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Pane e Investimenti
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E-book761 pagine10 ore

Pane e Investimenti

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Info su questo ebook

A tanti che non sono del mestiere il mondo della finanza può apparire come una selva fitta e intricata, un territorio in cui addentrarsi con cautela o, talvolta, non addentrarsi affatto. Difficile districarsi tra azioni, obbligazioni, polizze, ETF, fondi d’investimento, asset allocation… e un insieme di principi, regole e comportamenti del mercato che, chi ha poca confidenza con l’argomento, il più delle volte ignora, con la conseguenza di gettarsi in investimenti poco diversificati e di bruciare i risparmi di una vita, o viceversa di non investire affatto, lasciando i soldi sul conto a essere consumati giorno dopo giorno dall’inflazione. 
Pane e investimenti nasce proprio con l’obiettivo di fornire le chiavi per entrare in questo mondo, tanto complesso quanto affascinante, con la consapevolezza di ciò che si vuole e si può ottenere con i mezzi a disposizione. Qualora il lettore si affidasse a un consulente finanziario, avrebbe nel cassetto gli strumenti e le nozioni necessarie per dialogare con lui a testa alta e capire se quel che propone è in linea con gli obiettivi che vuole raggiungere e se è offerto al giusto costo. Un saggio che ha il pregio di esporre concetti e strategie complesse usando un linguaggio semplice, alla portata di tutti. Avvalendosi di uno stile ironico e leggero, regala una lettura utile e piacevole allo stesso tempo.

Filippo Bergami nasce a Montevarchi nel 1974. Sposato e padre di una figlia. Dopo la Laurea in Scienze Economiche e Bancarie alla Facoltà di Economia di Siena, si trasferisce a Milano dove inizia il suo percorso di crescita in ambito bancario. Analista finanziario certificato CEFA e Iscritto all’Albo dei Consulenti Finanziari, attualmente lavora in una delle più importanti banche italiane occupandosi di portafogli modello, advisory e data quality. La passione per la finanza e la consulenza lo convincono a mettere a disposizione dei lettori la sua esperienza per aiutarli a capire come gestire al meglio il loro patrimonio.
LinguaItaliano
Data di uscita8 gen 2024
ISBN9788830694316
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    Anteprima del libro

    Pane e Investimenti - Filippo Bergami

    LQpiattoBergami.jpg

    Filippo Bergami

    Pane e Investimenti

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8990-9

    I edizione dicembre 2023

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Pane e Investimenti

    A mia moglie e mia figlia

    Alla mia famiglia

    Agli amici

    Al nostro criceto Olivia

    Filippo Bergami

    Pane e Investimenti

    Una guida sugli investimenti per tutti

    Per chi è già investito e cerca un confronto

    Per chi non è investito e non si sente ancora sicuro

    Per chi vuole tenere sotto controllo il rischio e i costi

    Per chi desidera ottenere rendimenti superiori all’inflazione

    Per chi vuole conoscere i termini e gli strumenti della finanza

    Per chi vuole vedere analisi e simulazioni di portafoglio

    Per chi vuole fare le domande giuste al consulente

    Per chi vuole evitare gli errori più comuni

    Prefazione di Federica Cappelletti

    Ci sono due argomenti che più di altri mi hanno sempre incuriosito nella vita, forse perché non li padroneggio bene come vorrei: gli investimenti e la cucina.

    Gli investimenti erano il pane quotidiano di mio marito Paolo Rossi, se ne occupava con competenza e continuità. Sapeva trarne profitto. Io non ne volevo invece sapere di cifre, risparmi e obbligazioni.

    La cucina è un argomento più alla portata di tutti, anche se non tutti sanno cucinare. Io, per esempio, riesco a fare l’essenziale in maniera dignitosa, ma non sono di certo una chef. Il desiderio di sperimentare i piatti tipici toscani mi ha fatto però conoscere una donna straordinaria, Valeria, la nostra Vale, la mamma di Filippo, autore di questo felice e interessante manoscritto.

    Gli aneddoti culinari sparsi nel libro mi riportano ogni volta, in maniera prepotente, ai tempi sereni e pieni di amore vissuti con il mio Paolo, momenti che continuano ad essere ancora oggi un forte sostegno e la spinta ad andare avanti circondata dall’amore, inesauribile, delle mie figlie. E per le mie figlie.

    Con Paolo cucinavamo spesso insieme. Grembiule blu lui, verde io! Ci piacevano gli odori dei prodotti della tavola, era una corsa ad assaggiare ogni pietanza per confermare la mancanza di sale o di pepe. Ogni volta una gara. Lui andava forte con i piatti semplici del Made in Italy, solitamente bistecca con insalatina verde del nostro orto, io mi facevo apprezzare per i miei roast-beef con contorno di carotine tagliate a cubetti. Alla fine, era un modo saporito per condividere la magia della tavola e del cibo. Paolo andava pazzo per gli affettati, rigorosamente nostrani. In cima alla lista la cinta senese. Mi manca molto la sua curiosità, il suo modo di essere speciale in ogni occasione. La sua intelligenza.

    Questo libro sarebbe piaciuto anche a lui. A me ha aperto un mondo.

    La scelta di romanzare argomenti non facili a tutti rende i contenuti accessibili e adatti anche ai meno preparati. Come me.

    L’ironia tipica dei toscani condisce il tutto in maniera sottile e fa digerire le tematiche finanziarie, e qualche necessario tecnicismo, senza bisogno del bicarbonato.

    Il mio rapporto con gli investimenti oggi?

    È cambiato molto, da quando Paolo non c’è più ci penso io. Prima avevo un atteggiamento scettico nei confronti di certi argomenti, ero titubante e spesso in preda alla paura di fare la scelta sbagliata. Andavo nel panico per qualche notizia di crollo delle borse al telegiornale. Con il tempo, parlando con chi mi segue, mi sono tranquillizzata.

    Quando ho iniziato a leggere il libro non sapevo se dovessi fare una recensione per un manuale di cucina o di finanza. Dopo le prime pagine ho capito che si parla di investimenti in modo diverso dal solito. Condito. Facile. Comprensibile. Simpatico. È come se Filippo mi avesse preso per mano e accompagnata in questo viaggio senza fine. Ho appena letteralmente divorato le pagine, una dopo l’altra come le peschine all’alchermes che preparano ad Ambra durante la raccolta fondi per l’AIRC.

    Adesso ho più fiducia nei mercati, negli investimenti e nella loro capacità di proteggere i miei (e vostri) soldi dall’inflazione, tramite il rendimento.

    Ma non è finita.

    Si è scatenata in me anche la passione per le pappardelle fatte in casa, la voglia di visitare più in profondità la Valdambra ed investire qualche soldo fermo nel mio conto corrente, senza il timore di sbagliare. Appunto.

    Obiettivo raggiunto!

    Buona lettura a tutti!

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Introduzione

    È un pomeriggio di un venerdì assolato quando busso delicatamente alla porta di mia suocera Teresa, nessuno mi sente, allora suono il campanello.

    «Arrivo» risponde lei. Dall’angolazione e l’intensità della voce presumo che si trovasse in cameretta in fondo al corridoio. Calcolo un massimo di sette o otto secondi prima che arrivi ad aprirmi. Per fortuna non è nel terrazzo. Sento il rumore dei passi avvicinarsi. Il serraglio si sblocca e la maniglia inizia a girare. Lentamente la porta si apre. Vengo pervaso da un odore penetrante di detersivo, un misto di limone, aceto e candeggina. Mi accoglie strofinandosi le mani con uno straccio bianco con la trina. Indossa la sua classica tuta fucsia delle pulizie arrotolata alle caviglie. Sorridendo mi saluta.

    «Ciao babuino, tutto bene?».

    «Certo pantera rosa. Il solito traffico milanese dell’ora di punta», rispondo ricambiando il sorriso.

    Che tenera è mia suocera. Mi chiama affettuosamente babuino, per lei le consonanti sono un optional. Si diverte a sbeffeggiare il nomignolo babu con cui mi chiama mia moglie Anna quando vuole fare la carina. Babu deriva da babbo o da babbuino. Preferisco che derivi dal primo. Per i napoletani babbo significa fessacchiotto, ma per i toscani significa padre, e da toscano unto fino all’osso, vado orgoglioso di farmi chiamare babbo da mia figlia.

    Vittoria è nata a Milano ormai più di 12 anni fa, ed è in questa bella città che tuttora abitiamo. Ho faticosamente lottato con lei fin dalla culla per farmi chiamare babbo e non papà. Già dall’incubatrice le mandavo messaggi subliminali: «Vittoria è arrivato il babbo. Senti che dice il babbo. Ora il babbo ti porta a casa a giocare con la palla. Ma quanto rompe il babbo…».

    Crescendo e cominciando a vedere il mondo intorno a sé, in ogni angolo sentiva gli altri bambini chiamare papà il loro padre, compresa mia moglie e mi domandava perché io mi chiamavo babbo e gli altri papà. Le dicevo: «Vittoria, io e te siamo speciali, abbiamo sangue toscano. Nella mia regione si usa così, e sai che il babbo ci tiene alle tradizioni». Se lei mi chiamava papà io non mi giravo. Allora lei si divertiva a chiamarmi papà una serie infinita di volte e poi babbo per farmi girare e sentirsi dire: «Dimmi tutto Vittoria». Babbo è l’unica parola toscana che dice. A volte strascica a fatica qualche c, niente di più. Un colpo al cuore sentirla parlare con quel simil accento milanese moderno.

    Ad un certo punto la faccia di mia suocera si fa un po’ più seria, come se volesse dirmi qualcosa di importante.

    «Guagliò, ti devo parlare d’affari, di investimenti».

    Caspita! È un evento storico! Sono anni che sono sposato con sua figlia, sa che lavoro in banca e mi occupo di investimenti e servizi di consulenza ed ora mi chiede di fare due chiacchere, sono onorato.

    «Dimmi Teresa, sono tutto orecchie». La questione merita attenzione. Ci trasferiamo in cucina, lei mi offre una sedia in legno bianca con la seduta di paglia, mi metto comodo. Lei inizia il suo discorso.

    «Tra poco mi scadono dei soldi da Vito, ma non mi danno più gli interessi di prima, vorrei che mi accompagnassi tu e sentissi cosa mi propone perché non capisco».

    Vito è la persona che li ha sempre seguiti, ha sempre proposto dei buoni fruttiferi a tasso fisso a breve termine e per loro andava bene così, ma ora che i tassi sono scesi tantissimo i miei suoceri stanno cercando delle alternative più remunerative. Più che altro è mia suocera che si occupa di queste cose. Tonino si limita ad annuire seduto all’angolo della cucina con il suo cruciverba davanti.

    «Lo so Teresa, gli investimenti sicuri a tasso fisso, a seguito della forte discesa dei tassi di interesse non rendono più niente, se vuoi qualcosa di più serve un portafoglio diversificato di investimenti, adeguato al tuo profilo di rischio rendimento e coerente con l’orizzonte temporale dei tuoi obiettivi».

    La stavo guardando in viso. Aveva un’aria frastornata, come quella di chi è stato bombardato e stordito da troppe informazioni. In effetti l’avevo persa. Scosse la testa per pochi istanti e riprese i sensi.

    «Non ho capito niente di quello che hai detto, ora ti faccio il caffè e spiegami bene».

    La situazione si complica, ho sempre parlato di investimenti con addetti ai lavori o clienti di alta caratura, non mi sono mai preoccupato di dare spiegazioni a persone a digiuno completo di finanza. Bene, sarà la mia palestra. Faccio un bel sospiro e inizio.

    «Teresa, le obbligazioni che hai sempre fatto non sono più adatte ai tuoi scopi, adesso i tassi di interesse sono negativi, significa che devi pagare affinché il debitore prenda i tuoi soldi».

    «Devo pagare io gli interessi invece di riceverli?».

    «È così. In tanti anni che faccio questo lavoro non li avevo mai visti i tassi negativi. Se vuoi qualcosa in più hai diverse strade: la prima è prendere dei titoli emessi da governi meno affidabili che pagano interessi più alti, ma te lo sconsiglio vivamente, giusto?».

    «Sì! Sì! Questi non pagano e io ci rimetto il capitale».

    «La seconda è prendere dei titoli emessi da emittenti buoni con scadenze molto lunghe. Tuttavia, se avessi bisogno di riavere indietro i tuoi soldi prima della scadenza naturale, potresti ricevere molto meno di quanto investito se, nel frattempo, i tassi dovessero risalire. A scadenza rimborseranno invece quanto hai investito. Sei pronta a vincolarti per così tanto tempo?».

    «No, piuttosto li lascio fermi e aspetto».

    «Potresti aspettare a lungo. Un’altra possibilità è quella di costruire un portafoglio diversificato. È necessaria una quota adeguata di azioni globali, di obbligazioni corporate, inflation linked, high yield e dei paesi emergenti con cui incrementare il rendimento atteso. Più una parte di investimenti in titoli investment grade a breve e medio termine e monetari in euro al fine di ridurre la volatilità complessiva del portafoglio, sfruttando le correlazioni, e da utilizzare come riserva per sfruttare i cali del mercato».

    Mia suocera mi ha guardato qualche secondo senza proferire parola, poi è partita a razzo.

    «No Fili, le azioni non le voglio, anni fa la banca mi ha fatto comprare le azioni dell’ENI e ho perso una sacco di soldi quando sono cascate le torri in America».

    Tra me e me pensavo che almeno la parola azioni l’aveva sentita.

    «Teresa, sono un po’ stupito, avete comprato le ENI?».

    «È successo tanti anni fa, mi hanno detto che davano un bel rendimento ogni anno e l’abbiamo prese. All’inizio sono andate bene poi hanno iniziato a scendere parecchio dopo l’attentato e volevamo vendere. Mi dicevano di pazientare perché poi avrebbero recuperato. Abbiamo aspettato per un po’ come ci hanno detto, io e Tonino andavamo a controllare spesso allo sportello, continuavano a scendere, ho avuto paura di perdere tutto il capitale, alla fine abbiamo venduto e poi ho chiuso il conto».

    Ora comincio a capire e cerco di tranquillizzarla: «Non vi farei mai comprare una singola azione, quello che intendo è un fondo azionario da inserire in un portafoglio assieme ad altri strumenti obbligazionari e monetari con le quantità giuste per voi».

    «Che cos’è questo fondo? Quanto rende?», chiede lei abbassando la testa e soffiando flebilmente tra i denti. Quando fa questo gesto significa chiaramente che è in ansia.

    Da un lato è incuriosita e ha voglia di comprendere quali alternative ha a disposizione, ma dall’altro è preoccupata perché comincia a rendersi conto che la realtà è molto più complessa di prima.

    «Senti Teresa, prendiamoci tutto il tempo necessario, ti spiego con calma cos’è un fondo, cos’è l’asset allocation e cos’è un portafoglio. Vediamo poi di comprendere gli equilibri tra orizzonte temporale, rischio e i frutti che ti aspetti di ricevere».

    «Va bene, ma parla semplice altrimenti non capisco».

    «Non ti preoccupare, passo dopo passo ti spiego tutto. Ci sono tante cose da affrontare. Una delle differenze più grandi rispetto agli investimenti che facevi prima è che ogni giorno vedi il valore dei tuoi investimenti. Può salire come scendere. Potresti perdere soldi prima di ricevere il rendimento. Prima o poi la ordinerò una sfera di cristallo per prevenire i ribassi, ma ancora non ce l’ho».

    «Perdere soldi? Investo per guadagnarli e tu mi dici che potrei perderli?».

    «All’inizio è possibile, con l’andare del tempo i rendimenti che ti spettano cominciano a formarsi facendo crescere il capitale. Aggiungo un altro punto molto chiaro: se investite ed il portafoglio perde valore, io vi dirò di comprare e non di vendere. Investi una parte, mentre l’altra si mette a breve termine per avere munizioni ed approfittare delle opportunità che si dovessero presentare. Esattamente come fate al mercato, dove cercate se ci sono le offerte sui prodotti che vi interessano».

    Dal fondo della cucina Tonino proferisce parola: «Io non voglio perdere, va bene guadagnare anche poco, ma è importante che il capitale rimanga».

    «Lo capisco, vi dovete mettere d’accordo, Teresa vuole il rendimento, tu non vuoi perdere. La moglie ubriaca e la botte piena non sono compatibili. Che rendimento vi aspettate?».

    «Questo punto è cruciale, per aver un certo rendimento è necessario accettare un po’ di rischio ed attendere il tempo necessario altrimenti non andiamo da nessuna parte. Con il termine rischio, per essere chiari, intendo la possibilità di perdere soldi. Lo avete visto con Vito che non ci sono più i soliti rendimenti che prendevate prima, altrimenti non sareste venuti da me».

    «È vero» conferma mi suocera.

    «Quindi cosa volete fare? Aspettare o si inizia ad investire in modo diverso? Ditemi voi».

    Teresa, da buona madre di famiglia taglia la testa al toro.

    «Fili, investi come faresti per tua figlia, se fai male non le tocca niente, se fai bene si troverà qualcosa».

    «Teresa, mia figlia è piccola, per lei investirei tutto in azioni, ma non andrebbe bene per voi, è troppo rischioso».

    «Allora fai una cosa media, ciò che vogliamo lo vorrebbe anche un padre per sua figlia, fai come credi meglio, iniziamo con una parte e poi vediamo che succede».

    Mi hanno fatto parlare per ore, ci siamo visti più giorni e l’ho fatto con piacere, se posso aiutare si fa, loro ci sono sempre quando abbiamo bisogno. Il succo del discorso, alla fine, è una sintesi di saggezza popolare che mia suocera esprime rivolgendosi a me con un tono come se fossi suo figlio.

    È molto probabile che si ricordavano poco o nulla dei concetti che avevamo affrontato. Ed è normale, è come se io ascoltassi un fisico quantistico parlare del Bosone di Higgs. Al telegiornale hanno dedicato molti servizi quando lo hanno fotografato dopo tanti anni di ricerca ed esperimenti, ma capire cos’è, come hanno fatto a trovarlo o quale sia il suo ruolo nell’universo, è tutta un’altra faccenda. Ci vuole tempo, un po’ di pazienza, e non andare troppo nel profondo. Nessuno deve prendere una laurea.

    Ho raccontato questo piccolo aneddoto di una situazione reale per mostrare un’evidenza comune: molti di noi hanno bisogno di un consiglio su come investire i propri risparmi o il bisogno di ascoltare una persona esperta che ci spieghi semplicemente come funzionano gli investimenti, come evitare certi errori comportamentali, come riconoscere le opportunità o semplicemente controllare se il nostro consulente stia facendo un buon lavoro.

    Nessuno di noi nasce imparato, diceva Totò. Vorrei spiegare gli investimenti a tutti in modo semplice, pane al pane e vino al vino, senza tanti fronzoli, senza formule, teoremi o termini incomprensibili, affinché tutti possano capire come investire i loro risparmi in modo consapevole. Fare le domande giuste per capire se cosa gli viene proposto può andare bene o no. Imparare ad evitare di comprare perché ce lo dice l’amico o l’abbiamo visto su internet o perché, alla fine, presi pure dallo sfinimento, qualcosa bisogna comunque fare.

    Quando c’erano i BOT al 10% era semplice investire. Ci chiamavano i BOT people, ma pochi si ricordano che anche l’inflazione era molto alta e che a malapena conservavi il potere d’acquisto. Adesso non è più così. Siamo in un altro mondo. Se non investi, i soldi te li divora l’inflazione. Agisce sempre, notte e giorno. È come un polipo i cui tentacoli si muovono dappertutto facendo alzare i prezzi dei beni che più ci servono. Nel mare dei tassi negativi inizia a prendere forza e con il passare del tempo cresce, si pavoneggia, ed esplicherà i suoi nefasti effetti sui nostri soldi.

    «Teresa, tu hai paura dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi dei prodotti che compri?».

    «Lo vedo mese dopo mese, anno dopo anno, ciò che di solito si compra costa sempre di più».

    «Di cosa avresti bisogno per eliminare questa paura?».

    «Vorrei qualche soldo in più».

    «È proprio questo il punto. O aumentano stipendi e pensioni, e la vedo dura, o ci dobbiamo pensare da soli facendo rendere il capitale con l’investimento e compensare l’aumento dei prezzi. Con 10 euro oggi ci compri una pizza, dopo 10 o 20 anni, con gli stessi soldi, forse compri mezza pizza, oppure una pizza senza mozzarella. Quando scendo in Toscana a trovare i miei, pago l’autostrada da Milano a Firenze; domani, con gli stessi soldi, mi fermo a Bologna. State tranquilli che i prezzi aumenteranno sempre, e dobbiamo augurarci che sia così, perché un mondo con i prezzi che scendono sarebbe molto peggio».

    Alcuni preferiscono investire comprando un immobile. Per noi italiani il mattone è un mantra, un legame primordiale. Questa relazione di sacralità deve esistere solo con l’abitazione principale o con la seconda casa. Qui stiamo parlando di alternative d’investimento. Dovranno essere date risposte a domande su dove comprarlo, quante stanze, a chi affittarlo, che tipo di contratto, chi gestisce i pagamenti, le bollette, le tasse, la manutenzione; cosa fare se la zona si degrada, se non trovi un inquilino, se fanno danni, se non ti pagano e come comportarsi quando l’immobile non servirà più.

    Non voglio poi pensare a coloro che non investono, lasciano i soldi infruttiferi nel conto o nascondono i soldi in casa o in cassaforte. Prima che mi trasferissi a Milano per lavoro, dopo l’università a Siena, andavo spesso a mangiare a casa di mia zia Marialba e mio zio Giovanni, pace all’anima sua, e tra una fiorentina e un paio di bicchieri di buon vino di Carraia, ogni tanto si parlava d’affari. Una sua frase mi è sempre rimasta in mente: «Io i soldi li metto sotto il mattone e la casa l’ho piena di mattoni!». Naturalmente scherzava, gli piacevano i bilocali da dare in affitto agli studenti a Siena, ma alla fine non li ha mai comprati.

    Il solo pensiero di avere soldi in casa mi fa venire i brividi. Eppure, non è raro sentire di qualcuno che ha ritrovato in casa montagne di contanti o titoli al portatore scaduti da anni e mai incassati.

    La finanza è un argomento complesso. Sono una marea le cose da sapere, un oceano vastissimo di attività con decine di migliaia di prodotti e strumenti finanziari. Se qualcuno di voi non vuole affidarsi ad un professionista perché ha paura di essere spennato o teme che gli venga proposto qualcosa in conflitto di interessi, può farlo, ma deve armarsi di santa pazienza e studiare.

    Sappiamo quando ci serve un’aspirina, un analgesico o un antinfiammatorio, ma se i sintomi dovessero persistere e non si risolvessero in pochi giorni, correremmo dal medico a gambe levate. Per problemi più complessi lo stesso medico di famiglia ci manderebbe dallo specialista. Dovendo per forza andare sotto ai ferri, sono sicuro che tanti di noi pagherebbero privatamente per avere un secondo parere.

    Ciascuno prenderà la strada che preferisce, in ogni caso, che facciate da soli o che vi affidiate ad un consulente, avere le basi per sapere come comportarsi è un’arma nel vostro taschino da tirare fuori al momento opportuno.

    In queste pagine vorrei mettervi a disposizione degli attrezzi che in senso figurativo rappresentano le conoscenze di base, la cui assenza è spesso sfruttata da tutti i venditori, qualunque sia l’industria, per darvi prodotti e servizi al prezzo più elevato possibile. Laddove abbiamo dimestichezza con i prodotti offerti, perché li conosciamo bene e li compriamo frequentemente, sappiamo distinguere se il prodotto è di qualità e se il prezzo richiesto è onesto.

    Dovete prendere in mano i vostri risparmi e acquisire gli strumenti essenziali per investire in modo consapevole. Non esistono i maghi della finanza o i guru, lasciatevi guidare dal buon senso e tenete a bada l’istinto e le emozioni più viscerali che fanno più danni della grandine. Lo stesso vale per il vostro consulente.

    Iniziamo un viaggio nei meandri della finanza, un universo di corpi celesti, pianeti, asteroidi, pulsar, comete, nebulose e tanti buchi neri, tetri e scuri. Con l’astronave della conoscenza dissolviamo le nubi di gas che avvolgono tutto e liberiamo la luce delle stelle che illuminerà il cammino su questo complicato e affascinante mondo.

    Troppo bucolico? Sì, avete ragione. Allora cerchiamo di conoscere pochi e semplici ingredienti, impariamo a miscelarli con buon senso, monitoriamo la lievitazione e la cottura per sfornare un bel filoncino di pane croccante e profumato.

    Ho provato spesso a fare il pane guardando tanti video su internet, nonostante serva solo acqua, farina e lievito, è molto difficile tirare fuori qualcosa di mangiabile. Ci metto impegno, ho acquistato farine economiche e farine pregiate con cereali biologici macinati a pietra, tuttavia, pagare di più gli ingredienti non sempre è bastato. A volte il pane si afflosciava, a volte sapeva troppo di lievito, a volte la mollica si sbriciolava come un biscotto. Ho fatto le doppie cotture e inumidito il forno con un ciotolino d’acqua perché si dice in giro che aumenti la croccantezza. Ho provato anche a dare una bella botta di calore iniziale ed abbassare successivamente la temperatura. Per farla breve ho appurato che mi mancano ancora tante informazioni. Acquisterò un corso su come fare il pane da un professionista esperto o cercherò un buon fornaio che mi dia il pane che cerco al giusto prezzo.

    Non commettete gli stessi errori che ho fatto io con il pane. Sbagliare l’impasto o la cottura al massimo butti via una giornata e qualche euro, anche se vedere tua figlia che impasta il pane con le sue manine non ha prezzo; sbagliare gli investimenti significa sprecare anni, guadagnare poco o peggio perdere soldi.

    Capitolo 1. Gli strumenti finanziari

    Il compleanno di Anna si avvicina. Lei vorrebbe festeggiare con una cena tra amici ed abbiamo deciso per tre portate tipicamente toscane, spumante italiano e infine una bella torta con le candeline. Vista l’età metteremo due candeline a forma di numero altrimenti non c’entrerebbero tutte. C’è poco da scherzare, anch’io ho la stessa età.

    Questo il menu: antipasto misto con salame, prosciutto, capocollo e finocchiona; pecorino marzolino e un formaggio stagionato nel fieno con miele di castagno e composta di cipolle, crostini neri e rossi, bruschetta con lardo di Colonnata. A seguire pappardelle affogate nel sugo di cinghiale o di Cinta Senese in bianco e per secondo anatra in porchetta. Al dolce e lo spumante ci pensa mia moglie, mentre il resto è compito mio. Mi sarebbe piaciuto cimentarmi con un bel cacciucco alla livornese; ben venga il menù di terra.

    Sono in trepidante attesa, a minuti arrivano la mamma Valeria e il babbo Luciano dalla Toscana. So benissimo che non vengono per me, sono colmi di tenerezze solo per la loro nipote Vittoria. Abitano nel paese di Ambra, arroccato in una delle innumerevoli e dolci colline della Valdambra, in provincia di Arezzo, dove il primo semaforo lo trovi a 15 chilometri di distanza. Difficilmente si trattengono più di tre giorni. Dopo questo limite temporale manifestano un po’ di insofferenza, è come se precipitassero in uno stato di apnea profonda per mancanza di aria, profumi e sole, e avessero bisogno di tornare presto a respirare la loro normalità. I maligni direbbero che l’ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza.

    Il campanello suona.

    «Chi è?».

    «Siamo noi».

    «Noi chi?» replico.

    «Dai non fare il bischero, aprici che è caldo».

    «Aspettate nel cortile, vi aiuto a portare su le valige». Sei mezze rampe di scale sono uno sforzo eccessivo per le consumate cartilagini delle ginocchia della mamma. Il babbo non ha problemi, in fin dei conti il carico pesante, a cui sono particolarmente interessato, lo ha portato lui dalla stazione centrale di Milano fino casa nostra. Abitiamo nella zona dei Navigli in un tipico condominio vecchia Milano completamente ristrutturato. Ha due cortili, un fabbricato a tre piani fronte strada con una scala interna ed un corpo interno ad U con i vecchi ballatoi. I gradini in pietra ed una lunga ringhiera in ferro battuto con il corrimano in legno ci conducono al nostro appartamento. Entriamo dentro e appoggiamo le valige sul pavimento in legno di rovere.

    «Fili, la tua valigia è quella grande», dice la mamma indicando un armadio con le rotelle. È talmente grande che ci starei io dentro. Sto già immaginando l’abbondanza del contenuto. Lentamente comincio a scartare, come i bimbi fanno con i regali.

    «Ma quanti fogli di giornale hai messo mamma?».

    «Serve per evitare che i barattoli di vetro si tocchino e possano rompersi».

    Un pezzo alla volta esce tutto, come fossero i reperti di una tomba etrusca appena scoperta. Rigorosamente in ordine di uscita: 5 bei vasetti di sugo di carne; 3 di cinghiale; 1 vasetto di salsa rossa per crostini fatta con pomodoro, aglio, olio, origano e piccante; 1 di salsa nera sempre per i crostini che si prepara con acciughe, capperi, prezzemolo, olio, fegatelli di pollo. Una volta si usava la milza di manzo per i crostini neri, ma dopo la mucca pazza fu vietata. Non è finita. Escono 7 vasetti di pumarola, termine con cui indichiamo il sugo di pomodoro per condire la pasta; 1 formaggio marzolino; 1 pecorino più stagionato; 1 salame intero, 1 pezzo di prosciutto, 1 finocchiona piccola e mezzo capocollo, tutto sottovuoto. Adagiata in fondo alla valigia, si staglia una magnifica latta da cinque litri d’olio extra vergine d’oliva. L’olio è il nostro oro verde, semplicemente spaziale. Ogni volta che sollevo il tappo dell’oliera è un respiro di Toscana. Dalla borsa frigo, stipata accanto all’olio, fanno capolino: 4 bistecche fiorentine alte almeno tre dita, 1 coniglio e 1 pollo nostrani, 6 quarti posteriori di pollo ruspante e 1 fila da dieci salsicce.

    «Mamma, a questo giro ti sei superata. Sono delicatezze che fa sempre piacere ricevere».

    «Il coniglio te lo manda l’Adele di Carraia e il pollo te lo manda la Marinella del Picci, la mamma della Manuela di Pietraviva».

    «Poi le ringrazierò».

    I sughi sono preparati dalla mamma, cuoca per lavoro e diletto. Adesso è in pensione e così ha più tempo per prepararli. Io mi permetto di tirarli fuori dalla dispensa per sorprendere e allietare i nostri amici. Una garanzia di buona riuscita. Credo che nella vallata tutti abbiano assaggiato un manicaretto fatto dalla mamma. Quando prepara un dolce non ne fa uno di numero, riempie il forno finchè c’è spazio e poi li distribuisce ai vicini, alla zia, a qualche anziana del paese e a chi si presenta alla porta di casa per un saluto. Vicino a casa nostra si trova la tenuta di Paolo Rossi, calciatore e persona indimenticabile. Una volta venne personalmente a casa nostra con Federica a ritirare un dolce per una cena con degli amici. Ho una splendida foto di loro con Paolo che tiene in braccio mia figlia Vittoria che allora aveva poco più di un anno. Tutti bellissimi. Custodisco gelosamente quello scatto ed ogni tanto vado a cercarlo per rimembrare quei bei momenti sorseggiando un bicchiere del buon vino prodotto dalla loro vigna.

    Per la cena di compleanno c’è ancora tempo, meglio organizzarsi che annaspare all’ultimo minuto. Ho fatto il controllo degli ingredienti per i piatti che ho in mente di fare. Dopo il rifornimento mancano solo le pappardelle fresche, l’anatra e tutto il necessario per cucinarla. Non l’ho mai fatta l’anatra in porchetta, per non sbagliare chiedo alla mamma che nel frattempo si è sistemata, mentre il babbo sta riposando nel divano di pelle color vinaccia.

    «Senti mamma, per la festa di Anna voglio fare un po’ di antipasti, le pappardelle con quel sugo di cinghiale o di Cinta e l’anatra in porchetta. Che ci vuole per la nana?», chiedo con un risvegliato accento toscano.

    «Allora segna: devi prende una nana muta intera con il suo fegato, cinque o sei fette di rigatino, due salsicce, pepe, aglio, salvia, ramerino, sale a scaglie, olio, vino bianco corposo e non dimenticare il fiore del finocchio».

    «Mamma, il rigatino non l’hai portato e nemmeno il fiore, colpa gravissima. Visto che ci siamo, per il procedimento cerco su internet o mi dici i tuoi segreti?».

    «Ma che segreti. Questa è tradizione. Pulisci bene l’anatra, togli la testa e leva tutti i cacchioni. Quelli più piccoli bruciali alla fiamma del gas. Il collo, se c’è, lo fai a pezzi grossi e lo butti nella teglia. Io taglio l’anatra in due per la lunghezza, nelle parti interne metti sale, pepe, finocchio, e due spicchi d’aglio tagliato fine che spandi dappertutto, qualche pezzetto di fegato e di salsiccia senza pelle e due fili d’olio, anche tre. Poi ricomponi l’anatra come fosse intera e la leghi con tre passate di spago. Adagiala nella teglia, metti olio, massaggia e aggiungi sale, pepe e finocchio, poi rigirala e ripeti il condimento. Prendi la pancetta e la stendi sopra l’anatra, una fetta mettila anche dentro come ripieno che ammorbidisce. Versa un bicchiere pieno di vino bianco, copri l’animale con la stagnola sigillando la teglia, fai due buchini con lo stecchino e inforna a 150 gradi per 2 ore abbondanti. Controlla che non si asciughi. Finito il tempo la tiri fuori, togli la stagnola e lo spago e la rimetti in forno lasciando le parti interne al grill 180 gradi con ventilazione per 20 o 30 minuti. Rigiri e cuoci finché la pelle non prende un bel colore dorato. Servila calda aggiungendo sopra un po’ di intingolo».

    «Detta così non dovrebbe essere difficile».

    «Vai che ti verrà bene, devi solo stare attento alla cottura, se si asciuga e si brucia diventa immangiabile. Altrimenti la rosoli in padella e la fai andare piano piano per un paio d’ore e poi la rifinisci in forno per fare la crosta croccante».

    I miei dopo tre giorni sono partiti, il sabato successivo percorro la via di San Gottardo per andare verso la Darsena dove incontro lo zio Salvatore. Abita vicino a casa mia, ci siamo dati appuntamento dove si trova l’antica chiusa dell’acqua. Vuole accompagnarmi per drogherie e macellerie e ne approfitta pure lui per fare un giro a piedi.

    «Ciao ziuccio, tutto bene?».

    «Sì, tutto bene, che devi prendere?».

    «Non prendo niente per ora, vado a vedere se in giro si trova la roba per fare l’anatra in porchetta a regola d’arte, ci sono degli ingredienti difficili da trovare».

    «Sai che dobbiamo fare?» mi chiede lo zio con aria sorniona.

    «No, che si fa?».

    «Accattam’ u’ castiello e ci mettiamo i porcelluzzi aint, i pollastri, le papere e le galline. A lavorare ci pensa Tonino, senza paga, e poi vendiamo i panini al prosciutto, salsicce e i polli arrosto. Facciamo i soldi».

    È il sogno proibito dello zio comprare un castello. Fa tenerezza quando lo dice a bassa voce con quel suo delicato accento casertano. E prendere in giro Tonino è il nostro passatempo preferito.

    Tra una cavolata e l’altra sono le cinque di pomeriggio. Prima di rincasare mi chiede se una di queste sere dopo cena sono libero. Dismette il suo abito da bambinone e seriamente accenna al fatto che ha dei soldi che non vuole tenere nel conto corrente. Vorrebbe investirli, ma non sa cosa comprare.

    «Ci sono, anche domani, però ti costerà cara questa cosa. Adesso vado a casa a prendere la stecca da biliardo e andiamo a giocare a goriziana al Jolly in Porta Genova. Una partita secca a cinquecento punti, chi perde paga. Dopo cena vengo da te. Sul tavolo voglio trovare il limoncello fatto dalla zia e l’atto di cessione del 50% del castello, ci stai?».

    «Va bene, ho una bottiglia ghiacciata che tua zia ha fatto il mese scorso ancora da avviare».

    «Ora si ragiona, allora sto lì tutta la notte».

    La sera dopo vado dallo zio. Abitano vicino a noi. La zia Giuseppina, sorella di mia suocera, apre la porta e mi fa accomodare in sala. L’arredamento è molto simile a quello di mia suocera. Piastrelle bianche su tutte le pareti della cucina con i pensili in laccato bianco. In sala troneggia un grande tavolo in legno con sei poltrone in velluto, il divano, una credenza in legno, e vicino alla finestra prende posto una piccola scrivania con il computer.

    «Fili, mettiti comodo che la zia ti porta il caffè e dopo ti aspetta il limoncello, guarda che bottiglia, tutta per te».

    «Mi vuoi ubriaco stasera?».

    «No, solo un pochino per accompagnare il caffè».

    Adoro il limoncello fatto in casa. Colore intenso e un profumo di limone che l’anima vola a Sorrento. Dopo essermi vantato per la vittoria schiacciante a biliardo ci immergiamo nei discorsi seri.

    Poso la tazzina sul tavolo ed iniziamo.

    «Allora, a cosa devo l’onore della convocazione?».

    «Abbiamo dei soldi da investire, siamo andati a sentire cosa ci propongono, i rendimenti sono veramente bassi, c’è qualcosa che possiamo fare?», dice la zia già preoccupata, come se mi dovesse chiedere scusa per la sua prudenza.

    «Certo che c’è qualcosa. Un passo alla volta. L’obiettivo della serata deve essere quello di attenuare l’avversione atavica che avete per tutto ciò che non ha un rendimento fisso e garantito».

    «Va bene», dice la zia. «Abbiamo un po’ di paura a zia, con le azioni ENI abbiamo avuto un sacco di perdite».

    Mi sembra un film già visto. In effetti le sorelle fanno tutto insieme, sono molto legate ed è bellissimo il loro rapporto.

    Il fatto che non trovino un rendimento decente per vincolare i soldi li pone nella situazione forzata di dover oltrepassare quel limite posto dalla non conoscenza di altre forme di vita nel mondo degli investimenti.

    Iniziamo dalle fondamenta e procediamo come gli esploratori, un passo alla volta. Iniziamo a conoscere il funzionamento e le caratteristiche delle principali tipologie di strumenti finanziari e gli attori che ci stanno dietro.

    Per fare una ricetta ci vogliono gli ingredienti giusti. Gli strumenti finanziari sono gli ingredienti che utilizziamo per fare gli investimenti. Ce ne sono di tanti tipi e possono essere sostituiti con altri che fanno un mestiere simile. L’importante è sapere come trattarli, quanto costano e cosa possono dare per la buona riuscita del piatto, o meglio dell’investimento.

    Le azioni

    «Ziuccia, lo sai che il tuo limoncello è buono? Non so chi lo fa meglio tra te e Teresa».

    «Sono contenta che ti piaccia».

    «Ti faccio una domanda più difficile».

    «Vai sono pronta».

    «Ti viene in mente il nome di qualcuno che è diventato enormemente ricco?».

    «Fammi pensare, ci sono, quello dei computer, Bill Gates, e quello dei telefoni, Steve Jobs, e poi Berlusconi e Agnelli».

    «Bene zia, e che lavoro fanno?».

    «Sono imprenditori e hanno fatto i soldi con le loro aziende».

    «Considerando ciò che hanno fatto, avresti dato qualche soldo da investire nelle loro aziende in cambio di una parte dei profitti?».

    «Certo che sì, qualche risparmio glielo avrei dato».

    «Brava zia, dieci e lode!».

    «Sono promossa?».

    «Certo, tu sei sempre la numero 1».

    Gli imprenditori fondano la loro società e mettono il capitale iniziale, da soli o insieme ai loro soci, per finanziare l’acquisto di tutto quanto serve a realizzare l’idea che hanno in mente. Sono i proprietari dell’azienda e stabiliscono la strategia da seguire. Lavorano direttamente in azienda e, a seconda dei ruoli che ricoprono, ricevono uno stipendio. A fine anno, se la società fa un utile, i soci riuniti in assemblea possono decidere le sorti dell’utile prodotto: quanta parte lasciare in azienda e quanto utile distribuire ai proprietari secondo le quote di proprietà.

    Il capitale iniziale che l’imprenditore ha messo nell’impresa è rappresentato da azioni. Ogni azione è un piccolo pezzetto della società. Se la società è rappresentata da 1000 azioni e tu ne possiedi 200 allora sei proprietario al 20%. Chi compra le azioni diverrà azionista e socio dell’imprenditore.

    In sostanza chi compra le azioni ha il diritto di decidere le sorti dell’azienda esprimendo il suo voto in assemblea o delegando altri soggetti a farsi rappresentare. In cambio, il possessore delle azioni riceverà l’utile pro quota prodotto dall’impresa sottoforma di dividendi.

    La distribuzione del dividendo nel conto corrente dell’azionista non è obbligatoria. L’assemblea degli azionisti può decidere di non distribuire dividendi per finanziare la crescita. Questo si chiama autofinanziamento ed è molto utilizzato nelle aziende che operano in settori molto innovativi. Viceversa, l’impresa che lavora in settori più maturi può distribuire un dividendo più alto.

    Un’azienda che ha costi più alti dei ricavi subirà una perdita e difficilmente userà la cassa per distribuire un dividendo all’azionista, con il rischio di rimanere senza soldi per pagare lo stipendio di tuo figlio e rischiare di fallire.

    Ad un certo punto la zia mi guarda sbigottita.

    «Ma se l’azienda non mi dà questo dividendo io che ci guadagno a comprare le azioni?».

    «Bella zia, ottima domanda».

    Il rendimento che si ottiene da un’azione è dato da tre fattori: il dividendo, l’aumento del prezzo dell’azione e la rivalutazione del cambio nel caso comprassi un’azione in una moneta diversa dall’euro.

    «Zio, facciamo un po’ di conti: una società ti accredita 1,20 € per ognuna delle 500 azioni che hai pagato 20 € l’una, quale sarà il tuo rendimento da dividendo?».

    «Ho 500 azioni, ognuna paga 1,20 € quindi prendo 600 €».

    «Molto bene. In percentuale è il 6% al lordo delle tasse, dato dall’utile per azione diviso il prezzo dell’azione, ossia 1,20 diviso 20 oppure dividi l’accredito totale di 600 € per il capitale investito di 10.000 €».

    La speranza è che l’anno successivo la società aumenti il dividendo perché lo zio Salvatore comprerà i suoi prodotti a bizzeffe aumentando considerevolmente il giro d’affari.

    «Zio, quando si tratta di numeri ce l’ho con te. La variazione del prezzo dell’azione è il secondo elemento che determina il rendimento e riflette le prospettive che gli investitori hanno sugli utili futuri. Le azioni sono state comprate a 20 € e dopo un anno valgono 21 €, quanto hai guadagnato?».

    «Ho guadagnato 1 € ad azione, 500 € totali».

    «Non proprio, hai guadagnato di più, devi includere anche il dividendo incassato». Il totale guadagnato è 2,20 € che rapportati al prezzo di acquisto di 20 € fa un rendimento percentuale dell’11% o 1.100 €. Il dividendo va sommato al prezzo finale per calcolare il rendimento complessivo perché, quando viene accreditato, il prezzo dell’azione scende dello stesso importo. Il dividendo non ha il dono dell’ubiquità, o sta nel prezzo dell’azione o nel conto.

    Approfondiamo il tema delle aspettative. Gli investitori sono sempre a caccia di aziende che possano elargire sostanziosi e generosi incrementi dei dividendi e degli utili. Il prezzo dell’azione reagirà sensibilmente a notizie specifiche che riguardano l’azienda: vendite più alte del previsto, scoperta di un nuovo farmaco, affermazione nei mercati esteri, nuove linee di produzione o lancio di nuovi prodotti che spingono i consumatori a fare la fila, insieme allo zio, per accaparrarseli. Il prezzo può reagire anche a notizie che non riguardano specificatamente l’azienda, ma il mercato in generale o il settore in cui l’azienda opera. L’ottimismo di una larga fascia di persone sulla loro situazione economica potrebbe spingerli a consumare di più e questo è un bene per tutte le aziende e le azioni che le rappresentano. Verosimilmente il varo di incentivi fiscali per l’acquisto delle auto da parte del governo può favorire le vendite di auto in generale. Quando il prezzo dell’azione sale diventa un’attrazione irresistibile per tanti altri investitori che comprano perché vedono il prezzo salire e pensano che possa continuare a farlo. E tanti altri ancora andranno dietro come un gregge euforico, cercando di approfittare di questa improvvisa manna. Ma è difficile prevedere il futuro come anche l’umore degli investitori.

    Un’azienda che non fa gli utili promessi spinge alcuni investitori a vendere l’azione. Qualora i motivi dei bassi utili siano giudicati seri dagli investitori e di difficile risoluzione nel breve termine, il prezzo continuerà a scendere. Molti altri si accoderanno per vendere. Il prezzo in caduta libera genera il panico e gli investitori, per paura di subire altre perdite, venderanno a qualunque prezzo liberandosi di tutto, bambino e acqua sporca. Quando il sangue degli investitori scorrerà a fiumi, nel mercato si affacceranno degli investitori razionali che vedranno che la gente sta vendendo delle azioni di buone aziende a prezzi da saldo. Un prezzo giudicato più che onesto per gli utili che l’azione può generare. Inizieranno a comprare e il prezzo tornerà, più o meno velocemente, a riflettere l’andamento prospettico degli utili. L’effetto delle aspettative degli investitori con le loro paure, l’avidità, l’euforia e per fortuna anche la razionalità, sono impressionanti e imprevedibili. Nel breve termine sono le aspettative che impattano maggiormente sul rendimento dell’azione, ma nel lungo termine il rendimento dipende maggiormente dagli utili che l’azienda ha prodotto.

    Il terzo e ultimo elemento che determina il rendimento dell’azione è l’effetto della valuta. Questo si ha quando si compra un’azione in una moneta diversa dall’euro. Molto sinteticamente, se compri un’azione americana alla borsa di New York e la paghi 40 dollari e questa genera un aumento del prezzo di 2 dollari in sei mesi, il tuo rendimento sarà il 5% in dollari. Se nel frattempo il dollaro si fosse rivalutato del 4%, il tuo rendimento complessivo al netto del cambio sarebbe quindi del 9,2%. Allo stesso modo, una svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro andrà ad erodere il rendimento o a produrre una perdita.

    «Ascolta zia, continuiamo l’esempio di prima tralasciando il cambio. Hai capito ora da cosa dipende il tuo rendimento se compri un’azione?».

    «Sì, dipende dai dividendi che mi danno sul conto e dalla variazione del prezzo dell’azione, se il prezzo aumenta guadagno di più, se scende perdo, ma il dividendo mica se lo riprendono?».

    «No zia, quello rimane in saccoccia.

    Facciamo delle supposizioni per capire quale sarebbe il rendimento complessivo comprando le azioni della Armandino s.p.a. e tenendole per dieci anni».

    Il prezzo oggi è 20 €, l’anno scorso ha fatto un utile per azione di 1,50 € di cui 1,20 € come dividendo accreditato nel conto.

    Calcoliamo il rapporto tra il prezzo dell’azione e l’utile, ossia 20 diviso 1,5 uguale a 13,3.

    Questo numero di 13,3 è chiamato multiplo P/E (prezzo/utile) e rappresenta quanti anni ci vogliono affinché tu possa recuperare il capitale investito con gli utili prodotti dall’azienda in ipotesi di crescita zero. Il rendimento che ci possiamo attendere è l’utile diviso il prezzo cioè il 7,5% annuo. Aggiungiamo che l’impresa produca in futuro degli utili che crescono ad un tasso annuo del 7%, perché se un’impresa non cresce è destinata ad avere problemi. Manteniamo sempre il tasso di distribuzione degli utili (in inglese pay-out ratio) sottoforma di dividendi all’80%. L’80% è dato dal dividendo di 1,2 € diviso l’utile di 1,5 € per azione.

    Dopo 10 anni, i dividendi complessivi sarebbero 17,74 €. Il prezzo finale lo calcoliamo ipotizzando che l’azione mantenga lo stesso multiplo prezzo/utile di oggi pari a 13,3. Il prezzo finale si determina quindi moltiplicando il multiplo P/E per l’utile prodotto tra dieci anni che determiniamo in 2,95 € per azione, ottenendo un prezzo finale dell’azione pari a 39,34 €. Il rendimento totale stimato dell’azione Armandino s.p.a. nelle due componenti, dividendo e variazione del prezzo, sarebbe del 185,40% totale, ossia il 16,2% annuo.

    «Zia, ti va bene un rendimento del 16% annuo dall’azione Armandino s.p.a.? Equivalgono a 1.600 € medi annui ogni 10.000 € investiti per 10 anni filati».

    «Caspita! E dove trovo Armandino s.p.a.?».

    «Calma e sangue freddo! Abbiamo detto che ci sono investitori umorali e investitori razionali e poi abbiamo fatto molte ipotesi sulla crescita degli utili».

    Nella storia di Armandino s.p.a. incorporiamo un anno balordo che in finanza chiamiamo cigno nero, ossia un evento raro proprio come i cigni neri. Ho visto uno di questi cigni neri sul lago di Como, nelle acque di Gera Lario. Forse è scappato da qualche villa. Nella mia vita ho visto un solo cigno nero e migliaia di cigni bianchi. Ipotizziamo che, l’undicesimo anno, gli utili scendano del 40%, anche il prezzo dell’azione scenda della stessa cifra e l’azienda non distribuisca dividendi quell’anno. Il rendimento annuo stimato scenderebbe al 10,9%.

    «Zia, ti piacerebbe ancora un rendimento di 1.090 € annui ogni 10.000 € investiti per i prossimi 10 anni?».

    «Sì, è ancora molto buono, ma il 40% di possibile perdita sono tanti a zia. E se investo e questa perde subito il 40% che faccio?».

    «Vedi zia, una botta del meno 40% ogni tanto è pure fisiologica. Mette le aziende sempre sul piede di guardia e le costringe a non fare il passo più lungo della gamba. Sapendo che potranno arrivare tempi bui devono innovare, investire e mantenere i piedi ben piantanti nel suolo o cadranno a terra, come il mio ulivo che cerco di far crescere nel vaso sul balcone per respirare un po’ di paesaggio toscano nel centro di Milano. Alla prima folata di vento lo ritrovo sempre a terra. Ho preso provvedimenti, l’ho legato e non cade più. Ma queste botte danno anche a noi comuni mortali delle occasioni per comprare azioni a prezzi più bassi, purché siano buone aziende.

    Ad esempio, ti vengono in mente delle aziende fallite o che hanno avuto problemi?».

    «Ce l’ho, ce l’ho…».

    «Zia giochiamo alle figurine?».

    «Parmalat è fallita, ha fatto un buco miliardario, l’ho visto al telegiornale anni fa».

    «Più recentemente?».

    «Il Monte dei Paschi di Siena non se l’è passata bene, vero?».

    «Brava zia, sei informata». Vedere una storica banca del territorio finire così non lo mando proprio giù. Ho dei cari cugini a Siena, dove tra l’altro ho fatto l’università, e sono tutti imbufaliti per questa storia. Voci di contrada dicono che l’hanno costretta a ingrandirsi. La banca ha comprato a destra e a manca a prezzi esagerati, ed alla prima folata di vento avverso è caduta come il mio ulivo. Non aveva le radici ben piantate a terra, né abbastanza fieno in cascina per resistere alla crisi che è arrivata e ha colpito tutti, bancari in testa. Adesso, dopo numerose ricapitalizzazioni e salvataggi nazionali è ancora in piedi, ma i vecchi azionisti hanno perso tutto il loro capitale, ed a Siena tanti avevano le azioni della loro banca.

    Ogni azienda ha il suo ciclo di vita, all’inizio cresce a tassi sostenuti poi si stabilizza ad un tasso di crescita inferiore. Ci sono aziende che hanno dato rendimenti a due cifre per decenni e continuano a crescere. Altre hanno incontrato dei periodi difficili ed hanno perso clienti e quote di mercato. Molte aziende in crisi subiranno una contrazione dell’utile più o meno marcata. Tante si riprenderanno, alcune non ce la faranno, falliranno o verranno acquisite da fondi specializzati o da altre imprese dello stesso settore. Entreranno nel circuito delle ristrutturazioni aziendali in cui le autorità vorranno salvare l’occupazione, mentre gli acquirenti saranno interessati a massimizzare il valore del loro investimento salvando quanto c’è di buono e tagliando tutto il resto, lavoratori compresi.

    Investire in singole azioni può essere redditizio o foriero di sventure se l’unica azione che hai comprato è proprio quella che va male.

    «Zia non disperare, ci sono delle difese per beneficiare di rendimenti eccellenti azzerando il rischio di fallimento».

    «E quali sono queste difese?».

    «Sono i fondi e gli ETF».

    La zia ha chiesto dove trovare le azioni della Armandino s.p.a.. Le azioni delle aziende si comprano in borsa. Le principali borse mondiali sono New York, Londra, Francoforte, Tokyo, Hong Kong, Parigi, Zurigo, Toronto, Madrid e la nostra piccola Milano. Le borse cinesi e di altri paesi emergenti stanno diventando molto importanti. Ogni paese ha la sua borsa dove sono quotate le società nazionali e spesso anche le società estere che vogliono raccogliere capitali presso gli investitori nei paesi dove hanno gli affari.

    Le società per azioni non sono tutte quotate, sarebbe bello poter comprare pezzettini di società che rappresentano la nostra cultura. In Italia ci sono tantissime grandi aziende ancora in mano alle famiglie fondatrici. I proprietari non hanno nessuna intenzione di cedere il controllo ad altri azionisti. Non c’è da biasimarli.

    Il nostro mercato azionario non è molto sviluppato, tra i paesi occidentali il rapporto tra prodotto interno lordo del paese e la capitalizzazione totale di borsa, cioè il valore di tutte le azioni, è tra i più alti. Significa che le imprese preferiscono finanziare la crescita ricorrendo a debiti come prestiti bancari e obbligazionari, piuttosto che quotarsi in borsa e chiedere soldi al mercato.

    Esiste un mercato primario e uno mercato secondario delle azioni.

    Nel mercato primario sono vendute le azioni e gli altri strumenti finanziari di nuova emissione, mai circolati prima. Il grosso degli scambi avviene nel mercato secondario dove si scambiano giornalmente le azioni già in circolazione. Diciamo anche che una bella fetta della compravendita di azioni e di altri strumenti non passa dalla borsa, ma è scambiata fuori dal mercato, si dice OTC (over the counter). Quando c’è uno scambio, le azioni passano di mano da un soggetto ad un altro; vuol dire che c’è sempre un venditore e un compratore. Gli investitori vendono perché pensano di aver guadagnato abbastanza o perché temono che il loro investimento scenda di valore, altri investitori invece comprano perché pensano di ricevere un buon rendimento da quelle stesse azioni. Sono semplicemente punti di vista differenti.

    «Zio, come si compra un’azione?».

    «La compri su internet, in banca o chiedi al consulente».

    «Non fa una piega».

    Un vecchio proverbio recita: Moglie e buoi dei paesi tuoi. Significa che il cuore e gli affari dovreste trovarli vicino a casa dove siete cresciuti. Questo non vale certamente per me, sono toscano, trasferito in Lombardia e sposato una napoletana cresciuta a Milano. Non vale nemmeno per le

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