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Cronache nere (Vol. III)
Cronache nere (Vol. III)
Cronache nere (Vol. III)
E-book256 pagine3 ore

Cronache nere (Vol. III)

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Info su questo ebook

"La parte sbagliata del tappeto": Lavagna, 14 agosto: un tonfo sordo fa stonare le note medioevali dell’antica manifestazione della Torta dei Fieschi. Quel suono è causato dal corpo di un anziano professore, caduto (o spinto) dal terzo piano di una palazzina che si affaccia lungo l’itinerario della sfilata storica. 
Per gli investigatori si tratta di omicidio. 
Non così per il giornalista dell’emittente televisiva Teletua, Fabio Riccò.
Una trama appassionante che si snoda tra amori amicali, filosofia e antichi naufragi.

"Onorarono": Il tranquillo incedere della Liguria pigra e sonnolenta di inizio giugno viene interrotto dal sequestro di un politico di primo piano avvenuto nella cittadina di Lavagna.
Mezzi di informazione nazionali e forze dell’ordine accorrono in massa, ma la soluzione del caso arriva dalla redazione di una piccola emittente dell’entroterra.
L’intuizione di una speaker radiofonica cieca darà l’abbrivio al concatenarsi degli eventi che sveleranno un mistero nascosto nelle pieghe del passato.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2024
ISBN9791280100863
Cronache nere (Vol. III)

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    Cronache nere (Vol. III) - Aldo Boraschi

    Cronache_nere_Vol._III_-_ebook_A_-_2500-q80.jpgCronache_nere_Vol._III_-_ebook_A_-_2500-q80.jpg

    Il libro

    LA PARTE SBAGLIATA DEL TAPPETO

    Lavagna, 14 agosto: un tonfo sordo fa stonare le note medioevali dell’antica manifestazione della Torta dei Fieschi. Quel suono è causato dal corpo di un anziano professore, caduto (o spinto) dal terzo piano di una palazzina che si affaccia lungo l’itinerario della sfilata storica. Per gli investigatori si tratta di omicidio. Non così per il giornalista dell’emittente televisiva Teletua, Fabio Riccò.

    Una trama appassionante che si snoda tra amori amicali, filosofia e antichi naufragi.

    ONORARONO

    Il tranquillo incedere della Liguria pigra e sonnolenta di inizio giugno viene interrotto dal sequestro di un politico di primo piano avvenuto nella cittadina di Lavagna. Mezzi di informazione nazionali e forze dell’ordine accorrono in massa, ma la soluzione del caso arriva dalla redazione di una piccola emittente dell’entroterra. L’intuizione di una speaker radiofonica cieca darà l’abbrivio al concatenarsi degli eventi che sveleranno un mistero nascosto nelle pieghe del passato.

    L'autore

    Aldo Boraschi è nato nel 1964 ed è giornalista, scrittore, blogger ed editore. Ha lavorato per oltre vent’anni in redazioni giornalistiche di emittenti televisive, settimanali e quotidiani.

    Ha pubblicato con Rupe Mutevole, I Libri di Emil e Panesi Edizioni.

    Con AltreVoci Edizioni ha pubblicato Il tempo che faceva (2020), La voce del geco (2021), I Fieschi. Storia di una famiglia (2021) e la serie Cronache nere.

    AltreOmbre

    Aldo Boraschi

    Cronache Nere

    Volume III

    Lato A

    La parte sbagliata del tappeto

    Lato B

    Onorarono

    Proprietà letteraria riservata

    ©2024 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100863

    Prima edizione digitale: aprile 2024

    Realizzazione grafica: Marti Menta

    menta.digitalart@gmail.com

    I fatti e i personaggi riportati in questi romanzi sono frutto della fantasia dell’autore. Pertanto ogni somiglianza a persone reali e ogni riferimento a fatti accaduti sono da ritenersi puramente casuali.

    La parte sbagliata

    del tappeto

    Lato A

    Lavagna, 14 agosto

    Ore 21:51. La contessa Bianca de’ Bianchi fa capolino dalla porta laterale della chiesa di Santo Stefano. Saluta sventolando un po’ troppo la mano. I puristi storcono il naso – volgare –, i loggionisti accennano un timido fischieggiamento – irrituale –. Ma sono subito zittiti da un numeroso capannello di persone che sostano a stretto ridosso delle transenne (sono i parenti della contessa, sembra). Secondo la leggenda, il conte Opizzo Fiesco de’ Fieschi, dei conti di Lavagna, nel 1230 torna vittorioso dalle sue imprese guerresche e decide di sposare una bella senese: Bianca de’ Bianchi. Il matrimonio – d’amore oltre che d’interesse – viene celebrato con grande sfarzo, tanto da offrire alla popolazione di Lavagna una gigantesca torta nuziale. In realtà Opizzo, fratello del più noto Tedisio, non avrebbe mai conosciuto questa bellissima nobile senese. Compì, certo, scrupolosamente il suo ruolo, che era quello di comandante delle truppe fliscane in guerra contro i fiorentini. I senesi furono alleati ai Fieschi e il loro peso specifico nell’alchimia delle politiche famigliari era molto alto. Ma, ahimè, la moglie di Opizzo rispondeva al nome di Simona e, per una relazione fedifraga, tutto quello sfarzo non era consigliato nemmeno a quel tempo. Poi lo zio papa (Innocenzo IV) non avrebbe certo chiuso un occhio. O no?

    A ogni buon conto, è dal 1949 che ogni 14 di agosto un corteo medioevale attraversa le vie di Lavagna, accompagnato da ali di folla festante riunitesi per ammirare la nobile coppia. L’appuntamento è nella piazza del mercato dove troneggia la gigantesca torta (la cui ricetta è gelosamente custodita dai pasticceri lavagnini) dal peso di tredici quintali. A ogni fetta di torta è abbinato un biglietto raffigurante animali e piante. Se il goloso acquirente è un maschietto, il colore è azzurro, se è una femminuccia, è rosa. Si ritrovano, così, davanti all’impalcatura che rappresenta la Torre dei Fieschi, possessori di biglietti di colore opposto e uguale figura. Il gioco è quello di far fiorire amori e colesterolo in egual misura.

    Ore 22:17. Guardando il corteo storico sfilare per le vie del centro e considerando il suo incedere solenne, ma anche meticoloso, dove ogni movimento, ogni gesto, si attiene a un cerimoniale elaborato negli anni, l’ultima cosa a cui si penserebbe è la casualità. In questa pompa magna, non c’è nulla che non sia studiato, calcolato, incanalato, regolamentato. Un servizio d’ordine imponente – e il corteo storico stesso, così asserragliato nella sua medioevale severità – sembra escludere i capricci e l’irresponsabilità dell’azzardo. Questa patina di calcolata intransigenza aleggia fino ai quattro metri di altezza, quota sopra la quale locano i cosiddetti portoghesi, i quali, toccati dall’incommensurabile fortuna di aver acquistato un appartamento ai piani nobili nel tratto percorso dal corteo medioevale, non sono obbligati a seguire il cerimoniale, soprattutto per quello che attiene all’abbigliamento. Così canottiere vergognosamente macchiate da sugo di pomodoro fanno da contraltare a pizzi trecenteschi, sfruttando il labile riparo di un poggiolo. Poche finestre più in là, un ragazzotto con la maglia del Sassuolo mima gesti di atti inequivocabilmente sessuali verso la procace contessa, ma nulla scalfisce l’antichissima compunzione dei figuranti.

    Lassù si raggruppano anche decine e decine di persone, con la faccia scettica e supponente di chi quella festa l’ha vista già troppe volte. Ma, ciononostante, per nulla al mondo se la perderebbe. Prendono posto anche i militi dell’Arma della stazione dei carabinieri di Lavagna; ognuno dei quali è posizionato nei vertici dell’itinerario del corteo. Un osservatore attento, di bandoliera bianca in bandoliera bianca, potrebbe scorgere anche il maresciallo Alberto Maria Nusca piazzato con tutta la sua notevole stazza a presidiare la torta, ancora intonsa. Il sottufficiale è in alta uniforme, nonostante il suo incarico di comando nel Nucleo Radiomobile preveda esclusivamente abiti borghesi. Ma, si sa, stasera è la sera di gala per Lavagna.

    Ore 22:32. Rullano i tamburini, sventolano i loro vessilli bianco-azzurri gli sbandieratori, sfilano i gonfaloni dei Sestieri. È l’annuncio che i due novelli sposi sono pronti per far bella mostra di loro per le vie del centro storico. I due escono a cavallo. Drappi, bandiere, stendardi. Fazzoletti colorati di bianco e azzurro ricoprono finestre, balconi, vetrine, cornicioni, biciclette, motorette. E nelle vie dove il traffico è vietato, vibra un calpestio incessante e precipitoso di passi che vengono da tutte le parti e vanno da tutte le parti, con secca intenzionalità.

    Quest’anno i due ruoli principali sono toccati alla studentessa Adelina Canepa e Giuseppe Rivara, di professione venditore di tende (Progetto e preventivo gratuito. Aperto anche di domenica). Scendono per il selciato della chiesa sul loro destriero con il manto sauro ciliegia. Sono un po’ troppo rigidi…, sussurrano gli esperti. Ma vorrei vedere voi con quindicimila persone che non aspettano altro che uno scarto improvviso del cavallo o, che so, un mancamento della contessa. Tanto per stemperare l’atmosfera i due cavalli sembrano fare a gara per chi fa l’escremento più grande e puzzolente. La folla si dirada e cerca un pertugio di strada fuori dai meteorismi equini.

    Ma il rischio è quello di perdersi tra rintocchi di campane, cori gioiosi, richiami, strilli, sempre con quel trafelato accorrere da ogni parte e verso ogni parte. Gli ignari turisti – franchi, longobardi, elvezi, sassoni, goti e britanni – si cimentano in scartamenti laterali, obliqui, avanti e indietro, e raramente arrivano alla piazza dell’enorme torta in onore dei Fieschi – piazza che s’indovina soltanto, come la depressione del lago oltre una cerchia di colline.

    Ore 22:43. Il corteo passa dalle parti della piazza intitolata al conte Stefano Cordeviola (nobile non di sangue, ma di cuore) formando un’ansa. Giullari, mangiafuoco, giocolieri, duellanti e arcieri rallentano il passo e posano le armi, i cavalli dei due sposi segnano il passo sul selcio asfaltato. Per non lasciare tempi morti, gli sbandieratori producono evoluzioni aeree, i giullari danzano al ritmo di musiche medioevali, i cavalli defecano. La folla applaude. Un gruppetto di turisti genovesi se ne sta in disparte ad assistere a questa fastosa celebrazione in onore di una famiglia che nel Trecento diede due papi a Roma e tanto filo da torcere ai Doria di Genova – "parvenu", sussurra qualcuno della Lanterna.

    Al terzo piano del civico 38, un gruppo di portoghesi è intento ad ammirare il lungo biscione umano. È l’abitazione dell’Esimio professor Graziano Piccardo, docente emerito di Applicazioni tecniche ora in pensione. Quello del 14 di agosto è un appuntamento rituale per la compagnia giro dell’Esimio. La giornata inizia presto, molto presto.

    Nella stanza dell’Esimio c’è odore di polvere vecchia, antichi gessetti e matite temperate. Si alza di scatto, quando il sole non è ancora sorto dalla Baia delle favole di Sestri Levante.

    Canticchia sottovoce, mentre mette in squadra le sedie intorno al tavolo di legno massello. Sussurra "bum, bum", e intanto pensa a quanto è felice che la giornata – quella giornata – stia per iniziare. Quasi di scatto drizza la schiena e solfeggia l’aria della Norma scimmiottando la voce della Divina e della sua Casta Diva. Intanto il caffè sale sputando un aroma che invade tutta la stanza. Lui sa cogliere la felicità di una giornata, anche senza l’insegna di un sorriso mostrato – lui ride poco, quasi mai.

    Quand’era giovane, l’unica via che non portava al duro lavoro dei campi era quella che portava al seminario – come tutti i viottoli del suo paese del piacentino, d’altronde. I genitori dell’Esimio avevano poca terra (una trentina di mine) e due vacche nella stalla. Mangiavano pane e castagne. Fame non ne avevano mai fatta. C’è chi stava meglio e peggio di loro. Guai a lamentarsi, perché alla fine della lagna c’erano le botte con la cinghia. A 13 anni finse di avvertire la vocazione e varcò la soglia del seminario vescovile della diocesi di Piacenza e Bobbio. Lunghe ore di tedio: la dottrina dei Padri, le Sacre Scritture, san Bonaventura, sant’Agostino, san Girolamo. Ma anche ore di trasgressione e felicità: Orazio, Virgilio, Tacito. Agli esami finali risultò essere il migliore. Gli spettava una piccola somma come borsa di studio. Il rettore lo mandò a chiamare e con voce melliflua – da buon curato – lo informò che quella somma sarebbe stata assegnata a un altro seminarista perché, gli spiegò accennando una carezza pelosa sul viso, Cristoforo è più bisognoso. E anche più proclive a ricevere le attenzioni morbose degli insegnanti, apprese qualche tempo dopo. Quelle tonache ben tornite rivelavano intenti troppo oscuri per essere degne di Gesù Cristo. I ceri, gli incensi, l’ombra ecclesiale gli vennero in uggia. Nottetempo spogliò la piccola cella che aveva a disposizione e se ne tornò in paese. Si ingoiò la vocazione e diede gli esami di Stato, diventando professore di Fisica, retrocedendo lo studio di greco e latino a semplice passatempo. Poi giunse anche la passione smodata per la filosofia, l’etica, la morale. Il resto arrivò da sé: la cattedra a Novara, poi il trasferimento a Lavagna con il ricongiungimento con la sorella Rosa, stimata professionista nel campo sanitario. Il giorno che l’Esimio andò in pensione, declinò gentilmente l’offerta di una festa organizzata dai colleghi. Portò pasticcini, carugetti e chinotto in aula, tra i suoi ragazzi dell’ultimo anno dell’istituto professionale. Loro improvvisarono un rumoroso hip hip hurrà. Lui nascose le lacrime coprendosi occhi e guance come un bambino.

    Ci pensa talvolta, alla sua vita, con la pipa attaccata alla bocca, sul balcone, a guardare il mare. Siccome è camminata così, pensa arricciandosi i baffi, tanto vale farsela piacere. Pensa alle cose che stavano lì ad aspettarlo molto tempo prima che lui arrivasse – alle colline di Santa Giulia, al promontorio fatato di Sestri Levante e poi al mare, il mare. Ogni santo giorno pensa a quanto è fortunato a non aver perso l’appuntamento con quelle meraviglie. E allora sorride un poco, soddisfatto e felice.

    La giornata per lui comincia verso le undici, l’aria si riempie di vita, per ognuno l’Esimio ha un buongiorno diverso, una frase garbata. Saluta l’ex alunno Giusto con un fuggevole scappellotto. Arriva anche Rosario, gloria locale nel settore pugilato ora visibilmente appesantito dagli anni e dalle birre rosse, con la faccia ancora impressa da un sonno sciacquato in fretta – troppo in fretta. C’è Giamma Corbari, artista e collaudatore di osterie, di professione nullafacente con la specializzazione nell’imbuco all’interno di riunioni in cui c’è da mangiare e, soprattutto, da bere.

    Euride la governante è già lì da un po’ a spignattare su sughi, soffritti e creme pasticcere. È accaldata, davanti ai fornelli. Per un attimo lascia l’alchimia culinaria al suo odoroso procedere e schiude le stecche di avorio del ventaglio per farsi aria con veemenza.

    Come ogni anno, si trovano tutti lì, al civico 38. Uno stabile costruito negli anni Sessanta, destinato a diventare palestra, poi centro culturale, infine abbandonato al suo destino per anni, cannibalizzato e sventrato, tappezzato di scarabocchi eseguiti da chi, in quel momento, si sentiva artista e soprattutto incompreso. L’appartamento dell’Esimio, però, è stranamente illeso dal passare degli anni e offre alla combriccola anche un comodo e ampio terrazzo. L’unico inconveniente è rappresentato dal guano dei piccioni. Ma questo, a Euride e al suo inseparabile Mocio, non spaventa.

    L’Esimio si presenta all’appuntamento agostano vestito con una camicia alla Elvis e le scarpe bianche, uno strano miscuglio tra un puttaniere e un suonatore di liscio. Euride gli fa notare la stranezza dell’abbigliamento ma lui si difende dicendo che voleva sdrammatizzare.

    Rosario sottolinea l’importanza dell’occasione indossando un paio di scarpini da combattimento – "quelle che avevo quando ho combattuto per il titolo mondiale, perlamadonna", specifica.

    Giamma si presenta già imbenzinato.

    Seguendo gli ordini secchi di Euride, Rosario e Giamma si avviano a intervalli di due minuti verso la dispensa. Dietro alle ante di rovere, Euride ha stipato cibo per sfamare mezzo Benin, far venire il diabete al Gibuti, ubriacare Capo Verde e riempire del superfluo le isole Comore.

    Si unisce più tardi anche Metella, laureanda del corso di Filosofia presso l’ateneo di Genova. Lei arriva quando le campane della basilica di Santo Stefano hanno appena smesso di diffondere nell’aria i dodici tocchi di mezzogiorno. Indossa un paio di fuseaux neri lunghi al polpaccio, sandali alla schiava e una semplice camicetta di seta bianca. Gli occhi sono schermati da lenti scure montate su una intelaiatura enorme, anni Sessanta – lo charme irresistibile di Jacqueline.

    Quando la prima portata fa la sua apparizione sul desco, risuona la scampanellata che preannuncia l’arrivo del nipote Siro. L’Esimio non può esimersi da una sacrosanta paternale.

    La cucina di Euride comincia con un antipasto a base di salame di Sant’Olcese, bocconcini di bufala, zeppoline e parmigiana di carciofi. A seguire, trofie alla vesuviana con melanzane, zucchine, provola e pomodorini.

    Per finire, una grigliata di salsiccia, friarielli e costine di vitello. Al vino ha pensato l’Esimio, mescendo rosso di Montalcino e Vermentino bianco ghiacciato. Quando il pomeriggio si sta imbrunendo, arriva, puntuale, la pastiera con contorno di graffe e struffoli.

    Quando il corteo sosta sotto casa, quindi proprio in quel momento, l’Esimio professor Piccardo porta una bottiglia di Vecchia Romagna, la svita con cautela, la annusa. L’odore è sempre quello, uguale nei secoli dei secoli. Non è mai stato un gran liquore, pensa l’Esimio professor Piccardo, però gli ricorda la sua giovinezza, qualcosa di antico, quando un bicchierino di Vecchia suggellava la fine di una cena tra amici. Da qualche anno l’Esimio professor Piccardo ha riniziato a vivere, in un certo senso. Forse, pensa l’Esimio, bisogna aver vissuto un bel po’, sbagliato e riaggiustato, essersi sentiti morti. Poi di nuovo vivi, stupefatti di esserlo ancora. Uno dei grandi misteri che costellano l’esistenza. Invece – guarda Rosario come gusta la pasta riscaldata, Euride che sorride, Giamma che parla con Metella, Giusto che scruta il mare – la felicità è lì a portata di mano. Basta stringerla per più di un attimo e segnarsela sul taccuino del cuore. Intanto Giusto lo cerca con la mano, gli va a fianco, gli stringe il braccio. L’Esimio vuota due bicchierini di Vecchia. Bevono assieme e si sorridono. Ecco, da segnarselo, pensa.

    «Quest’anno i due sposi non mi piacciono. Sono troppo…», l’Esimio non riesce a trovare un aggettivo che lo soddisfi.

    Arriva in soccorso Giusto: «Dozzinali».

    «Ecco, giusto. Dozzinali, certo, dozzinali». E giù un sorso di Vecchia.

    L’Esimio guarda il cielo, indiscutibilmente blu.

    Ore 23:34. Il corteo nuziale arriva sotto le impalcature della Torre dei Fieschi. I figuranti fluiscono, diligenti, verso la piazza, sestiere dopo sestiere. L’alta e aristocratica figura dell’araldo legge l’editto con il quale si ufficializza l’unione tra Opizzo Conte di Lavagna e Bianca dei Bianchi. Un applauso da brividi percorre tutta la cittadina. I saltimbanchi iniziano a fare i loro numeri funambolici, i menestrelli cantano e i cavalli continuano tranquillamente ad andare di corpo. Quattro metri sopra il selcio, i portoghesi – puntini variopinti sui balconi – si sbracciano agitando

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