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Merawen. La missione di Ben
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E-book127 pagine1 ora

Merawen. La missione di Ben

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Info su questo ebook

Le forze dell'oscurità minacciano di sopraffare Merawen, conquistando i regni ancora liberi, ma il giovane Ben, scoperta ormai la verità sulla morte dei genitori, fugge lontano in compagnia dell'ex cavaliere Omas. Il loro viaggio li condurrà nella foresta degli Elfi e nelle montagne dei Neurati alla ricerca di un potere antico e perduto per sconfiggere il Tiranno Darza.
LinguaItaliano
EditoreStreet Lib
Data di uscita2 mag 2024
ISBN9791223035818
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    Anteprima del libro

    Merawen. La missione di Ben - Davide Napolitano

    Il sogno

    Nel cielo rigonfio di nubi temporalesche, la luna diventò inaspettatamente di colore rosso, come se volesse annunciare agli uomini l’incombente pericolo che si sarebbe abbattuto sui popoli di Merawen.

    I soldati invasori avevano piccoli occhi infossati di colore bianco, il volto deturpato da cicatrici, la pelle che emanava un odore nauseabondo, di cadavere.

    Erano spettri, creature oscure evocate dalla logomanzia proibita di un negromante.

    Protetti da rozze armature in metallo nero, impugnavano rudimentali asce o spade dalle lame scheggiate.

    Nei vicoli tortuosi della città incendiavano gli edifici e uccidevano chiunque incontrassero lungo il cammino: uomini, donne, bambini.

    Il fumo degli incendi impregnava l’aria gelida della notte rendendola quasi irrespirabile.

    L’ultima difesa della città era collocata davanti il cancello in ferro del palazzo reale, dove lo scontro tra i soldati divenne oltremodo cruento e sanguinoso.

    Si udivano le grida di dolore dei feriti, lo stridio metallico delle spade che si incrociavano a mezz’aria, gli elmi squarciati e gli scudi infranti.

    Dall’alto dei bastioni difensivi gli arcieri scoccavano frecce dalla punta infuoca che si abbattevano sui soldati invasori, uccidendone a decine. Nonostante ciò l’esercito invasore non sembrava arrendersi o ritirarsi, anzi pareva immune al dolore fisico, come se fosse protetto da qualcosa di più forte della natura.

    Nel tumulto della battaglia comparve un cavaliere in sella a un cavallo dal manto corvino e armato di una spada dalla lama viola, intrisa di sangue e circondata da fiamme.

    Balzò giù da cavallo, scavalcò i corpi dei soldati che giacevano al suolo senza vita e uccise coloro che gli impedivano di raggiungere il palazzo reale.

    Qui appoggiò una mano sulla parete in pietra. Al suono di parole all’apparenza incomprensibili, l’anello d’oro legato al collo con una catenella brillò come se avesse preso vita. Si udì un boato, il muro si spaccò e una voluta di polvere si sollevò tutt’intorno. Il cavaliere oltrepassò le macerie, i detriti si sollevarono da terra e il muro si ricostruì alle sue spalle.

    All’interno del palazzo reale percorse un cunicolo silenzioso, malamente illuminato da fiaccole affisse alle pareti, che lo condusse a una stretta scalinata, ma due guardie reali gli bloccarono il cammino.

    Il cavaliere fu più rapido : si scagliò contro una guardia, uccidendola con un colpo di spada, poi roteò l’arma e infilò la lama nel petto dell’altra, squarciandogli l’armatura.

    La luce delle fiaccole illuminarono il volto del cavaliere: aveva gli occhi scuri come il carbone, lo sguardo severo.

    Al termine della scalinata, si trovò in un salone dalle alte colonne in pietra; osservò l’ambiente alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Nascosta nella penombra, una statua raffigurante un vecchio sorretto da un bastone e intento a chiedere l’elemosina attirò la sua attenzione.

    Appoggiò subito la mano su quella della statua. Si udì il rumore di ingranaggi e la statua scivolò di lato, rivelando un passaggio segreto che condusse il cavaliere in un secondo salone, le cui finestre lasciavano entrare dei bagliori e la luce rossastra della città ormai in fiamme.

    Un gruppo di guardie reali irruppe nel salone. Il cavaliere lasciò cadere la spada a terra, mostrandosi disarmato.

    Accadde rapidamente.

    Sollevò le braccia e pronunciò strane parole. Le guardie reali avanzarono ma un vortice d’aria si materializzò dal nulla. Il cavaliere pronunciò altre strane parole e il vortice d’aria si scagliò contro le guardie reali, le quali vennero sollevate come foglie e sbattute violentemente a terra. Tutti caddero svenuti o, peggio, morti.

    Tronfio della vittoria, il cavaliere attraversò l’ormai silenzioso salone guardando compiaciuto le guardie reali sconfitte e un sorriso si disegnò sul suo volto. Si fermò per raccogliere la spada, le dita si strinsero sull’elsa e la lama vibrò sibilando. Raggiunse infine il portone in legno, appoggiò le mani sui battenti bronzei e li spinse.

    Il terzo salone era di forma circolare, con il pavimento a mosaico e le pareti decorate da arazzi; al centro, un lungo tavolo con trenta scranni. Un uomo dagli occhi azzurri e la barba brizzolata sedeva a capotavola. Indossava un’armatura sprovvista di elmo e di scudo, ma una spada dal pomolo impreziosita di diamanti era custodita in un fodero legato in vita da un cinturone in cuoio.

    Un boato fece tremare il palazzo reale e il clangore della battaglia si spostò nel cortile interno. L’ultima difesa della città era stata distrutta dall’esercito nemico. Il cancello in ferro era stato abbattuto e la città quasi espugnata.

    L’uomo si alzò dallo scranno e disse: «Mio consigliere, il Gran Maestro mi aveva espresso il suo dissenso nel riporgere la mia fiducia in voi». Il cavaliere avanzò, sembra voler parlare, ma l’uomo continuò: «Il Gran Maestro mi aveva informato sul vostro studio della logomanzia proibita, ma conoscendo la vostra passione per le arti logomantiche, non mi sono preoccupato più del necessario. Questo è stato un mio grande, imperdonabile errore».

    « Sei stato uno stupido, Re Adel» disse il cavaliere. «L’antica città del Grande Re è perduta. Le spade dei miei soldati uccideranno tutti, nessuno sarà risparmiato. Stanotte la dinastia dei Re di Goras finirà».

    « La città è perduta ma un giorno verrà ricostruita perché il popolo delle Terre di Gher e delle Coste di Enfe ritornerà libero. Mio figlio è salvo, scampato alla morte. Il Gran Maestro ha consegnato agli eremiti ciò che più desideri, loro le proteggeranno nascondendole nei regni di Merawen. Cercarle sarà una impresa immane, se non impossibile, anche per voi».

    L’uomo sfoderò la spada e il cavaliere si lanciò contro di lui: le lame si incrociarono a mezz’aria, stridendo.

    Con una rotazione della spada, il cavaliere riuscì a disarmare l’uomo e cercò di colpirlo con un affondo, ma lui scartò subito di lato e riafferrò la spada da terra.

    Il portone si aprì e comparve una donna alta, elegante, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri.

    « Mia amata» disse l’uomo. « Fuggite!».

    Il cavaliere approfittò del momento di distrazione per colpire l’uomo alle spalle, l’armatura si squarciò e la lama penetrò le carni e le ossa.

    La donna urlò di dolore e si gettò sull’uomo; le appoggiò la mano sul viso pallido e si accostò a lui, abbracciandolo.

    Un altro colpo di spada del cavaliere trafisse anche la donna. Entrambi chiusero gli occhi con la consapevolezza che la dinastia dei Grandi Re di Goras non sarebbe finita con la loro morte, perché in lontananza, in fuga dalla città in fiamme, un cavallo di corte galoppava con un cavaliere e un neonato.

    Il futuro era incerto. Forse le tenebre sarebbero state dissipate dalla luce quando il loro unico figlio sarebbe stato abbastanza coraggioso da riunire i popoli di Merawen sotto lo stendardo della libertà.

    Ben si svegliò con un urlo agghiacciante. Sentiva il cuore martellare nel petto, aveva il viso madido di sudore e gli occhi lucidi.

    La porta della camera si aprì e Omas entrò nella stanza.

    Il mentore di Ben era un uomo di mezza età, alto e magro, con la barba grigia e gli occhi verdi.

    «Cosa è successo?» chiese, avvicinandosi a Ben. « Hai avuto un altro incubo? » .

    Ben annuì. Era visibilmente spaventato.

    «È da quando ho memoria che sogno battaglie, visi sconosciuti, città distrutte ».

    Nella sua voce si percepiva la paura che anestetizza qualsiasi altro sentimento.

    «Ragazzo mio non devi avere paura ma essere coraggioso» cercò di rincuorarlo. « Domani andremo al villaggio di Inabe e ti regalerò una spada per i tuoi sedici anni ».

    Ben sorrise e Omas gli accarezzò il viso. Per un momento si dimenticò di essere un orfano.

    Nimae di Inabe

    Omas si era svegliato a ll’alba, come sempre. Aveva sellato il cavallo e preparato le vettovaglie per il viaggio a Inabe. Quando Ben uscì dalla camera, Omas lo accolse con un abbraccio.

    «Buon compleanno, ragazzo mio» disse, con un sorriso. «Sono sicuro sarai un uomo valoroso».

    Ben lo ringraziò. Poco dopo uscirono insieme da casa e montarono in sella. Durante il viaggio, come accadeva spesso durante i loro spostamenti per i villaggi delle Terre di Gher e delle Coste di Enfe, Omas raccontò una leggenda meradoniana. Nel frattempo, il cavallo avanzava nel sottobosco.

    «Ebbe inizio mille anni fa, quando il mondo non era come lo conosciamo oggi. A oriente delle Terre Selvagge vivevano i draghi di fuoco mentre a sud delle Isole Solitarie i draghi d’acqua. Gli Elfi della Conoscenza si insediarono da tempo immemore nella foresta di Lorenél, apprendendo l’arte della logomanzia. Nelle Montagne di Menstone, il popolo neurato apprese l’arte della guerra e della forgia delle armi. L’arrivo degli uomini fu recente. Re Goras, conosciuto come il Grande Re, dopo aver attraversato il Mare di Nea, approdò trecento anni fa sulle Coste di Ente, il luogo in cui fondò la capitale del nuovo regno: Goras. La

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