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Concerto grosso sulla Transiberiana
Concerto grosso sulla Transiberiana
Concerto grosso sulla Transiberiana
E-book360 pagine5 ore

Concerto grosso sulla Transiberiana

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Info su questo ebook

Divertente romanzo d’azione con sesso/amore, del genere “Tutto d’un fiato”, volutamente senza lungaggini e descrizioni ‘ornamentali’. Sempre in viaggio, dai Balcani alle piramidi, dal mar Caspio al lago Aral, e soprattutto da Mosca a Vladivostok sulla formidabile e mitica Transiberiana, con i suoi 9.300 km la più lunga e sinuosa linea ferroviaria del mondo. Cherry e Hook, due giovani e simpatici innamorati, si trovano precipitati, loro malgrado, in una pericolosa avventura che assume via via i contorni di una missione prima ‘impossibile’ e poco salutare, poi decisamente consapevole e volontaria. Continuamente al centro di inseguimenti, scontri a fuoco, baci e bollenti amplessi, i protagonisti incontrano compagni di viaggio che diventeranno amici inseparabili - con loro e con i principali nemici scambieranno idee, rancori e profondi dialoghi introspettivi dal sapore amaro e realistico. Paura e Ignoranza risulteranno come imposizioni dei poteri occulti, ma anche il fulcro di ragionamenti e vaneggiamenti. Probabilmente tutto il racconto - per “ragazzi” di ogni età - è solo il simpatico involucro dei suddetti dibattiti; se ne trae un romanzo ponderoso e vitale che trasporterà il lettore…illeso, fin sul mar del Giappone
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2013
ISBN9788891114341
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    Anteprima del libro

    Concerto grosso sulla Transiberiana - Sonny f. Westmoreland

    Indice

    CONCERTO GROSSO SULLA TRANSIBERIANA

    DAI BALCANI ALLE PIRAMIDI

    IL FESTIVAL DEI NUOVI FARAONI

    INDAGINI E RICERCHE

    FACOLTA’ DI ASTRONOMIA

    OLGAMIRA

    IL NEMICO

    OMSK

    SUTURA D’URGENZA

    IL SIGNORE DELLA SIBERIA

    GLI URONI

    LA CONOSCENZA DI ANNALISA

    ISOTOPO PU239

    A ROTTA DI COLLO SULLO JENISSEY

    LA TRANSIBERIANA ORIENTALE

    IRKUTSK

    SENTIMENTI MISTERIOSI

    MISSIONE BAIKAL

    DIFFERENZE

    ULAN UDE BY NIGHT

    IL DISSOLVIMENTO DI UN MIRAGGIO

    YAKUTSK -64°

    NEL TUNNEL DELLA MORTE

    BOTTI E FUOCHI D’ARTIFICIO

    DOVE NON ARRIVA LA LEGGE,ARRIVANO I BINARI DI HOOK

    TALES OF MINE – RACCONTI DELLA MINIERA

    SON­NY F. WEST­MO­RE­LAND

    CONCERTO GROSSO

    SULLA TRANSIBERIANA

    Youcanprint

    Rac­con­to di fan­ta­sia – qua­lun­que ri­fe­ri­men­to a per­so­ne e isti­tu­zio­ni e’ pu­ra­men­te ca­sua­le – co­se e fat­ti real­men­te ac­ca­du­ti so­no ri­por­ta­ti esclu­si­va­men­te per ac­co­glie­re e coin­vol­ge­re il let­to­re all’in­ter­no dell’av­ven­tu­ra.

    Ti­to­lo: Con­cer­to gros­so sul­la Tran­si­be­ria­na

    Au­to­re: Son­ny F. West­mo­re­land

    Im­ma­gi­ne di co­per­ti­na

    ISBN | 978-88-91108-02-9

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all’au­to­re

    Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell’au­to­re e dell’edi­to­re.

    Le immagini presenti nell'ebook si intendo di proprietà dei singoli autori delle foto stesse, le immagini sono state utilizzate a solo scopo illustrativo della vicenda narrata.

    Pri­ma edi­zio­ne: apri­le 2013       

    Se­con­da edi­zio­ne ag­gior­na­ta: no­vem­bre 2019

    You­can­print self-pu­bli­shing

    Via Ro­ma, 73 - 73039 Tri­ca­se Lle) - Ita­ly

    www.you­can­print.it

    In­fo@you­can­print.it

    Fa­ce­book: fa­ce­book.com/you­can­print.it

    Twit­ter: twit­ter.com/you­can­prin­tit

    Sim­pa­ti­co ro­man­zo d’azio­ne

    con­te­nen­te

    Trat­ta­to sull’igno­ran­za ga­lop­pan­te e ri­me­di

    A NE­KY

    La ra­di­ce del ma­le fu­tu­ro fu la per­di­ta del­la fi­du­cia nel va­lo­re del­la pro­pria opi­nio­ne.  Da:  Il dot­tor  Zi­va­go - di  Bo­ris Pa­ster­nak

    CONCERTO GROSSO SULLA TRANSIBERIANA

    Per ap­por­ta­re co­no­scen­za di­ret­ta e da­re mag­gior spes­so­re e ag­gior­na­men­to ai miei da­ta­ti stu­di di in­ge­gne­ria fer­ro­via­ria e al­la mia at­ti­vi­tà di Re­spon­sa­bi­le al­la Lo­gi­sti­ca, Ma­nu­ten­zio­ne e In­ter­ven­to Ra­pi­do sul­le stra­de fer­ra­te del­la ea­st coa­st, la­sciai la mia fe­de­le Bal­ti­mora  per vo­la­re ol­tre ocea­no con l’in­ten­to di vi­si­ta­re le li­nee eu­ro­pee, quel con­ti­nen­te e i suoi quat­tro pun­ti car­di­na­li. Ho in­con­tra­to va­go­ni di gen­te sim­pa­ti­ca, stra­na, im­paz­zi­ta, ti­mo­ro­sa, di­ver­ten­te, ani­ma­le­sca, os­ser­van­te, cor­dia­le o sem­pli­ce­men­te di­ver­sa; ma nei miei spo­sta­men­ti ver­so est ho co­no­sciu­to una se­rie di per­so­ne ma­gni­fi­che, esem­pi d’al­trui­smo e pas­sio­ne che, al gran­de bi­vio e nei mo­men­ti to­pi­ci, ha sa­pu­to guar­da­re ne­gli oc­chi lo spec­chio e la pau­ra sce­glien­do co­rag­gio­sa­men­te per il me­glio; una ve­ra ra­ri­tà, se ne tro­va­no po­che per­si­no ne­gli Sta­ti Uni­ti d’Ame­ri­ca - inol­tre con lo­ro ho vis­su­to un’av­ven­tu­ra uni­ca e straor­di­na­ria che mi ha spin­to ad­di­rit­tu­ra sul­le co­ste del mar del Giap­po­ne. Non mi era mai ca­pi­ta­to un si­mi­le de­ra­glia­men­to in­te­rio­re per i mol­te­pli­ci im­pre­vi­sti e pe­ri­co­li im­prov­vi­si, e nem­me­no co­sì tan­to in­te­res­se nell’ap­pro­fon­di­re e pia­ce­vol­men­te ascol­ta­re opi­nio­ni su te­ma­ti­che di ri­lie­vo. L’ap­prez­za­men­to è cre­sciu­to via via nel con­sta­ta­re la sin­ce­ri­tà del­la cri­ti­ca co­scien­te e co­no­sci­ti­va, ma an­che l’umil­tà e la sem­pli­ce estra­zio­ne so­cia­le di quel­le don­ne e di que­gli uo­mi­ni de­ter­mi­na­ti. Ho de­ci­so di de­scri­ve­re i lo­ro rac­con­ti e le vi­cen­de che ho pal­pi­ta­to, in pri­ma per­so­na o co­me te­sti­mo­ne nell’om­bra, per­ché le ri­ten­go epi­che, eti­che e por­ten­to­se. I no­mi di al­cu­ni luo­ghi e per­so­nag­gi so­no sta­ti so­sti­tui­ti per­ché ci è sta­to proi­bi­to di par­lar­ne li­be­ra­men­te.

    Non so­no uno scrit­to­re pro­fes­sio­ni­sta per­ciò aiu­ta­te­vi con la fan­ta­sia e sta­te a sen­ti­re:

    DAI BALCANI ALLE PIRAMIDI

    Gu­cha nel cen­tro del­la Ser­bia, ri­chia­ma or­mai da pa­rec­chi an­ni de­ci­ne e de­ci­ne di grup­pi mu­si­ca­li che ba­sa­no il pro­prio sound sul rit­mo di fan­ta­sti­che trom­be e fan­ta­sio­si trom­bo­ni. Nel­la tre-gior­ni di tru­ba­ci que­sti scal­ma­na­ti sof­fia­no nei lo­ro stru­men­ti per mil­le­quat­tro­cen­to­qua­ran­ta mi­nu­ti quo­ti­dia­ni dan­do­si il cam­bio co­me al­la ven­ti­quat­tro­re di Le Mans, man­te­nen­do un bru­sio for­sen­na­to da pu­ra ta­chi­car­dia. Aves­se coin­ci­so con la lo­ro spet­ta­co­la­re ri­bal­ta, si­cu­ra­men­te ne sa­reb­be­ro sta­ti par­te­ci­pi an­che Mi­les Da­vis e John Col­tra­ne - ogni gran­de ar­ti­sta in­fat­ti as­sor­be al ta­len­to in­na­to ciò che sor­ge d’in­no­va­ti­vo in qua­lun­que an­go­lo del set­to­re e i me­ga con­cer­ti pro­pon­go­no sem­pre nuo­ve e gu­sto­se spi­go­la­tu­re.

    Una co­sa c’è da di­re a fa­vo­re di que­sto ge­ne­re di ra­du­ni as­sor­dan­ti, ec­ci­tan­ti e dis­se­tan­ti: se nel­la real­tà quo­ti­dia­na la trom­ba è te­nu­ta in se­ria con­si­de­ra­zio­ne da uno spa­ru­to grup­po di afi­cio­na­dos - io so­no cer­ta­men­te tra que­sti - ascol­tar­la e ve­der­la dan­za­re in quel bac­ca­na­le, la si co­min­cia ad ap­prez­za­re per il suo rit­mi­co in­cal­zan­te di­ve­ni­re. Il ter­re­no di cal­cio da cui inin­ter­rot­ta­men­te si go­de lo spet­ta­co­lo sem­bra se­mi­na­to a bir­ra - tan­to che non si cam­mi­na mai sull’er­ba, ma su mi­glia­ia di bot­ti­glie di pla­sti­ca con­te­nen­ti fi­no a po­chi istan­ti pri­ma due li­tri del pre­zio­so e im­man­ca­bi­le ele­men­to. Sei lì che ti guar­di at­tor­no scuo­ten­do la te­sta, su­pe­rio­re agli sba­van­ti-esa­ge­ra­ti-to­ta­li quan­do da lì a po­co - do­po aver cal­pe­sta­to il tuo pri­mo per­so­na­le bot­ti­glio­ne - ti ri­tro­vi gli ar­ti che, in­di­pen­den­ti dal cor­po, pren­do­no vi­ta co­sì co­me il tuo sor­ri­so. Non fai a tem­po a pen­sa­re Pe­rò, che rit­mo ser­ra­to! An­che se non c’è poi da esal­tar­si co­me ‘sti ti­pi qui in­tor­no … che un nuo­vo ami­co ben sha­ke­ra­to, ti met­te tra le ma­ni una se­con­da bot­ti­glia, di quel­le gros­se e fre­schis­si­me - beh, d’un trat­to non ti sem­bra più di es­se­re lì tra il pub­bli­co, ma in bi­li­co sul pal­co a ge­sti­re e di­ri­ge­re co­ri e mo­vi­men­ti da sbal­lo de­gli ab­bir­raz­za­ti < TA TA - TA TA - TA TA - TA’ - PA PA - PA PA -PA PA - PA’ > e non ti fer­mi più, e non ti stan­chi mai. Non ti fan­no più nem­me­no ri­de­re tut­te quel­le de­ci­ne di di­sar­cio­na­ti mez­zo ad­dor­men­ta­ti sui co­fa­ni del­le au­to qua­si d’epo­ca, se­du­ti col men­to sul to­ra­ce e con la men­te nel­la bra­ce - han­no vis­su­to le tue me­de­si­me sen­sa­zio­ni e vi­bra­zio­ni, ca­pi­sci che la trom­ba ha ge­ne­ra­to un’im­men­si­tà di fra­tel­li di cui mol­ti ge­mel­li: "ab­brac­cia­mo­ci tut­ti, dot­to­ri e cor­nu­ti, cas­sie­ri e con­ta­nien­te, ar­ra­pa­ti e di­ri­gen­ti buo­ni o in­ca­pa­ci" TA TA – TA TA – TA TA – TA’ – PA PA – PA PA – PA PA – PA’! Che me­ra­vi­glia! "Ve­di Gu­cha e poi ku­cia! di­co­no sia ser­bi che ita­lia­ni - i pri­mi in­ten­do­no e poi a ca­sa - i se­con­di pen­sa­no e poi spin­gi!", ma in en­tram­bi i ca­si sta­te­ne cer­ti, fra un an­no tor­ne­ran­no!!

    Al­la fi­ne di quel­le tre rim­bom­ban­ti gior­na­te la pa­ro­la FI­NE vie­ne rin­via­ta a da­ta da de­sti­nar­si per l’av­ven­to del­la mi­ti­ca e gra­di­ta sa­gra del ma­ia­le in ca­lo­re (o al va­po­re), con­di­to da can­to li­be­ro nem­me­no lon­ta­no pa­ren­te del ka­rao­ke, da esi­bi­zio­ni di grup­pi pro­fes­sio­ni­sti, estem­po­ra­nee per­for­man­ce co­mi­che da par­te dei più di­si­ni­bi­ti e al­tic­ci, e l’ar­ri­vo del­lo Sla­von­sky Brod Cir­cus, da quel­le par­ti un de­li­rio. Ci si spo­sta dal cam­po per sa­li­re sul­la col­li­net­ta adia­cen­te, e’ pos­si­bi­le pren­de­re po­sto ovun­que, ma le pol­tron­ci­ne di due ka­fa­na-bar e di un ri­sto­ran­ti­no tra le roc­ce per­met­to­no di go­de­re lo spet­ta­co­lo da zo­na do­mi­nan­te. Cer­to do­po set­tan­ta­due ore di trom­bo­ni una rock band che si fa chia­ma­re I Trom­ba­ti non te l’aspet­ti, poi pe­rò al mi­cro­fo­no si pre­sen­ta un ti­zio di bell’aspet­to, tra un sor­ri­so e un in­chi­no non at­ten­de al­tro che l’ur­lo di qual­che ra­gaz­za che ‘non ne ve­de uno da un se­co­lo’ e il quat­tro del bat­te­ri­sta per lan­ciar­si in una ese­cu­zio­ne mai udi­ta tra i Bal­ca­ni - in quell’at­mo­sfe­ra agra­rio-bo­schi­vo-fe­sta­io­la ogni po­chi mi­nu­ti di re­per­to­rio com­pren­den­te una dop­pia cop­pia di rock & pop, un tris di rap, un full di reg­gae e folk, che ti so­do­miz­za­no la spi­ra­le acu­sti­ca… un po­ker di boc­ca­li te li de­vi ac­com­pa­gna­re al­lo sci­vo­lo eso­fa­geo, per for­za! So­no sim­pa­ti­ci e pas­sa­bi­li i com­po­nen­ti ori­gi­na­li del com­ples­si­no, ma a es­se­re ve­ra­men­te to­go è il so­li­sta, il suo no­me è Jean­look, per gli ami­ci e per chi pa­ga va be­ne an­che Hook. Al­la più che ov­via ri­chie­sta di bis in­ve­ce dell’en­ne­si­ma can­zo­ne, re­ga­la una man­cia­ta di bar­zel­let­te e co­sì con­qui­sta an­che i ge­lo­so­ni ma­sco­li­ni che per tut­to il tem­po si era­no do­vu­ti bec­ca­re le pro­prie ra­gaz­ze in­va­sa­te e in­vo­can­ti: "Trom­ba­ti, se sie­te bra­vi a trom­ba­re co­me a can­ta­re, vi fac­cia­mo suo­na­re nel co­ro del­le ver­gi­niiiii, e del­le af­fa­maa­teeeee" ag­giun­ge­va qual­che… spiag­gia­ta so­prav­vis­su­ta. Io ame­ri­ca­no nel bel mez­zo del­la Ser­bia, mi di­ver­ti­vo co­me un paz­zo an­zi, co­me un mat­to da­van­ti al­la pro­po­sta di un vo­to di scam­bio e, cer­ta­men­te, non in­ten­de­vo mol­la­re il mal­lop­po: - mi ur­la­va il can­tan­te dal pal­co or­mai gre­mi­to - - . Po­co do­po da­van­ti al­la gran­de ten­da ri­ga­ta, un dia­vo­lo ar­ma­to di for­chet­to­ne mi sbar­ra­va la stra­da, Jean­look gli mi­se una ma­no sul­la spal­la e in­ve­ce di por­ger­gli un cri­stia­no al­la boc­ca gli sus­sur­rò qual­che pa­ro­la all’orec­chio, tre se­con­di do­po: <Sve do­bro, en­tra pu­re> mi ac­cen­na. Il tem­po di pre­sen­tar­si in Di­re­zio­ne che l’uo­mo for­zu­to lo ab­bran­ca da die­tro e lo lan­cia al­la don­na baf­fu­ta, que­sta lo in­qua­dra e se lo in­zup­pa in un sol boc­co­ne: - slur­pap­pa­ta!> - - - "Che sia già un po’ co­no­sciu­to?" mi chie­de­vo dub­bio­so - ma il suc­ces­si­vo ag­gua­to te­so­gli da­gli am­mae­stra­to­ri di ti­gri, e la fin­ta ai te­sti­co­li da par­te dell’uo­mo can­no­ne, me ne ca­pa­ci­ta­ro­no com­ple­ta­men­te. Un sa­lu­to al clo­wn e uno al pre­sen­ta­to­re, poi fi­nal­men­te riu­scii ad al­lun­gar­gli il fo­gliet­to, ma… la fru­sta­co­rian­do­li, ab­bi­glia­ta di so­le quat­tro fo­glie di fi­co, men­tre si al­le­na­va a col­pi­re stel­le fi­lan­ti get­ta­te in aria dal­la mo­glie del lan­cia­to­re di col­tel­li, tra­sfor­mò in sta­tua di sa­le il mio ra­pi­to com­pa­gno. Quan­do tra un vol­teg­gio e uno schioc­co lo vi­de bloc­ca­to, la ra­gaz­za s’il­lu­mi­nò e, do­po aver ba­cia­to le no­ve co­de, gli smak­kò un be­so a un cen­ti­me­tro dal­la guan­cia - l’osan­na­to co­w­boy del­le sa­gre si fe­ce stra­da a suon di pol­li­ci e in­di­ci che spu­ta­va­no fuo­co a tut­to spia­no fin­ché, do­po aver­li raf­fred­da­ti con un sof­fio, al­zò da ter­ra la più af­fa­sci­nan­te e sve­ne­vo­le bion­di­na che mai si pos­sa im­ma­gi­na­re in un cir­co, Sa­ra­to­ga Cer­pi­cic, in­dub­bia­men­te fi­glia di un ar­rem­bag­gio. - dis­se mas­sag­gian­do­si il fian­co. ara­go­sti­na?> - < Può dar­si, ca­ro il mio ma­re agi­ta­to, pen­si co­mun­que di po­ter­mi of­fri­re un drink su quel­lo sco­glio lag­giù?> - < Sa­rà più che un pia­ce­re… Sa­ra> - co­so> - - - - - - stra­na­men­te gen­tle­men di Jean­look. Puoi chia­mar­mi Cher­ry> - < E tu, col per­mes­so di Hoo­ky, po­tre­sti chia­mar­mi Fred­dy> - Son­ni-Fred­di> pro­po­se la ra­gaz­za am­mor­bi­den­do­si al con­tat­to del brac­cio di Jean­look. Le pre­sen­ta­zio­ni con­ti­nua­ro­no al ban­co bar - na­ti en­tram­bi a Kra­l­je­vo, Ser­bia cen­tra­le, una sull’Ibar l’al­tro sul­la Mo­ra­va, si era­no co­no­sciu­ti al­le get­to­na­tis­si­me fe­ste sul ter­zo fiu­me del­la cit­tà, il Ka­me­ni­za. Che me­ra­vi­glia quel­le brac­cia­te in ac­que pu­li­te al cen­tro di spon­de ver­dis­si­me e lus­su­reg­gian­ti che ri­por­ta­va­no al­la men­te eso­ti­ci sce­na­ri di film av­ven­tu­ro­si - in­vi­ta­va­no pu­re a ef­fu­sio­ni e ba­ci in­di­men­ti­ca­bi­li, a vol­te… sen­za il co­stu­me. At­trat­ti for­te­men­te l’un l’al­tro, con­di­vi­de­va­no un in­te­res­se co­mu­ne, let­tu­re e tra­smis­sio­ni sui mi­ste­ri del­le an­ti­che ci­vil­tà, e si ap­par­ta­va­no spes­so a par­lar­ne - pur­trop­po per lo­ro l’epo­ca dei bom­bar­da­men­ti NA­TO li di­stol­se da que­gli in­con­tri gau­den­ti e ro­man­ti­ci ob­bli­gan­do­li ad al­lon­ta­nar­si, ognu­no in cer­ca - con la pro­pria fa­mi­glia - di una si­ste­ma­zio­ne di­gni­to­sa. Vis­se­ro una de­ci­na d’an­ni avan­ti e in­die­tro per l’Eu­ro­pa oc­ci­den­ta­le in­fi­ne tor­na­ro­no per re­sta­re. Sa­ra­to­ga, poi lau­rea­ta in psi­co­lo­gia, si era do­vu­ta in­ven­ta­re un me­stie­re cau­sa la mo­struo­sa cri­si crea­ta dal­la guer­ra e dall’em­bar­go che pro­sciu­ga­va­no e rin­sec­chi­va­no op­por­tu­ni­tà e mer­ca­to del la­vo­ro. Di­let­tan­do­si fin da pic­co­la con la fru­sta del­lo zio do­ma­to­re, si pre­sen­tò co­rag­gio­sa­men­te al­la ten­da del­lo Sla­von­sky Cir­cus e un pa­cioc­co­ne di ca­po­bran­co l’ar­ruo­lò con pa­ga di­scre­ta. A par­te le sue ca­pa­ci­tà, non di­stur­ba­va nem­me­no il suo me­tro e set­tan­ta­cin­que pro­get­to di sa­pien­te pen­nel­lo che l’ave­va do­ta­ta di cur­ve flo­ri­de e bi­lan­cia­te a sud, pec­ca­mi­no­se e ri­go­glio­se nell’atol­lo nord. Un vi­so al­la B.B. con lab­bra ap­pe­ti­to­se e due la­ghet­ti blu so­pra un na­si­no per­fet­to ave­va­no crea­to al cam­pus uni­ver­si­ta­rio un con­ti­nuo ac­cer­chia­men­to, e quei bel­lis­si­mi trat­ti sa­reb­be­ro val­si l’of­fer­ta di cen­to cam­mel­li da par­te di ogni Ca­lif­fo ara­bo, o di tut­ti i pro­pri den­ti da ogni as­sa­ta­na­to, gros­so, pe­lo­so ma­schio cau­ca­si­co. Il pe­pe­ri­no in­te­rio­re emer­ge­va al­la bi­so­gna, ma in­con­tra­re Jean­look l’ac­quie­ta­va e, nel me­de­si­mo istan­te la sti­mo­la­va ses­sual­men­te. Tra le sue brac­cia of­fri­va al ra­gaz­zo una dol­cez­za iper­ca­lo­ri­ca che lo fon­de­va com­ple­ta­men­te - fors’an­che con­fon­de­va.

    L’uni­ca co­sa che man­ca­va vi­sto­sa­men­te a Hook il pi­ra­ta era una doz­zi­na di cen­ti­me­tri al rag­giun­gi­men­to dei due me­tri… il re­sto de­mo­li­va qua­lun­que al­tro in­te­res­se che non fos­se l’at­tra­zio­ne fi­si­ca. So­cie­vo­le e di­spo­ni­bi­le con tut­ti, era sta­to dai ven­ti­cin­que ai tren­ta­due un co­stan­te pro­ble­ma per le don­ne; con la sua atle­ti­ca fi­si­ci­tà pa­re­va co­stan­te­men­te in­com­be­re su ognu­na di lo­ro o, per­lo­me­no, tut­to ciò era la lo­ro sti­ma, so­gno e pre­oc­cu­pa­zio­ne. Bei li­nea­men­ti con ma­scel­la vo­li­ti­va ma non trop­po ac­cen­na­ta, oc­chi ver­di col si­ni­stro a sfu­ma­re sul mar­ro­ne - ca­pel­li ca­sta­no/cre­pu­sco­la­ri, ver­so se­ra scu­ri­va­no ren­den­do­lo te­ne­bro­so, in pie­no so­le s’il­lu­mi­na­va­no bion­deg­gian­do pe­ri­co­lo­sa­men­te. Le ra­gaz­ze se lo con­ten­de­va­no, co­sì al­cu­ne si­gno­re pru­ri­gi­no­se - lui, gio­va­ne per­spi­ca­ce e ge­ne­ro­so, ve­de­va le stra­de cit­ta­di­ne co­me tan­te pi­ste di bo­w­ling, con le fem­mi­ne più af­fu­so­la­te a far da bi­ril­li e lui, lan­cia­to da se stes­so, a co­ri­car­le de­ci­sa­men­te. L’al­tra fac­cia del­la me­da­glia evi­den­zia­va che fuo­ri dal boc­cio­dro­mo Cher­ry gli man­ca­va - pas­sa­va me­si sen­za in­con­trar­la e per­si­no il suo spon­ta­neo e ac­cat­ti­van­te sor­ri­so af­fie­vo­li­va in un ve­lo di ma­lin­co­nia. C’era il pa­ne, c’era­no i den­ti, ma l’ap­pe­ti­to car­dia­co non ve­ni­va sod­di­sfat­to che spo­ra­di­ca­men­te. Ri­so­lu­to, si mi­se in cac­cia di mon­di e tem­pi fa­vo­re­vo­li per si­ste­mar­si - l’oc­ca­sio­ne gli ca­pi­tò quan­do i ge­ni­to­ri - pa­dre sal­tua­rio pi­lo­ta, ma­dre pre­ca­ria in­se­gnan­te - gli pro­spet­ta­ro­no l’idea di tra­sfe­rir­si per un tem­po in­de­ter­mi­na­to ne­gli Sta­tes per ar­ric­chi­re il vec­chio di­plo­ma. S’im­bar­cò fi­du­cio­so al­la vol­ta di L.A. Ca­li­for­nia e pre­sto, s’iscris­se all’Ac­tor Stu­dio nei pres­si di We­st Hol­ly­wood. Stu­diò che stu­diò che stu­diò che quei sei me­si vo­la­ro­no in un… ciak. Il pa­dre, do­po es­ser­si in­for­ma­to da un pa­io di at­to­ri pro­fes­sio­ni­sti che reg­ge­va­no l’ac­ca­de­mia e viag­gia­va­no so­li­ta­men­te sul suo jum­bo, re­so con­sa­pe­vo­le da que­gli In­som­ma… ac­qui­sì tre bi­gliet­ti per il ri­tor­no e pas­sò la pal­la al­la mo­glie per­ché con­so­las­se un de­so­la­to Jean­look. Rien­tra­to in Ser­bia il ra­gaz­zo par­cheg­giò a Bel­gra­do per ac­ca­sar­si pres­so la lo­ca­le sta­zio­ne dei pom­pie­ri, ma do­po bre­ve pe­rio­do – stu­fo di ma­nua­li e cor­si teo­ri­ci, con la so­la co­no­scen­za pra­ti­ca di ogni ti­po di sca­le e di estin­to­ri - si spo­stò sul­le ri­ve del Da­nu­bio non lon­ta­no dal­le sto­ri­che e mas­sic­ce Por­te di fer­ro; là vi­vac­chia­va una sor­ta di scuo­la di re­ci­ta­zio­ne e can­to. Suc­ce­de­va che in zo­na ve­nis­se­ro a cer­ca­re con­cen­tra­zio­ne e ispi­ra­zio­ne gli ele­men­ti del grup­po hard rock-jazz I tre trom­bet­tie­ri - nei pri­mi tem­pi Hook gli gi­ron­zo­lò in­tor­no ta­ci­tur­no ma vi­gi­le, poi pre­sen­ta­to­si co­me so­li­sta, all’ac­co­glien­za ca­lo­ro­sa dei tre strim­pel­la­to­ri, non gli par ve­ro di po­ter­si uni­re al­la band nel­le ve­ci di D’Ar­ta­gnan. Si ca­pi­ro­no e si piac­que­ro, pro­va­ro­no e in­ci­se­ro, ri­ma­nen­do spes­so scot­ta­ti da quei bru­cian­ti Pe­no­sa­men­te pie­to­si do­po le au­di­zio­ni. Si raf­fred­da­ro­no all’en­ne­si­ma re­spin­ta cam­bian­do ad­di­rit­tu­ra no­me ne I trom­ba­ti, ma il mon­do si sa, è di chi non mol­la mai - Jean­look pre­sen­tò al­cu­ne do­man­de a va­rie agen­zie di spet­ta­co­lo dan­do la di­spo­ni­bi­li­tà per se­ra­te mu­si­ca­li. A ri­spon­de­re fu l’or­ga­niz­za­zio­ne di Gu­cha che do­ve­va col­ma­re dei vuo­ti in qual­che sa­gra pri­ma­ve­ri­le. A Cher­ry e Hook quei me­stie­ri hob­bi­sti­ci e iti­ne­ran­ti pa­re­va­no me­no as­sur­di dal mo­men­to che per­met­te­va­no lo­ro d’in­con­trar­si e a vol­te d’in­trat­te­ner­si an­che tre, quat­tro gior­ni di fi­la. Ir­re­si­sti­bil­men­te at­trat­ti com’era­no, go­de­va­no paz­za­men­te di ogni istan­te e pu­re, non trop­po di ra­do, si scon­tra­va­no fron­tal­men­te, ma l’amO­re con la O ma­iu­sco­la è un por­ten­to­so ri­chia­mo gra­vi­ta­zio­na­le per i ner­vi di si­ste­ma cen­tra­le, ot­ti­co e su­be­qua­to­ria­le - nel sen­so che sot­to al 36° pa­ral­le­lo la ca­la­mi­ta fem­mi­ni­le at­trae ine­so­ra­bil­men­te il ma­gne­te ma­schi­le e, ap­pia­nan­do ogni di­spu­ta, crea pul­vi­sco­lo co­smi­co - vol­gar­men­te chia­ma­to ma­rea di scin­til­le…! All’im­prov­vi­so, nel clas­si­co Gran Bel Gior­no, le co­se de­via­ro­no ra­di­cal­men­te o, for­se, pa­ra­dos­sal­men­te. Ac­ca­de­va che, nel cuo­re del­la pe­ni­so­la ara­bi­ca, uno scan­da­lo­sa­men­te ric­co pe­tro­lie­re di stir­pe rea­le, do­po aver di­ra­ma­to cen­to in­vi­ti ai mag­gio­ri cir­chi del pia­ne­ta per la me­ga­lo­ma­ne crea­zio­ne de Il Più Gran­dio­so Spet­ta­co­lo Del Mon­do, si ri­tro­vas­se con tre bu­chi nel­la li­sta del gior­no di Aper­tu­ra. Il Bar­num, bloc­ca­to da fer­reo con­trat­to sul cam­po­vo­lo di Reg­gio Emi­lia per il Fe­sti­val dell’Uni­tà, il Cir­co di Mo­sca, cir­con­da­to in Ucrai­na dai cer­chi nel gra­no com­par­si du­ran­te la not­te, e l’Or­fei, im­pe­gna­to a Mon­te­car­lo per la rac­col­ta fon­di da uti­liz­zar­si nel­le sta­tue di ce­ra e nel­la clo­na­zio­ne di Lia­na e Moi­ra, era­no i tre più fa­mo­si ten­do­ni im­pos­si­bi­li­ta­ti - ur­ge­va so­sti­tuir­li ade­gua­ta­men­te. Rac­co­gli-Dat­te­ri, tra­du­zio­ne dal no­me ara­bo del sot­to­se­gre­ta­rio del Ca­lif­fo Ab­dul­lah, tut­to­fa­re di Omar 70° il Ma­gni­fi­co, di­spe­ra­to per la si­tua­zio­ne in cui l’ave­va­no mes­so i suoi pa­dro­ni e su­pe­rio­ri, si sta­va ci­men­tan­do in una fre­ne­ti­ca ri­cer­ca In­ter­net per ac­cor­pa­re quan­to pri­ma le ade­sio­ni più pro­met­ten­ti. Con­di­zio­na­to que­sto da stra­ri­pan­te dis­sen­te­ria ele­fan­ti­na, in lun­ga de­gen­za tra­pe­zi­sti e fu­nam­bo­li dell’al­tro, e re­qui­si­to dall’al­ta fi­nan­za in­ter­na­zio­na­le co­me ov­via se­de di con­ven­tion un ter­zo ten­do­ne, gi­ra e ri­gi­ra, uno dei ra­ris­si­mi cir­chi di­spo­ni­bi­li era, as­so­lu­ta­men­te, lo Sla­von­sky Brod fra­stor­na­to al­la so­la idea di par­te­ci­pa­re. Ade­ri­ro­no pu­re un cir­co ka­za­ko di Asta­na e uno aze­ro di Ba­ku. Rag­giun­to il quo­rum, Rac­co­gli-Dat­te­ri di­ra­mò fi­nal­men­te luo­ghi e da­te uf­fi­cia­li del­le più no­te­vo­li esi­bi­zio­ni ed evo­lu­zio­ni cir­cen­si di ogni epo­ca: Le Olim­pia­di del Cir­co si sa­reb­be­ro svol­te per tut­to il me­se di apri­le nel­la pia­na di Ghi­za, al co­spet­to del­le pi­ra­mi­di. Co­me pre­mi, un fot­tio di pe­tro­dol­la­ri, poi per tut­ti un ri­mor­chio di sab­bia da re­ca­pi­tar­si agli in­di­riz­zi pre elen­ca­ti.

    Hook par­la­va al te­le­fo­no con to­no neu­tro, ma sul ca­la­re di ogni fra­se tra­spa­ri­va la sua pre­oc­cu­pa­zio­ne - vec­chio Ni­lo non ce la può to­glie­re nes­su­no> - - - . Ogni sguar­do in­si­sti­to di Cher­ry, co­sì co­me la sua vo­ce, pro­iet­ta­va a po­chi cen­ti­me­tri da­gli oc­chi di Hook l’olo­gram­ma del Ca­po di Sta­to Mag­gio­re in­ten­to a iniet­tar­gli He­roes nell’orec­chio si­ni­stro, e Glo­ry Days in quel­lo de­stro: . A sua vol­ta, il sor­ri­so e il to­no che ri­vol­ge­va a Sa­ra­to­ga ave­va­no la pre­ro­ga­ti­va di can­cel­la­re qua­lun­que for­ma di ma­te­ria at­tor­no a lei, com­pre­se le par­ti­cel­le più ele­men­ta­ri e per­ce­pi­bi­li - si sen­ti­va so­spe­sa nell’Uni­ver­so in una bol­la spa­zio-tem­po­ra­le crea­ta dal­la pal­pa­bi­le lu­mi­no­si­tà che ema­na­va dal sen­ti­men­to dei lo­ro es­se­ri, le sem­bra­va di toc­ca­re con ma­no una fa­ta­ta fe­li­ci­tà: .

    Il vo­ca­li­st di Kra­l­je­vo non per­se tem­po, e rim­bal­zò su tut­te le sta­zio­ni ra­dio­fo­ni­che dell’ex Ju­go­sla­via per es­ser­si esi­bi­to in quel di Gu­cha per qua­ran­tot­to ore con­se­cu­ti­ve - la sua idea di re­sti­tui­re il 20% agli spet­ta­to­ri che vo­les­se­ro af­fian­car­lo ad ogni can­zo­ne fun­zio­nò al­la stra­gran­de e, spar­sa la vo­ce, gli or­ga­niz­za­to­ri de­via­ro­no in mi­ti­ca pro­ces­sio­ne un fiu­me di agi­ta­ti al­lo sta­dio, fa­cen­do en­tra­re sem­pre nuo­vi pa­gan­ti e scen­de­re le nuo­ve sor­pre­se ca­no­re - un trion­fo com­ple­to ben pa­ga­to a I Trom­ba­ti. Ri­pe­ten­do­si do­po il me­ri­ta­to ri­po­so, Hook im­pi­lò una ci­fret­ta dav­ve­ro nien­te ma­le e, ca­ri­co, esplo­se da­van­ti al­lo spec­chio in un ec­ce­zio­na­le .

    IL FESTIVAL DEI NUOVI FARAONI

    Chec­cai­ro d’Egit­to… pen­sò Hook no­tan­do dal fi­ne­stri­no del 737 una co­los­sa­le tem­pe­sta di sab­bia ve­nir­gli in­con­tro: Co­sa c’è, lo scio­pe­ro del­le im­pre­se di pu­li­zia?. . Pre­se la pa­ro­la il co-pi­lo­ta che gen­til­men­te ag­giun­se: . Se­le­zio­nan­do ma­la­men­te il ta­sto mu­te, la­sciò inav­ver­ti­ta­men­te aper­ta la li­nea, quin­di si ri­vol­se al pri­mo pi­lo­ta: . Im­me­dia­ta­men­te tra i pas­seg­ge­ri ma­schi si dif­fu­se a ve­lo­ci­tà sub­so­ni­ca il bi­so­gno di toc­car­si i te­sti­co­li, con­tem­po­ra­nea­men­te si ac­ce­se una spa­smo­di­ca ri­cer­ca al ma­te­ria­le fer­ro­so da par­te del­le sky-wal­kers in gon­nel­la - ma tut­to an­dò tre­men­da­men­te be­ne – la scos­sa de­gli An­nu­na­ki non si ma­te­ria­liz­zò in uno spa­ven­to­so in­ci­den­te, ma sol­tan­to in un pa­io di leg­ge­ri rim­bal­zi sul­la pi­sta. Tut­ti evi­ta­ro­no sguar­do e ma­no te­sa del 2° pi­lo­ta. Av­ver­ti­ta Cher­ry, Jean­look si re­cò rag­gian­te in al­ber­go. L’ho­tel Cheo­pe Ghi­za Pa­la­ce è la straor­di­na­ria co­pia in cri­stal­lo del pi­ra­mi­do­ne la­te­ra­le - i let­ti tut­ti a sar­co­fa­go, so­no sor­pren­den­te­men­te co­mo­di e ri­las­san­ti gra­zie a un mo­vi­men­to cul­la che, a se­con­da dell’op­zio­ne scel­ta, può con­ci­lia­re il son­no di Ram­se­te o la trom­ba­ta di Ai­da. Do­po la doc­cia di Ne­fer­ti­ti dai cen­to idro­get­ti che lo sol­le­ti­ca­va­no da ogni di­re­zio­ne, Re Hook tor­na­to nel­la ca­me­ra se­pol­cra­le, tro­vò Sa­ra­to­ga ar­ro­to­la­ta in un leg­ge­ro ben­dag­gio di­ste­sa su una stuo­ia ric­ca di ge­ro­gli­fi­ci. Col cuo­re in sub­bu­glio il sor­ri­den­te Fi­glio del Cie­lo non la­sciò il mi­ni­mo scam­po al­la fa­rao­na ser­ba. - . Si ama­ro­no co­sì, fe­li­ci e ar­rem­ban­ti, pro­lun­gan­do i pre­li­mi­na­ri in un re­ci­pro­co ero­ti­smo sti­mo­lan­te e stor­den­te. - . Ri­schia­ro­no di ri­scri­ve­re il Ka­ma­su­tra, poi al ter­mi­ne di quei tra­vol­gen­ti am­ples­si i due gio­va­ni si se­det­te­ro sul­la stuo­ia av­vol­ti ne­gli ac­cap­pa­toi e, af­fa­ma­ti, ini­zia­ro­no a sa­ziar­si dei frut­ti me­di­ter­ra­nei. - - ov­via­men­te sor­ri­se­ro en­tram­bi pic­can­ti ex­tra­ter­re­stri sul­la no­stra pro­ve­nien­za, se non la de­du­zio­ne che mi pro­vie­ne da un fat­to ac­qui­si­to e con­cla­ma­to, il di­lu­vio uni­ver­sa­le: cioè, sem­pli­ce­men­te, sia­mo tut­ti fi­gli di Noè…> - PIU’ ma­gni­fi­cen­te nel­le tue straor­di­na­rie con­sta­ta­zio­ni, ma per un pas­sa­to più ar­di­to co­sa pen­si?> - ca­val­ca­te da po­ten­ti staf­fet­ti­sti di tur­no, s’in­ven­ta­ro­no le Cro­cia­te e la sce­no­gra­fia de La Di­vi­na Com­me­dia, gio­can­do al­la gran­de sul­la pau­ra istin­ti­va dell’uo­mo. Si so­no ben pre­sto ac­cor­te, co­me an­che og­gi i... bu­rat­ti­nai e qual­sia­si fon­te d’in­for­ma­zio­ne, che il sud­det­to istin­to è al­ta­men­te ma­ni­po­la­bi­le - ba­sta in­se­ri­re una qual­si­vo­glia re­mo­ta sup­po­si­zio­ne nel cer­vel­lo di una per­so­na, che que­sta - pre­sa nel­la sua in­di­fe­sa in­di­vi­dua­li­tà - ten­de, quan­to­me­no, a con­si­de­rar­la. In tan­ti l’ac­cet­ta­no co­me fat­to ac­qui­si­to per non do­ver cer­ca­re e tro­va­re di­stur­ban­ti ve­ri­tà, ol­tre al ti­mo­re di guar­dar­si den­tro - per cui quel­la che mi pre­sen­ti sen­za nuo­ve pro­ve sem­bra l’ul­ti­mo ag­gior­na­men­to per mo­der­ni cre­du­lo­ni> -  ri­spo­se Sa­ra­to­ga.

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