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Akire: L'idra degli elfi
Akire: L'idra degli elfi
Akire: L'idra degli elfi
E-book505 pagine6 ore

Akire: L'idra degli elfi

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Info su questo ebook

Quattro Alleati dei Draghi, in un totale di sei, sono stati riuniti. Luce e Oscurità mancano ancora all’appello.
La Regina degli Elfi Oscuri e il Generale Maeldun vogliono fermare l’avanzata del manipolo, che viaggia verso Ovest diretto a Oryza, alla ricerca dell’ultimo Alleato.
Alastrine è temprata dal viaggio, ma la cattura di un prigioniero non farà altro che creare tensioni al suo interno, oltre a svelare la vera minaccia per Sabrié: un'Idra, in grado di contrastare il potere dei Draghi Elementali.
La banda si appresta a combattere.
L’ultima battaglia cela una verità che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Tsere, Neas, Vasvé e… il capo di Alastrine.
Tutti loro, come lei, erano stati strappati dalla tranquillità e dalla sicurezza delle loro vite per affrontare quel viaggio. Per proteggere il loro mondo, di cui conoscevano solo un minuscolo angolo. Anche tutti gli altri del manipolo si erano trovati coinvolti per seguire il loro capo.
Per un attimo si sentì come se loro fossero le vittime di quella storia, non i protagonisti.
Non gli eroi.
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2023
ISBN9791281032286
Akire: L'idra degli elfi

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    Anteprima del libro

    Akire - Selene Rampolla

    Indice

    Prologo

    Capitolo I

    La Foresta d’Argento

    Capitolo II

    Frecce nere

    Capitolo III

    Senza un attimo di respiro

    Capitolo IV

    Draian

    Capitolo V

    Credere e fidarsi

    Capitolo VI

    Consiglio di guerra

    Capitolo VII

    La Regina incapace

    Capitolo VIII

    Tradimento

    Capitolo IX

    L’inganno

    Capitolo X

    Oscurità

    Capitolo XI

    Solo un elemento

    Capitolo XII

    L’occasione del riscatto

    Capitolo XIII

    Ira e speranza

    Capitolo XIV

    Pareggiare i conti

    Capitolo XV

    Perdere la bussola

    Capitolo XVI

    Ritorna la Luce

    Capitolo XVII

    Solo una vana speranza

    Capitolo XVIII

    Due vie

    Capitolo XIX

    Stesso viaggio

    Capitolo XX

    L’inizio della fine

    Capitolo XXI

    L’Idra

    Capitolo XXII

    Occhi d’acciaio

    Capitolo XXIII

    Verità

    Epilogo

    Solo un nuovo inizio

    Ringraziamenti

    Biografia

    Selene Rampolla

    Akire

    L’Idra degli Elfi

    42049.png45307.png

    Alle paure,

    ai guai e

    alle assenze.

    Se sono arrivata a questo punto

    lo devo anche a voi.

    E so

    che non è una fantasia

    non è stata una follia

    quella stella

    la vedi anche tu.

    Perciò

    io la seguo e adesso so

    che io la raggiungerò

    perché al mondo

    ci sono anch’io.

    Max Pezzali – Ci sono anch’io

    Prologo

    Tra tutte le luci, una era più flebile.

    Solo un piccolo bagliore, una neonata stilla.

    Le altre erano consce della sua presenza ma troppo superbe per curarsene.

    Chi non doveva, però, ha scorto quel baluginio.

    Ha parlato alla luce, l’ha adulata. Poi l’ha ingabbiata.

    Infine l’ha manipolata.

    La piccola stilla con voce fioca ha chiamato, pregato, imprecato, ma non è stata ascoltata.

    Ora si è spenta.

    Chi l’ha ignorata adesso se ne pente.

    Devils in the dark, fight for your life!

    Fight for your life! Fight for your life!

    Demoni nell’oscurità, combatti per la tua vita!

    Combatti per la tua vita! Combatti per la tua vita!

    Crimson Cloud – Jeff Rona

    Capitolo I

    La Foresta d’Argento

    Riprendere il viaggio non era stato semplice.

    Per quanto la sosta nella città costiera di Narioca fosse stata pressoché obbligata per riposarsi dopo il viaggio su La Signora dei Venti, fare scorte di cibo, acquistare nuovi abiti e armature leggere, e prendere delle cavalcature fresche, le settimane di riposo e calma avevano reso la partenza piuttosto difficile.

    Il tempo però non era molto e notizie di disastri naturali provenivano da ogni parte di Sabrié.

    Dovevano affrettarsi a completare il loro compito: trovare i Draghi per scongiurare la fine del mondo per come lo conoscevano.

    Tutti erano in silenzio, attenti al paesaggio intorno a loro.

    Stavano attraversando un passo montano di terra scura, qualche piccolo germoglio faceva capolino tra le rocce, il cielo era terso e il sole tiepido. Viaggiavano verso Nord-Ovest, diretti al regno di Oryza, dove speravano di trovare il Drago dell’Oscurità, ma per raggiungerlo avrebbero dovuto attraversare uno dei luoghi più stupefacenti, nonché più temuti di Sabrié: la Foresta d’Argento.

    Un bosco incantato o maledetto – a seconda della fonte – i cui alberi, arbusti e fiori erano stati tinti dai raggi della luna. Alcuni dicevano che fosse popolata da mostri orribili che lamentavano i propri dolori con grida lancinanti, altri invece narravano che vi abitassero piccole e luminose Fate che animavano quel luogo incantevole con i loro trilli gioiosi.

    «Eccola, ci siamo.»

    La voce di Nalyan attirò l’attenzione di tutti.

    Davanti a loro era visibile un confine netto tra la vegetazione del passo di montagna e la Foresta d’Argento: accanto a un albero dal tronco bruno e dalla chioma verde ne sorgeva un altro, grigio e brillante come il prezioso metallo che dava il nome al bosco.

    Cespugli, arbusti, rovi e fiori diventavano argentei oltre una frontiera invisibile. La foresta brillava di luce propria, come se vi fosse un bagliore al suo interno.

    Il manipolo si fermò e la maga scese dalla propria cavalcatura. Si avvicinò al confine immateriale e, non appena fu a un passo di distanza dal limitare del bosco, batté il proprio bastone a terra e una luce violetta si accese nel legno.

    Doveva accertarsi dell’assenza di forze magiche ostili.

    Se ne avesse trovate, nella migliore delle ipotesi avrebbero dovuto costeggiare la foresta invece di attraversarla e quello sarebbe costato loro molte settimane in più di marcia. Nella peggiore, avrebbero dovuto affrontare le creature che risiedevano nel bosco, offese dalla loro presenza indesiderata.

    Sollevò il piede, compì il passo e rimase in attesa.

    Tutto sembrava immutato, sia all’interno che all’esterno della Foresta d’Argento.

    L’intera Alastrine emise un sospiro di sollievo. La maga tornò al proprio cavallo e il gruppo si avviò.

    Procedettero spediti, voltandosi di tanto in tanto a rimirare la flora che li circondava.

    Ben presto, però, lo stupore lasciò il posto a una certa inquietudine.

    All’interno del bosco non si udiva alcun suono, l’aria era fredda e non si respirava il profumo caratteristico delle foreste.

    L’atmosfera che li circondava era spettrale.

    Ad accentuare quella sensazione vi era anche il contrasto tra il chiarore brillante della vegetazione e il suolo nero da cui sorgeva.

    «Non sento niente provenire dagli alberi, dagli arbusti, dai ciuffi d’erba e dai fiori» commentò Tsere. Le sue parole risuonarono cupe nel silenzio del bosco. «Anche la terra è muta.»

    La ragazzina rabbrividì. Grazie alla magia del suo Drago era abituata a percepire la voce della natura: una sorta di energia vitale che sgorgava come la linfa della vegetazione e che le permetteva di conoscere ciò di cui le piante avevano bisogno per vivere. Quell’improvviso silenzio la terrorizzava.

    Una certa agitazione cominciò a serpeggiare in Alastrine, ma tutti fecero del loro meglio per contenere la paura crescente.

    «Siamo qui solo di passaggio» disse il capo del manipolo tentando di rincuorare tutti. «Entro un paio di giorni saremo fuori dalla foresta, non dobbiamo farci prendere dal panico.»

    «Io proporrei di attraversarla senza fermarci per riposare» propose Trebor, mentre Kianna guaiva ai piedi del suo cavallo. «Questo posto mette i brividi, voglio restarci il meno possibile.»

    Tutti si trovarono d’accordo con le sue parole.

    Il manipolo riprese la marcia, spronando i cavalli a un passo più rapido e tentando di non soffermarsi troppo sulla vegetazione che li circondava.

    Neas fece avvicinare il suo cavallo a quello di Vasvé.

    «Se dovessi avere paura…» iniziò un po’ titubante «conta pure su di me. Farò di tutto per proteggerti!»

    La donna si limitò a osservare il volto sorridente del ragazzo per qualche attimo, per poi distogliere lo sguardo e spronare il suo cavallo in avanti.

    Quella piccola scena riuscì a sciogliere un po’ la tensione che aveva avvolto tutto il gruppo.

    Non era raro che il giovane fabbro tentasse di farsi notare dalla Sirena. Era palese che si fosse infatuato di lei, ma i suoi approcci impacciati rendevano evidente che quella era la sua prima cotta.

    Da parte sua, Vasvé non sapeva come rispondere alle attenzioni che il ragazzo le dimostrava e il più delle volte finiva per ignorarlo, complice la sua natura schiva.

    Emozioni e legami si stavano intessendo nonostante le avversità che il gruppo aveva vissuto in quei mesi.

    Andava bene così.

    La vita dei componenti della banda non si fermava, continuava a scorrere, seguendo il proprio flusso. I sentimenti erano forze ben più potenti di una possibile fine del mondo.

    Qualcosa ruppe il silenzio in cui erano immersi: un trillo. Il rumore allegro e acuto di una piccola campanella.

    Si guardarono attorno alla ricerca della sua provenienza, ma quello in breve tempo aumentò e una moltitudine di suoni vivaci e festosi cominciò a risuonare nella Foresta d’Argento.

    Tante piccole luci si accesero attorno a loro, più vivide e brillanti degli alberi del bosco. Erano proprio quei piccoli bagliori a emettere i trilli. Le lucine li circondarono e, non appena si poggiarono su di loro o sulle cavalcature, la loro luminosità si affievolì.

    «Sono Fate» mormorò Nalyan, sollevando una mano aperta all’altezza del volto.

    Sul suo palmo si era poggiata una piccola creaturina alta circa sei pollici. Il volto era oblungo, schiacciato sulla fronte e sul mento; buona parte di esso era occupato da grandi occhi neri e luminosi, che lasciavano pochissimo spazio a un nasino minuscolo e una boccuccia altrettanto piccola.

    Sulla stretta fronte faceva bella mostra di sé un paio di antenne clavate, tonde sulla cima. Le orecchie erano ampie e superavano in lunghezza la testolina, coperta da folti capelli candidi. I loro corpicini nudi ricordavano quelli acerbi dei bambini. Sulla schiena comparivano due paia di ali traslucide: ogni volta che la creaturina le agitava, tintinnavano come campanelle.

    Ecco da dove proveniva il suono che aveva risvegliato la Foresta d’Argento.

    Le Fate cominciarono a svolazzare tra di loro, rincorrendosi o attirando l’attenzione del manipolo.

    «Sono innocue» chiarì la maga. «Non sono abituate alle persone, credo siano solo curiose e vogliano giocare.»

    Le fatine infatti non persero tempo a poggiarsi sulle spalle dei viaggiatori e a intrufolarsi nelle bisacce legate alle selle. Alcune erano però troppo invadenti e tentarono di infilarsi dentro i vestiti o cominciarono a infastidire sia loro che gli animali.

    Neas ne afferrò al volo una che tirava i capelli a Vasvé e scappava ogni volta che la Sirena provava a scacciarla.

    La Fata però si dimenò alla presa dell’armaiolo e, dato che il ragazzo non accennava a lasciarla, spalancò la bocca, mettendo in mostra una fila di denti sottilissimi e aguzzi, e gli morse con forza l’indice.

    Il ragazzo trasalì. Gridò di dolore e lasciò la presa sulla creaturina, che cadde a terra. Continuò a lamentarsi e osservò il segno del morso: i puntini lasciati dai denti della fatina avevano preso a sanguinare, e lui portò la zona lesa alle labbra.

    Non appena risollevò lo sguardo si accorse che le Fate avevano smesso di trillare e si stavano spostando verso il terreno. Spostò la sua attenzione su quel punto e notò il corpicino della Fata che lo aveva morso, immobile sulla terra nera. Non emetteva alcuna luce.

    «Ragazzi» chiamò gli altri con voce preoccupata. «Credo di aver ferito una fatina.»

    Scese dal cavallo e Rointash si affrettò a prendere le sue redini, mentre si avvicinava al punto in cui tutte le creaturine avevano iniziato a radunarsi. Si sporse in avanti nel tentativo di prendere in mano la Fata ferita, ma le altre si sollevarono in volo, come una nuvola d’insetti, muovendo freneticamente le ali. Questa volta emisero un suono acuto e fastidioso, tanto forte da costringere Neas a inginocchiarsi, coprendosi le orecchie.

    «Che succede?» gridò, ma la sua voce non raggiunse i compagni.

    I cavalli cominciarono ad agitarsi e anche il resto di Alastrine tentò di attutire il suono con le mani.

    Le Fate si sollevarono compatte in un globo luminoso, come un unico essere vivente, e non appena furono sopra il manipolo il suono acuto delle loro ali si spense.

    Passò un attimo.

    Un attimo di silenzio in cui tutti credettero che quella reazione violenta fosse finita.

    Poi un grido lancinante si propagò per tutta la Foresta d’Argento.

    Il sangue si gelò nelle loro vene, Kianna guaì. Un altro urlo risuonò, seguito da un altro e un altro ancora.

    Qualcosa si stava avvicinando e sembrava reclamare vendetta.

    Ombre scure cominciarono a stagliarsi nella luce della foresta: all’inizio sfocate, poi divennero più nitide.

    Cinque sagome evanescenti di donne vestite di abiti verdi e avvolte in mantelle grigie apparvero davanti ai loro occhi. Lunghi capelli incorniciavano volti ossuti, le guance segnate da profondi solchi come se lacrime antichissime avessero scavato la pelle.

    «Banshee» mormorò Nalyan, senza più preoccuparsi di nascondere la propria paura. «Sono fantasmi, questo è il loro territorio. Sono accorse in aiuto delle Fate.»

    Le donne-spettro fluttuavano a pochi passi dal suolo, emettendo un lamento basso e cupo. Dall’alto le fatine, ancora riunite in uno sciame, si avvicinarono alla compagna ferita.

    «Non avevi controllato che questo posto fosse sicuro?» domandò il capo di Alastrine alla maga senza nascondere la paura.

    Nalyan le scoccò un’occhiata torva.

    «Non sono creature pericolose, di solito» rispose piccata, spostando lo sguardo dall’amica d’infanzia alle donne-spettro.

    «Si sono infuriate perché abbiamo fatto del male alle Fate»

    Una delle Banshee tese il palmo verso l’alto e accolse tra le mani il corpicino della creatura. I fantasmi la osservarono, i mormorii ridotti a tristi sussurri.

    Un attimo dopo i loro occhi scavati puntarono Alastrine e, lasciata la fatina alle altre, le donne si sollevarono in aria.

    Le loro vesti si gonfiarono e dalle loro bocche spalancate si levarono grida lancinanti. La banda fu colpita da raffiche di vento che, come lame affilate, lacerarono gli abiti e la loro pelle non protetta dal cuoio delle armature. Le cavalcature si impennarono, disarcionando tutti, e scapparono per il bosco.

    «Chiedi scusa!» gridò Nalyan a Neas mentre ergeva una barriera violetta attorno al manipolo, stringendo con forza il bastone. «Hai ferito una Fata sotto la loro protezione, devi scusarti!»

    Il ragazzo guardò la maga, confuso, poi si rivolse alle Banshee.

    «Mi dispiace! Non l’ho fatto di proposito, è stato un incidente!»

    Ma le Banshee non si fermarono.

    Volarono intorno al gruppo ferito e tremante per terra e li circondarono, intonando una nenia funesta. Con mani scheletriche apparse dalle ampie maniche, sollevarono il corpo di un ostaggio, portandolo a mezz’aria, ignorando la protezione magica di Nalyan.

    Gli occhi dell’armaiolo si riempirono di terrore nel vedere che la vittima prescelta era proprio Vasvé. La Sirena si dibatteva come aveva fatto prima la fatina nel suo pugno, ma la stretta sovrannaturale delle dita cadaveriche era forte e salda.

    Il giovane si prostrò a terra e supplicò con quanto fiato aveva in corpo.

    «Prendete me!» gridò, fino a perdere la voce. «È stata solo colpa mia! Prendete me!»

    Le Bashee lo udirono. E si voltarono a osservarlo con interesse per alcuni lunghissimi istanti. Poi, dopo un cenno di assenso, il loro tragico canto iniziò ad affievolirsi.

    Il corpo di Vasvé fu lasciato andare e la donna emise un grido spaventato. Cadde a terra, ma si mise seduta, gli occhi fissi sulle donne-spettro che scrutavano l’armaiolo, intento ancora a mormorare le sue scuse e invocare perdono.

    Lo attorniarono e poggiarono le mani sul suo viso, costringendolo ad alzare il capo.

    Neas sollevò lo sguardo ma non vide gli orribili volti deturpati dei fantasmi, bensì giovani visi di donne.

    «Ti perdoniamo» disse una.

    «Il tuo cuore non è malvagio» continuò un’altra.

    «Non era davvero tua intenzione ferire la Fata.»

    Il ragazzo emise un sospiro colmo di gratitudine e solo in quel momento si rese conto di avere il volto umido di lacrime.

    «Di’ al tuo gruppo di continuare il vostro viaggio.»

    «Vi concediamo il passaggio per la nostra foresta.»

    Le Banshee lo lasciarono e scivolarono mormorando nel profondo del bosco.

    La banda di Alastrine si rimise in piedi a fatica. Erano tutti doloranti, le ferite bruciavano e si ritrovarono senza cavalcature, armi, provviste e unguenti curativi.

    La Foresta d’Argento era tornata silenziosa e il gruppo si guardò intorno nel tentativo di orientarsi.

    «Lì» disse Rointash, sollevando un braccio dal quale colava sangue blu scuro per indicare delle tracce nella terra. «I cavalli sono scappati tutti nella stessa direzione, se seguiamo le impronte dovremmo ritrovarli.»

    Tutti furono d’accordo e si misero in marcia. Camminarono per ore, ma delle cavalcature nessuna traccia.

    Decisero di fermarsi, sfiancati dal dolore e dalla fame. Nalyan accese un fuoco fatuo, intorno al quale si radunò tutto il manipolo per riposare e medicarsi come poté.

    Quando giunse il turno dello Yamiya, tutta la banda si mostrò molto interessata.

    «La tua pelle è cerulea perché il tuo sangue è blu?» domandò con curiosità Cadfael.

    Rointash non seppe rispondere e si limitò a fissare la Mezzelfa che stava trattando uno dei suoi tagli. Lei era la persona più adatta a rispondere a quella domanda. Non appena la ferita fu bendata con degli stracci di fortuna, la donna pulì le mani sui lembi della propria veste che compariva da sotto una protezione in pelle.

    «È probabile, ma non è certo» rispose spostando lo sguardo dal cacciatore agli altri. «Non è il sangue a dare il colore alla pelle. Pensate a Riwen, che ha la pelle scura: il suo sangue è comunque rosso.»

    Tutti annuirono, ma il Capitano riprese.

    «Allora a cosa potrebbe essere dovuta questa differenza?»

    La mora scrollò le spalle.

    «Forse dipende dalla natura stessa della pelle. Siamo creature molto differenti, dopotutto.»

    La maga fece cenno a Rointash di aver terminato la medicazione e lo Yamiya raggiunse Trebor, Neas e Kianna, con cui solitamente avrebbe diviso la tenda.

    Tsere si accovacciò, tendendo le mani verso il suolo.

    Aggrottò la fronte e le sopracciglia, in un’espressione concentrata.

    «Non ci riesco!» sbottò, lasciandosi cadere a terra.

    «A fare cosa?» le chiese il capo del manipolo, piegandosi sulle ginocchia per essere alla sua altezza.

    «Volevo fare crescere degli arbusti per fare dei piccoli ripari» spiegò Tsere.

    «Non avevi già provato?»

    Ma ottenne in risposta solo un verso frustrato.

    Erano rimasti senza giacigli e tende: tutto il loro equipaggiamento era conservato nelle borse da sella, legate ai cavalli.

    Nalyan le raggiunse e anche lei si abbassò, allungando una mano per toccare il suolo. Chiuse gli occhi e le altre due rimasero in attesa.

    «Stai cercando della magia?» le chiese la castana, quando riaprì gli occhi e si rimise in piedi, spolverandosi le mani.

    La maga annuì.

    «La prima sensazione che hai avuto quando siamo entrati nella foresta penso fosse corretta» disse rivolgendosi a Tsere. «Credo davvero che non ci sia vita in questo bosco.»

    All’espressione affranta che la biondina le rivolse, aggiunse: «Ho percepito molta magia in quest’area e la presenza di Banshee e Fate ne è una conferma.» Distolse lo sguardo e osservò tutto intorno. «Dire che questo bosco sia morto è sbagliato, ma non è nemmeno vivo. Non nel senso in cui lo intendiamo noi, almeno. Credo che gli alberi si nutrano della magia che impregna la Foresta d’Argento.»

    Il capo di Alastrine si alzò da terra e tese le mani a Tsere, incoraggiandola a rimettersi in piedi a sua volta.

    «Grazie per il pensiero, l’idea dei ripari era molto gentile, ma temo che per questa sera ci accontenteremo di dormire all’addiaccio. Guarda il lato positivo però: abbiamo scoperto una cosa nuova!»

    Tsere annuì con un piccolo sorriso. La rivelazione sulle piante argentee era una magra consolazione al suo fallimento, ma accettò la sconfitta e raggiunse Vasvé.

    Il capo del manipolo lasciò che si allontanasse, poi chiese: «È per questa magia che il tuo incantesimo prima non ha funzionato?»

    Nalyan annuì.

    La castana squadrò con volto corrucciato il bosco. «Non si riesce nemmeno a capire se è mattino o sera» borbottò.

    «Credo si sia fatta sera» azzardò la maga. «Non pensi faccia più fresco?»

    «Può darsi» rispose l’amica. «Fortuna che prima di partire da Narioca abbiamo cambiato i vestiti! Sarebbe stato un peccato se si fossero rovinati gli abiti confezionati dai Nani.»

    Nalyan annuì, osservando prima il suo abito verde strappato e sporco nonostante lo avesse acquistato prima di rimettersi in viaggio e la camicia celeste indossata dalla donna accanto a sé, lacerata e macchiata di sangue, che compariva dalla giubba di cuoio.

    «Vieni a riposare, domani dovremo camminare molto.»

    «Neas?» le chiese invece il capo di Alastrine. «Non ha rivolto la parola a Vasvé da quando sono sparite le Banshee.»

    «Sta riprendendo coraggio» rispose Nalyan, voltandosi per cercarlo con lo sguardo e trovandolo impegnato a tentare un approccio con Vasvé.

    Tsere non perse tempo e si frappose impettita con le mani ai fianchi tra la Sirena, seduta a terra, e l’armaiolo, che la superava in altezza del doppio della sua statura.

    «Quella ragazzina è forte, forse ci preoccupiamo troppo per lei» commentò il capo del manipolo con uno sbuffo divertito.

    La maga si trovò d’accordo, poi aggiunse: «Credo che Vasvé abbia sorriso a Neas.»

    «Una storia d’amore all’interno di Alastrine era proprio quello che ci serviva» commentò la donna ridacchiando.

    «Non vuoi che ci siano relazioni tra gli elementi della banda?» chiese Nalyan avvicinandosi a lei, con malcelata curiosità nella voce.

    La castana arricciò il naso e distolse lo sguardo.

    «Diciamo che non sono nella posizione adeguata per lamentarmi di una cosa simile» accennò, con evidente disagio.

    L’occhiata interrogativa della maga la invitò a continuare.

    «Quando eravamo a Roas, prima che tu e Trebor entraste in Alastrine… Ecco, io e Riwen abbiamo avuto una relazione» rivelò con uno sbuffo.

    La sorpresa fece sgranare gli occhi alla Mezzelfa, tanto da non riuscire a rispondere.

    «Quindi…» riprese l’amica d’infanzia. «Non sono proprio nella posizione per giudicare, se qualcuno volesse intraprendere un rapporto sentimentale. Solo, credo sarebbe strano vedere una coppia all’interno del manipolo» ammise con una scrollata di spalle, tentando di togliersi di dosso l’imbarazzo.

    Le tornò in mente quello che Amos aveva detto a Trebor, proprio all’inizio di quel viaggio: non si può dare un tempo all’amore, quando questo arriva non è possibile farlo rallentare e non si può nemmeno anticipare il suo arrivo.

    «E perché con Riwen…» riprese Nalyan, sperando di non risultare insistente.

    L’amica sospirò, evitando ancora il suo sguardo.

    «Voleva un matrimonio, dei figli e io no. Non poteva funzionare.»

    Il capo del manipolo si coricò su un fianco, concludendo quella conversazione che l’aveva messa a disagio.

    Nalyan si distese sulla schiena e si rese conto di sentirsi turbata anche lei.

    Aveva provato un vuoto allo stomaco quando le aveva detto della relazione con Riwen, nonostante sapesse che l’uomo fosse ormai sposato con un’altra donna.

    Si voltò e, osservando l’amica darle le spalle, si chiese cosa potesse desiderare.

    Ne avevano parlato, seppur per poco, quando avevano fatto sosta in una città tra Otarir e Narioca. Quella volta sembrava che entrambe non avessero intenzione di trovare un uomo, sposarsi e far figli, ma non poteva davvero credere che l’amica non desiderasse una famiglia. Gli eventi l’avevano travolta tanto da dimenticare che ci sarebbe stato un dopo alla fine di quel viaggio.

    Chiuse gli occhi e si ripromise che ne avrebbero parlato ancora. Per quanto ci fosse Alastrine, non le piaceva che l’amica d’infanzia restasse sola, in futuro.

    Al manipolo sembrò di aver impiegato due giorni per uscire dalla Foresta d’Argento. Due giorni senza cibo e con la sola acqua che Vasvé era in grado di produrre dall’umidità dell’aria.

    Capirono di essere giunti al limitare opposto del bosco solo quando videro una luce diversa provenire da Ovest e, senza perdere tempo, la seguirono.

    Era proprio il sole, che li abbagliò non appena uscirono dalla foresta.

    Respirarono a pieni polmoni l’aria fresca e profumata della brughiera nella quale giunsero. I loro piedi dovettero farsi strada tra arbusti chiari e Kianna non perse l’occasione per correre tra le sterpaglie, mentre davanti a loro scivolavano i dolci pendii delle colline.

    La volta celeste era coperta da nuvole ampie, sfilacciate e candide, che permettevano di vedere solo piccoli lembi di azzurro.

    Poco distante una piccola e inaspettata fortuna li attendeva: presso uno specchio d’acqua ritrovarono i cavalli con tutti i loro bagagli legati alle selle. E dire che si erano ormai rassegnati all’idea di dover procedere a piedi fino a Oryza, o al massimo di confidare nella gentilezza dei quattro Draghi che seguivano i loro passi, solcando il cielo sulle loro teste.

    Decisero di riposare, ancora affaticati dagli eventi vissuti nella Foresta d’Argento.

    Avrebbero ripreso il viaggio il giorno seguente, dopo una cena abbondante e un sonno sereno.

    Capitolo II

    Frecce nere

    Si erano accampati non molto distanti dal limitare della Foresta d’Argento. Avevano montato le tende approfittando delle poche ore di luce che erano rimaste alla giornata e si stavano godendo il meritato riposo dopo la fuga dal bosco.

    Non erano tanto i loro corpi a risentire della stanchezza fisica, quanto le loro menti: giorni passati nel più totale silenzio e nell’oscurità del bosco, circondati dalle piante argentee immerse nella loro non-vita, avevano turbato i loro animi più di quanto avessero creduto.

    Trebor sollevò il capo, osservando il cielo che cominciava a tingersi di arancione, mentre il sole scivolava con lentezza verso i morbidi rilievi delle colline, scaldando i loro volti come una carezza rassicurante. «Credo sia meglio andare a raccogliere della legna.»

    Tutti annuirono e Rointash si alzò dalla roccia sulla quale era seduto. «Ti accompagno.»

    I due s’incamminarono tra i piccoli arbusti che si impigliavano alla stoffa dei loro pantaloni, seguiti da Kianna, chinandosi di tanto in tanto nel prendere qualche legnetto utile al loro fuoco.

    Il moro scorse un gruppetto di alberi robusti e slanciati. Non riuscivano però a riconoscere che alberi fossero. Uno di essi era secco, privo di foglie, non formava una corona densa come gli altri. Vi si avvicinarono con l’intenzione di cercare dei rami nodosi, magari per terra, già spezzati.

    Ebbero una modesta fortuna. Notarono un ramo di dimensioni non indifferenti incrinato, attaccato al tronco soltanto da una striscia di corteccia.

    «Riesci ad afferrarlo?» chiese Trebor al cacciatore. «Se lo tiri verso il basso forse riesci a spezzarlo.»

    Lo Yamiya valutò bene l’altezza della ramificazione e piegò la testa di lato. «Posso provarci.» Spiccò un balzo e si aggrappò al legno, il suo peso lo fece inclinare verso il basso con un rumoroso scricchiolio. Stava funzionando.

    Trebor, però, udì anche un fruscio.

    Si guardò intorno, alla ricerca dell’origine del suono, e notò un movimento nel fogliame di un albero vicino.

    Anche Kianna doveva aver percepito qualcosa, infatti lasciò cadere per terra il rametto che stringeva tra i denti e drizzò le orecchie.

    Il moro vide uno scintillio tra le fronde, grazie agli ultimi raggi del sole morente, e in un attimo capì.

    «Giù!»

    Saltò su Rointash, per farlo staccare dall’albero. Lo Yamiya lasciò la presa ed entrambi finirono per terra, mentre il sibilo di una freccia risuonava troppo vicino alle loro orecchie.

    Kianna cominciò ad abbaiare agitata, voltandosi dai due ragazzi al suolo al punto da cui era partito il dardo.

    Più forte dell’impatto contro la terra dura, più vivo dei graffi inferti dalla vegetazione e dalle pietre, il braccio destro di Trebor esplose di dolore, facendolo gridare fino a sentire male alla gola.

    Vide bianco per un attimo, mentre afferrava l’arto ferito e si sentiva stretto da Rointash. Il suo volto comparve sfocato nel suo campo visivo, la sua voce e i latrati del cane giunsero ovattati alle sue orecchie.

    Il mondo attorno a lui cominciò a vorticare e serrò le palpebre nel tentativo di rimettere in ordine ciò che i suoi occhi tentavano di vedere.

    Quando li riaprì, il cacciatore era scattato in piedi nell’alto della sua imponenza e stringeva una pietra nella mano.

    La cagna corse al suo fianco e si sistemò sotto il suo braccio sinistro, per sorreggerlo. Insieme videro lo Yamiya lanciare il sasso con forza disumana contro le fronde di un albero e il tonfo, seguito da un lamento, gli fece capire che aveva colpito chi li aveva attaccati.

    Quello che preoccupava Trebor, però, era Rointash stesso.

    Non aveva bisogno di vederlo in volto, di vedere i suoi occhi dalla sclera gialla e l’iride rossa.

    Era in Rikai.

    Kianna guaì contro di lui.

    Il ragazzo si sforzò e allungò il braccio sano per afferrare i vestiti del cacciatore. Quel gesto gli costò un enorme sforzo, il proprio corpo tremava e sentiva il braccio destro pesante. Si rifiutò però di osservarlo. Temeva di vedere una freccia nera infilzata nella sua carne, poco sopra il gomito.

    Lo Yamiya si voltò verso di lui e si chinò verso terra, fino a trovarsi all’altezza del suo viso.

    Non si era sbagliato: la Furia deturpava il suo volto, ma in pochi attimi i suoi occhi cominciarono a mutare, le cornee tornarono bianche e le iridi dorate. La coscienza ricomparve nel suo volto, mista alla preoccupazione.

    «Sei ferito!» esclamò e, senza aspettare una sua risposta, lo prese tra le braccia e corse verso l’accampamento, Kianna che correva dietro di lui.

    Solo in quel momento Trebor si abbandonò al dolore che il braccio ferito gli provocava. Poggiò il capo contro il petto del cacciatore e perse conoscenza.

    Rointash arrivò di corsa all’attendamento, con Trebor privo di sensi tra le braccia.

    «Ci hanno attaccati!» gridò, attirando l’attenzione di tutta la banda.

    Cadfael e il capo del manipolo furono i primi a raggiungerlo. «Gli occhi di entrambi furono catalizzati dalla freccia conficcata nel braccio del moro e non faticarono a riconoscerla.

    Nalyan si era già allertata e li fece entrare nella tenda che il moro divideva con Rointash e Neas. La maga valutò bene la ferita e con sguardo grave confermò ciò che il Capitano, il capo di Alastrine, i gemelli, Rointash e Tsere avevano temuto.

    Era una freccia avvelenata degli Elfi Oscuri, come quella che aveva ucciso Amos e causato molte vittime nel villaggio Yamiya.

    La Mezzelfa passò le mani circondate da un alone violaceo sul braccio di Trebor.

    L’arto fu come illuminato dall’interno, mettendo in risalto l’intrico di vene e capillari. Il flusso di magia aumentò e i canali del sistema circolatorio furono sostituiti da un numero minore di condotti, ma più ampi.

    «Almeno non ha colpito un punto vitale» mormorò.

    «Che vuol dire?» chiese con urgenza il capo della banda.

    «Quando ho prestato il mio aiuto nel villaggio degli Yamiya ho scoperto che il veleno chiude i canali in cui scorre l’energia» spiegò la mora, ma vedendo le espressioni confuse degli altri approfondì la questione. «Oltre al sangue che si muove nelle vene, nel corpo scorre anche l’energia vitale in canali sovrapposti a quelli sanguigni. Come il cuore è l’organo che spinge il sangue in tutto il corpo, nel petto vi è il fulcro dell’energia vitale. Altri punti fondamentali in un corpo sono la pancia e la testa. Se fosse stato colpito in uno di questi, non avrei potuto fare niente.»

    «Ora cosa puoi fare?» domandò la castana spostando lo sguardo dall’amica al ragazzo ferito.

    «Devo impedire che il veleno ostruisca altri canali energetici.»

    Allo sguardo colmo di urgenza che il capo di Alastrine le rivolse, rispose con un sospiro.

    «La tossina si muove nel sangue, da lì ostruisce i condotti dell’energia. La scelta più sicura è amputargli il braccio.»

    Il silenzio congelò la tenda.

    Tagliare il braccio a Trebor lo avrebbe salvato dal veleno degli Elfi Oscuri ma c’era comunque il rischio che sopraggiungessero delle infezioni, senza contare che sarebbe rimasto mutilato a vita.

    Non era una scelta semplice.

    «Non c’è altro modo?» chiese Cadfael, disincantando tutti.

    La maga scrollò le spalle.

    «Forse conosco un altro metodo ma non l’ho mai provato, non so se funzionerà.» I suoi occhi si fissarono sulla figura dell’amica d’infanzia. «Dobbiamo decidere in fretta. Il veleno non impiegherà molto tempo a raggiungere il petto.»

    La donna abbassò lo sguardo su Trebor e vide i segni neri che avevano iniziato ad avvolgere il braccio del ragazzo come le crepe di un vaso rotto. Un brivido le percorse la schiena, mentre le tornavano in mente le immagini della ferita di Amos.

    Linee come quelle avevano segnato il suo petto.

    «Amputategli il braccio» sentenziò infine.

    Non avrebbe permesso che un altro compagno morisse in quel modo, non se c’era una possibilità per impedirlo.

    Nalyan annuì e cominciò a spogliare il ferito aiutata da Cadfael, mentre chiedeva a Rointash di chiamare Neas. L’avrebbe aiutata a effettuare l’operazione e avrebbe cauterizzato la ferita.

    Trebor però si mosse sul giaciglio: cominciava a riprendere conoscenza.

    Aveva i capelli attaccati alla fronte madida di sudore. Si ritrovò a torso nudo, sentiva freddo al busto ma il braccio destro gli bruciava e gli doleva in modo atroce.

    Il volto della maga comparve dall’alto e gli rivolse un sorriso che non aveva nulla di felice. «Mordi questo» e gli consegnò un legnetto avvolto nella stoffa.

    In quel momento il ragazzo vide entrare nella tenda Neas con in mano una spada e qualcosa nella sua mente cominciò a prendere forma. La conferma gli giunse quando la maga strinse un lembo di stoffa intorno al suo braccio, sotto l’attaccatura della spalla.

    «Stringi la mia mano, Mammoletta» gli disse il capo di Alastrine prendendogli la sinistra.

    Kianna si era accucciata al suo fianco e di tanto in tanto un guaito acuto giungeva alle sue orecchie come un lamento disperato.

    «No, no» biascicò. «Deve esserci un altro modo!»

    «È il modo più sicuro per farti restare vivo, stai tranquillo» rispose Nalyan.

    «Vivo?» ripeté lui, mentre vedeva Neas estrarre una spada dal fodero. «Senza un braccio sarò vivo ma inutile! Vi prego, non fatelo!»

    Le due donne si scambiarono uno sguardo e il ragazzo vide l’esitazione nei loro occhi.

    «Vi ho sentito parlare di un’altra possibilità» continuò, tentando di recuperare frammenti della conversazione che aveva udito mentre tentava di riprendere conoscenza. Sentiva la testa pesante e il dolore era così acuto che gli impediva di pensare con lucidità.

    «Potresti morire!» esclamò il capo del manipolo.

    «Preferisco morire, che essere un peso per voi! Senza braccio non sarò più in grado di usare la balestra! Vi prego, io voglio essere utile ad Alastrine!»

    Nalyan sciolse il nodo attorno all’arto. «Uscite fuori. Chiamate Tsere.» La sua voce era atona e non ammetteva repliche.

    Il capo del manipolo emise un sospiro e si alzò da terra, spostando lo sguardo da Trebor alla maga. Raggiunse Neas e poggiò una mano sulla sua spalla, per uscire insieme.

    Fuori dalla tenda tutta Alastrine era in attesa, i volti preoccupati e gli occhi attenti.

    Non dissero nulla, solo la donna incrociò le iridi verde acqua dell’Alleata del Drago della Terra e le indicò con un cenno della testa l’interno dell’alloggio.

    La ragazzina annuì ed entrò.

    Nessuno le chiese notizie di Trebor, sapevano che era superfluo. Se ci fossero state novità li avrebbe già informati, perciò tornarono a sedersi a terra o sulle rocce, in attesa.

    Cadfael affiancò il

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