Storie da Città di Solitudine e dal km 76
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Anteprima del libro
Storie da Città di Solitudine e dal km 76 - Giovanni Sicuranza
narrare.
Fine Viaggio
Anche quando tutto intorno i colori sono luci di cielo pulito, qui la nebbia soffia lontano.
E avanza in ondate che serpeggiano tra i boschi fino a dilatarsi nella pianura ed allagare il paese di Fine Viaggio.
L'uomo si muove cauto, separando i fili vischiosi di grigio che celano il percorso, ma presto è costretto a fare una pausa, un'altra, quando la spalla gli urla che è di nuovo tempo di affondare nel nulla la sua borsa gravida di enciclopedie e dizionari.
Si ferma, sbuffa leggero respiro sul vapore pesante che sfuma i contorni del paese e alza appena lo sguardo sul palo di cemento che segnala il chilometro settantasei della strada provinciale. Giusto il tempo di un sussurro di stupore, perché il palo, così solido, dai contorni definiti, sembra fuori posto in questo luogo.
Ma il pensiero è già svanito, mentre apre la borsa ed estrae il terzo volume di una sbiadita enciclopedia.
Quindi, giusto per riempire il riposo, ne sorvola i fogli opachi.
***
Fine Viaggio.
Questo nome esprime il senso di liberazione di un gruppo di pellegrini dispersi dopo un lungo vagabondare tra speranze e delusioni di fede alla fine del X secolo.
Oggi ha ben due arterie asfaltate. Quasi sempre vuote.
E qualche vena di ciottoli disordinati, dove, a volte, scorrono lambrette e camion velati di polvere e nostalgia.
E molti capillari di ghiaia, levigati da piedi e biciclette cigolanti.
Le case sono chiaro e scuro silenzioso che assorbe i colori del cielo e cede solo nelle ultime ore del pomeriggio, quando il sole ha un'impennata di orgoglio e tinge i muri di sangue.
Forse è per questo che ad ogni lento avanzare della notte, gli abitanti di Fine Viaggio sfiorano con occhi e sospiri il cimitero adagiato sulla collina, sempre visibile, unica preda mancata della nebbia.
E chissà se qualcuno, ombra di viso immoto disegnato sulla finestra dall'ondeggiare del fuoco del camino, ricorda che proprio nella collina i pellegrini fondatori hanno seppellito i cari appassiti durante il lungo cammino tra vento, fame e soprusi e che già allora, man mano che alle croci di legno si aggiungeva la pietra delle lapidi, hanno deciso di chiamare quel luogo Cimitero di Solitudine.
Non per esprimere il vuoto che porta la morte, no, è che già allora la nebbia, sia pure più giovane, e forse per questo certo più tenace, ma meno esperta, non riusciva a salire sulla collina.
E quella era la solitudine.
La solitudine del mondo esposto in ogni dettaglio, dei colori pennellati in ogni sfumatura, delle voci chiare nell'aria libera. La solitudine del mondo concreto tra il mare di nebbia.
Per questo, paradossalmente, agli occhi dei primi abitanti di Fine Viaggio il cimitero era diventato l'unico scorcio visibile, isolato. Cimitero di Solitudine.
***
- Un altro esempio dei tanti significati di una parola. E delle emozioni che la celano. Qui un termine negativo come la solitudine è diventato positivo -
L'uomo si guarda intorno, perplesso. Nessuna forma umana sembra ondeggiare tra la nebbia. Annuisce con poco slancio e, già che c’è, solleva la borsa adagiata a chissà quale ombra di suolo e con un "hop" di incoraggiamento si incammina verso la casa.
Ha espresso ad alta voce il suo pensiero, forse ha anche declamato la sua versione di guida turistica del paese, ammesso che in un luogo del genere la parola turismo
possa avere un senso, ma non è stato questo a turbarlo.
É rappresentante di enciclopedie e dizionari, un mestiere antico, sfumato ormai, proprio come i contorni del paese, e nei suoi solitari percorsi porta a porta
(percorsi di solitudine, cimitero di solitudine)
non ha trovato altra compagnia che quella di se stesso, per cui già da tempo ha iniziato a vagare tra pensieri e citazioni a voce alta.
Si ferma, di nuovo, questa volta sordo al peso tenace della borsa.
Si guarda intorno, di nuovo, questa volta distaccato dalla presenza eterea degli abitanti di Fine Viaggio.
Osserva il portone di legno che sigilla l'accesso all'edificio, controlla che il numero civico corrisponda a quello indicato dalla ditta.
E sospira, di nuovo, questa volta di vero sollievo, perché quello che lo ha messo a disagio poco fa’ è stato il suono delle sue parole, disperso tra i vicoli del paese, subito fagocitato dagli antri della nebbia. Gli è sembrato che a pronunciarle fosse stato un altro.
Non esattamente un estraneo, no. Peggio.
Un altro se stesso, con un nuovo timbro, forse anche con una nuova cadenza. Un se stesso senza più sostanza.
Affondato in questa riflessione, quando il portone si apre con uno scatto prima che lui abbia citofonato, la consistenza più immediata che riesce ad esprimere è un grido di stupore.
***
La scia bianca salta oltre i piedi ed è subito ingoiata da volute di grigio.
L'uomo si affloscia disperdendo tensione.
- Farsi spaventare da Miao. Un omone come lei! -
E gonfiato di nuovo spavento, riacquista volume polmonare in un'efficace replica dell'urlo.
La donna affacciata al portone lo osserva perplessa. Nei suoi occhi dipinti da ombretto e mascara l'uomo scorge anche commiserazione, la stessa che inizia a provare per se stesso e che lo spinge ad assumere un'orgogliosa posizione bipede.
- Era solo un gatto – scandisce lei, piano, forse sperando di evitare un nuovo grido.
- E lei solo una donna – la rassicura lui, con labbra distese a simulare un sorriso mentre pensa che se il mondo è pieno di idioti, ne ha appena creato una nuova nazione da solo – Mi scusi, mi sono lasciato prendere da – sguscia con gli occhi prima da un lato, poi dall'altro e, banalizzato dall'evidenza del paesaggio, si limita a rinforzare il simulacro del sorriso idiotesco.
- Beh, questo posto non è sempre così lugubre – lo sguardo della donna oltrepassa le spalle dell'uomo, si assenta in un fruscio di luogo privato, e torna al presente – A volte lo è di più la vita –
Lui non risponde, improvvisamente perso tra desideri velati di scuro.
- Cerca qualcuno, a parte le mie gambe? -
- Eh? – sussulta di vergogna, schiacciato dalle parole dirette della donna.
Ma allo stesso tempo scopre che ora anche lei sta sorridendo, forse più fresca di lui, e questo gli basta per riscoprire l'uso delle parole – Abita qui il signor Fadore? –
Sìssì, conferma lei con la testa e lui assiste alla crescita del suo sorriso, ancora più ampio, e, soprattutto, ci giurerebbe, vero, vero al punto di fargli dimenticare nebbia, fatica, storiografia varia. E da mettere persino in secondo piano lo scorcio di gambe sussurrate da collant tra gli stivali ed il cappotto indossati dalla donna.
- Sono un rappresentante di enciclopedie e dizionari – aggiunge allora adagiato su quella imprevista spontaneità – Ho un appuntamento con il signor Fadore -
- Carmen – si svela la donna sorprendendolo ancora.
- Oh, io sono Omero. Agnosia Omero – aggiunge in automatico, abituato a presentarsi alle porte di sconosciuti. E aspetta l'inevitabile commento sul suo nome, o anche sul suo cognome, come avviene in casi più rari.
- Di sicuro è in casa. L'ho sentito suonare il violino prima di uscire – continua invece lei.
Ma avrà capito?, si chiede lui vagamente disorientato dopo anni di alzate di spalle nel tentativo di scrollarsi di dosso le osservazioni divertite, a volte sarcastiche, sulle sue generalità. Invece, sapere che il suo prossimo cliente è un musicista non lo stupisce. L'enciclopedia richiesta è infatti Vibrazioni di archi
, prezioso e costoso intrecciarsi di otto volumi rilegati a colla, prima edizione, anno 1948, tiratura limitata. Mica roba da ipermercati, insomma, come trionferebbe il suo capo. Non che a lui questo particolare interessi; non ha mai avuto affinità per la musica in generale, figurarsi per le vibrazioni di archi vecchi di decenni. E in ogni caso di ben altro tipo sono le vibrazioni che ascolta sul suo corpo, mentre l'aria diventa sapore sconosciuto della donna.
Per questo ha appena deciso che il lavoro può attendere ancora, nonostante la nebbia lo abbia rallentato di venti minuti sull'orario previsto e la puntualità nelle consegne sia un raro anelito di vita in cui ancora annaspa la Ditta. In una pagina della mente scrive la sceneggiata veloce da leggere al direttore, Sa, Fine Viaggio, ecco, vede, qui nella cartina, a malapena si può raggiungere con l'auto, presente no? Guardi, guardi meglio, tutte queste stradine senza asfalto
, spiegamento del lenzuolo stradale sulla breve scrivania del direttore, quindi braccia incrociate in senso di impotenza, Roba di altri tempi. E poi nessuno mi aveva avvisato della nebbia, fitta, sa, ma fitta da infilarsi dappertutto fino a togliere il respiro, presente no? No? Nemmeno io, prima di andare a Fine Viaggio
. Insomma, una scena in grado di giustificare il ritardo di mezz'ora, un'ora anche, o chissà, se questa donna.
- Mi scusi, ho fretta –
L'uomo si scuote dalla prima versione della sua scusa. La donna è tra l'uscita ed il portone, che tenta di chiudersi testardo, trattenuto a stento da una mano di lei.
- Oh, no, non volevo darle fastidio, sa – corre lui cercando di recuperare il disagio – Lasci pure il portone, tanto devo prima citofonare – riempie di altre parole l'incontro, mentre i suoi neuroni si consultano di frenetiche motivazioni per prolungare la piacevole compagnia.
- Bene – lei lascia andare la mano, evidentemente soddisfatta, e gli passa accanto, mentre il portone stride in un crescendo di cigolii e tonfa di chiusura. Il suono pesante echeggia nella piazza di nebbia, poi tutto torna silenzio.
Lui la guarda. Lei lo guarda. Un sorriso guarda entrambi.
- Sono in anticipo – decide l'uomo in una premessa incoerente con la scusa professionale.
- Oh – soffia la donna e per un attimo lui svanisce tra il turgore delle sue labbra rosse. Poi morde le sue quando si rende conto che lei non concede sbocco alla conversazione.
- Vado alla mia fermata. Vuole accompagnarmi? –
- Come? – sussulta di incredulità l'uomo.
- Visto che è in anticipo – lei torna a sorridere, anche se in modo meno vivo di prima. Ma lui decide di trascurare questo particolare. Pensa frenetico che proprio da dove è venuto ha scorto il cartello della fermata degli autobus e gli sembra di ricordare che questo è avvenuto circa un quarto d'ora prima. Non è tanto, ma può parlarle, intuirla. Magari, infine, chiederle di sentirsi. Magari, in un secondo tempo, domandarle un nuovo incontro. E poi poi
- L'accompagno volentieri, Carmen – annuncia nel tono fermo delle grandi speranze e si incammina al suo fianco.
La nebbia li accoglie di premurosa evanescenza.
***
I primi passi verso la conoscenza della donna sono silenzio versato nella rapida ricerca di argomenti di conversazione. In realtà l'uomo avrebbe da narrare enciclopedie di citazioni, racconti, domande, ma il cammino accanto a lei, bella e diafana in un'atmosfera dove tutto è lento scorrere di particolari accennati tra ampie pennellate grigio, lo spinge più volte a trattenere il respiro. Allora apre e chiude gli occhi, velocemente, per esortarsi ad iniziare, ma di nuovo si sente cogliere da questa indefinita dispersione della realtà. E tace.
Per cercare un punto di riferimento almeno spaziale, e magari da quello trovare la concretezza di un dialogo, si volta verso la meta del lavoro abbandonato.
Il palazzo è ormai visibile a tratti, come disegno incompleto su un foglio sporco.
Sconfortato, l'uomo pensa che occorre uno sforzo di logica per attribuirgli ancora solidità. Torna ad osservare la donna, apre la bocca e di nuovo tace.
Lei non sembra affatto nella sua situazione, anzi, è come se si fosse dimenticata della sua presenza. Cammina verso un luogo celato da nebbia e intenzioni con passo lento, ma deciso.
Lo sguardo avanti, sempre avanti, innalzato su un'ombra di sorriso.
L'uomo arranca al suo fianco, rallentato dal peso della borsa che minaccia di precipitarlo nella nebbia sottostante e dall'indagine sempre più deserta tra occasioni di frasi, o parole, o gesti, o un che qualunque per toccare l'interesse lontano di lei.
E proprio mentre sta pensando di scendere negli abissi della banalità per raccontarle del suo lavoro, la donna rallenta il passo e si porta una mano tra i capelli, muovendoli in lunghi sospiri neri sparsi tra il vento delle dita.
Quindi si ferma.
E in uno scorcio di sguardi a tutto tondo, lui capisce che lo sta aspettando.
***
- Non si faccia intimorire dalla nebbia - sussurra con tono profondo.
Quasi sensuale, osa Omero Agnosia, venditore girovago di fossili di enciclopedie e dizionari.
Subito decide di ignorare questo pensiero, già troppo distratto dall'armonia con cui gli occhi di Carmen scivolano sul naso per poi allargarsi sulle labbra.
- No, certo – si affretta ad arrampicarsi su quello spunto di conversazione che lei gli ha donato – Giro molto per lavoro, sa, e sono abituato ad ogni tipo di clima -
- Però scommetto che una nebbia così, e in questa stagione, non l'ha mai vista – continua Carmen, insistendo sull'argomento, come se si trattasse dell'attrazione principale di Fine Viaggio. Allora lui decide di iniziare lo sfoggio della sua frammentaria cultura enciclopedica, assorbita durante anni di viaggi, in una pausa veloce da auto-grill, in un riposo estraneo da stanza di motel, quando quasi di nascosto, e con vaghi sensi di colpa, ha rubato nozioni sparse tra folle di pagine destinate ad altre persone.
- Vero. La nebbia si forma dalla condensazione di vapore acqueo negli strati inferiori dell'atmosfera, quando l'aria è fredda al di sotto del punto di rugiada – si ferma un istante, giusto per rassicurarsi che la donna lo stia seguendo – Ma non basta. Occorre anche la presenza di nuclei di condensazione, come i granuli di pulviscolo atmosferico, e mi chiedo dove si formino in modo così numeroso, considerato che Fine Viaggio è isolato, piccolo e lontano da altri centri abitati -
Carmen annuisce in un sorriso che sembra tornare alla vitalità del loro incontro. Però lo sguardo si perde ancora oltre la nebbia prima di tornare al suo. Velato.
- Lei è preparato, complimenti – scuote la testa, in un gesto appena accennato che non sfugge all'uomo – Gli uomini che ho incontrato nella mia vita non riuscivano a mettere insieme un concetto del genere nemmeno dopo anni di conversazione. E nemmeno io ero in grado di farlo, dopotutto -
Le parole hanno il tempo di volteggiare al suolo, una ad una, accompagnate da nuovo silenzio, e prima che Omero decida di riempirlo di nuovo, Carmen continua.
- È stata una persona a cambiarmi. Mi ha insegnato come indossare verbi, proposizioni, aggettivi, oltre al mio guardaroba di vestiti -
- E mi sembra che lei abbia ben appreso le lezioni. Ha avuto un buon maestro – commenta Omero più per sondare il terreno nel timore che la donna abbia già una relazione, che per vero compiacimento.
Carmen disperde ancora lo sguardo tra soffi di grigio.
- Era una professoressa. Una grande donna. L'ho accolta nella mia casa dopo che era stata sfrattata – per un attimo le labbra appassiscono in una piega di ricordi, poi tornano ad un sorriso distratto, forse amaro - Viveva di cultura, lei, non si curava di soldi e scadenze. Io le davo una mano nella praticità della vita, lei arricchiva la mia con lezioni di latino, storia, italiano -
- Interessante – giudica Omero – Bello – aggiunge poi nel timore di essere stato troppo distaccato in un ricordo che per la donna deve valere molto.
- È morta. Pochi giorni fa –
E trascinando con sé queste parole, Carmen ricomincia a camminare verso il nulla.
***
Il silenzio successivo è di nuovo denso, ma questa volta Omero non si sente a disagio.
Ha capito che con quella frase Carmen ha voluto sospendere la conversazione e ora attende che le parole si diluiscano nel tempo prima di continuare.
Intanto continuano a muoversi, verso la fermata dell'autobus, ritiene Omero, anche se ha smarrito del tutto ogni punto di riferimento e si limita a seguire il passo sicuro della donna. Anche il suo lavoro è ormai sperduto da qualche parte intorno al palazzo del violinista, circostanza che non lo preoccupa affatto, anzi, a cui nemmeno sente più di appartenere.
Quando Carmen rallenta di nuovo il passo, decide che è il momento di avvicinarla ancora e che forse può farlo proprio ricominciando dal suo paese.
- Sono sempre stato affascinato dai molteplici significati racchiusi in un nome, in una parola, in una frase – esordisce, cauto.
Lei questa volta non si ferma, ma con un cenno di occhi e capelli lo invita a continuare.
- Guardi il caso del vostro cimitero, ad esempio -
- Cimitero di Solitudine – mormora lei, senza colori.
Omero intuisce la bara della professoressa sommersa ancora di fresca terra di collina e si morde un labbro.
- Scusi -
Dalla donna, nuova edizione di cordialità sincera, sparsa tra occhi e labbra.
- E di cosa? Continui, la prego, mi sembra interessante -
- Oh, beh – l'uomo incespica intorno al concetto che vorrebbe esprimere, alla ricerca delle parole più adatte alla circostanza – Solitudine. Si tratta di un sostantivo negativo