Garibaldini Ferraresi e la guerra del Veneto nel 1866
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Anteprima del libro
Garibaldini Ferraresi e la guerra del Veneto nel 1866 - Luigi Davide Mantovani
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Intro
Questo raro saggio dello storico Luigi Davide Mantovani (1940-2020) riporta le gesta dei cittadini ferraresi che hanno contribuito all’epica vicenda dell’Unità d’Italia, con l’accurato elenco completo dei volontari garibaldini del Ferrarese per la liberazione del Veneto dall’Austria nel 1866, ripartiti in: volontari ferraresi, centesi e comacchiesi. Di Luigi Davide Mantovani questa casa editrice ha già pubblicato (ed è disponibile) Ferrara nel 1902. Un anno di transizione (2020).
GARIBALDINI FERRARESI E LA GUERRA DEL VENETO NEL 1866
Ferrara e il suo territorio hanno avuto storicamente un intenso rapporto con il Veneto e il Polesine in particolare, tanto che il fiume Po è apparso molto spesso piuttosto un fattore di legame che un elemento di separazione. Basterebbe ricordare i secoli di appartenenza politica di quella parte del Polesine denominata Transpadana alla legazione pontificia di Ferrara, oppure la diffusa, quasi prevalente, possidenza agricola della nobiltà prima estense e poi pontificia dei Bentivoglio, dei Tassoni e, in tempi più recenti, degli ebrei Cavalieri e Anau che in questo modo aggiravano le leggi dei papi che proibivano la proprietà agraria agli israeliti nel proprio territorio. Lo sconvolgimento che le imprese napoleoniche apportarono a tutta l’Italia settentrionale con un’accelerazione improvvisa del cambiamento sociale e politico senza precedenti pose ben presto sul tappeto problemi di interazione geopolitica. Appena caduta la repubblica aristocratica, il presidente dell’Amministrazione Centrale del Ferrarese, Antonio Massari, inviava, nel maggio 1797, alla Municipalità provvisoria di Venezia due ambasciatori, Carlo Facci e Domenico Gallizioli a salutare la «Veneta rivoluzione» e a proporre una unione che avesse «la più grande dilatazione» e il conseguente auspicio «che tutti i Popoli d’Italia restituiti alla Libertà non formassero più che una sola famiglia o almeno che il Po non segnasse più divisione d’interessi e di Nomi» ¹ . Vincenzo Dandolo, nella risposta alla proposta ferrarese, a nome della municipalità veneziana, non poteva nascondere la sorpresa di quella fulminea presa di contatto, ma tuttavia rispondeva positivamente: «Dite a quel Popolo libero che Noi vediamo dopo la vostra comparsa forse vicinissima la nostra fraterna unione» ² . In realtà Massari, che si trovava a capo in quel momento di una convulsa situazione politica da un anno in movimento e ancora incerta, cercava di allargare con quella mossa i confini della futura configurazione statuale a una repubblica la più vasta possibile per sfuggire a quello che più di ogni altra cosa i ferraresi temevano e ciò una repubblichetta fra Bologna, Ferrara e poco altro in cui essere succubi di un vicino non solo ingombrante, ma anche antagonista negli affari delle acque su cui si contrapponevano da secoli ³ .
Il riferimento nel messaggio fatto all’Italia e ai suoi popoli, in un contesto di rapporto politico, inoltre, è storicamente molto significativo e può essere considerato un punto d’inizio di quel di quel percorso che chiamiamo comunemente Risorgimento
. Ferrara diventò ben presto una delle più importanti porte di ingresso dei veneti verso i territori della libertà e dell’uguaglianza
anzi lo era già divenuta fin dal 1796 quando diversi espatriati, soprattutto degli alti ceti, si facevano accreditare presso i francesi come emigrati politici dalle autorità ferraresi per poter raggiungere Milano o altre sedi quando invece non sceglievano Ferrara come novella patria (era il caso dell’ambasciatore
Domenico Gallizioli). Emigrazione che si accentuò sensibilmente dopo Campoformio. La rivoluzione della distrettuazione repubblicana e del regno napoleonico intensificò i rapporti politici e gli scambi di classi dirigenti a tal punto che in seguito, nonostante la separazione della Transpadana con la restaurazione, si originava lo sviluppo della Carboneria che da Ferrara, tramite l’avv. Tommaso Tommasi, impiantava a Rovigo una vendita secondaria che poi, con i pretori Antonio Solera e Felice Foresti, ambedue provenienti da Ferrara, avrebbe assunto tratti autonomi ⁴.