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L'assedio di Roma
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E-book106 pagine1 ora

L'assedio di Roma

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Il volume riproduce un estratto della Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-’49 di Carlo Pisacane, relativo all’assedio di Roma (pp.247-311), preceduto da un quadro storico degli avvenimenti, che hanno preceduto il fatto narrato, e da un’introduzione circa le interpretazioni storiografiche relative all’autore ed all’opera.
L’idea di pubblicare la cronaca dell’ultima e più drammatica fase dell’esperienza della Repubblica romana ha un valore sia narrativo che morale: essa ci ricorda come il riconoscimento a tutti i cittadini della possibilità di partecipare alla vita politica della comunità, di cui si fa parte, in condizioni di eguaglianza, ed il successivo emergere di una nuova generazione di diritti di carattere sociale, che ne è il naturale completamento, non sono stati frutto di un processo pacifico, ma il risultato di lotte molto aspre.
Rinnovare la memoria storica di quei drammatici eventi ha il fine di produrre una maggiore consapevolezza circa la travagliata genesi dei diritti politici e sociali e della necessità di un impegno costante per preservarne l’esistenza, da forme di dispotismo sempre nuove.

LinguaItaliano
Data di uscita7 lug 2014
ISBN9781311872357
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    L'assedio di Roma - Carlo Pisacane

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    1 La travagliata nascita di una Repubblica

    Quando Carlo Pisacane giunge a Roma, nel febbraio del 1849, la situazione politica della Città Eterna si sta avviando ad una rapida stabilizzazione, dopo mesi di mutamenti ministeriali e di incertezze.

    La decisa opzione verso la forma repubblicana, da parte della neo-eletta Assemblea Nazionale e le calorose accoglienze riservate a Giuseppe Mazzini, al suo arrivo nella Capitale, ma soprattutto la successiva approvazione del suo progetto di istituire una Commissione di guerra, sembrano la conclusione di un lungo periodo di lotte partitiche, avviatosi nell’aprile dell’anno precedente con l’enciclica papale del ‘29.

    Quell’atto aveva messo fine ad un prolungato equivoco: la possibilità cioè che il potere temporale del Papa fosse compatibile con una modernizzazione dello Stato Pontificio e con il perseguimento di obiettivi nazionali in politica estera.

    Durante il biennio precedente, tale illusione era stata, in effetti, coltivata, da una parte consistente dell’intellighenzia riformatrice del Regno: la maggiore libertà concessa da Pio IX, immediatamente dopo la sua elezione al soglio pontificio, aveva stimolato la nascita di nuovi giornali e luoghi di incontro e associazione, all’interno dei quali, le élite colte (nobili o borghesi che fossero) avevano la possibilità di discutere di teatro, letteratura o dei problemi politici del tempo.

    Alla base è l’idea, comune ad ampi strati delle borghesie urbane italiane, che la comunicazione e l’associazione costituiscano una risorsa per la società e lo Stato e che, attraverso la discussione pubblica dei problemi, si possa pervenire ad un avanzamento della collettività.

    Cominciano peraltro a manifestarsi in tali gruppi esigenze sempre più nitide di partecipazione alla gestione della cosa pubblica.

    Le manifestazioni di plauso a Pio IX sono lo strumento, con cui le borghesie locali del Regno, che hanno superato le rivalità municipali, premono sul Sovrano, associando a sé l’elemento popolare, per ottenere le riforme politiche sperate. Tale strategia, condotta entro termini strettamente legali e risultata a lungo vincente, arriva a un punto di rottura nell’inverno del 1848.

    Giunta a Roma la notizia della concessione costituzionale da parte di Ferdinando II di Borbone anche nella Città Eterna si moltiplicano le domande per l’elargizione di uno statuto fondamentale, costringendo Pio IX a superare il proprio disegno di contenere le richieste di riforma nell’ambito di una monarchia consultiva.

    La nuova fisionomia costituzionale dello Stato romano e la dichiarazione di guerra contro l’Austria, cui il Pontefice si era dovuto piegare, risultano tuttavia incompatibili con il suo ruolo di Capo della Cristianità.

    Nell’aprile del 1848, gli insuccessi militari e il pericolo di scissione della Chiesa austriaca, inducono il Papa ad un ripensamento della propria linea politica, che culmina nell’allocuzione papale del 29 aprile, con cui Pio IX comunica la sua determinazione ad interrompere definitivamente le ostilità con l’Austria ¹.

    Nonostante l’enciclica pontificia costituisca oggettivamente un trauma per il movimento moderato e neoguelfo ed una prima frattura in quel rapporto di collaborazione tra elementi riformatori locali e Pontefice, riluttante ad assecondare pienamente i primi, almeno sotto il profilo delle loro aspirazioni nazionali, i riformisti, superata la sorpresa iniziale, riprendono la testa del movimento, riuscendo a contenere le impazienze rivoluzionarie degli elementi più intransigenti ².

    Opera in loro la speranza di poter ricomporre la frattura col Papa ³.

    Il clima insurrezionale prodottosi, costringe del resto Pio IX, nel tentativo di arginare la crisi, a licenziare il cardinal Giacomo Antonelli e ad affidare il governo a Terenzio Mamiani, l’esponente più qualificato del riformismo pontifico.

    Il progetto politico di Mamiani è però fragile, in quanto si basa sulla disponibilità del Pontefice a collaborare col Ministero o per lo meno sulla possibilità di estorcere tale disponibilità, attraverso la pressione popolare; contrariamente alle previsioni, invece, Pio IX assume un atteggiamento sempre più ambiguo, che, unitamente agli insuccessi militari delle truppe papaline, logorano prematuramente il Ministero.

    In agosto, anche a causa dell’occupazione austriaca di Ferrara, il governo si dimette, aprendo la strada ad un gabinetto Pellegrino Rossi, che, nelle valutazioni di molti osservatori, prelude alla conclusione del laboratorio politico pontificio. Proprio tale scelta politica contribuisce ad orientare parte del movimento liberale a cercare l’attuazione del proprio programma al di fuori di un rapporto di collaborazione col Pontefice, radicalizzandone gli orientamenti.

    La propaganda democratica, che nell’Italia centrale era sempre stata insistente e si era rivolta ad ambienti di operai ed artigiani, trova ora maggiori opportunità di ascolto: essa si caratterizza non soltanto per il tentativo di imprimere maggiore energia al movimento rivoluzionario, incanalandolo verso obiettivi nazionali, ma anche per la sua maggiore disponibilità ad utilizzare il moto popolare, al fine di rovesciare i conservatori ⁴.

    A Bologna, ad esempio, dove il ruolo di rilievo giocato dalle masse nella vittoriosa resistenza agli Austriaci ha messo in luce l’impossibilità di escluderle dalla vita pubblica, il frate Alessandro Gavazzi tiene «animate adunanze popolari» ⁵.

    Frutto della radicalizzazione del clima politico è l’assassinio di Pellegrino Rossi (19 novembre 1848), che dà il via ad un’insurrezione: le guardie svizzere vengono disarmate, la guardia civica ed i carabinieri si uniscono agli insorti; si chiede l’accettazione da parte del Papa del programma di Mamiani del 5 giugno ed il varo di un nuovo Ministero democratico, mentre al Caffè di Belle Arti, una delle sedi del Circolo Popolare (l’altra era a Palazzo Fiano), centro di raccolta della élite cittadina, si riunisce una sorta di governo popolare, di cui fanno parte Carlo Bonaparte principe di Canino, Vinciguerra e i due redattori dell’Epoca (giornale succeduto all’Italico e vicino alle posizioni di Mamiani) Michelangelo Pinto e Leopoldo Spini ⁶.

    Ancora una volta incalzato dalla minaccia di una rivolta popolare, il Papa convoca un nuovo governo, di cui fanno parte fra gli altri i liberali Giuseppe Galletti e Terenzio Mamiani, ma ne indebolisce la posizione con la sua fuga (24 novembre 1848) ⁷.

    La classe dirigente romana è tuttavia incapace di trarre dall’allontanamento di Pio IX le conseguenze politiche del caso, preferendo continuare a governare in nome di un Papa che da Gaeta ne sconfessa puntualmente tutti gli atti ⁸.

    A dicembre convergono a Roma un nutrito gruppo di democratici (ne fanno parte fra gli altri Filippo De Boni, Pietro Maestri e Piero Cironi, tutti in contatto con Mazzini), che avviano un’attiva propaganda in favore della decadenza del Pontefice, la creazione di un governo provvisorio e l’elezione di una nuova assemblea legislativa, con poteri costituenti, saldandosi con le frange più radicali del liberalismo romano ⁹.

    Il 21 dicembre, preoccupato per la crescente fortuna del gruppo di De Boni, Mamiani, Ministro degli esteri nella nuova compagine di Governo, presenta un progetto di legge per l’espulsione degli stranieri che diano grave indizio di voler turbare l’ordine pubblico. Al fine di contenere l’opposizione parlamentare al disegno di legge, lo si accompagna ad un progetto volto all’istituzione di un sussidio per gli esuli politici.

    Come prevedibile, la manovra non riesce e l’opposizione parlamentare, guidata da Carlo Bonaparte Canino, vanifica il tentativo ministeriale ¹⁰.

    Ė però l’intera strategia di coloro, che volevano condurre l’azione di riforma, entro le pareti dell’azione legale, ad essere ormai in crisi.

    Una sollecitazione importante verso una soluzione rivoluzionaria della situazione politica viene dai circoli anconetani che,

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