Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Non volevo contaminarmi
Non volevo contaminarmi
Non volevo contaminarmi
E-book156 pagine2 ore

Non volevo contaminarmi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il termine sanscrito KARMA, di questi tempi molto utilizzato anche in occidente, anche a sproposito, indica il risultato di passati pensieri, parole e azioni che un essere umano ha espresso in un passato più o meno recente, determinando in tal modo, “con le sue stesse mani”, il proprio destino, attuale e futuro. Tale destino comprende non solo il DNA trasmessoci dai genitori, ma anche l’ambiente fisico nel quale ci troviamo a vivere, la nostra condizione economica e sociale, le relazioni e i rapporti con gli altri esseri umani, il lavoro e varie altre attività, le malattie e il tipo di morte – in sintesi tutta la nostra esistenza. Stefano Tittarelli, l’autore di questa opera, che è un’autobiografia ma non solo, racconta il suo percorso di vita: dai primi anni vissuti in un tipico ambiente-bene della borghesia italiana, con i suoi caratteristici condizionamenti, passando attraverso conflitti familiari, crisi personali e la continua ricerca di una via d’uscita dal proprio senso di impasse esistenziale. Pensando di aver risolto tali problemi tramite l’opzione – e l’adozione – dell’India, la patria della “filosofia perenne”, si accorge infine che anche la fuga verso un lontano altrove può diventare una trappola esistenziale, e che solo affrontando fino in fondo sè stessi – nevrosi incluse – si può sperare in una “assoluzione”. Nel suo racconto l’autore ci rende partecipi delle sue esperienze ed esperimenti, con la droga, con la meditazione, con la psicologia e la filosofia. Ma, infine, è solo lasciando cadere qualsiasi supporto psicologico, qualsiasi “gruccia” esistenziale, per attraversare, da soli, la cruna del proprio ego, che si apre la possibilità di andare oltre il proprio condizionamento egocentrico e aprirsi alla Vita incondizionata.

Stefano Tittarelli è nato a Pesaro (regione Marche) nel 1956. Si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1983 presso l’Università degli Studi di Parma. Dal 1984, per tre anni, ha studiato e praticato l’Agopuntura in Italia e in Cina. Ha ottenuto nel 1991 il Diploma di specialista in Psichiatria presso l’università degli Studi di Ancona. Dopo una breve esperienza lavorativa come assistente presso la Clinica Psichiatrica di Ancona si è trasferito in India, paese frequentato dall’autore a più riprese già a partire dall’anno 1979.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2021
ISBN9788830639621
Non volevo contaminarmi

Correlato a Non volevo contaminarmi

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Non volevo contaminarmi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Non volevo contaminarmi - Stefano Tittarelli

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Dedico questo libro a mio padre

    Professor Rolando Tittarelli (1926-2017),

    insigne oculista.

    Desidero ringraziare le mie Amiche e i miei Amici per il loro contributo durante il percorso che ha portato a questa pubblicazione.

    Li menziono in ordine di apparizione.

    Franca Scottà: grazie per avere trascritto al computer la mia prima versione – scritta a penna – di questo libro e per i tuoi consigli sinceri.

    Luigi Ferrari: grazie per avere dedicato una tua giornata alla trascrizione al computer delle mie correzioni, e per le tue utili osservazioni.

    Monica Emanuelli: grazie per aver letto attentamente tutto il libro, averlo giudicato con il tuo solito equilibrio, avermi incoraggiato e avermi dato la dritta riguardo al titolo.

    Andrea Ugolini: grazie per avermi inviato un’inserzione pubblicitaria del Gruppo Albatros il Filo, che offre la possibilità di pubblicazione anche a nuovi autori sconosciuti.

    Ringrazio tutto il personale del Gruppo Albatros il Filo che ha contribuito a questa pubblicazione, e in particolare il Dottor Giuseppe Palladino per la valutazione iniziale della mia opera, il suo apprezzamento e incoraggiamento; la Dottoressa Marina Sarracino – la mia editor – per la sua disponibilità, capacità professionale e grande generosità; il Dottor Marco Puci per il coordinamento editoriale e il Dottor Simone Pifferi per il progetto grafico e per la pazienza nel seguirmi nelle varie ulteriori correzioni del testo.

    Capitolo I

    Non ho molti ricordi della mia infanzia. So che venivo considerato, da familiari e conoscenti, un bambino molto vivace, eccentrico, con delle piccole manie – delle fissazioni. A due anni d’età mi ero fissato sulle sigarette di mio padre e, per emularlo, avevo fumato un’intera sigaretta: ero stato malissimo e per molti anni, fino all’adolescenza, del fumo non volli più saperne. A quattro anni piazzai in camera mia una tenda da indiano che mi era stata regalata. Occupava tutta la stanza, e non volevo che nessuno me la toccasse, neppure per fare le pulizie. Mi ci sedevo dentro, per ore, come uno yogi. Dopo un po’ di tempo, misteriosamente, sparì. Poi, sempre verso i quattro anni, mi ero fissato sulle cravatte di mio padre e sulle medaglie. Me le mettevo sul petto, le premevo per assicurarmi che mi stessero lì bene aderenti e, chinando la testa, le osservavo. Ero un bambino piuttosto litigioso, possessivo, e molto attento – anzi direi ipervigile – riguardo a tutto ciò che mi succedeva intorno.

    I miei primi traumi psicologici li ebbi quando – avevo allora cinque anni – mio padre, appena tornato a casa dal lavoro, mi trascinava ogni tanto in bagno, mi metteva in piedi su uno sgabello, mi tirava giù i pantaloncini, e mi prendeva a cinghiate. Era questo il suo modo di mettere a tacere mia madre che, quasi ogni giorno, non appena lui rientrava dal lavoro, subito gli andava incontro per lamentarsi dei miei capricci, dei quali io, ovviamente, a quell’età, ero del tutto ignaro. Mio padre, tornato a casa già stressato dagli impegni e dall’ambiente lavorativo molto competitivo, dati i numerosi giovani assistenti in carriera della clinica oculistica dell’Università di Roma – la città dove abitavamo – risolveva così, in questo modo sbrigativo, il problema casalingo del figlio. Mio padre era infatti un uomo irruento, d’azione. Rolando – questo il suo nome – era un bell’uomo robusto e vigoroso, scuro di carnagione, con un sorriso smagliante e accattivante, soprattutto per le donne. Gran lavoratore, rapido ed efficiente, non amava sentire ragionamenti e discorsi convoluti, ma risolveva i problemi agendo, il prima possibile.

    Veniva da una famiglia di gente semplice e attiva che lo aveva abituato fin da piccolo alla disciplina del lavoro, gente che si alzava prima dell’alba per avviare ogni giorno l’attività del proprio forno e fare il pane.

    Quando però non lavorava, mio padre si dava da fare per godersi la vita – era un uomo d’azione anche in quello – e nell’ambiente goliardico di Bologna incontrò Paola, mia madre, anche lei attiva nel rendere stimolanti le sue giornate: feste, ricevimenti, manifestazioni cultural-mondane e viaggi erano i suoi principali interessi. Non era sicuramente il tipo di donna che poteva ritenersi soddisfatta di una semplice, intima, raccolta vita in famiglia; no, lei cercava la propria realizzazione in ambito sociale. Era un tipo con un viso simpatico: i grandi occhi scuri dall’espressione vivace, il naso a patatina, la bocca carnosa e le lentiggini davano, già a prima vista, l’impressione di trovarsi davanti a una persona dotata di un temperamento forte ed estroverso.

    In sintesi, entrambi i miei genitori erano energici e attivi, la differenza stava nel fatto che mio padre esprimeva la sua energia soprattutto nella carriera lavorativa, mentre mia madre la impiegava nella vita sociale.

    A quattro anni, dato che in casa davo troppo da fare, venni mandato all’asilo Montessori. Lì mi ero fissato su un piccolo mastello di legno per fare il bucato e, appena possibile, me lo accaparravo e lavavo. Poi a cinque anni, dato che sembravo molto sveglio, venni iscritto a una scuola di preti, il Collegio San Gabriele, dove, per incentivare il profitto degli alunni, era consuetudine premiare i tre migliori della classe di ogni trimestre con tre medaglie d’oro, argento e bronzo. Io, fissato con le medaglie com’ero, anelavo ardentemente a classificarmi tra i primi tre.

    Fin da quando ero stato in grado di reggermi bene sulle mie gambe, avevo sempre chiesto, insistentemente, ogni giorno, di essere portato fuori ai giardini pubblici, per poter evadere dall’ambiente angusto del nostro appartamentino al centro di Roma. Anch’io, come i miei genitori, avevo un forte temperamento con desideri intensi, e quando mi fissavo su qualcosa, e la desideravo, insistevo per ottenerla. A quel punto avveniva l’usuale scontro con mia madre che, con l’intento di educarmi prima, e per partito preso poi, mi diceva di no; al che io continuavo a insistere, lei si arrabbiava, e appena possibile si lamentava con mio padre che, per farla breve, mi menava. Risultato: non solo non ottenevo quello che volevo, ma le buscavo pure!

    Fin dai quattro, cinque anni d’età, cominciai a percepire sempre più chiaramente che, nel nostro triangolo, c’era una base ben solida composta dai miei e, ben lontano, in un angolino al vertice, potenzialmente sotto attacco, si trovava il sottoscritto. Sentire che i miei erano coalizzati contro di me non era una bella sensazione.

    Molti anni più tardi chiesi a mio padre come mai mi avesse picchiato così spesso quando ero piccolo. Mi rispose che ero un bambino ingestibile, e che già appena nato, nella nursery dell’ospedale, in mezzo a tanti bambini tranquilli, io ero l’unico che – rosso in viso – strillava a squarciagola.

    Capitolo II

    A metà della prima elementare dovetti interrompere la scuola, dato che ci stavamo trasferendo a Cagliari, in Sardegna. Mio padre aveva ricevuto un avanzamento di carriera, era stato nominato aiuto della Clinica Oculistica dell’università di Cagliari. Per me quel trasloco non fu particolarmente traumatico, dato che pur separandomi dalla mia amichetta d’infanzia e dalla mia tata – si chiamavano entrambe Anna Maria – quel piccolo appartamento del centro mi stava veramente stretto e anelavo a potermene uscire per i fatti miei in mezzo al verde, lontano dalle restrizioni della grande città.

    A Cagliari i miei presero in affitto una villetta in periferia, presso Monte Urpino. Ora è una bella zona residenziale con villette e giardini, ma allora era quasi disabitata e il monte un posto quasi sinistro ricoperto di boscaglia. Di fronte a noi si trovava una casa bassa allungata, dall’aspetto fatiscente, dove viveva una famiglia di zingari.

    Io ero contento, potevo uscire di casa da solo, senza dover essere accompagnato, e scorrazzavo nei dintorni in esplorazione, libero e indisturbato. Mia madre invece, di solito attiva e vivace, trascorreva buona parte della giornata stesa a letto, e a me sembrava pigra e apatica. Non sapevo che il ginecologo le aveva consigliato di adottare questo rimedio per cercare di portare a termine la gravidanza, dato che aveva già avuto un aborto. Purtroppo per me questo riposo forzato, innaturale per il suo temperamento attivo ed esuberante, l’aveva resa ancora più irritabile del solito, e io ne pagavo le conseguenze. Inoltre, lei a Cagliari si annoiava: si era dovuta trasferire da una grande e bella città come Roma, interessante e ricca di eventi, a una realtà provinciale, fra gente che in

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1