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Abraham: Un'emozionante romanzo storico, scritto da una promessa della narrativa italiana
Abraham: Un'emozionante romanzo storico, scritto da una promessa della narrativa italiana
Abraham: Un'emozionante romanzo storico, scritto da una promessa della narrativa italiana
E-book75 pagine50 minuti

Abraham: Un'emozionante romanzo storico, scritto da una promessa della narrativa italiana

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Con Abraham risorgono i grandi personaggi storici dell’‘800 americano, vanno materializzandosi in un racconto avvincente che si srotola da un gomitolo narrativo ricco di azione, di flash back, di dialoghi ben ritmati e colpi di scena mai scontati o banali…

… Il sapiente burattinaio muove i fili della vicenda con maestria e la storia presidenziale degli States, nel glorioso momento di Lincoln, si intreccia con le strade remote del tempo. Queste conducono il lettore dalla Roma di Cesare alla Francia di Robespierre, quella Francia che si ispirò all’indipendenza americana e naufragò nel sangue del Terrore.

Indugiare sui particolari e rendere realistiche scene e locations è tipico del romanzo storico, ma lungi dall’essere manzoniana, l’autrice ama la velocità narrativa e dosa con perizia ogni sequenza inducendo il lettore a scivolare piacevolmente nell’intreccio cronologico.

Le caratteristiche dei personaggi, Lincoln su tutti, vengono tratteggiate in modo accattivante senza lasciare nulla o quasi all’immaginazione, soprattutto quando le scene si fanno cruente e scorre, copioso, il sangue. Allora la penna di Alice dipinge con equilibrio le situazioni narrative più estreme, anche quelle psicologiche, puntualmente supportate da efficaci riflessioni. Dunque il motto dello stato della Virginia “Sic semper tyrannis!” si fa tramite di una profonda riflessione, non invita alla denuncia politica, anzi diviene una pista tortuosa che conduce verso la spietata identità di tre famosi assassini. (Saul Fucili)
LinguaItaliano
Data di uscita22 ago 2020
ISBN9788868674625
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    Anteprima del libro

    Abraham - Alice Cesarini

    famiglia.

    1

    Washington, 14 aprile 1865.

    Durante il giorno era piovuto copiosamente, i rovesci avevano impastato le strade creando delle pozzanghere torbide e disgustose.

    Il cavallo ruppe al piccolo trotto, sollevando degli schizzi melmosi. Il cavaliere, però, non parve farci molto caso: perso nei suoi pensieri, in chissà quale remoto angolo del cervello, cercava solamente di tenere l’animale sulla carreggiata.

    Impugnava le redini mollemente, le spalle cadenti, seduto come se fosse su un divano più che su un cavallo.

    Il temporale d’aprile aveva purificato l’aria, profumata ora di terra bagnata. Svoltando in un’altra strada, il tizio parve rivitalizzarsi all’improvviso. Frustò seccamente la bestia, la quale partì con uno scatto al galoppo, mentre nel buio della sera negli occhi dello sconosciuto brillava una luce maligna.

    Percorse strade su strade, per lui tutte uguali. A suo parere Washington era una macchia di fango su una scarpa; ma quella sera avrebbe ripagato i suoi compatrioti liberandoli dalla macchia di fango più grande di tutte.

    Arrestò con uno strattone al morso il cavallo davanti al teatro.

    Smontò da sella con un sorriso feroce, da cacciatore che tende una trappola. S’avvicinò un uomo per prendergli l’animale da portare al posteggio di fianco allo stabile. Il personaggio gli cedette le redini e gettò uno sguardo all’osteria dall’altra parte del corso; aperta e in piena attività.

    Scostò le porte di mogano. Un’ondata sonora satura di chiacchiericci lo investì, disorientandolo per un momento, mentre abituava la vista ai colori caldi dell’ambiente e delle luci, così distanti dai toni metallici e scuri della sera o all’andare ritmico degli zoccoli del cavallo sul terreno.

    Fendette la calca di gente in attesa di prendere posto all’interno dei palchi e della galleria. Persone dell’alta società che parlavano e parlavano di politica, affari, politica, affari, politica e affari. Superbamente noioso.

    Si stava facendo largo con garbati permesso, quando si sentì chiamare.

    « John! Ci sei anche tu, stasera, nello spettacolo? »

    Un uomo, il curatore del teatro, lo fissava divertito da sotto il suo cilindro.

    « No, non sarò presente » sorrise l’ambiguo personaggio. Mascherava i suoi intenti sotto un aspetto ordinario. Capelli bruni corti e spettinati, due baffi di media misura, occhi piccoli e cattivi. Il tutto calzato in un completo scuro senza cravatta.

    « Mi spiace! Spero di vederti comunque in qualche altra rappresentazione! »

    Il rubicondo signore arrise da sotto i due baffoni giganti. L’attore sorrise cortesemente, anche se si chiedeva se la persona davanti a lui non avesse una foresta sotto il naso piuttosto che un paio di baffi. Ridacchiò tra sé della sua spiritosaggine e si avviò, con un certo nervosismo, dietro le quinte. Scelse un posto sovrastante il palco, la scaletta di ferro al di sotto dei binari sui quali scorrevano le scenografie.

    Poteva vedere tutti e nessuno che potesse vedere lui.

    La rappresentazione Our American Cousin cominciò puntualmente.

    ***

    La carrozza li stava aspettando di fuori. Stava guardando dalla finestra. La guardia tossicchiò.

    « Ehm, signore, da parte mia...vi consiglierei di non andare. »

    Si voltò, spostando l’attenzione dal vetro a Crook.

    « Tutto a posto, William, le ho promesso che sarei andato. Non ti preoccupare » rispose con un leggero sorriso di rassicurazione. L’altro, poco convinto, bofonchiò un rispettoso sissignore e uscì dalla stanza, lasciando l’altro immerso nei suoi pensieri più reconditi. Per associazione di idee, la sua mente passò al pomeriggio appena trascorso. Mary era improvvisamente entrata nella stanza da letto con una faccia a metà fra stanca e funerea.

    « Ascolta, non sono molto incline a venire stasera. Non sto bene, ho mal di testa... » disse con voce flebile.

    Per non arrecarle un dispiacere, rispose molto tranquillamente e con toni quasi delicati.

    « Non puoi, Molly. I giornali hanno già diffuso la notizia...e poi, mi mandi da solo? Il Maggiore e la sua compagna ti daranno per dispersa » sorrise alla propria battuta.

    Sua moglie ridacchiò.

    « Non saprei... »

    « Non hai molta scelta » s’avvicinò al tavolino e versò un bicchiere d’acqua « Devi venire per forza » concluse con aria grave, porgendo il bicchiere alla consorte.

    Lei sospirò. « E sia. »

    Tornò alla realtà e uscirono dal cancello.

    « Suppongo che sia ora di andare, anche se

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