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I veggenti neri
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E-book125 pagine1 ora

I veggenti neri

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Info su questo ebook

Sulla cima di una montagna inaccessibile vivono i Veggenti Neri, padroni di antiche Arti che si perdono nella magia di secoli quando il sole della Terra era ancora giovane. Qui giunge Conan, per cercare di sottrarre al Capo dei Veggenti una donna che è caduta nelle sue grinfie. Sfuggito a tutta una serie di artifizi magici che fanno comunque strage degli uomini che lo accompagnano, Conan arriva finalmente a tu per tu col diabolico Signore del tempio sulla montagna e...

Robert E. Howard

nacque nel 1906 in Texas e concluse la sua brevissima vita a Cross Plains, nel 1936. Dotato di una vena creativa inesauribile, scrisse non solo racconti fantasy, ma anche commedie, gialli, racconti storici e d’avventura. Accanto al ciclo di Conan, della sua vasta produzione va ricordato almeno quello di Solomon Kane (già pubblicato dalla Newton Compton).
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2012
ISBN9788854147874
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    Anteprima del libro

    I veggenti neri - Robert E. Howard

    115

    Robert E. Howard

    I veggenti neri

    Edizione integrale

    Titolo originale: The People of the Black Circle

    Traduzione di G.L. Staffilano

    Prima edizione ebook: ottobre 2012

    © 1995 Finedim s.r.l., Compagnia del Fantastico

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 9788854147874

    www.newtoncompton.com

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Immagine di copertina: © Siniša Botaš

    1. La morte colpisce un Re

    Il re del Vendhya stava morendo. Per tutta la notte afosa e soffocante, suonarono i gong e rimbombarono le conche absidali del tempio. Il loro clamore non era che una debole eco nella stanza dalla cupola d’oro in cui Bhunda Chand lottava contro la morte sui cuscini di velluto.

    La sua pelle scura era imperlata di sudore, e le sue dita torcevano la stoffa ricamata d’oro della veste. Era giovane; nessuna lancia l’aveva sfiorato, nessun veleno era scivolato nel suo vino. Eppure, le vene pulsavano come corde azzurre in prossimità delle tempie, e gli occhi erano dilatati per l’avvicinarsi della morte. Schiave tremanti erano inginocchiate ai piedi del trono e, china su di lui, a guardarlo con intensità appassionata, c’era sua sorella, la Devi Yasmina. Era con lei il Wazam, un eletto cresciuto e invecchiato alla Corte Reale.

    La donna sollevò la testa in un gesto d’ira e di disperazione, mentre il rombo dei tamburi lontani le arrivava alle orecchie.

    «I Sacerdoti e il loro fracasso!», esclamò. «Non ne sanno più dei guaritori, che a nulla valgono! Lui muore e nessuno sa dire perché. Adesso sta morendo... e io me ne sto qui, impotente! Io che appiccherei il fuoco all’intera città e verserei il sangue di migliaia di uomini, pur di salvarlo!»

    «Non c’è neanche un uomo ad Ayodhya che sarebbe pronto a morire al posto suo, Devi, se potesse», rispose il Wazam. «Questo veleno...»

    «Ti dico che non è veleno!», gridò lei. «Da quando è nato, è stato sorvegliato così strettamente che neppure gli avvelenatori più astuti di tutto l’Oriente avrebbero potuto raggiungerlo. I cinque teschi che biancheggiarono sulla Torre dei Falchi possono testimoniare quanti tentativi sono stati fatti... e quanti hanno fallito. Come sai bene, ci sono dieci uomini e dieci donne il cui unico compito è di assaggiare il suo cibo e il suo vino, e cinquanta guerrieri armati sorvegliano la sua stanza esattamente come adesso. No, non è veleno; è Magia... Magia Nera, Magia Demoniaca...»

    Si interruppe, accorgendosi che il Re cercava di dire qualcosa. Le labbra livide non si muovevano, e nei suoi occhi vitrei non brillava alcun barlume di coscienza, ma la sua voce arcana, indistinta e lontana, come se la chiamasse da insondabili abissi tempestati dai venti.

    «Yasmina! Yasmina! Sorella mia, dove sei? Non riesco a trovarti. È tutto buio, e si ode solo l’ululare dei venti!»

    «Fratello!», gridò Yasmina, afferrandogli la mano inerte in una stretta convulsa. «Sono qui! Non mi riconosci?»

    Le morì la voce in gola nel vedere il volto completamente inespressivo del fratello. Dalla bocca di lui uscì un gemito basso e confuso. Le schiave inginocchiate ai piedi del trono tremarono di paura, e Yasmina si batté il petto per l’angoscia.

    In un’altra parte della città, un uomo era affacciato a un balcone con l’inferriata che dava su una lunga strada dove stava passando un corteo di fiaccole fiammeggianti e fumanti, le quali rivelavano facce scure e scintillare d’occhi. Dalla folla saliva un coro lamentoso.

    L’uomo scrollò le larghe spalle e tornò nella camera arabescata. Era alto, ben piantato, e sontuosamente abbigliato.

    «Il Re non è ancora morto, e i canti funebri già risuonano!», disse a un secondo uomo che era seduto a gambe incrociate su un tappeto nell’angolo. Costui indossava una veste di pelo di cammello e un paio di sandali, e portava un turbante verde sul capo. Aveva un’espressione tranquilla e uno sguardo distaccato.

    «Il popolo lo sa che non vedrà una nuova alba», gli rispose.

    L’altro gli lanciò un lungo sguardo penetrante.

    «Quello che non capisco», disse, «è perché devo aspettare tanto prima che i tuoi padroni colpiscano. Se sono riusciti ad assassinare il Re adesso, perché non l’hanno fatto mesi fa?»

    «Anche le Arti che tu chiami Stregoneria sono governate dalle Leggi Cosmiche», rispose l’uomo dal turbante verde. «Sono le stelle a dirigere queste azioni, come molte altre cose. Neppure i miei padroni possono cambiare le stelle. Non potevano fare questa negromanzia finché i cieli non si fossero trovati nella posizione giusta.» Con un dito dall’unghia lunga e macchiata tracciò le costellazioni sulle lastre di marmo del pavimento. «L’inclinazione della luna indica brutti presagi per il Re di Vendhya; le stelle sono in tumulto, e il Serpente è nella Casa dell’Elefante. Durante questa sovrapposizione, i custodi invisibili dello spirito di Bhunda Chand si sono allontanati da lui. Si è aperta una strada nei Regni Oscuri e, una volta stabilito un punto di contatto, intervengono le Grandi Potenze lungo questa strada.»

    «Un punto di contatto?», domandò l’altro. «Intendi dire la ciocca di capelli di Bhunda Chand?»

    «Esatto! Tutte le parti del corpo umano, anche quando vengono separate da questo, continuano a farne parte, avvinte da legami intangibili. I Sacerdoti di Asura conoscono intuitivamente questa verità, e così ogni frammento d’unghia, ogni capello, ogni altra minima parte della persona dei membri della Famiglia Reale viene accuratamente ridotto in cenere e come cenere nascosto.

    Ma, a seguito delle imploranti suppliche della Principessa di Kosala, innamorata senza speranza di lui, Bhunda Chand le ha dato una ciocca dei suoi lunghi capelli neri per ricordo. Quando i miei padroni hanno deciso il suo fato, la ciocca, che la Principessa custodiva in uno scrigno di pietre preziose, le è stata sottratta da sotto il cuscino mentre dormiva, e al suo posto è stato messo un altro scrigno, talmente identico al primo, che lei non si è mai accorta della differenza. Poi la ciocca autentica ha viaggiato con una carovana di cammelli per la lunga, lunga strada per Peskhauru, e da lì ha attraversato il Valico di Zanzibar, finché è giunta nelle mani di coloro ai quali era destinata.»

    «Una semplice ciocca di capelli», mormorò il Nobile.

    «In virtù della quale uno spirito viene staccato dal corpo ed è costretto ad attraversare abissi di spazio echeggiante», concluse l’uomo sul tappetino.

    Il Nobile lo osservò incuriosito.

    «Non so se sei un uomo o un demone, Khemsa», disse alla fine. «Pochi di noi sono quello che sembrano. Anche io, che i Kshatriya conoscono come Kerim Shah, Principe dell’Iranistan, porto una maschera come gran parte degli uomini. Tutti sono dei traditori, per un verso o per l’altro, e metà di loro non sa chi sta servendo. Su questo punto, almeno, io non ho dubbi, perché servo Re Yezdigerd del Turan.»

    «Ed io i Veggenti Neri di Yimsha», disse Khemsa, «e i miei padroni sono più potenti del tuo, perché sono riusciti con le loro Arti dove Yezdigerd non avrebbe potuto neppure con centinaia di spade.»

    Di fuori, il lamento della moltitudine saliva fino alle stelle che punteggiavano la notte afosa di Vendhya, e le conche mugghiavano come buoi sofferenti.

    Nei giardini del palazzo le fiaccole risplendevano sugli elmi lucidi, sulle spade ricurve e sui corsetti d’oro battuto. Tutti i nobili guerrieri di Ayodhya si erano radunati all’interno del grande Palazzo, oppure intorno, e ad ogni cancello e ad ogni porta erano di guardia cinquanta arcieri con gli archi in pugno. Ma la Morte arrivava a grandi passi nel Palazzo Reale, e nessuno poteva fermare la sua lugubre avanzata.

    Sul trono sotto la cupola d’oro il Re gemette nuovamente, in preda alle convulsioni. Di nuovo risuonò la voce debole e lontana, e di nuovo la Devi si chinò su di lui, tremando di una paura più oscura del terrore della morte.

    «Yasmina!» Di nuovo quel grido lontano e prolungato proveniente da profondità incommensurabili. «Aiutami! Mi trovo lontano dalla mia dimora mortale! I Maghi hanno trascinato il mio spirito nelle tenebre ululanti. Vogliono recidere la corda d’argento che mi lega al mio corpo morente. Mi stanno tutti intorno; hanno artigli al posto delle unghie, e i loro occhi fiammeggiano come torce nelle tenebre. Ahimè ! Salvami, sorella mia! Le loro dita bruciano come fuoco! Vorrebbero assassinare il mio corpo e maledire il mio spirito! Che cosa vedo là davanti? Aiuto!»

    Terrorizzata da quel grido disperato, Yasmina urlò senza più controllo e, abbandonandosi all’angoscia, gli si buttò sopra con tutto il corpo. Il fratello era scosso da terribili convulsioni; dalle labbra contorte schiumava bava, e le sue dita le afferrarono le spalle con tanta forza da lasciarle il segno. Ma dagli occhi improvvisamente svanì quello sguardo vitreo come fumo esaltato da un fuoco, e allora guardò la sorella e la riconobbe.

    «Fratello!», gemette lei. «Fratello...»

    «Svelta!», le disse lui ansimando, ma con la mente lucida. «Adesso so che cosa mi sta conducendo alla pira. Ho compiuto un lungo viaggio, e ora capisco. Mi hanno fatto un sortilegio, i Maghi degli Himeli. Mi hanno strappato lo spirito dal corpo, e l’hanno portato lontano, in una sala di pietra. È lì che cercano di recidere la corda d’argento della vita e di rinchiudere il mio spirito

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