nuovi, stimoli nuovi… Magari sarebbero riuscite a stabilirsi negli Stati Uniti definitivamente: questo, a dirla tutta, era il sogno di Jeny.

    Una volta atterrate all’aeroporto internazionale di Atlanta, c’era una vecchia amica dei loro genitori ad aspettarle: anche lei aveva a suo tempo compiuto quel passo, e in quel Paese aveva messo su famiglia conducendo una vita ben più che dignitosa. Certo, non se la sarebbero aspettata così poco loquace: con una premura pragmatica e non troppo calorosa le accompagnò in un piccolo appartamento di sua proprietà, dove disse che avrebbero potuto restare finché non avessero trovato una nuova sistemazione e un impiego. Fornita loro qualche informazione di massima, le salutò in modo piuttosto spiccio con la scusa di dover rientrare al lavoro.

    Sicuramente si sentivano entrambe un po’ spaesate, forse addirittura intimorite, ma anche ottimiste: comunque fosse, era iniziata la loro avventura. Qualche giorno se lo sarebbero prese per visitare la città e cercare di capire come muoversi.

    Appoggiarono le valigie in soggiorno e uscirono subito a esplorare il quartiere, cercando anche un supermercato per rifornirsi dei primi viveri per cena e colazione. In ogni piccolo gesto e scoperta, si sentivano stordite dalla novità e dall’emozione.

    Quella sera si sedettero al tavolo e cominciarono a mettere giù un sommario programma per le giornate successive: prima di tutto avrebbero dovuto procurarsi un qualche tipo di lavoro, e poi, una volta che avessero potuto contare su qualche entrata regolare, avrebbero cercato una nuova sistemazione per non abusare dell’ospitalità generosamente ricevuta e trovare qualcosa che facesse al caso loro.

    La mattina seguente cominciarono già a girare la città, dividendola in settori e quartieri e portandosi dietro il loro curriculum. Le intenzioni di Jeny erano sicuramente quelle di sfruttare le proprie disinvolte qualità estetiche e l’agile fisico da modella. Si sarebbe presentata di persona nelle principali agenzie pubblicitarie della zona e non solo. Brigid tentò invece di puntare sulle proprie conoscenze, proponendosi come specialista nelle cure con prodotti naturali, pet therapy, cristallo-terapia e yoga per curare lo stress, le sofferenze dell’anima e quelle del cuore.

    I primi giorni furono abbastanza impegnativi e, per accontentare Jeny, restavano fuori anche alla sera: aveva una voglia matta di visitare i locali notturni, mentre Brigid la accompagnava per non lasciarla sola ma ne avrebbe fatto volentieri a meno. Troppa confusione, troppo sballo, e lei proprio non si sentiva nel suo elemento.

    Un giorno si svegliò parecchio prima del previsto e, siccome erano rientrate tardi, non volle far rumore in casa per non svegliare Jeny, così decise di prendere un bus e fare un giro verso la periferia nord della città, quella parte che confinava con la foresta.

    Una volta arrivata scese dall’autobus e cominciò a passeggiare per le viuzze, sentendosi subito attratta da quel sobborgo così denso di natura. Era talmente a suo agio che non si accorse di essersi allontanata dalla zona residenziale. Arrivando ai piedi della foresta, si era imbattuta in una vecchia casa dismessa con magazzino, attorniata da vasti spazi aperti, prati e soprattutto dal bosco. Qualcosa si illuminò in lei: avrebbe cominciato da lì!

    Lì attorno c’era soltanto una piccola casetta di legno che sembrava quasi disabitata. Brigid cominciò a visualizzare un favoloso centro per la mente e lo spirito: il contatto con gli animali, la natura, le pietre e il buon cibo naturale avrebbero permesso di rigenerare qualsiasi persona che ne avesse avuto bisogno. Tornò coi piedi per terra, cercò una fermata dell’autobus e rientrò in città, più ispirata che mai.

    Alla sera lavorava nella cucina di un bistrot e al mattino, appena sveglia, correva in quel piccolo angolo di paradiso lontano dal caos della città. Doveva cominciare da zero, in quel posto che era stato così trascurato e sicuramente abbandonato da qualche anno, ma a lei piaceva tanto: ci si sentiva quasi come a casa sua. Le ricordava da dove veniva, se non fosse per la mancanza delle immense, alte scogliere del nordovest della Scozia e delle baie dell’oceano. Tutta quella natura le aveva fatto venire una grande idea: avrebbe aiutato gli altri. Era una sensazione forte, talmente forte da attraversarla e percorrerla dalla radice dei capelli fino alle dita dei piedi. Naturalmente avrebbe impiegato molto. E a ristrutturare sarebbe stata tutta sola: non poteva certo aspettarsi che la sua delicata amica rischiasse di rovinarsi le unghie o impolverarsi i capelli, come le diceva spesso scherzando. Ma era sicura che ce l’avrebbe fatta.

    Anche Jeny era riuscita a trovare lavoro: di giorno faceva la commessa all’interno di una nota sartoria del centro, mentre la sera si dilettava a frequentare locali notturni convinta che prima o poi qualche affascinante ragazzone facoltoso l’avrebbe notata. Una volta sistematasi in tal senso, forse avrebbe potuto addirittura smettere di lavorare per dedicarsi tutta alla bella vita. Da quando si erano trasferite si vedevano sempre meno: pur vivendo in un appartamento ancor più piccolo del primo, si incrociavano in pochissimi momenti lavorando a orari diversi, e non sempre avevano il tempo di raccontarsi come avessero trascorso la giornata. A dir la verità a parlare e raccontare era quasi sempre Jeny, visto che le sue serate erano già così eccitanti e frenetiche da mandarla su di giri. Non faceva altro che ripetere che era proprio la vita che aveva sempre sognato. Sembrava matta. Brigid tentava ogni volta di farla riflettere e prendere consapevolezza delle possibili conseguenze di tutti quegli eccessi, ma in genere Jeny riattaccava a raccontare con foga senza nemmeno ascoltarla. L’ultimo uomo che aveva preso a frequentare la riempiva di regali e sorprese: anelli, orecchini e vestiti sempre nuovi. Partecipavano a serate di gran gala e a tante feste dell’alta società. Come avrebbe mai potuto dar retta alla sua amica del cuore che parlava di quegli ambienti, dove alcol e droga erano il pasto principale, come covi di persone senza scrupoli, avide, diffidenti e invidiose?

    Brigid al momento era diventata nient’altro che la sua zitella preferita, che a volte rompeva un po’ troppo. Ma lei era veramente preoccupata, sentendola spesso rientrare di notte ubriaca, o peggio… in lacrime. Era come fosse stata plagiata, perché il giorno successivo appariva più sorridente e serena che mai, e si comportava come niente fosse. A causa di questa assurda situazione, e del vederla stare così male la notte, i loro brevi incontri si trasformavano spesso in bisticci e discussioni.

    Così Brigid, appena poteva, correva là: nel suo angolo di paradiso, a lavorare e scaricare le tensioni, a volte sorprendendosi a piangere: non era quello, che avrebbe voluto trovare insieme a lei. Questa preoccupazione le toglieva perfino il sonno durante la notte, ma sembrava davvero non esserci verso di far ragionare Jeny, sempre più convinta di essere felice in quel mondo, che – insisteva a dire durante i loro litigi – era il mondo che aveva sempre desiderato.

    IN UN SILENZIO CHE PARLA

    In un giorno afoso, mentre Brigid cercava di sistemare una trave di legno del portico, un pezzo di quella trave si staccò dal soffitto colpendola direttamente in volto, e facendole quasi perdere i sensi. Cadde a terra. Tutto era offuscato.

    Un dolore atroce al naso e alla testa quasi non le permettevano di capire dove fosse e cosa stesse facendo. Quando in lontananza sentì l’abbaiare di un cane che continuava ad avvicinarsi, e al suo fianco scorse la sagoma sfocata di qualcuno. Avrebbe voluto alzarsi, ma era tutto così confuso che non ci riuscì. Si sentì afferrare per un braccio. La testa le girava fortissimo e provò paura perché, oltre a non riuscire a vedere in faccia quella persona, non capiva ancora cosa le stesse dicendo. Poi sentì qualcosa di umido e freddo sulle labbra e sulla faccia, i movimenti attorno a lei divennero più delicati e quel qualcuno l’aiutò a mettersi a sedere. Finalmente la vista tornò, anche se permaneva un gran dolore. Riuscì a guardare chi fosse vicino a lei e vide un uomo, che le parlava tentando di tranquillizzarla. Sembrava non avesse cattive intenzioni, anzi l’aiutò ad alzarsi e piano piano la portò con sé nella sua casetta di legno per darle qualcosa da bere e permetterle di lavarsi il viso ferito. Dopo una mezz’oretta la situazione sembrava tornata alla normalità. A parte la botta, naturalmente. La fece sdraiare sul divano mentre cercava di medicarle fronte, naso e bocca. Io sono Charles, comunque. Brigid mugugnò lei arrossendo mentre le umettava il labbro inferiore con un dischetto di cotone.

    Lei parlava poco. Lui pure. Si stavano studiando. Il volto di lui sembrava quello di un ragazzo, ma non poteva essere giovanissimo: guardandolo dava l’impressione di un uomo burbero, serioso, mentre l’insieme trasmetteva la sensazione di una persona sensibile e matura. I segni sul viso e le cicatrici sulle braccia facevano intuire che avesse almeno quarant’anni. Lo sguardo era tenero, intenso, gli occhi dolci, molto dolci, ma al tempo stesso sembrava una persona che avesse sofferto o che stesse soffrendo. Era poco loquace, ma quello sguardo era… era qualcosa di diverso, qualcosa che non riusciva a inquadrare. Cercò di lamentarsi poco del suo faccione dolorante, anzi provò anche a scherzarci su; lo ringraziò tanto, si scusò del disturbo e, appena fu in grado di stare in piedi, cercò di congedarsi con la massima gratitudine possibile. Lui chiese se poteva fargli vedere cosa avrebbe voluto fare di quella casa. E

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